A propossito di aborti- Intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

Nelle ultime settimane sono venute alla ribalta, su alcuni quotidiani nazionali, le cifre dell'aborto.
Si tratta di dati accessibili, di calcoli semplici, eppure la loro lettura suscita un moto irrefrenabile di indignata sorpresa: almeno 6 milioni di aborti l'anno nel mondo [...], un miliardo di aborti negli ultimi venti anni (cfr. A. Socci, Tragedia dimenticata , "il Giornale", 24 novembre).
Possibile che gli aborti siano così tanti? E soprattutto, possibile che un numero così alto di aborti sia - come sostengono le legislazioni di quasi tutto il mondo - "l'ultima soluzione" per donne in difficoltà e non un mezzo di pianificazione delle nascite?
[...] l'aborto volontario, dal tempo della sua legalizzazione in numerosi paesi, è in effetti divenuto una propaggine della contraccezione, una contraccezione "d'emergenza", come rivela l'appellativo della pillola del giorno dopo, che non a caso è un farmaco potenzialmente abortivo utilizzato specificamente per "rimediare" ad un eventuale concepimento.

Secondo i dati dell'Istat e del Ministero della Salute, nel 2003 in Italia abbiamo avuto 544.063 nascite e 136.715 aborti volontari, ovvero un aborto volontario ogni quattro bambini nati. Questo tasso di abortività, del 25,13% circa, ha raggiunto la sua punta massima nel 1983 (38% circa), mentre non è cambiato molto dal 1990 (28% circa) ad oggi (Istituto nazionale di Statistica, Bilancio demografico nazionale. Anno 2004 ; Ministero della Salute, Relazione del ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza - legge 194/78. Dati definitivi 2003. Dati preliminari 2004 ).

Le sue proporzioni attuali, già così inquietanti, risulterebbero anche più gravi se nel conteggio venissero computati realmente tutti gli aborti, anche quelli precoci - ma pur sempre volontari - legati ai contragestativi e alle varie forme di intercettivi, come la diffusa spirale o IUD (Intra Uterin Device).

Si capisce quindi che con la diffusione dell'RU486 o delle pillole del giorno dopo si vada profilando un ulteriore drastico aggravamento di questa piaga sociale, senza che vengano con ciò risolti i problemi individuati al tempo della legalizzazione dell'aborto, primo fra tutti il pericolo dell'aborto clandestino. Infatti, da un lato, le stime di riduzione della clandestinità restano dubbie, poiché per definizione ciò che avviene clandestinamente non compare sui registri; dall'altro lato, è innegabile che l'unico modo per sconfiggere del tutto l'aborto clandestino, come qualunque altra violazione della legge, è la totale liberalizzazione e la negazione di ogni divieto.

D'altra parte, è più che evidente che la massima semplificazione delle procedure per richiedere l'aborto non corrisponderebbe ad una riduzione degli aborti ma ad un loro incremento, suggerito dall'antica illusione o tentazione
dell'uomo per cui la via "facile" sembra sempre preferibile. L'aborto c'è sempre stato e ci sarà sempre, è vero, come
sempre avremo a che fare con omicidi, stupri, furti, menzogne. Gli effetti del peccato originale sono quanto di più reale possiamo sperimentare, e tuttavia nessuno arriverebbe a sostenere che, sic stantibus rebus , tanto vale liberalizzarli, ipotizzando magari che l'assenza di barriere legali produca fantomatici innalzamenti nella statura morale della gente.

La libertà autentica non è l'assenza di norme e doveri, ma la capacità e la volontà di perseguire il maggior bene possibile nonostante impedimenti e difficoltà, dirigendo responsabilmente le proprie azioni in conformità alla legge naturale e - conseguentemente - al bene comune. Ne è una prova il sottile legame che unisce l'aborto alla contraccezione, da troppi ritenuta il vero antidoto all'aborto.

Bastano pochi suggerimenti a rovesciare questo assunto: dove vengono applicate severe politiche anti-nataliste che
diffondono capillarmente la contraccezione e magari anche la sterilizzazione - come in Cina - l'aborto non è scomparso ma
utilizzato su vasta scala; in Italia la maggior parte delle donne che ricorrono all'aborto nei primi tre mesi di gravidanza hanno meno di tre figli e chiedono l'interruzione per il "fallimento" della contraccezione; al contrario, le donne che hanno tre o più figli non vi fanno frequentemente ricorso, ad indicare che l'elemento fondamentale nella scelta non è tanto la condizione di partenza (economica, culturale, sociale) quanto l'atteggiamento di apertura verso la vita (cfr. A. Mantovano, Aborto "legale" 1978-1996: bilancio di un fallimento, "Cristianità", 256-257, 1996).

L'aborto, insomma, è la conseguenza logica di una mentalità contraccettiva che vede nella gravidanza non pianificata una
minaccia intollerabile, e nell'esercizio della sessualità un campo completamente avulso dalla procreazione. Il proprio
desiderio di maternità o di non maternità diviene così assoluto, e tale da inglobale qualsiasi istanza etica oggettiva superiore.

Chi difende il "diritto di aborto", chiamato anche eufemisticamente "diritto di scelta", rifiuta stizzito l'applicazione all'embrione e al feto del principio di inviolabilità della vita umana: lo ritiene dogmatico, imposto da una visione oscurantista e antiquata del mondo (quella cattolica), contrario alla libertà delle donne e alla laicità dello Stato. Eppure, nessuno nega di per sé tale principio, che infatti viene affermato anche dalla legge 194 quando, all'art. 1, dice che "lo Stato (...) tutela la vita umana dal suo inizio".

Quante volte abbiamo udito abortisti convinti ribadire che l'aborto è e resta un male da evitare? Ma dove sta il "male"
dell'aborto? Non primariamente nel senso di sconfitta e di frustrazione di tante donne che purtroppo vi hanno fatto
ricorso e che non lo dimenticheranno. Oppure negli squilibri che gli aborti causano a livello familiare, relazionale,
sociale. Il vero male dell'aborto sta, con ogni evidenza, nella soppressione di un piccolo uomo innocente (cfr D.
Rossi, L'aborto procurato o IVG, Interruzione Volontaria della Gravidanza: tecnica ed etica , "Cristianità", 330-331,
2005, pp. 25-29).

La soppressione volontaria di un essere umano innocente, per quanto piccolo o per quanto vecchio, per quanto malato,
malformato, disabile non può mai essere giustificata, poiché il diritto alla vita di ogni uomo è inalienabile e, come
tutti i diritti fondamentali, il suo possesso non ha bisogno di essere provato. La prova consiste nella vita stessa. Per
questo il fronte abortista si prodiga da sempre per costruire elaborate quanto improbabili teorie sull'inizio
"posticipato" della vita umana, cercando di far dire alla biologia e alla filosofia che in certi casi l'essere che si
sviluppa dal concepimento umano non è un essere umano, o non è una vita umana degna.

Tali teorie si smontano con una certa facilità - e sono state di fatto puntualmente smontate - ma resta interessante
la motivazione di base: se abbiamo a che fare con una "vera" vita umana, non possiamo accettare né l'aborto né
l'eutanasia, perché non si può sopprimere una vita umana innocente. L'uccisione dei nostri simili è vietata dalla
nostra stessa ragione, e quindi dalla nostra coscienza, prima che da qualunque legge positiva.

In questo senso la legge positiva, vietando l'omicidio, non fa altro che riconoscere tale profonda e innegabile istanza
etica naturale, tutelando il bene comune di contro alle possibile deviazioni che talora afferrano il cuore dell'uomo, e che lo portano ad andare contro l'ovvio. Come si può, di fronte a ciò, continuare a sostenere meccanicamente che l'aborto è una "conquista di civiltà"? Quale civiltà? L'aborto legale ha prodotto aberrazioni che stanno prendendo corpo davanti agli occhi attoniti di quanti in buona fede credevano avrebbe ridotto un male esistente, cioè l'aborto clandestino, e che coraggiosamente ora ripensano inquieti agli ultimi trenta anni di storia della cultura e si chiedono che cosa fare per "recuperare".

Qualche via da percorrere c'è. Intanto, applicare la vigente legge sull'aborto nelle parti trascurate, cioè laddove esorta a dissuadere la donna dalla decisione abortiva, a rimuovere nella misura del possibile le cause che la spingono a chiedere l'interruzione della gravidanza, e dunque a passare attraverso una fase di attenta consulenza a tal fine.

Se la legge "non si tocca", se è una "conquista di civiltà", non si comprendono le esagitate reazioni degli abortisti
quando si ricorda che non in appendice, ma all'articolo 1, la legge recita, come già in parte ricordato: " Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge , non e' mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze , promuovono e sviluppano i servizi
socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite ".

Lo Stato è meno "laico" se applica le sue laiche leggi che dicono che la vita si tutela dal suo inizio? È conforme alla legge "che non si tocca" chiedere di applicarla anche rispetto all'art. 2d, laddove si stabilisce che i consultori - istituiti dal medesimo Stato laico con la legge 405/75 - assistano la donna " contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza" ? Perché sarebbe un "attacco integralista" alla legge prevedere che dei volontari si facciano carico di aiutare "a far superare le cause" che inducono all'aborto?
La legge lo prevede nel medesimo articolo: " I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge , della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita ." Onestà intellettuale vorrebbe che, se l'aborto non è un feticcio ideologico del relativismo morale ma "un dramma", si cerchi di scongiurare detto dramma.

Tra grida di scandalo, il Ministro Storace ha proposto l'ingresso dei volontari a favore della vita nei consultori, per ripristinare una par condicio troppo spesso disattesa, e restituire così alle donne anche la "libertà di non abortire". Naturalmente occorrerà pensare bene a come coinvolgere tali volontari senza venire meno all'obiezione di coscienza all'aborto, anche questa prevista dalla legge (cfr. A. Montanari, "Medici obiettori banditi dai consultori". Secondo il docente di bioetica Mario Palmaro la legge impedisce l'azione dissuasiva e crea abortifici, "La Padania", 23 novembre 2005).

Resta però il dubbio che le reazioni a un ministro della Repubblica che propone di applicare una legge della Repubblica nascano dalla natura contraddittoria della legge medesima. Si potrebbe pensare che tutte le disposizioni a favore del nascituro contenute nella legge siano state solo fumo negli occhi per gli ingenui, che l'unica cosa che si voleva era introdurre l'aborto automatico, continuo e indiscutibile. Non è infatti verosimile che gli opliti della "legalità Repubblicana" credano che le leggi si applichino in certi casi e si "interpretino" in altri...

Come si vede, che la legge non preveda solo la possibilità di abortire non è una leggenda metropolitana alimentata dall'oscurantismo clericale, ma è ripetuto nei primi articoli della legge medesima e ribadito all'art. 5.: Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante , di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito , le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della
gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo
il parto ".

Al di là della corretta e doverosa lettura della legge 194, resta imprescindibile la lenta e preziosa via della formazione etica e antropologica, l'irrinunciabile opera di sensibilizzazione culturale che, forse, porterà un giorno ad una società più umana, che potrà guardare alle violenze del nostro tempo come ad un illogico e irresponsabile concentrato di barbarie eugenetica. Eugenetica è l'espressione più adatta a descrivere un mondo che sceglie chi debba vivere e chi debba morire, o che ponga la propria salute e il proprio benessere al di sopra della vita dei propri figli non nati.

La drammaticità della donna che si trova sola con una gravidanza inattesa è una cosa molto seria, da non banalizzare o giudicare puntando il dito. Eppure, quante donne potrebbero compiere felicemente scelte a favore della vita nascente se solo fossero aiutate a capire l'importanza della vita che portano in grembo?

E, del resto, quante non darebbero la loro vita per salvare un figlio dopo la nascita?

ROMA, domenica, 27 novembre 2005 (ZENIT.org).- ZI05112712