A propossito di aborti- Intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Nelle ultime settimane sono venute alla ribalta, su alcuni quotidiani
nazionali, le cifre dell'aborto. Secondo i dati dell'Istat e del Ministero della Salute, nel 2003 in Italia abbiamo avuto 544.063 nascite e 136.715 aborti volontari, ovvero un aborto volontario ogni quattro bambini nati. Questo tasso di abortività, del 25,13% circa, ha raggiunto la sua punta massima nel 1983 (38% circa), mentre non è cambiato molto dal 1990 (28% circa) ad oggi (Istituto nazionale di Statistica, Bilancio demografico nazionale. Anno 2004 ; Ministero della Salute, Relazione del ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza - legge 194/78. Dati definitivi 2003. Dati preliminari 2004 ). Le sue proporzioni attuali, già così inquietanti, risulterebbero anche più gravi se nel conteggio venissero computati realmente tutti gli aborti, anche quelli precoci - ma pur sempre volontari - legati ai contragestativi e alle varie forme di intercettivi, come la diffusa spirale o IUD (Intra Uterin Device). Si capisce quindi che con la diffusione dell'RU486 o delle pillole del giorno dopo si vada profilando un ulteriore drastico aggravamento di questa piaga sociale, senza che vengano con ciò risolti i problemi individuati al tempo della legalizzazione dell'aborto, primo fra tutti il pericolo dell'aborto clandestino. Infatti, da un lato, le stime di riduzione della clandestinità restano dubbie, poiché per definizione ciò che avviene clandestinamente non compare sui registri; dall'altro lato, è innegabile che l'unico modo per sconfiggere del tutto l'aborto clandestino, come qualunque altra violazione della legge, è la totale liberalizzazione e la negazione di ogni divieto. D'altra parte, è più che evidente che la massima semplificazione
delle procedure per richiedere l'aborto non corrisponderebbe ad una
riduzione degli aborti ma ad un loro incremento, suggerito dall'antica
illusione o tentazione La libertà autentica non è l'assenza di norme e doveri, ma la capacità e la volontà di perseguire il maggior bene possibile nonostante impedimenti e difficoltà, dirigendo responsabilmente le proprie azioni in conformità alla legge naturale e - conseguentemente - al bene comune. Ne è una prova il sottile legame che unisce l'aborto alla contraccezione, da troppi ritenuta il vero antidoto all'aborto. Bastano pochi suggerimenti a rovesciare questo assunto: dove vengono
applicate severe politiche anti-nataliste che L'aborto, insomma, è la conseguenza logica di una mentalità
contraccettiva che vede nella gravidanza non pianificata una Chi difende il "diritto di aborto", chiamato anche eufemisticamente "diritto di scelta", rifiuta stizzito l'applicazione all'embrione e al feto del principio di inviolabilità della vita umana: lo ritiene dogmatico, imposto da una visione oscurantista e antiquata del mondo (quella cattolica), contrario alla libertà delle donne e alla laicità dello Stato. Eppure, nessuno nega di per sé tale principio, che infatti viene affermato anche dalla legge 194 quando, all'art. 1, dice che "lo Stato (...) tutela la vita umana dal suo inizio". Quante volte abbiamo udito abortisti convinti ribadire che l'aborto
è e resta un male da evitare? Ma dove sta il "male"
La soppressione volontaria di un essere umano innocente, per quanto
piccolo o per quanto vecchio, per quanto malato, Tali teorie si smontano con una certa facilità - e sono state
di fatto puntualmente smontate - ma resta interessante In questo senso la legge positiva, vietando l'omicidio, non fa altro
che riconoscere tale profonda e innegabile istanza Qualche via da percorrere c'è. Intanto, applicare la vigente legge sull'aborto nelle parti trascurate, cioè laddove esorta a dissuadere la donna dalla decisione abortiva, a rimuovere nella misura del possibile le cause che la spingono a chiedere l'interruzione della gravidanza, e dunque a passare attraverso una fase di attenta consulenza a tal fine. Se la legge "non si tocca", se è una "conquista
di civiltà", non si comprendono le esagitate reazioni
degli abortisti Lo Stato è meno "laico" se applica le sue laiche
leggi che dicono che la vita si tutela dal suo inizio? È conforme
alla legge "che non si tocca" chiedere di applicarla anche
rispetto all'art. 2d, laddove si stabilisce che i consultori - istituiti
dal medesimo Stato laico con la legge 405/75 - assistano la donna
" contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre
la donna all'interruzione della gravidanza" ? Perché sarebbe
un "attacco integralista" alla legge prevedere che dei volontari
si facciano carico di aiutare "a far superare le cause"
che inducono all'aborto? Tra grida di scandalo, il Ministro Storace ha proposto l'ingresso dei volontari a favore della vita nei consultori, per ripristinare una par condicio troppo spesso disattesa, e restituire così alle donne anche la "libertà di non abortire". Naturalmente occorrerà pensare bene a come coinvolgere tali volontari senza venire meno all'obiezione di coscienza all'aborto, anche questa prevista dalla legge (cfr. A. Montanari, "Medici obiettori banditi dai consultori". Secondo il docente di bioetica Mario Palmaro la legge impedisce l'azione dissuasiva e crea abortifici, "La Padania", 23 novembre 2005). Resta però il dubbio che le reazioni a un ministro della Repubblica che propone di applicare una legge della Repubblica nascano dalla natura contraddittoria della legge medesima. Si potrebbe pensare che tutte le disposizioni a favore del nascituro contenute nella legge siano state solo fumo negli occhi per gli ingenui, che l'unica cosa che si voleva era introdurre l'aborto automatico, continuo e indiscutibile. Non è infatti verosimile che gli opliti della "legalità Repubblicana" credano che le leggi si applichino in certi casi e si "interpretino" in altri... Come si vede, che la legge non preveda solo la possibilità
di abortire non è una leggenda metropolitana alimentata dall'oscurantismo
clericale, ma è ripetuto nei primi articoli della legge medesima
e ribadito all'art. 5.: Il consultorio e la struttura socio-sanitaria,
oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il
compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione
della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche,
o sociali, o familiari sulla salute della gestante , di esaminare
con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta,
nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna
e della persona indicata come padre del concepito , le possibili soluzioni
dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero
alla interruzione della Al di là della corretta e doverosa lettura della legge 194, resta imprescindibile la lenta e preziosa via della formazione etica e antropologica, l'irrinunciabile opera di sensibilizzazione culturale che, forse, porterà un giorno ad una società più umana, che potrà guardare alle violenze del nostro tempo come ad un illogico e irresponsabile concentrato di barbarie eugenetica. Eugenetica è l'espressione più adatta a descrivere un mondo che sceglie chi debba vivere e chi debba morire, o che ponga la propria salute e il proprio benessere al di sopra della vita dei propri figli non nati. La drammaticità della donna che si trova sola con una gravidanza inattesa è una cosa molto seria, da non banalizzare o giudicare puntando il dito. Eppure, quante donne potrebbero compiere felicemente scelte a favore della vita nascente se solo fossero aiutate a capire l'importanza della vita che portano in grembo? E, del resto, quante non darebbero la loro vita per salvare un figlio dopo la nascita? ROMA, domenica, 27 novembre 2005 (ZENIT.org).- ZI05112712 |