La condizione del cristianesimo in Occidente. ROMA, 24 marzo 2005 – Praticamente negli stessi giorni, due importanti voci della Chiesa hanno formulato due diagnosi diametralmente opposte . La prima voce è “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma i cui articoli sono previamente letti e autorizzati dalla segreteria di stato vaticana. Sul suo ultimo numero, in data 5 marzo 2005, “La Civiltà Cattolica” ha pubblicato un articolo dal titolo “La difesa della libertà religiosa. La cristianofobia”, che è una dura e circostanziata denuncia dell’attacco portato contro il cristianesimo e la Chiesa cattolica dall’intolleranza antireligiosa e dal “secolarismo dogmatico” in tutto il mondo e in particolare in Europa. Autore dell’articolo è il gesuita Drew Christiansen, vicedirettore della rivista dei gesuiti di New York, “America”, e consultore della conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti. Sia “America” che Christiansen sono di tendenza “liberal”, quindi non sospettabili di ostilità preconcette nei confronti della società e della cultura laiche. La seconda voce è quella di Enzo Bianchi,
fondatore e priore del monastero di Bose. Nella sua ultima “Lettera
agli amici”, diffusa alla fine della Quaresima, Bianchi ha negato
che sia in atto in Europa un attacco contro la Chiesa e i cristiani.
Questo attacco non c’è stato in passato: “da secoli
i cristiani vivono liberi e rispettati”. E ancor meno c’è
oggi. Piuttosto è la Chiesa, a suo dire, che si ostina a non
rinunciare ai suoi privilegi e a tenersi stretta ai poteri dominanti.
Enzo Bianchi non riveste una particolare autorità formale.
La comunità monastica da lui fondata – mista, con monaci
e monache nello stesso monastero, e interconfessionale, con protestanti
e ortodossi – è lontana dal ricevere l’approvazione
canonica. Egli è però rappresentante di spicco di una
tendenza diffusa a tutti i livelli della Chiesa, generalmente identificata
come “conciliare” ed “ecumenica”. Il vittimismo è un paravento. Da
secoli i cristiani vivono liberi e rispettati Da più parti in Italia e in Europa occidentale – in paesi cioè dove da decenni se non da secoli i cristiani vivono liberi e rispettati, cittadini con pieni diritti e totale libertà – si odono voci che lamentano ostracismi, disprezzo se non addirittura persecuzione nei confronti dei cristiani per ogni minima perdita di privilegi acquisiti, ogni mancata ricezione di istanze confessionali, ogni rifiuto di categorie di pensiero e di giudizio derivate dalla rivelazione biblica e dalla tradizione cristiana. Legittime rivendicazioni di laicità da parte dello stato e maldestri episodi di astio o rivalsa nei confronti della Chiesa vengono indebitamente mescolati e interpretati come pericolosi rigurgiti di ostilità contro la fede cristiana, minacciosi presagi di discriminazione e preludi a sofferenze fisiche e morali per i cristiani. Ma non possiamo dimenticare che siamo ormai in una società plurale per religione, cultura, etica e che l’essenziale è che lo stato garantisca a ciascuno le libertà costituzionali e favorisca la loro espressione in uno spazio non solo privato ma pubblico, in cui possano svilupparsi un dialogo e un confronto con tutte le componenti religiose e non religiose della società per il bene dell’insieme della polis. Come cristiani dovremmo piuttosto interrogarci se le accuse di inimicizia rivolte ai non-cristiani non siano un comodo paravento allo scoprirci minoranza, all’incertezza e alla mancanza di consapevolezza della nostra fede, a dubbi e timori sulla nostra effettiva capacità di trasmettere la fede cristiana alle generazioni future. Pur di non ammettere questo nostro raffreddamento nel vivere quotidianamente le esigenze del Vangelo, pur di non assumerci le nostre responsabilità per l’indebolimento del cristianesimo nelle terre che per prime lo hanno accolto, si preferisce allora accusare i laici, o magari l’islam, di sottrarci spazi vitali e di mettere in pericolo le nostre tradizioni. No, se i cristiani in occidente conoscono oggi una persecuzione è quella di cui già parlava Ilario di Poitiers nel IV secolo: “Dobbiamo combattere contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena, ma ci accarezza la pancia; non ci confisca i beni dandoci così la vita ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del nostro cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro e il potere” (Liber contra Constantium 5). Questa è la persecuzione di cui dovremmo essere consapevoli! A noi pare anche che un atteggiamento di vittimismo a oltranza non solo sia quindi fuori luogo, ma che, ed è ancor più grave, suoni come un’offesa verso il corpo della Chiesa nella sua unità e cattolicità, nel suo estendersi nel tempo e nello spazio, nel suo essere carne nella storia in luoghi precisi e in situazioni diverse. Con che coraggio possiamo parlare di persecuzione oggi nei nostri paesi quando sappiamo cosa hanno patito i nostri padri e le nostre madri in tempi meno recenti e cosa soffrono i nostri fratelli e le nostre sorelle nella fede in altre regioni del pianeta? Sì, “martirio”, la testimonianza fino al sangue, è parola troppo nobile, è vocazione troppo alta, è dono troppo prezioso perché possiamo abusarne per colorire la nostra insoddisfazione di fronte a un’egemonia che viene meno, a una semplice perdita di potere o di influenza nella società. Dobbiamo avere rispetto per quanti, ancora oggi, pagano con la vita la loro sequela del Signore, l’incarnazione dello spirito delle beatitudini, la fame e la sete di giustizia, la ricerca della pace, il farsi prossimo dei poveri, dei malati, dei carcerati, degli stranieri. Invece di accostare le rare, piccole contrarietà che può conoscere la nostra testimonianza cristiana alla “grande tribolazione” che vivono tuttora tanti nostri fratelli e sorelle, dovremmo imparare da loro la pazienza nella prova, la trasparenza dello sguardo, la purezza di cuore, la compassione per i più deboli, il perdono per i persecutori, l’amore per i nemici. __________
L’ostilità anticristiana c’è.
Più subdola di un’aperta persecuzione Nella sua terra di massimo sviluppo, l’Occidente, e in particolare in Europa, il cristianesimo è messo sotto pressione da un secolarismo dogmatico. Per un cattolico statunitense è piuttosto singolare che la nuova costituzione europea non contenga – nel preambolo – alcun riferimento all’eredità religiosa europea, in particolare a quella cristiana. Dopo tutto, i fondatori del movimento a favore dell’unità europea erano cattolici dichiarati. La liberazione dell’Europa orientale dal comunismo è stata patrocinata da Giovanni Paolo II e l’espansione dell’UE verso Est è stata aiutata dal suo insistere sul fatto che l’Europa deve “respirare con ambedue i polmoni, con lo spirito dell’Occidente e dell’Oriente”. In parte, l’atteggiamento di sospetto nei confronti del cristianesimo potrebbe derivare dagli sforzi per affrontare la crescente presenza dell’immigrazione musulmana in Europa. L’equità potrebbe richiedere un comportamento ugualmente restrittivo verso tutte le religioni, negando a tutti le manifestazioni visibili dell’impegno religioso. Sembra esservi anche la paura di lasciare alla religione un qualsiasi ruolo nella vita pubblica. Questo deriva sia da un’avversione razionalista nei confronti della religione, considerata l’espressione dell’irrazionale, sia da una tradizione di “laïcité”, che non riconosce alla religione istituzionale la possibilità di assumere un ruolo nella vita pubblica. Simili atteggiamenti e movimenti sono presenti anche negli Stati Uniti, dove l’identificazione di una posizione politica con una motivazione di carattere religioso viene considerata da alcuni una buona ragione per accantonarla. Sia in Europa sia negli Stati Uniti, questo pregiudizio nei confronti delle opinioni fondate sulla religione e delle persone religiosamente impegnate che le sostengono riguarda problemi relativi al sesso, al matrimonio e alla famiglia, argomenti sui quali sia gli islamici, sia i cattolici, sia gli ortodossi, sia i cristiani evangelici tendono ad avere visioni più tradizionali rispetto ad altri settori della società. Le differenze sono di carattere morale. La religione istituzionale non ha alcuna influenza pubblica per imporre il suo punto di vista ai non credenti. Anzi, la Chiesa cattolica ha esplicitamente rifiutato l’uso del potere coercitivo a fini religiosi e, durante il Giubileo del 2000, ha fatto pubblica ammenda per i suoi figli che se ne sono serviti in passato. La Chiesa è impegnata per una politica di dialogo e di persuasione, ma nonostante questo i laicisti sembrano sentirsi costretti a limitare sia la religione sia le opinioni dei credenti unicamente alla sfera privata. Nello stesso tempo, però, la Chiesa si aspetta che i principi morali dei cattolici non siano banditi dalla scena pubblica. L’esclusione “de facto” dei credenti dalla scena politica nelle società democratiche è una tendenza subdola, che deve essere sorvegliata. Essa infatti non solo impedisce ai credenti una legittima partecipazione alla politica, ma può facilmente trasformarsi in una più aperta discriminazione. Come ha detto Giovanni Paolo II nel suo discorso al congresso su “Secolarismo e libertà religiosa”, celebrando il trentesimo anniversario della “Dignitatis Humanae”, la dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa: “Oggi faremmo bene a considerare un’altra forma di limitazione della libertà religiosa, più subdola di un’aperta persecuzione. Sto pensando alla pretesa che una società democratica debba relegare nell’ambito delle opinioni private le convinzioni religiose e i principi morali che derivano dalla fede dei propri membri. [...] I cittadini i cui giudizi morali sono ispirati dal loro credo religioso dovrebbero essere meno graditi se esprimono le loro convinzioni più profonde? Se questo accadesse, la stessa democrazia non si svuoterebbe di ogni reale significato?”. Il secolarismo dogmatico non dovrebbe essere
trascurato come fonte di cristianofobia, in quanto la sua matrice
è soprattutto occidentale. In modo particolare, l’attenzione
va posta sull’esclusione delle opinioni fondate sulle convinzioni
religiose dai dibattiti di natura politica. di Sandro Magister :http://www.chiesa.espressonline.it |