DIALOGO INTERRELIGIOSO :un 'idea pluralista della fede contro i fondamentalismi .
Perché non c'è il Bin Ladèn induista

Corriere della Sera – 22-9-2003--Di Cesare Medail

Malgrado il fanatismo indù abbia segnato la storia (vedi l'uccisione di Gandhi), la natura pluralista dell'induismo è antitetica al fondamentalismo. Per questo il convegno che si tiene oggi e domani alla Fondazione Edoardo Agnelli (via Giacosa 38, Torino) sul tema «Induismo e cristianesimo» contraddice la deriva planetaria marcata dall'integralismo aggressivo di segno islamico, ma anche dai culti apocalittici diffusi nelle Americhe, che sognano scontri di civiltà.
Nella multiforme tradizione induista la «realtà ultima» è chiamata con nomi e forme diverse: e ciascuno sceglie il nome e la forma divina che più' sente vicina al cuore. Ma Dio è il medesimo; anzi, «Dio è la madre che prepara differenti cibi (le religioni) ai figli secondo i loro bisogni», parole del maestro Ramakrishna, citato da Anantanand Rambachan, docente d'induismo nel Minnesota.
La vocazione pluralistica ha fatto sì che dall'800 la figura di Cristo sia stata ben accolta da teologi e fedeli; sia pure con precise riserve verso la Chiesa, il cui esclusivismo nell' avocare a sé l'unica verità strideva col pluralismo. Inoltre, la conversione al cattolicesimo di molti «intoccabili» per liberarsi dalla condizione di «paria» rischiava di scardinare le caste. Ciò ha generato, secondo Rambachan, un doppio pregiudizio: da un Iato molti indù identificano ancora cristianesimo e colonialismo, respingendo un'aggressività missionaria oggi inesistente, dall'altro molti cattolici identificano !'India nel sistema delle èaste benché sia stato abrogato (ma resiste nei fatti) e molti lo abbiano combattuto, da Gandhi a Nehru.
Malgrado ciò, i rapporti fra le due religioni hanno una storia feconda: il cristianesimo si è «inculturato» in India, grazie a quegli indù che hanno cercato un «Cristo asiatico» nei Vangeli e a quei cristiani che si sono immersi nella tradizione orientale per conoscerla e riconoscervi l'orma di Cristo. Molti grandi dell'India hanno scoperto Gesù, come il riformatore Chandra Sen (1838-1884) che parlava di un «Cristo cosmico nascosto nei Veda, nei libri sacri dell'India, della Roma o della Grecia antica», per sostenere che egli appartiene a tutti, anche all' Asia; e come Swami Vivekananda (1862-1902), che lo considerava un messaggero divino, da venerare con la rinuncia e la meditazione, per non parlare di Gandhi, Tagore e altri citati da Anand Amaldass, gesuita di Madras.
Specularmente, una teoria di pensatori cristiani si sono immersi nell'induismo. Jacques Dupuis, della Pontificia Università Gregoriana, ritiene che essi talora abbiano perso di vista il Gesù della tradizione: come Henry La Saux quando, al culmine del cammino ascetico, s'identifica con l'Assoluto e non sa più usare il Tu rivolgendosi a Dio; o come Raimon Panikkar, quando parla di Cristo cosmico, non limitabile al Gesù storico ma riferibile all'intero universo religioso.
Tali esperienze, comunque, sono già dialogo, ricerca delle «corrispondenze omeomorfiche» fra le due tradizioni al fine di comprendere meglio anche la propria. Del resto, lo stesso professore pontificio Dupuis ebbe a dire: «E il medesimo Dio che compie opere di salvezza nella Storia umana e che parla agli uomini nel segreto dei loro cuori. Il medesimo spirito è allo stesso tempo "totalmente altro" e il "fondamento dell'essere"; il trascendente "al di là" e l' ''immanente di fondo"».
Parole che ogni induista farebbe proprie.