Beslan, l’undici settembre dei bambini cristiani. Ma la Chiesa non vede

“L’Osservatore Romano” e “Avvenire” sbandano nell’analisi dei fatti. I dialoghi del Vaticano e di Sant’Egidio con i musulmani presunti “moderati” falliscono. E rispunta l’avversione contro gli ebrei.
L'Espresso online- Sandro Magister

ROMA – Ai vertici della Chiesa romana hanno regnato silenzio e smarrimento, nei giorni immediatamente successivi alla strage degli innocenti di Beslan.

Giovanni Paolo II ha taciuto cinque giorni, prima di dedicare parole accorate ai “tanti piccoli inermi di Beslan, in Ossezia, vittime di un barbaro sequestro e tragicamente trucidati”, e di pregare per i bambini “ricchezza dell’umanità” che soffrono e muoiono in tutta la terra. L’ha fatto nell’udienza generale di mercoledì 8 settembre.

Quanto agli organi ufficiali della Santa Sede, nelle loro reazioni ci sono state una singolare messa in ombra del nemico – il terrorismo islamista – e un disarmante silenzio sulla fede religiosa degli uccisi.

Nelle regioni caucasiche della Russia, musulmane, l’Ossezia è l’unica enclave cristiana, i suoi 700.000 abitanti sono quasi tutti di fede ortodossa. Ed è lì che i terroristi islamisti hanno deliberatamente fatto strage di donne, di uomini e più ancora di bambini.

Ma “L’Osservatore Romano”, il quotidiano della Santa Sede diretto da Mario Agnes, si è limitato nella sua edizione del 5 settembre a mettere in evidenza la foto di una piccola mano insanguinata che stringe una croce, con il titolo “L’innocenza crocifissa” e con al fianco l’unico pronunciamento ufficiale vaticano sul fatto, fino a quella data: un telegramma di routine del segretario di stato, cardinale Angelo Sodano, che trasmette “il dolore e la preghiera del Santo Padre” al “popolo russo”, tramite il nunzio apostolico a Mosca, Antonio Mennini.

In seconda pagina, dove c’era la cronaca degli avvenimenti, questo era il titolo:

“In gran parte bambini gli oltre trecento morti nel blitz”.

E questo l’esordio del servizio:

“Ha provocato oltre trecento morti il blitz delle forze speciali russe che ha segnato ieri il tragico epilogo del sequestro di oltre mille persone, in massima parte bambini, in una scuola di Beslan, in Ossezia del nord, da parte di un commando terroristico”.

Il giorno precedente, l’orientamento del giornale vaticano era stato il medesimo, con la responsabilità del “cruento epilogo” addossata in primo luogo agli autori del “blitz”: ossia le forze speciali russe e i loro comandi, su su fino al presidente Vladimir Putin.

Questo “L’Osservatore Romano”. Ma “Avvenire” – il quotidiano, diretto da Dino Boffo, di proprietà della conferenza episcopale italiana presieduta dal vicario del papa, cardinale Camillo Ruini – ha fatto ancor di più. Due editoriali su quattro e i due titoli dominanti dell’edizione di domenica 5 settembre, nelle prime tre pagine, hanno concentrato l’allarme su Putin come fosse lui il pericolo numero uno.

Dei rimanenti editoriali, uno si riferiva agli aspetti umani della tragedia e l’altro, del cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, esortava al dialogo interreligioso per ottenere la pace.

Domenica 5 settembre, mentre Giovanni Paolo II, in visita a Loreto, ancora taceva sulla strage di Beslan, a Milano l’eparca Feofan, vescovo ortodosso di Stavropol e Vladikavkaz nell’Ossezia, ne ha invece parlato.

Ne ha parlato come testimone diretto. E con accenti diversi da quelli degli organi ecclesiastici sopra citati:

“Ho chiuso gli occhi ai bambini fucilati alle spalle dai terroristi, li ho portati in braccio. Si può chiamare liberatore chi compie questi atti? Non si lotta per la libertà uccidendo bambini. Qui c’è un insegnamento per l’umanità intera: il terrorismo è un male che può colpire ovunque, a New York, a Madrid, su un autobus. E l’umanità non ha altra scelta se non unirsi per non far passare il terrorismo. Questa lotta viene prima di tutto, poi chiariremo le differenze politiche”.

Feofan ha parlato nel primo giorno del meeting “Uomini e religioni” organizzato quest’anno a Milano, dal 5 al 7 settembre, dall’arcidiocesi e dalla Comunità di Sant’Egidio, con partecipazione numerosa di esponenti cattolici e di altre confessioni religiose.

E con le sue parole fuori programma ha toccato il punto su cui le autorità della Chiesa cattolica appaiono più incerte e smarrite: quello del rapporto con l’islam.

In effetti, l’interesse a proteggere le minoranze cristiane nei paesi islamici spinge le autorità della Chiesa a difendere la stabilità dei regimi autoritari in quei paesi, e ad adottare con i rappresentanti musulmani forme di dialogo molto remissivo.

Di fronte alla sfida globale del terrorismo islamista, poi, la loro illusione è che il negare l’esistenza stessa di questa sfida – ad esempio con la continua, rituale deprecazione e negazione dello “scontro di civiltà” – cancelli la Chiesa dalla lista dei possibili bersagli.

Il risultato è che, spesso, i dialoghi intrapresi dalle autorità della Chiesa cattolica con esponenti musulmani sono inconcludenti o, peggio, controproducenti.

Un caso da manuale è stato l’incontro tenuto a Doha, nel Qatar, lo scorso 27-29 maggio, tra una rappresentanza vaticana e una musulmana.

Per il Vaticano c’erano il cardinale Jean-Louis Tauran, penultimo ministro degli esteri della Santa Sede, l’arcivescovo Michael L. Fitzgerald, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e l’arcivescovo Pier Luigi Celata, segretario dello stesso consiglio.

Tra i musulmani c’erano l’emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al-Thani, il presidente dell'International Islamic Forum for Dialogue con sede a Gedda, Hamed ben Ahmad Al-Rufai, il primo imam della moschea di Al-Azhar del Cairo, Muhammad Sayyed Tantawi, e uno dei più seguiti maestri dell’islam sunnita, Youssef Al-Qaradawi.

Agli occhi delle autorità vaticane costoro rappresenterebbero l’islam “moderato”. E le parole con esssi scambiate nel simposio l’avrebbero confermato.

Ma la realtà, anche successiva a quell’incontro, lo smentisce in pieno. L’emiro del Qatar è patrono della tv Al Jazira, tutto l’opposto della moderazione. Tantawi ha sì incitato i musulmani di Francia a sottomettersi al divieto del velo nelle scuole, ma ha anche emesso ripetute giustificazioni dei terroristi suicidi, graduate a seconda del contesto. Al-Rufai è dirigente di spicco dei Fratelli Musulmani, l’internazionale del fondamentalismo che ha come sua sezione palestinese l’organizzazione terroristica Hamas. Al-Qaradawi, altro leader dei Fratelli Musulmani, è il più seguito esperto di sharia dagli schermi Al Jazira, e approva anche lui il “martirio in nome di Allah”, autorizzando anche le donne a farsi esplodere in missioni suicide. L’ultima sua sentenza in proposito è di pochi giorni fa. Il 2 settembre Al-Qaradawi ha chiesto la liberazione dei giornalisti francesi sequestrati in Iraq “affinché la politica estera della Francia verso i problemi arabi e musulmani diventi un esempio da seguire per gli altri paesi". Ma contemporaneamente ha definito “obbligatoria” l'uccisione in Iraq di altri civili che "aiutano i soldati e le forze di occupazione americane". Con l’avvertenza, ha precisato, che "i loro corpi non devono essere mutilati".

Al meeting interreligioso di Milano del 5-7 settembre è accaduto lo stesso.

Alla condanna di un singolo atto terroristico da loro geograficamente lontano – come quello di Beslan – gli esponenti musulmani mediorientali hanno giustapposto l’approvazione degli atti terroristici compiuti contro i civili in Irak e in Terra Santa.

Questo, ad esempio, è stato il duplice registro adottato nel corso del meeting, in varie dichiarazioni, da Ahmad Al-Tayyib, rettore al Cairo dell’università di Al-Azhar, la più autorevole e influente università del mondo islamico sunnita, con 400.000 iscritti di 92 paesi.


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Una conferma dello smarrimento ecclesiastico a fronte dell’islam è venuta da due avvenimenti che sono accaduti in questi stessi giorni a Roma e in Italia: entrambi di assoluto interesse per la Chiesa, eppure nati per iniziative del tutto esterne all’area cattolica, rimasta inattiva.

Il primo è la pubblicazione, il 2 settembre, di un “manifesto” di condanna inequivoca del terrorismo islamista in tutte le sue forme e di solidarietà con tutte le sue vittime, “siano essi americani, europei o arabi, oppure ebrei, cristiani, musulmani e di altre religioni”, sottoscritto da decine di esponenti musulmani residenti in Italia.

Tra i firmatari vi sono l’imam della Grande Moschea di Roma, Mahmoud Ibrahim Sheweita, il segretario generale del Centro Culturale Islamico d’Italia, Abdellah Redouane, il direttore della Lega Musulmana Mondiale-Italia ed ex ambasciatore in Arabia Saudita, Mario Scialoja, il maestro sufi Gabriele Mandel Khan, la presidente dell’Associazione Donne Marocchine in Italia, Souad Sbar, il presidente dei Giovani Musulmani d’Italia, Khalid Chaouki, l’imam del Centro Culturale Islamico di Colle Val d’Elsa in provincia di Siena, Feras Jabareen.

Quest’ultimo, assieme a un centinaio di altri musulmani, ha compiuto anche un digiuno di tre giorni, in solidarietà con le vittime di Beslan e contro i terroristi che le hanno uccise, da lui definiti “nuovi nazisti, come e peggio di coloro che sterminarono gli ebrei”.

Il manifesto non è stato firmato dagli islamici che controllano la maggior parte delle moschee italiane, legati ai Fratelli Musulmani. Ma segna l’uscita allo scoperto “contro il terrorismo e per la vita”, per la prima volta, di una parte significativa dei musulmani d’Italia: questi, sì, espressione di un autentico islam moderato, col quale la Chiesa potrebbe molto più utilmente dialogare.

Il documento ha avuto tuttavia una scarsa eco sugli organi di stampa della Chiesa, invasi da debordanti resoconti sul meeting organizzato a Milano da Sant’Egidio e su altre concomitanti mobilitazioni dell’Azione Cattolica e dei Focolarini.

Il secondo avvenimento è la processione silenziosa di fiaccole che ha percorso Roma tra il Campidoglio e il Colosseo la sera del 6 settembre, in solidarietà con le vittime di Beslan.

Alla fiaccolata hanno preso parte molte decine di migliaia di cittadini, tra i quali numerosi bambini (vedi foto).

Hanno camminato fianco a fianco – anche questa una novità inusuale – l’imam della Grande Moschea di Roma, firmatario del manifesto sopra citato, il rabbino capo degli ebrei Riccardo Di Segni e il vescovo ausiliare della diocesi Luigi Moretti.

Ma né la diocesi né le parrocchie né le associazioni cattoliche italiane hanno avuto alcuna parte nel promuovere la fiaccolata, pur ad esse straordinariamente congeniale. L’iniziativa è stata del sindaco di Roma, il laico Walter Veltroni.