SOMMARIO -RASSEGNA STAMPA

"Apostata" da se stessa: l'Europa smarrita di papa Benedetto

Prima ancora che da Dio, Joseph Ratzinger vede il vecchio continente allontanarsi da se stesso, dalla "sua stessa identità".

di Sandro Magister- www.chiesa.espressonline.it


Cinquant'anni dopo i Trattati di Roma, il bilancio più critico è quello del papa. Eccolo
ROMA, 28 marzo 2007 – Cinquant'anni dopo la firma dei Trattati di Roma che nel 1957 diedero vita a ciò che è oggi l'Unione Europea, Benedetto XVI ha formulato sullo stato del continente una diagnosi molto severa. È arrivato a dire che l'Europa sta cadendo in una "singolare forma di apostasia".

Anche Giovanni Paolo II aveva parlato di "apostasia" come abbandono della fede, nell'esortazione apostolica "Ecclesia in Europa" del 2003. Ma Benedetto XVI ha detto di più. Ha accusato l'Europa di essere sempre più spesso apostata "da se stessa prima ancora che da Dio": fino a "dubitare della sua stessa identità".
Il papa ha formulato questa diagnosi ricevendo sabato 24 marzo in Vaticano, nella Sala Clementina, i cardinali, i vescovi, gli uomini politici che stavano prendendo parte al convegno indetto a Roma in quei giorni dalla Commissione degli Episcopati della Comunità Europea, COMECE, dedicato proprio a "Valori e prospettive per l'Europa di domani".
Tra i politici cattolici intervenuti al convegno c'erano il presidente del consiglio italiano, Romano Prodi, la presidente dell'Irlanda, Mary McAleese, il presidente del parlamento europeo, Hans-Gert Pöttering.

Incontrando il papa in udienza privata Pöttering – che è tedesco e negli anni scorsi si batté, senza successo, perché fosse inserito il riconoscimento delle radici cristiane dell'Europa nel trattato costituzionale dell'Unione – ha invitato Benedetto XVI a recarsi a Strasburgo a parlare davanti al parlamento europeo in sessione plenaria: come già fece Giovanni Paolo II l'11 ottobre 1988.
Joseph Ratzinger ha dedicato all'Europa una parte importante delle sue riflessioni anche prima d'essere eletto papa. Resta memorabile, in particolare, la conferenza su "L'Europa nella crisi delle culture" da lui tenuta a Subiaco, nel monastero di San Benedetto, la sera del 1 aprile 2005, ventiquattr'ore prima della morte di Giovanni Paolo II.
Il discorso di Benedetto XVI dello scorso 24 marzo – riprodotto integralmente qui sotto – è più breve, ma riprende i tratti essenziali delle sue precedenti riflessioni.

Non solo nel richiamare l'Europa a non perdere se stessa, ma anche nell'indicare ad essa come ritrovare la forza di essere "lievito per il mondo intero".

Per rinverdire questa sua vocazione planetaria – ammonisce il papa – l'Europa deve tornare a poggiarsi non solo sui propri fondamenti cristiani, ma anche su quei "valori universali e assoluti" nei quali crede sempre meno: valori fissati in "una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano".
È dal rifiiuto di questi principi universali e intangibili, iscritti nel cuore di ogni uomo, che il papa vede discendere, tra l'altro, le legislazioni che in molti paesi feriscono la dignità della vita e della famiglia.



Perché l'Europa torni ad essere "lievito per il mondo"
di Benedetto XVI

Signori cardinali,
venerati fratelli nell’episcopato,
onorevoli parlamentari,
gentili signore e signori!

euSono particolarmente lieto di ricevervi così numerosi in questa udienza, che si svolge alla vigilia del cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, avvenuta il 25 marzo 1957. Si compiva allora una tappa importante per l’Europa, uscita stremata dal secondo conflitto mondiale e desiderosa di costruire un futuro di pace e di maggiore benessere economico e sociale, senza dissolvere o negare le diverse identità nazionali. Saluto Mons. Adrianus Herman van Luyn, vescovo di Rotterdam, presidente della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea, e lo ringrazio per le gentili parole che mi ha rivolto. Saluto gli altri presuli, le distinte personalità e quanti prendono parte al convegno promosso in questi giorni dalla COMECE per riflettere sull’Europa.

Dal marzo di cinquant’anni or sono, questo Continente ha percorso un lungo cammino, che ha condotto alla riconciliazione dei due "polmoni" – l’Oriente e l’Occidente – legati da una storia comune, ma arbitrariamente separati da una cortina d’ingiustizia. L’integrazione economica ha stimolato quella politica e ha favorito la ricerca, ancora faticosamente in corso, di una struttura istituzionale adeguata per un’Unione Europea che, ormai, conta 27 Paesi ed aspira a diventare nel mondo un attore globale.

In questi anni si è avvertita sempre più l’esigenza di stabilire un sano equilibrio fra la dimensione economica e quella sociale, attraverso politiche capaci di produrre ricchezza e d’incrementare la competitività, senza tuttavia trascurare le legittime attese dei poveri e degli emarginati.

Sotto il profilo demografico, si deve purtroppo constatare che l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia.

Ciò, oltre a mettere a rischio la crescita economica, può anche causare enormi difficoltà alla coesione sociale e, soprattutto, favorire un pericoloso individualismo, disattento alle conseguenze per il futuro. Si potrebbe quasi pensare che il continente europeo stia di fatto perdendo fiducia nel proprio avvenire.

Inoltre, per quanto riguarda, ad esempio, il rispetto dell’ambiente oppure l’ordinato accesso alle risorse ed agli investimenti energetici, la solidarietà viene incentivata a fatica, non soltanto nell’ambito internazionale ma anche in quello strettamente nazionale. Il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l’impressione diffusa che vari "capitoli" del progetto europeo siano stati "scritti" senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini.

Da tutto ciò emerge chiaramente che non si può pensare di edificare un’autentica "casa comune" europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente.

Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa.

Tali valori, che costituiscono l’anima del continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come "fermento" di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il "vecchio" continente continuare a svolgere la funzione di "lievito" per il mondo intero? Se, in occasione del 50.mo dei Trattati di Roma, i governi dell’Unione desiderano "avvicinarsi" ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua ad identificarsi? Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di "apostasia" da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità?

Si finisce in questo modo per diffondere la convinzione che la "ponderazione dei beni" sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. In realtà, se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo.

Una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno.

Ecco perché appare sempre più indispensabile che l’Europa si guardi da quell’atteggiamento pragmatico, oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, come se fosse l’inevitabile accettazione di un presunto male minore. Tale pragmatismo, presentato come equilibrato e realista, in fondo tale non è, proprio perché nega quella dimensione valoriale ed ideale, che è inerente alla natura umana.

Quando, poi, su un tale pragmatismo si innestano tendenze e correnti laicistiche e relativistiche, si finisce per negare ai cristiani il diritto stesso d’intervenire come tali nel dibattito pubblico o, per lo meno, se ne squalifica il contributo con l’accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi.

Nell’attuale momento storico e di fronte alle molte sfide che lo segnano, l’Unione Europea per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, non può non riconoscere con chiarezza l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano. In tale contesto, va salvaguardato il diritto all’obiezione di coscienza, ogniqualvolta i diritti umani fondamentali fossero violati.

Cari amici, so quanto difficile sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo.

Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale. Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato (cfr Matteo 5,13). Il Signore renda fecondo ogni vostro sforzo e vi aiuti a riconoscere e valorizzare gli elementi positivi presenti nell’odierna civiltà, denunciando però con coraggio tutto ciò che è contrario alla dignità dell’uomo.

Sono certo che Iddio non mancherà di benedire lo sforzo generoso di quanti, con spirito di servizio, operano per costruire una casa comune europea dove ogni apporto culturale, sociale e politico sia finalizzato al bene comune. A voi, già coinvolti in diversi modi in tale importante impresa umana ed evangelica, esprimo il mio sostegno e rivolgo il mio più vivo incoraggiamento. Soprattutto vi assicuro un ricordo nella preghiera e, mentre invoco la materna protezione di Maria, madre del Verbo incarnato, imparto di cuore a voi ed alle vostre famiglie e comunità la mia affettuosa benedizione.

Compromesso antistorico

di Massimo Introvigne (il Giornale, 25 marzo 2007)

Benedetto XVI, ricevendo sabato gli episcopati dell'Unione Europea, ha ripetuto quanto aveva già detto a Natale: l'Europa «sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia». Altro che magnifiche sorti e progressive.

Benedetto XVI è tornato sui tre punti centrali in cui vede la malattia mortale del continente europeo. Il primo è la «crisi demografica», che «causa enormi difficoltà alla coesione sociale» ma soprattutto rivela che l'Europa «sta perdendo fiducia nel proprio avvenire», né vede nei suoi governanti chi sia in grado di rassicurarla. Anzi, nota il Papa, «il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l'impressione diffusa che vari capitoli del progetto europeo siano stati scritti senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini».

In secondo luogo, l'Europa vive una «singolare forma di apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio», nel senso che «dubita della sua stessa identità». La radice di questa apostasia è la paura non solo del cristianesimo, ma di una legge morale condivisa che s'imponga a tutti, credenti e non credenti. Persa nel relativismo, l'Europa dubita che i valori che emergono dalla sua storia siano - come per Benedetto XVI invece sono - «valori universali». Così, non è in grado di difenderli quando sono aggrediti da chi è portatore di altri valori opposti e incompatibili, e reagisce proponendo un «bilanciamento di interessi» o una «ponderazione» che si risolve in continue mediazioni: un «compromesso», che finisce per non difendere il bene comune ma procurare al continente aggredito da altre culture il suo esatto contrario, che il Papa chiama «il male comune». «Il pragmatismo, presentato come equilibrato e realista, in fondo tale non è, proprio perché nega quella dimensione valoriale ed ideale, che è inerente alla natura umana»: parole su cui dovrebbero forse meditare anche i politici nostrani che teorizzano e praticano l'arte del compromesso perfino con i terroristi talebani.

Il terzo aspetto della crisi europea è il laicismo delle istituzioni e delle leggi che «nega ai cristiani il diritto stesso d'intervenire come tali nel dibattito pubblico». Né i cristiani vogliono tutelare presunti «ingiustificati privilegi». Il relativismo, dopo avere corroso la fede, oggi attacca anche la ragione e nega «l'esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano». Anche qui, l'appello ai cristiani presenti nella vita pubblica perché «difendano strenuamente» la verità, e la condanna di chi accetta «compromessi sui valori essenziali» come quelli sulla vita e sulla famiglia, presentandoli in modo «cinico» come «presunto male minore», vale certo in tutta Europa ma si applica in particolare a vicende italiane che riguardano l'eutanasia, la droga, la ricerca sugli embrioni e i Dico.

Il «pensiero forte» di Benedetto XVI colpisce al cuore ogni «cattolicesimo adulto» disposto a sacrificare i valori per mantenersi al governo: «Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l'ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null'altro serve che ad essere buttato via e calpestato».

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