Perché dico no ai divieti di Chirac- di Massimo Introvigne (il Giornale, 14 febbraio 2004, p. 10)

Come si sapeva e si prevedeva, la legge che vieta i simboli religiosi nelle scuole – il cui primo obiettivo è il velo delle allieve musulmane – è stata approvata dal Parlamento francese. Alle critiche che prevalgono sulla stampa internazionale, già esposte anche dal sottoscritto e da altri su questo giornale, hanno fatto da contrappunto alcuni commenti controcorrente, che hanno a loro volta criticato i critici e proposto alcuni argomenti a favore della legge francese. Esaminiamoli.

Si dice, anzitutto, che di fronte a un Occidente intimidito dai fondamentalismi la Francia doveva dare un segnale forte in difesa della laicità. Certamente la laicità, intesa come distinzione fra religione e realtà secolari, quindi fra religione e politica, è un valore fondante della cultura occidentale, che trova le sue radici nello stesso cristianesimo: «Date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio».

Non si devono tuttavia confondere laicità, che è distinzione fra politica e religione, e laicismo, che è separazione aggressiva della politica dalla religione, e pretesa di impedire ai credenti di manifestare la loro fede sia in pubblico sia nella vita pubblica. La differenza fra laicità e laicismo è stata richiamata, in occasione della vicenda francese, su queste colonne dal cardinale Pompedda, nonché dallo stesso Giovanni Paolo II nell’annuale discorso del mese scorso al corpo diplomatico accreditato in Vaticano. Anche chi si rallegra, negli Stati Uniti, per una legge che separa la Francia dai paesi arabi e la costringe a rientrare nel campo occidentale dimentica che in quei paesi la Francia esporta laicismo, mentre gli americani cercano di esportare laicità, e non è la stessa cosa.

Si afferma, in secondo luogo, che la Francia non poteva non proteggere le povere studentesse costrette a portare il velo da genitori spesso maneschi. È possibile che qualche caso del genere si verifichi. Tuttavia i sociologi, abituati a ragionare per statistiche, hanno vivacemente criticato questa tesi della Commissione Stasi. In Francia, l’illustre studioso Farhad Khosrokhavar ha spiegato che le giovani musulmane il più delle volte scelgono il velo come affermazione identitaria (e politica) spesso in contrasto con le loro famiglie: «il velo non è imposto, ma voluto». E lo stesso vale per Paesi come il Marocco, dove le ricerche di Mohammed Tozy ci dicono che la maggior parte delle studentesse universitarie velate sono figlie di madri non velate.

Infine, altre voci – come quella del gesuita e studioso cattolico dell’islam padre Samir Khalil Samir e del politologo americano Francis Fukuyama – sottolineano la necessità di fermare in qualche modo il fondamentalismo islamico, che recluta sempre di più anche nelle banlieues de l’islam francesi. Ma al contrario, incalza Khosrokhavar, la legge francese «non soltanto rischia di alienare una parte delle comunità musulmane ma anche di indurire, o peggio radicalizzare, dei musulmani che sarebbero potenzialmente moderati», finendo così per rivelarsi «una vera benedizione per l’islamismo radicale». Qui le perplessità del ministro degli esteri de Villepin incontrano quelle – espresse con voce sommessa, ma non meno significative – della stessa consorte del presidente Chirac, che si chiede dove andranno a finire le ragazze musulmane escluse dalla scuola pubblica francese.

In realtà la legge francese non combatte ma favorisce il fondamentalismo. Anche sotto questo profilo, la legge è pessima, e gli argomenti avanzati per sostenerla non sembrano convincenti.