Il Papa fallito? No, ha salvato la Chiesa
29/3/2005-www.noicattolici.it
Hans Küng , anziano ex-teologo cattolico in un articolo sul Corriere
della Sera muove un durissimo attacco a Giovanni Paolo II.
Messori gli risponde sullo stesso quotidiano.
«La fredda teologia tedesca professata
da Küng non gli permette di comprendere la straordinaria forza
del cattolicesimo polacco del Papa, radicato nella più antica
fede europea».
Wojtyla, il Papa che ha fallito-di H.Küng
Predica il dialogo ma ha isolato la Chiesa. Le sue idee di fede e
di morale hanno cancellato il Concilio
Vaticano II
La situazione della Chiesa Cattolica è seria. Il Papa è
gravemente malato e merita ogni compassione. Ma la Chiesa deve vivere.
Per questo, nella prospettiva di un’elezione papale, ha bisogno
di una diagnosi, di una sincera analisi svolta dal suo interno. Delle
terapie si potrà discutere dopo.
Gli oltre venticinque anni di Pontificato di Karol Wojtyla sono stati
una conferma delle critiche che già avevo espresso dopo un
anno del suo Pontificato. Secondo la mia opinione, egli non è
il Papa più grande ma il più contraddittorio del XX
secolo. Un Papa dalle molte, grandi doti, e dalle molte decisioni
sbagliate! La sua «politica estera» ha preteso da tutto
il mondo conversione, riforma, dialogo. Però, in tutta contraddizione,
la sua «politica interna» ha puntato alla restaurazione
dello status quo ante Concilium, a impedire le riforme, al rifiuto
del dialogo intra- ecclesiastico e al dominio assoluto di Roma. Questa
contraddizione si evidenzia in undici ambiti problematici. Riconoscendo
gli aspetti positivi di questo Pontificato, mi concentrerò
quindi sui suoi aspetti critici e contraddittori.
Prima contraddizione.
Giovanni Paolo II predica i diritti degli uomini all’esterno
ma li ha negati all’interno, cioè ai vescovi, ai teologi
e soprattutto alle donne.
Il Vaticano, un tempo nemico convinto dei diritti dell’uomo
ma ben disposto oggi a immischiarsi nella politica europea, continua
a non poter sottoscrivere la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo
del Consiglio d’Europa: troppi canoni del diritto ecclesiastico
romano, assolutistico e medioevale, dovrebbero prima essere modificati.
La separazione dei poteri, principio fondamentale del diritto moderno,
è sconosciuta alla Chiesa Cattolica romana, nel cui comportamento
non vi è nessuna lealtà: nei casi di disputa l’autorità
vaticana funge nel contempo da legislatore, accusa e giudice.
Seconda contraddizione.
Grande ammiratore di Maria, il Wojtyla predica gli ideali femminili,
vietando però alle donne la pillola e negando loro l’ordinazione.
Per molte donne cattoliche tradizionali (soprattutto le donne appartenenti
a ordini religiosi), l’aspetto più apprezzato di questo
Papa è il suo respingere le donne moderne, in quanto le ha
escluse da tutte le consacrazioni più importanti e considera
la contraccezione appartenente alla «cultura della morte ».
Tuttavia, molte delle donne che partecipano alle manifestazioni di
massa del Papa, rifiutano la dottrina papale che si oppone ai metodi
contraccettivi.
Terza contraddizione.
Questo Pontefice predica contro la povertà di massa e l’indigenza
nel mondo ma, al tempo stesso, con la sua posizione in merito al controllo
delle nascite e all’esplosione demografica, si è reso
colpevole di questa indigenza.
In occasione dei suoi numerosi viaggi e anche di fronte alla Conferenza
delle Nazioni Unite su Popolazione e Sviluppo tenutasi al Cairo nel
1994, questo Papa ha preso posizione contro l’uso della pillola
e del profilattico e, pertanto, potrebbe essere ritenuto responsabile
più di qualsiasi uomo di Stato della crescita demografica incontrollata
in alcuni Paesi e del dilagare dell’Aids in Africa.
Quarta contraddizione.
Karol Wojtyla propaganda una figura sacerdotale maschile caratterizzata
dal celibato ed è, quindi, il principale responsabile della
catastrofica carenza di sacerdoti, del collasso dell’assistenza
spirituale in molti Paesi e dello scandalo della pedofilia nel clero,
ormai venuto alla luce.
Agli uomini che si sono dichiarati pronti al servizio sacerdotale
nelle comunità viene proibito il matrimonio. Questo è
solo un esempio di come anche questo Papa abbia ignorato la dottrina
della Bibbia e la grande tradizione cattolica del primo Millennio
in cui non vi era alcuna legge sul celibato per i sacerdoti. I quadri
si sono ridotti, il reclutamento è fermo e fra poco, non solo
nell’area di lingua tedesca, quasi due terzi delle parrocchie
rimarranno senza sacerdote e la stessa celebrazione domenicale dell’eucarestia
non potrà più essere assicurata, nemmeno con l’importazione
di parroci e il raggruppamento delle parrocchie in «unità
spirituali». Il clero fedele al celibato è dunque in
crescente pericolo di estinzione. Gli scandali della pedofilia verificatisi
dagli Stati Uniti all’Austria hanno inoltre gravemente danneggiato
la sua credibilità, portando sull’orlo della bancarotta
grandi diocesi negli Stati Uniti.
Quinta contraddizione.
Il Papa polacco ha praticato un numero elavatissimo di canonizzazioni,
ma al tempo stesso ha ignorato l’inquisizione attuata nei confronti
di teologi, sacerdoti e membri di ordini malvisti dalla Chiesa.
I devoti, strumentalizzati politicamente e commercialmente con spese
ingenti e conseguenti profitti per la Curia, sono soprattutto pie
suore, fondatori di ordini religiosi o Papi come l’antidemocratico,
antisemita, autoritario Papa Pio IX (controbilanciati dalla canonizzazione
di Giovanni XXIII). Devoti sono divenuti anche l’imperatore
asburgico Carlo I e il ben poco pio fondatore dell’Opus Dei
Josémaria Escrivá.
Uomini e donne (anche donne appartenenti a ordini religiosi) che si
sono distinti, per il loro pensiero critico e per la loro energica
volontà di riforme, sono stati invece trattati con metodi da
Inquisizione. Come Pio XII fece perseguitare i più importanti
teologi del suo tempo, allo stesso modo si comportano Giovanni Paolo
II e il suo Grande Inquisitore Ratzinger con Schillebeeckx, Balasuriya,
Boff, Bulányi, Curran, Fox, Drewermann e anche il Vescovo di
Evreux Gaillot e l’Arcivescono di Seattle Huntington. Nella
vita pubblica mancano oggi intellettuali e teologi cattolici della
levatura della generazione del Concilio. Questo è il risultato
di un clima di sospetto, che circonda i pensatori critici di questo
Pontificato. I vescovi si sentono governatori romani invece che servitori
del popolo della Chiesa. E troppi teologi scrivono in modo conformista
oppure tacciono.
Sesta contraddizione.
Il Papa elogia spesso e volentieri gli ecumenici, ma al tempo stesso
ha pesantemente compromesso i rapporti con le Chiese ortodosse e con
quelle riformiste ed evita il riconoscimento dei suoi funzionari e
dell’eucarestia.
Il Papa avrebbe dovuto consentire — come suggerito in molti
modi dalle commissioni di studio ecumeniche e come praticato direttamente
da tanti parroci — le messe e l’eucarestia nelle Chiese
non cattoliche e l’ospitalità eucaristica.Avrebbe anche
dovuto ridurre l’eccessivo potere esercitato dalla Chiesa nei
confronti delle Chiese dell’Est e delle Chiese riformiste e
avrebbe dovuto rinunciare all’insediamento dei Vescovi romano-
cattolici nelle zone delle Chiese russe- ortodosse. Avrebbe potuto,
ma non ha mai voluto. Ha voluto invece mantenere e ampliare il sistema
di potere romano. La politica di potere e di prestigio del Vaticano
è stata mascherata da discorsi ecumenici pronunciati dalla
finestra di Piazza San Pietro, da gesti vuoti e da una giovialità
del Papa e dei suoi cardinali che cela in realtà il desiderio
di «sottomissione» della Chiesa dell’Est sotto il
primato romano e il «ritorno» dei protestanti alla casa
paterna romano-cattolica.
Settima contraddizione.
Come Vescovo suffraganeo e poi Arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla
ha preso parte al Concilio Vaticano II. Una volta diventato Papa,
ha però disprezzato la collegialità del Pontefice con
i Vescovi decretata proprio al Concilio.
Questo Pontefice ha più volte dichiarato la sua fedeltà
al Concilio, per poi tradirlo nei fatti attraverso la sua «politica
interna». I termini conciliari come «aggiornamento, dialogo,
collegialità e apertura ecumenica» sono stati sostituiti
da parole quali «restaurazione, magistero, obbedienza, ri-romanizzazione
». Il criterio per la nomina dei Vescovi non è affatto
lo spirito del Vangelo e l’apertura mentale pastorale, bensì
la fedeltà assoluta verso la condotta romana. I sostenitori
del Papa tra i vescovi di lingua tedesca come Meisner, Dyba, Haas,
Groer e Krenn sono solo gli sbagli più eclatanti di questa
politica pastorale devastante, la quale fa pericolosamente scivolare
in basso il livello morale e intellettuale dell’episcopato.
Un episcopato reso ancor più mediocre, rigido, conservatore
e servile, è forse l’ipoteca più pesante di questo
lunghissimo Pontificato.
Ottava contraddizione.
Questo Papa ha cercato il dialogo con le religioni del mondo, ma contemporaneamente
ha disprezzato le religioni non cristiane definendole «forme
deficitarie di fede».
In occasione dei suoi viaggi o «preghiere di pace», il
Papa ha radunato con piacere attorno a sé dignitari di altre
chiese e religioni. Non vi erano tuttavia molte tracce reali della
sua preghiera teologica. Anzi, il Papa si è presentato in sostanza
come un «missionario » di vecchio stampo.
Nona contraddizione.
Il Papa polacco ha assunto la funzione di rappresentante della fede
in un’Europa cristiana, ma il suo ingresso trionfale e la sua
politica reazionaria hanno involontariamente favorito l’inimicizia
nei confronti della Chiesa, se non addirittura l’avversione
contro il Cristianesimo stesso.
La campagna di evangelizzazione del Papa, il cui punto centrale è
rappresentato da una morale sessuale ben poco adeguata ai tempi, ha
discriminato soprattutto le donne: quelle che in questioni controverse,
quali la contraccezione, l’aborto, il divorzio, l’inseminazione
artificiale hanno dimostrato di avere opinioni diverse da quelle della
Chiesa, sono state definite portatrici di una «cultura della
morte». Attraverso interventi politici— come è
accaduto in Germania contro il Parlamento e l’episcopato nel
caso del conflitto sul tema della gravidanza —, la Curia romana
ha dato l’impressione di rispettare poco la separazione giuridica
tra Stato e Chiesa. Il Vaticano cerca (attraverso il gruppo parlamentare
del Partito Popolare europeo) di esercitare delle pressioni anche
sul Parlamento Europeo, incentivando l’ingaggio di osservatori
particolarmente vicini alle idee di Roma per questioni relative alla
legislazione sull’aborto. Invece di farsi ovunque fautrice di
soluzioni ragionevoli che consentano la mediazione, la Curia romana
con i suoi proclami acutizza di fatto a livello mondiale la polarizzazione
tra oppositori e sostenitori dell’aborto, moralisti e libertini.
Decima contraddizione.
Come carismatico comunicatore e «star» mediatica, questo
Papa fino alla sua veneranda età ha fatto presa in particolare
sui giovani, ma si è appoggiato soprattutto ai «nuovi
movimenti» di origine italiana, all’Opus Dei di casa in
Spagna e a un pubblico acritico e fedele del Pontefice. Tutto ciò
è sintomatico del rapporto del Papa con la laicità e
della sua incapacità di dialogare con un pubblico critico.
I grandi raduni mondiali dei giovani sostenuti a livello regionale
e internazionale, sotto la sorveglianza della gerarchia dei nuovi
movimenti laici (Focolare, Comunione e Liberazione, St. Egidio, Legionari
di Cristo, Regnum Christi, etc.), hanno attirato e attirano centinaia
di migliaia di giovani. Molti di essi volonterosi, troppi del tutto
acritici. Il carisma personale di Wojtyla è quasi più
importante dei contenuti da lui trasmessi. Le domande che i giovani
avevano posto al Papa e che, in occasione del suo primo viaggio in
Germania, lo avevano messo in serio imbarazzo, in seguito non sono
state più consentite. Le associazioni cattoliche di giovani,
che non si trovano sulla linea del Vaticano, vengono disciplinate
e messe alla fame dall’ordine romano attraverso il ritiro di
finanziamenti da parte dei vescovi locali. Inoltre viene messa in
discussione la fiducia un tempo accordata all’ordine dei gesuiti:
prediletti dai Papi precedenti, ora vengono percepiti come sabbia
negli ingranaggi della politica di restaurazione del Papa a causa
delle loro qualità intellettuali, dei loro teologi critici
e delle opzioni teologiche di liberazione. Invece Karol Wojtyla, già
ai tempi in cui era ancora arcivescovo di Cracovia, concesse la piena
fiducia all’associazione segreta Opus Dei, potente sia dal punto
di vista finanziario che in termini di influenze, ma antidemocratica
e in passato compromessa con regimi fascisti.
Undicesima contraddizione.
Giovanni Paolo II ha offerto nel 2000 una pubblica confessione dei
peccati per gli errori della Chiesa nel passato, senza però
trarne alcuna conseguenza pratica.
La confessione dei peccati ampollosa e barocca inscenata a San Pietro
per gli errori della Chiesa è rimasta vaga e ambigua. Il Papa
ha chiesto perdono solo per gli errori dei «figli e delle figlie
della Chiesa» ma non per quelle del «Santo Padre»,
per quelle della Chiesa stessa e dei gerarchi presenti. Il Papa non
ha mai preso posizione in merito agli intrighi delle varie sedi della
Curia in affari mafiosi e ha contribuito più all’occultamento
che alla rivelazione di scandali e crimini (Banca Vaticana, il «suicidio»
di Guido Calvi, l’omicidio avvenuto nell’ambiente del
corpo delle guardie svizzere...). Anche con la rivelazione degli scandali
della pedofilia dei clericali, il Vaticano è stato straordinariamente
titubante. Nonostante alcune richieste, il Papa non ha mai dato udienza
ad alcuna vittima. Anzi, ha riempito di elogi un insigne criminale
nel corso di una fastosa cerimonia al Vaticano: il messicano Marcial
Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo (500 sacerdoti
e 2.000 seminaristi) e del movimento laico Regnum Christi, diventato
ormai concorrente ancora più conservatore dell’Opus Dei.
Conclusioni.
Per la Chiesa cattolica questo Pontificato si rivela, nonostante i
suoi aspetti positivi, una grande speranza delusa, in fin dei conti
un disastro, perché Karol Wojtyla, con le sue contraddizioni,
ha profondamente polarizzato la Chiesa, allontanando i suoi innumerevoli
uomini e gettandoli in una crisi epocale.
Contro tutte le intenzioni del Concilio Vaticano II, il sistema romano
medioevale — un apparato di potere caratterizzato da tratti
totalitari — è stato restaurato grazie a una politica
personale e dottrinale tanto astuta quanto spietata: i vescovi sono
stati uniformati, i padri spirituali sovraccaricati, i teologi dotati
di museruola, i laici privati dei diritti, le donne discriminate,
le iniziative popolari dei sinodi nazionali e delle chiese ignorati.
E poi ancora scandali sessuali, divieti di discussione, dominio liturgico,
divieto di predica per i teologi laici, esortazione alla denuncia,
impedimento dell’eucarestia. Di tutto questo è forse
colpevole «il mondo»?
La grande credibilità della Chiesa Cattolica, cioè quella
ottenuta da Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II, ha lasciato
il posto a una vera e propria crisi della speranza. Questo è
il risultato della profonda tragicità personale di questo Papa:
la sua idea cattolica di stampo polacco (medioevale, controriformista
e antimoderna), in qualità di Pontefice Karol Wojtyla l’ha
voluta portare anche nel resto del mondo cattolico. Si è però
verificato il contrario di ciò che egli sperava: la Polonia
stessa è stata travolta dal moderno sviluppo secolare e, dopo
la sostituzione dell’alleanza elettorale in carica fino al 2001,
Solidarnosch, si appoggia sempre meno alle idee di fede e di morale
promosse dal Pontefice.
Quando verrà il momento, il nuovo Papa dovrà decidere
di affrontare un cambio di rotta e dare alla Chiesa il coraggio di
nuove spaccature, recuperando lo spirito di Giovanni XXIII e l’impulso
riformistico del Concilio Vaticano II. «Videant consules»,
i consoli vogliano fare in modo che la Repubblica non subisca danni,
si diceva nell’antica Roma. «Videant cardinales»,
i cardinali vogliano fare in modo—si dovrebbe dire nella Roma
di oggi—che la Chiesa non subisca danni.
(Traduzione del Gruppo Logos)
Hans Küng - teologo cattolico dissidente
Il Padre che ha salvato la Chiesa- di V.Messori
Lo
confesso: se non fossi stato sollecitato a farlo, forse non avrei
replicato all’intervento di Hans Kueng di ieri, approvato dall’autore,
ma pubblicato in una versione “accorciata“. L’originale,
in effetti, è ancor più torrenziale. In origine si trattava,
mi dicono, di un necrologio, di un bilancio dell’intero pontificato,
da pubblicare dopo la morte di Giovanni Paolo II e giacente negli
archivi dei giornali. Probabilmente , il teologo svizzero-tedesco
si è stancato di aspettare: in effetti, quasi dieci anni fa,
questo stesso quotidiano mi chiedeva di pubblicare un’altra
replica a un altro intervento di Kueng, dove questi si augurava (naturalmente,
per il bene della Chiesa...) una pronta scomparsa del papa. E non
nel senso di dimissioni, ma proprio nel senso di morte, perchè
altrimenti, pur dal luogo del suo ritiro, avrebbe potuto influire
sul Conclave e determinare l’elezione di un cardinale nella
sua stessa linea. Cosa che, per questo nostro teologo, sarebbe il
massimo delle sventure.
Poiché, dunque, da un decennio attendeva invano, alla fine
Kueng ha deciso di anticipare i tempi e di autorizzare l’agenzia
che cura i suoi scritti alla pubblicazione del “coccodrillo“
(come, cinicamente, si dice in gergo) sulla catena consueta di media
. In realtà, l’entusiasmo degli editori sembra sempre
minore, visto che si assottigliano, per ragioni anagrafiche, i lettori
di quest’uomo che, nato nel 1928, è ormai più
vicino agli ottanta che ai settanta. Ma sì, questo che sembrava,
tanto tempo fa, il simbolo stesso della “modernità”
ecclesiale, il profeta di una Nuova Chiesa, giunto a 77 anni sembra
interessare ormai quasi soltanto ai suoi coetanei, a coloro che erano
giovani quarant’anni fa, alla fine del Concilio. E’ impressionante,
in effetti, come continui a riproporre sempre lo stesso articolo,
tanto che il necrologio del papa da lui preparato già al principio
dei Novanta è quello pubblicato adesso, praticamente senza
variazioni rispetto ad allora. Impressionante, soprattutto, la totale
impermeabilità di questo professore ai fatti, la preminenza
assoluta dello schema ideologico previo: è lui stesso a ricordare,
qui, che il suo giudizio sul papato wojtyliano era già definitivo
dopo un anno, nel 1979, e non è mutato di una virgola .
Impressionante, davvero, e anche un po’ inquietante: in un quarto
di secolo la storia ha accelerato, imperi che sembravano di roccia
e marmo sono caduti in polvere, la cultura stessa ha cambiato prospettive.
Ma Hans Kueng, ormai docente in pensione, da molto tempo privato del
titolo di “teologo cattolico“, continua a ripetere, come
venticinque anni fa: "Giovanni Paolo II? Un disastro, un completo
disastro che porterà la Chiesa alla rovina finale!".
Anche per questa fissità un po’ maniacale non avrei replicato,
se avessi potuto scegliere . Che cosa dire, di nuovo, se di nuovo
non c’è nulla nell’interlocutore? Ma, poi, non
dimentico quanto di lui mi disse un prestigioso vescovo, un suo collega
di cattedra teologica: <>. Come spesso capita, proprio coloro
che esigono dagli altri“ atteggiamento dialogico“ sono
coloro che meno lo praticano. Io stesso, per quanto conta, sono stato
sepolto sotto insulti sanguinosi, sui principali media del mondo,
innanzitutto per avere scritto un libro-colloquio con il cardinal
Joseph Razinger: la mia colpa era quella di averlo lasciato parlare,
anzi di avere condiviso molte delle cose che mi diceva. Il teologo
di Tuebingen avrebbe tollerato che dessi voce al Prefetto dell’ex-Sant’Uffizio
soltanto se l’avessi contraddetto, trascinandolo in un pubblico
processo, mettendolo alla berlina, inveendo contro di lui come un
“traditore“. Tale, infatti, lo considera perchè,
negli anni del Vaticano II, il professor Ratzinger faceva parte del
gruppo di enfants terribles, esperti di fiducia di vescovi tedeschi,
olandesi, francesi che crearono Concilium, la rivista internazionale
del dissenso teologico. Un contestatore, dunque, diventato Grande
Inquisitore: il massimo dell’empietà! come farla passar
liscia al povero sottoscritto, suo intervistatore?
Kueng, poi, non mi ha mai perdonato che proprio la sua “Bestia
Nera“, questo papa che, per lui, è “sventuratamente
regnante“, mi abbia chiesto di fargli delle domande che divennero
il libro <>. L’aggettivo “cortigiano“ è
il più benevolo che mi abbia riservato per questo lavoro che,
in realtà, non solo non cercai ma di fronte al quale ebbi qualche
reticenza e resistenza, come raccontai distesamente nell’ampia
prefazione.
Perché, dunque, replicare all’ennesimo articolo, se è
sempre e solo lo stesso? e se è manifesta e provata l’impossibilità
di cavare qualche frutto da un dialogo che l’ex-docente da sempre
rifiuta, chiuso nel suo schema? Schema che è poi quello della
metà degli anni Sessanta, quando il professorino, lo si diceva,
faceva parte dello staff di consulenti dei Padri Conciliari del Centro
e del Nord Europa che determinarono l’orientamento del Concilio.
Era l’ideologia della “modernità“, erano
gli anni in cui i sociologi scrivevano libri dal titolo L’eclissi
del Sacro nella società industriale (Sabino Acquaviva) o teologi
come Harvey Cox pubblicavano, tra gran clamore, testi come The Secular
City . Giovani clericali rampanti come il nostro Kueng, chiusi sino
ad allora in una cultura da seminario post -tridentino, scoprivano
–abbagliati– sociologia, politologia, etnologia, psicologia,
psicoanalisi e tutti gli “ismi“, dal femminismo al secolarismo,
che allora sembravano trionfare. Scoprivano la democrazia parlamentare
e volevano applicarla –tale e quale- anche alla Chiesa; scoprivano
la sessualità e, se non se ne andavano, sbattendo la porta
(come fece un terzo dei sacerdoti e delle suore) , pretendevano che
fosse praticabile anche nello stato clericale; scoprivano la laicità
e volevano viverla essi stessi, cominciando col gettare via tonache,
sai, clergyman stessi, pur non rinunciando al confortevole status
religioso. Scoprivano anche, con un ritardo di cinque secoli, la Riforma
protestante e se ne invaghivano come fosse, appunto, nuova, “moderna“.
Molti si sa, scoprirono, con pericolosa eccitazione, anche e soprattutto
il marxismo e cercarono di trasformare il vangelo nel manuale del
perfetto guerrigliero. Non fu il caso di Kueng che, come pubblico
di riferimento, prese la borghesia dell’Europa nordica, secolarizzata,
opulenta, liberal e organizzò il suo lavoro teologico con stile
manageriale, con staff di collaboratori, informatica, agenti letterari.
E’ chiaro che un prete così non poteva avere niente a
che fare con un altro sacerdote, l’arcivescovo di Cracovia,
che veniva da una Polonia dove la fede era cosa eroica, dove la devozione
popolare permeava la vita quotidiana, dove la Madonna era onnipresente,
dove il secolarismo e il laicismo mostravano il loro volto spietato
e, invece che attirare, creavano spavento ed orrore, dove il catechismo
era ancora praticato mentre non si leggevano gli eleganti papers dei
teologi delle università occidentali. Inutile, poi, nasconderlo:
il razzismo che ha sempre serpeggiato nella cultura germanica ha avuto
tra i suoi oggetti proprio la Polonia, considerata una terra di slavi
sfaticati e imbroglioni da cui non poteva venire nulla di buono. Figurarsi,
poi, se da lì veniva un papa: come avrebbe potuto, un orgoglioso
professore di Tuebingen, accettare come capo e maestro uno che giungeva
da quelle parti? Già il disprezzo e il sospetto verso i latini
era stato tra gli elementi che avevano scatenato la riforma protestante.
Ma gli slavi, se possibile, erano ancor peggio. C’è un
vecchio, un po’ ignobile detto tedesco che il “politicamente
corretto“ ha cercato di occultare ma che mi è capitato
di sentire ancora sussurrare: quando Dio decise di creare il mondo,
da una parte fece gli uomini; dall’altra i polacchi.
Sta di fatto, comunque, che Giovanni Paolo II fu esecrato subito da
Kueng e da quelli come lui perchè non “moderno“,
perchè “figlio di una Chiesa arcaica“. Su queste
accuse, decenni dopo, il nostro teologo è ancora fermo, ma
il mondo è uscito dalla “modernità“ per
inoltrarsi in quella terra incognita che, per mancanza di meglio,
chiamiamo della post-modernità. E che non solo non sa che farsene
delle teorie degli anni Sessanta ma che sembra desiderare giusto il
contrario : non profanità ma Sacro , non preti-manager, non
“operatori pastorali“, ma religiosi alla Padre Pio, non
razionalismi ma mistero, non ulteriore rivoluzione ma riscoperta della
Tradizione. Quanto resta del “popolo di Dio “ non va al
dibattito degli accademici di teologia, va in pellegrinaggio a Medjugorje;
non mostra alcuna smania di potere votare per eleggere il suo parroco
e il suo vescovo, né è frustrato perchè le sue
figlie non possono entrare in seminario ma è pronto a ascoltare
un prete, possibilmente vestito da prete, che gli parla di Dio e di
Cristo come una volta.
Partecipavo, una volta, alla fastosa conferenza stampa del pool internazionale
dei suoi editori (erano ancora i tempi in cui vendeva bene) per la
presentazione del dell’ennesimo libro dove -con la solita irruenza
e con i consueti insulti virulenti per chi non la pensasse come lui-
chiedeva per la Chiesa cattolica quanto ribadisce ora di volere da
un nuovo papa . E, dunque: preti sposati; donne-sacerdote; divorziati
riaccolti a nuove nozze; omosessuali venerati; contraccezione libera;
aborto accettato; parroci, vescovi, papi stessi democraticamente;
scismatici ed eretici posti a modello; atei, agnostici, pagani accolti
non solo come fratelli in umanità ma come maestri di vita e
pensiero dai quali tutto imparare... Insomma, il consueto rosario
del «teologicamente corretto» anni Sessanta e Settanta,
i comandamenti del benpensante un po’ datato, le «coraggiose
riforme» del conformista occidentale medio. Accanto a me, lo
ascoltava con attenzione un pastore protestante il quale, alla fine,
prese la parola: “Molto bello e edificante, professor Kueng.
Ha ragione, ecco le riforme che anche il cattolicesimo dovrebbe praticare.
Ma, mi dica: come mai noi protestanti tutto ciò che Lei chiede
ce l'abbiamo già, e da molto tempo, eppure i nostri templi
sono molto più vuoti delle vostre chiese?”.
Il professore non rispose a quella domanda, che scendeva dal cielo
delle teorie «pastorali», ottime per i semestri accademici,
alla brutale concretezza dei fatti, questi maleducati che non vogliono
mai rientrare nei nostri schemi. Vedo ora da questa sintesi brutale
del pontificato che imperdonabile peccato di Giovanni Paolo II sarebbe
soprattutto quello di “non avere integrato nella Chiesa cattolica
le richieste della Riforma e della modernità“. Quanto
alla “modernità” è esistita un tempo, quando
lui era giovane, e ha fatto posto ad altro, come si accennava. Per
la Riforma, possibile che uno come questo teologo, che vive tra Svizzera
e Germania, che conosce il Nord dell'Europa, passato (e, spesso, per
violenza dei prìncipi) al verbo di Lutero, di Calvino, di Zwinglio,
possibile che non constati quale è lo stato comatoso, da encefalogramma
piatto, di Chiese che pur furono vive? Possibile che i suoi viaggi
per il mondo non gli abbiano mostrato che il solo protestantesimo
che sembra oggi avere un futuro è quello «impazzito»,
aggressivo, insofferente di ecumenismi, rappresentato dalla miriade
di sètte e di chiesuole? Si può, oggi, proporre per
la Chiesa romana -quasi fossero novità taumaturgiche–
provvedimenti che quella che chiama se stessa «Riforma»
per antonomasia ha adottato quasi cinque secoli fa e i cui risultati
stanno sotto gli occhi di chi sappia vedere senza gli occhiali dell'astrattezza?
Per fare un solo esempio: in media, ogni anno, 10.000 anglicani chiedono
di entrare nella Chiesa cattolica. Non molto tempo fa, l'arcivescovo
di Londra ha ordinato preti cattolici molte decine di pastori anglicani.
Sono fratelli (e sorelle) il cui passaggio a Roma è stato provocato
dalla decisione della gerarchia anglicana di ordinare donne. Una decisione
che non ha portato loro alcun cattolico (e nessuna donna cattolica,
si badi !), mentre ha provocato un esodo importante verso il cattolicesimo.
I fatti, professor Kueng, non provano -almeno qui- il contrario esatto
di quanto affermano le Sue teorie? Che ci dice, per esempio, di quell'Olanda
che prima del Concilio era forse il Paese al mondo con la più
fervida vita cattolica, che subito dopo divenne la speranza e la mecca
del progressismo clericale, che attuò l'attuabile delle riforme
che Lei invoca, coprendo di disprezzo «l'arcaica teologia romana»,
e che in breve fu ridotta a un deserto dove le chiese che non cadono
in rovina sono da tempo trasformate in supermarket, in pornoshop,
in hamburgherie? Nessuno Le ha mai rivelato, don Kueng, che, se il
più cattolico dei Continenti, quello latinoamericano, sta passando
rapidamente e in massa a quelle sètte protestanti «impazzite»
che dicevo o torna ai culti afroamericani, è proprio perché
cerca lì quanto non gli dà più certo clero cattolico
che (formatosi spesso alla scuola di quelle Sue facoltà tedesche)
dice di «aver scelto i poveri», mentre «i poveri»
non hanno scelto lui?
Più che difendere questo lungo pontificato dalla gragnuola
di accuse, senza misericordia e senza luce, che gli vengono scagliate
contro (come cattolici, siano fedeli al papa, ma non sempre e non
certo passivamente apologeti di chi, via via, adempie al ministero
di Successore di Pietro), più che difendere, dunque, è
ancor più necessario mostrare come le alternative “alla
Kueng“ non siano affatto un rimedio adeguato ai problemi della
Chiesa. Problemi che esistono oggi, come sempre sono esistiti; ma
che, per essere affrontati, esigono ben altro che le ricette di un
“modernismo“ ideologico che la storia ha superato, mostrandone
i limiti e i rischi.
Vittorio Messori