SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Una ragione pubblica per la bioetica.

fonte :http://www.europaquotidiano.it/

In Italia le questioni bioetiche sono fonte di profondi conflitti culturali e politici. Esse vengono affrontate seguendo un rigido schema ideologico, che contrappone «cattolici» e «laici» senza possibilità di mediazione: ogni tentativo in tal senso è tacciato di infedeltà dalle rispettive culture di appartenenza. Questa contrapposizione è documentata a livello culturale da diverse pubblicazioni e a livello politico dallo scontro, spesso trasversale rispetto agli schieramenti parlamentari, che caratterizza ogni tentativo legislativo di affrontare i problemi etici. Trattate in questo modo, le questioni bioetiche dividono costantemente le coscienze e i problemi più gravi restano spesso irrisolti, anche dopo la promulgazione di leggi apposite.

            Questo documento intende proporre un diverso metodo per le questioni bioetiche. La proposta è rivolta anzitutto al nascente Partito Democratico, nel quale sembra oggi aprirsi lo spazio per una fruttuosa elaborazione culturale su tali questioni. La definizione di un metodo di discussione sui problemi inerenti la vita e la scienza è, infatti, un elemento decisivo di un’identità politica che intenda presentarsi come innovativa. Il documento si rivolge però anche ad altre culture e forze politiche, nell’intento di contribuire a superare contrapposizioni troppo rigide e costituire la base per interventi legislativi più ampiamente condivisi.  

Occorre elaborare un punto di vista in grado di sostenere le scelte politiche e pubbliche sulle questioni bioetiche a partire da un terreno comune. Questo può essere costituito dall’idea di «ragione pubblica» e può trovare nel principio del rispetto per tutte le persone in quanto libere ed egualmente degne il nucleo portante delle argomentazioni.

            Non si tratta di operare una difficile sintesi fra culture diverse o di cercare un compromesso fra tradizioni, bensì di porre le basi di una riflessione etica e politica sul bene che è la vita umana, nei contesti in cui è oggetto delle tecnologie biomediche.

            Un consenso fra modi diversi di fondare le proprie opinioni morali può avvenire se si identificano gli scopi, il metodo e i contenuti minimi di una bioetica adeguata a un Paese democratico e avanzato.

Gli scopi della discussione bioetica

Lo scopo delle discussioni bioetiche nell’arena pubblica non è l’affermazione di un’appartenenza ideologica o culturale. Né lo è il tentativo di prevaricare le tesi altrui o di renderle minoritarie per attuare politiche unilaterali o illiberali. Si assiste nel nostro Paese alla costante rincorsa a «piantare una bandiera» sulle principali questioni bioetiche allo scopo di ottenere l’adesione emotiva e incondizionata di ampi settori dell’opinione pubblica. Questo avviene spesso senza che si esibiscano le ragioni pubblicamente rilevanti che dovrebbero sostenere le scelte che valgono per tutti i cittadini; si cerca piuttosto di ottenere una «vittoria» numerica sulle opinioni differenti.

            Lo scopo appropriato della riflessione bioetica è, invece, la delineazione di politiche sulla vita il più possibile condivise, basate sul reciproco rispetto della libertà e integrità personali. Le scienze biomediche e le biotecnologie impongono oggi un’ampia revisione dei modi in cui si regola l’acces­so alle cure e l’esercizio dei diritti individuali nell’uso delle tecniche. Il corpo personale costituisce una sfera di individualità inviolabile, ma al tempo stesso è di primario interesse pubblico definire le tutele e i diritti fondamentali che lo riguardano. L’equità delle politiche sul corpo è una delle sfide più profonde di questi e dei prossimi anni per le democrazie liberali ed è essenziale che si formi un patrimonio di tutele riconosciute e opportunità equamente accessibili per tutti i cittadini.

            A tale scopo serve anzitutto una cultura della vita intesa come bene pubblico e diritto individuale, una cultura che sia il luogo in cui la libertà delle persone può esprimersi nel rispetto di sé e degli altri.

            Tracciare il profilo di questa cultura condivisa per la tutela della vita personale e definire i confini dei suoi spazi di libertà sono gli obiettivi primari della discussione bioetica. È altresì necessario sviluppare una diversa dinamica della discussione fra le ragioni pro o contro le diverse opzioni. Invece della contrapposizione di tesi non confrontabili, perché basate su premesse incompatibili, occorre adottare il metodo del confronto fra argomentazioni fondate su criteri di ragionevolezza accessibili da parte delle diverse tradizioni in vista di una convivenza cooperativa.

Il metodo della ragione pubblica

Per uscire dalla situazione di stallo che caratterizza il dibattito italiano, è utile riferirsi a quanto scrive John Rawls nel saggio intitolato «Un riesame dell’idea di ragione pubblica» (1997).[1] La ragione pubblica è quella di cui dovremmo far uso nel confronto e nel dibattito civile e politico, quindi anche quando dobbiamo affrontare problematiche di natura propriamente etica e bioetica. L’in­ten­to pratico della ragione pubblica fa sì che essa si basi sui criteri della ragionevolezza (cioè della razionalità in condizioni limitate) e della reciprocità tra cittadini liberi ed eguali.

Soprattutto, la ragione pubblica non è equiparabile alla ragione secolare e quindi non è una ragione radicalmente e pregiudizialmente contrapposta alla religione. Vi è in Italia una radicalizzazione del significato sia di «cattolico» sia di «laico», quando si parla di bioetica. Quando queste due tradizioni sono intese nelle loro accezioni più forti, si presentano così compatte e radicali da rendere impossibile qualsiasi dialogo. In questa contrapposizione, le categorie di «laico» e «cattolico» sono sottoposte a una torsione che non corrisponde al loro significato originario. Per certi aspetti, potremmo parlare, a proposito del dibattito bioetico in Italia, di un esproprio delle categorie di «laico» e «religioso» da parte di interpretazioni particolarmente rigide della laicità e della religiosità. Il risultato è l’impossibilità di giungere a decisioni condivise e l’instabilità del quadro legislativo sulle questioni relative alla vita.

            Di natura diversa è la ragione pubblica. Essa può utilmente attingere alla ricchezza simbolica delle tradizioni religiose e ai loro contenuti, nella misura in cui questi rispettino i criteri della ragionevolezza e della reciprocità e possano poi tradursi pubblicamente. La natura pubblica delle ragioni fa sì che attorno ad esse si realizzi un consenso benché ciascuna delle parti muova da un proprio punto di vista. Si può introdurre nella discussione pubblica una dottrina comprensiva, anche religiosa, purché si sia disposti a sostenerne le tesi sulle questioni relative al bene comune con ragioni pubbliche, non esclusive di quella dottrina.

            Proprio in un settore delicato e complesso come quello della bioetica è di primaria importanza avere come obiettivo un «consenso per intersezione», nel quale un metodo comune di discussione (non una comune dottrina  presupposta) conduce a soluzioni condivise.

            Una cultura liberale e democratica si esprime anzitutto attraverso questo metodo della discussione ragionevole in vista della giustizia. Non si tratta di far prevalere una certa concezione dell’assetto sociale ottimale o della più perfetta forma di vita, bensì di definire le basi essenziali del rispetto di ciascuna persona nei differenti ambiti.

            Le basi della bioetica pubblica risiedono nel modo in cui si affrontano i problemi urgenti e complessi posti dalla biomedicina contemporanea. Il criterio essenziale è costituito dall’impegno a offrire ragioni che non si sottraggano allo scrutinio razionale. In tal senso, anche se la radice di alcune opinioni si trova in determinate tradizioni culturali o religiose, nell’arena pubblica non si fonda una tesi principalmente sulle premesse rivelate o proprie di una sola tradizione, ma la si argomenta in base a premesse ragionevolmente condivisibili da tutti. La fiducia in questa capacità critica della ragione umana è essenziale alla costruzione di un Paese democratico.

I contenuti minimi della ragione pubblica in bioetica

Un criterio generale che deriva dal metodo della ragione pubblica e che può costituire un primo elemento del consenso per intersezione è il principio del rispetto. Esso consiste nel riconoscere ad ogni persona un’eguale dignità e libertà. Ciascuna persona è un fine in sé e nessuno può essere ridotto a un semplice mezzo; al tempo stesso, ogni persona porta la responsabilità ultima delle proprie scelte. Questo principio è di fatto incorporato in diversi articoli della prima parte della Costituzione italiana (artt. 2, 3, 13, ecc.) e può costituire un primo elemento del consenso per intersezione.

Questo principio in ambito bioetico si può tradurre in alcuni diritti fondamentali: il diritto all’integrità, il diritto alle cure e il diritto al rifiuto delle cure. Di qui si possono ricavare alcune propensioni generali, che si offrono alla discussione pubblica e all’approfondimento sul piano sia culturale sia applicativo.

Il «diritto all’integrità» consiste nel rispetto dell’integrità personale di ciascun individuo nell’ar­co della sua vita. Tale diritto riguarda tanto la corporeità, che non può essere oggetto di commercializzazione, quanto i tratti che definiscono l’identità personale del singolo attraverso le sue scelte e la sua storia. Rispettare le persone come libere ed eguali significa non violarne l’integrità fisica e psicologica e non minare la fondamentale uguaglianza fra gli individui. Tale rispetto passa anche attraverso un’appropriata cura del dolore e della sofferenza, soprattutto nelle fasi conclusive della vita.

Il «diritto alle cure» fonda l’equo accesso di tutti i cittadini alle possibilità di cura oggi disponibili, ivi inclusi i trattamenti che consentono di difendere la propria salute e integrità. Una cultura autenticamente democratica non può che considerare la salute delle persone come un bene che merita l’impegno solidale di tutti i cittadini; ciò vale in modo particolare per le persone meno avvantaggiate che, a motivo di patologie croniche, sono costrette a ricorrere in maniera stabile e prolungata alle competenze della scienza medica.

Il «diritto al rifiuto delle cure» esprime la difesa essenziale della libertà personale di fronte alla medicina, per cui, come si afferma nella Costituzione italiana, «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» (art. 32). Questo diritto è confermato anche dalla Convenzione europea di Bioetica (Oviedo) quando afferma che «Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato» (art. 5). La dignità delle persone è violata dall’impossibilità di opporsi a trattamenti giudicati sproporzionati o futili. Tale diritto andrebbe peraltro garantito anche alle persone non più in grado di prendere decisioni autonomamente, attraverso una appropriata legislazione sulle direttive anticipate.

Questi diritti di carattere generale offrono una base ragionevole per la discussione pubblica su questioni bioetiche più determinate. In tali questioni la condizione essenziale è che, per sostenere una determinata scelta politica o legislativa, si ricorra a ragioni non esclusive e si accetti l’obiettivo di un consenso ragionevole in vista del bene comune.

20 settembre 2007

Proponenti (in ordine alfabetico)

Enrico Berti
Laura Boella
Antonio Da Re
Roberta de Monticelli
Alessandro Ferrara
Sebastiano Maffettone
Claudia Mancina
Roberto Mordacci
Massimo Reichlin
Roberta Sala
Salvatore Veca
Corrado Viafora
Carmelo Vigna
Flavio Brugnoli
Mario Ricciardi
Flavio Brugnoli
Monica Meroni
Mario Plebani

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