SOMMARIO RASSEGNA STAMPA

Perché la vera guerra è dentro l'islam .
Sciiti contro sunniti, e sunniti in conflitto tra loro: totalitari contro mistici.
I nemici non sono soltanto i cristiani.
L'analisi di un grande esperto musulmano: Khaled Fouad Allam

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di Sandro Magister

ROMA, 19 aprile 2007 – Cinque mesi dopo il viaggio di Benedetto XVI in Turchia e quattordici mesi dopo l'uccisione del sacerdote cattolico Andrea Santoro in una chiesa di Trebisonda, tre cristiani presbiteriani sono stati sgozzati nella città turca di Malatya, colpevoli di stampare delle Bibbie con la loro piccola casa editrice.

Ma le cronache di questi ultimi mesi hanno messo in luce che i nemici contro cui si scaglia l'islamismo radicale sono sì i cristiani, l'Occidente e Israele, ma prima ancora i regimi musulmani giudicati traditori ed apostati.

Nell'agenda di Benedetto XVI, in data 4 maggio, è fissata un'udienza con Mohammad Khatami, presidente dell'Iran dal 1997 al 2005.

Khatami è generalmente classificato tra gli esponenti "moderati" dell'islamismo sciita. A Roma prenderà parte a un convegno che si terrà alla Pontificia Università Gregoriana sul tema: “Dialogo interculturale, una sfida per la pace”. Il modello politico al quale egli aderisce è tuttavia quello stabilito dalla rivoluzione religiosa di Khomeini, che "moderata" certamente non è.

Nell'islam sciita, alle correnti rivoluzionarie d'impronta khomeinista – in Iran, in Iraq e in Libano con Hezbollah – si oppone principalmente la tendenza "quietista" che fa capo alla massima autorità dei luoghi santi irakeni di Najaf e Kerbala, il grande ayatollah Ali Sistani, secondo cui il potere politico deve essere esercitato non dai capi religiosi ma da laici democraticamente eletti.

In Iraq il conflitto tra le due tendenze non è solo teorico, ma anche politico e militare. E si somma al più profondo, insanabile conflitto che da secoli divide l'intero mondo musulmano tra sciiti e sunnniti.

Inoltre, anche nel campo sunnita c'è guerra. Gli ultimi attentati suicidi messi in atto da Al Qaeda e dai gruppi terroristici affini hanno quasi tutti colpito paesi musulmani e fatto vittime musulmane.

In Afghanistan, il sequestro del reporter italiano Daniele Mastrogiacomo, del suo autista e del suo interprete è finito con la liberazione del primo e con l'uccisione degli altri due, entrambi musulmani.

Nel commento che segue è spiegato perché. La nota è uscita l'11 aprile 2007 su "la Repubblica", l'importante quotidiano italiano di cui Mastrogiacomo è reporter. L'autore, Khaled Fouad Allam, musulmano osservante di origine algerina, cittadino italiano e professore alle università di Trieste e di Urbino, è un grande esperto del pensiero e della storia dell'islam ed è stato tra i primissimi ad esprimere apprezzamento per la lezione pronunciata da Benedetto XVI a Ratisbona.


Un islam totalitario

di Khaled Fouad Allam

Che cosa c'è di speciale in Afghanistan, al di là della posizione strategica di questo paese, che rende in esso così profonda la frattura che si è creata all'interno dell'islam? Perché Al Qaeda è nata proprio lì e non altrove, al di là delle circostanze che le hanno consentito di svilupparsi?

La linea di frattura che attraversa l'islam afgano permette di intuire perché, ad esempio, tra il reporter italiano Daniele Mastrogiacomo e il suo giovane interprete afgano Adjmal Nashqbandi, entrambi sequestrati lo scorso marzo, il primo sia stato liberato e il secondo, invece, assassinato.

Il nome di famiglia dell'interprete rivela tutto un mondo: un mondo che ha contribuito alla formazione dell'islam, dall'Afghanistan all'Asia centrale.

Nel mondo islamico il nome di famiglia (nisba) si forma in genere a partire dal luogo di origine della tribù o del gruppo religioso di appartenenza. Nel caso di Nashqbandi l'origine è nella Nashqbandiya, una delle più importanti confraternite religiose dell'Asia centrale, fondata da Mohammed Barahuddin Nashqbandi (1318-1389), che ha nella città di Bukhara il suo centro spirituale ma si è diffusa in tutta l'Asia centrale fino al Caucaso.

I suoi seguaci professano un islam sufi, dunque di tipo mistico, a volte chiamato esoterico o parallelo, un islam pacifico e tollerante in totale antitesi con l'islam professato e imposto dai taliban. Quest'ultimo ha prodotto una forma eversiva del wahhabismo, che a mio avviso sfugge alla definizione di "fascismo islamico" ma piuttosto incarna un totalitarismo di terza generazione.

Il centro nevralgico della guerra all'interno dell' islam si colloca proprio su quella linea di confine tra un islam aperto e liberale e un islam totalitario.

Nel rapimento di Daniele Mastrogiacomo e del suo interprete Adjmal Nashqbandi, probabilmente l'origine di quest'ultimo ha favorito il tragico esito della vicenda: per i taliban il mondo sufi rappresenta l'avversario per eccellenza, da combattere ed eliminare, proprio perché l'islam mistico contiene in sé l'alternativa all'islam politico.

Il resoconto della prigionia di Daniele Mastrogiacomo è stato forse una delle prime osservazioni scientifiche dell'universo mentale taliban. La contrapposizione rituale tra puro e impuro – che si traduce ad esempio nel non toccare il cibo o gli oggetti di un occidentale – è significativa non solo di un atteggiamento religioso ma di un ordine politico che si basa sulla dicotomia tra bene e male: l'islam contrapposto all'Occidente, il califfato o l'emirato alla democrazia, gli uomini alle donne. Si rammenti che il regime talebano definiva l'Afghanistan un emirato.

I taliban sono il prodotto dell'odierna frattura fra un islam totalizzante e un islam aperto.

Essi hanno trovato nel wahhabismo arabo della scuola coranica di Deoband, fondata a New Delhi alla fine dell'Ottocento, il loro punto di partenza ideologico, per farlo diventare in seguito l'ideologia dei Pashtun, oltre 12 milioni di persone divise fra Afghanistan e Pakistan.

Perché proprio i Pashtun, e non un'altra tribù, si sono fatti portatori del wahhabismo in quell'area? Perché essi sono l'unica tribù del luogo che rivendica una genealogia araba: Wazir, uno dei loro antenati che dà il nome alla provincia pakistana del Waziristan, era originario dalla penisola arabica. Il wahhabismo, nato nel Settecento in contesto arabo, ha funzionato da collante per gran parte di questa tribù. Al Qaeda ha capito bene che il fenomeno taliban poteva diventare un esperimento politico, un laboratorio cui l'islam politico poteva attingere, per trascinare con sé l'intero mondo musulmano.

È dunque una battaglia di significati quella che si sta svolgendo in Afghanistan; e dal suo esito dipenderanno le sorti di gran parte del mondo musulmano.

Ma l'Afghanistan non può essere visualizzato soltanto attraverso il prisma dei Pashtun e dei taliban, perché esso è un'altra cosa, come rivela il nome d'origine dello sventurato Adjman Nashqbandi. Non lontano da Herat c'è la tomba di Abdullah Ansari, uno dei più grandi mistici afghani, che scrisse nell'XI secolo: "O mio Dio! Che cosa hai fatto qui per i tuoi amici? Chiunque Ti cerca Ti trova, ma finché non Ti vede, non li riconosce".
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