Il cavaliere inesistente: Adel Smith aggredito a Verona

di Massimo Introvigne [www.cesnur.org]

Il 10 gennaio 2003 Adel Smith, presidente dell’Unione Musulmani d’Italia (talora indicata dalla stampa come “Unione Musulmani Italiani”) è stato aggredito a Verona, pare da giovani del movimento Forza Nuova, durante una trasmissione televisiva. L’ennesimo episodio di cui Smith è stato protagonista (e in questo caso anche vittima, benché – come vedremo – gli imbecilli che lo hanno aggredito abbiano pure fatto il suo gioco) ha portato un certo numero di giornalisti a cercare nella Enciclopedia delle religioni in Italia pubblicata dal CESNUR nel 2001 notizie dell’Unione Musulmani d’Italia. Non trovandole, si sono chiesti se si tratti di un peccato di omissione dell’Enciclopedia. Non è proprio così. Come si precisa nella “Introduzione”, l’Enciclopedia ha rilevato realtà anche piccole o piccolissime per il loro interesse tipologico, ma non ha attribuito “certificati di esistenza in vita” alle tante realtà fittizie, o che esistono solo sulla carta, che negli anni si sono auto-segnalate al CESNUR o alla stampa senza provare una reale consistenza. Evidentemente, se l’Enciclopedia fosse stata pubblicata nel 2002, e non – come è avvenuto – nel 2001, avremmo dedicato un paragrafo (molto breve) ad Adel Smith, perché nel 2002 Smith è diventato un personaggio sui media nazionali e uno degli scopi dell’Enciclopedia è quello di offrire ai lettori le informazioni che presumibilmente cercano. Nel 2001, invece, fare pubblicità gratuita a Smith avrebbe significato andare al di là degli scopi dell’Enciclopedia. Infatti, dal punto di vista del rilievo sociologico e statistico, l’Unione Musulmani d’Italia tecnicamente non esiste. Volendo essere generosi, si potrebbe affermare che i membri “attivi” siano quattro o cinque; è più probabile che siano due – il presidente Adel Smith e il segretario Massimo Zucchi – occasionalmente rafforzati da un paio di signore, e (come scrive Magdi Allam nella sua inchiesta Bin Laden in Italia. Viaggio nell’islam radicale, Mondadori, Milano 2002, p. 124) da “una decina di simpatizzanti albanesi”. Sono cifre di cui si può affermare tranquillamente che cadono sotto quella che gli specialisti di statistici chiamano la soglia di significatività, riferite sia alla popolazione italiana in generale sia agli oltre seicentomila musulmani presenti nel nostro paese. Beninteso, Smith vanta le sue “cinquemila firme” che afferma di avere raccolto fra i musulmani italiani: quand’anche queste fossero verificabili, le firme messe a un banchetto per strada o in qualche manifestazione non sono “adesioni” (occasionalmente, al reverendo Moon dopo avere fatto raccogliere dai suoi seguaci oltre settecento milioni di firme nel mondo per la sua campagna in favore dei valori familiari, scappò detto di avere benedetto in tre anni il matrimonio di 360 milioni di coppie: la logica è molto simile).

Tuttavia, in una realtà sempre più socialmente costruita, quella empirica e statistica non è l’unica forma di esistenza. Per esempio (scelto in omaggio alle lontane origini scozzesi del padre di Adel Smith), la questione empirica se il mostro di Loch Ness esista va tenuta rigorosamente distinta dall’affermazione secondo cui esiste certamente nell’immaginario collettivo, a prescindere dalla sua presenza o meno nelle profondità del lago scozzese. L’Unione Musulmani d’Italia ha ormai un suo posto nell’immaginario giornalistico e politico grazie ai “colpi” pubblicitari messi a segno da Adel Smith in numerose trasmissioni televisive e con altre iniziative clamorose, dalla richiesta di copertura dell’affresco nella cattedrale di Bologna ispirato alla Divina Commedia e che raffigura il profeta Muhammad all’Inferno agli attacchi contro Oriana Fallaci. In questa chiave, secondo una dinamica nota, gli attacchi contro Adel Smith, quand’anche siano scioccamente violenti come nel caso di Verona, lo rafforzano e fanno esattamente il suo gioco. “Mi attaccano, dunque sono”. L’effetto degli attacchi è quello di provocare titoli di giornali come quello de La Stampa dell’11 gennaio 2003: Colpito a sprangate in TV il capo degli islamici italiani. Il titolo che fa di Smith (cui, ripetiamolo, possono essere attribuiti da uno a una dozzina di seguaci) “il capo degli islamici italiani” è perfettamente surrealistico, ma mostra come Smith (con la valida collaborazione dei suoi aggressori) abbia raggiunto il suo scopo. Smith – come, su ben altra scala, Rael – ripropone il problema delle reazioni fra estremismo religioso e media. Spesso i media diffamano e perseguitano i movimenti religiosi marginali: ma in qualche caso sono gli stessi movimenti ad alimentare i media che li attaccano, all’insegna del “parlate pure male di me ma parlatene”, il che è tanto più necessario quando si vuole fare credere che esistano movimenti che sono invece tanto lillipuziani da potere essere definiti inesistenti.

C’è tuttavia anche un’altra forma di esistenza dell’Unione Musulmani d’Italia che ha poco a che fare con la sua inesistenza nel mondo reale: ed è l’esistenza politica. Certo, Smith presenta la sua iniziativa anche come un partito politico. Certo, Smith ha tenuto a Milano un congresso costituente del suo partito, che non è andato deserto grazie a un autobus di musulmani torinesi portati dal noto imam radicale Bouriqui Bouchta, questo sì un personaggio realmente esistente e dotato di veri seguaci, i quali tuttavia se ne sono tornati a Torino poco convinti del progetto partitico. Ma queste iniziative non basterebbero ancora a fare esistere Smith come un soggetto politico. Se invece esiste, è per due ragioni. La prima è che alcuni ambienti politici, di varia natura, che si presentano come oppositori del fondamentalismo islamico italiano, anziché fare la modesta fatica di studiare le organizzazioni fondamentaliste che veramente sono diffuse sul nostro territorio, preferiscono attaccare Smith (ed esserne attaccati, in una relazione da “ladri di Pisa”), e garantirsi così un riflesso della notorietà (nel senso inglese di notoriety) di cui Smith gode sui media.

La seconda ragione – meno facile da capire, ma anche più interessante – è che il mondo del fondamentalismo islamico, da molti anni e non solo in Italia, non è univoco, anzi è profondamente diviso. C’è un’ala “radicale” che propugna la conquista del potere con mezzi violenti, e c’è un’ala “neo-tradizionalista” (rappresentata soprattutto dalla dirigenza dell’organizzazione internazionale dei Fratelli Musulmani) che vuole islamizzare la società “dal basso” e che in tesi (anche se non sempre nella pratica) ripudia la violenza. I fondamentalisti “radicali” e i fondamentalisti “neo-tradizionalisti” hanno fra loro numerose divergenze strategiche e tattiche, il che non può però fare dimenticare che hanno anche parecchie dottrine, in genere di difficile digeribilità in Occidente, in comune. Il fondamentalista “neo-tradizionalista” da una parte è disturbato dal “radicale”, con cui rischia di essere confuso da un’opinione pubblica che finisce per vedere a torto in ogni fondamentalista islamico un terrorista. Ma dall’altra i fondamentalisti “neo-tradizionalisti” più avveduti, specie dopo l’11 settembre 2001, non potendo negare l’esistenza dei “radicali” o sopprimerli, possono anche decidere di utilizzarli per proporsi all’opinione pubblica come “moderati” rispetto ai radicali “estremisti”. Il “radicale” in questo caso è utile al “neo-tradizionalista” per far dimenticare ai media, e se possibile ai pubblici poteri nelle società occidentali, che anche il “neo-tradizionalista” è pur sempre un fondamentalista.

Solo una strategia di questo genere spiega perché Hamza Roberto Piccardo, segretario nazionale dell’UCOII, afferma – intervistato dal citato Magdi Allam – che “la struttura di riferimento dei militanti islamici radicali [in Italia] è il partito islamico di Adel Smith, a cui fanno capo Bouchta, gli ‘afghani’ [cioè i musulmani residenti in Italia che si sono addestrati in Afghanistan], i Takfir [cioè i membri di Takfir wal Hijra, (“Anatema ed esodo”), organizzazione egiziana fondata nel 1971 da Shuqri Mustafà (1942-1978) e caratterizzata da un millenarismo apocalittico e messianico variamente riproposto, dopo che Mustafà è stato giustiziato nel 1978, dalle diverse branche nazionali che ne hanno ripreso il nome e alcune delle idee in numerosi paesi arabi], Hizb al Tahrir” (op. cit., p. 37). L’ultima sigla è quella del Partito della Liberazione Islamica, gruppo radicale nato nel 1953 per contrastare la svolta neo-tradizionalista dei Fratelli Musulmani in Giordania, e il cui esponente più in vista è oggi Omar Muhammad Bakri, residente a Londra. L’UCOII, l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia, è la più grande organizzazione islamica italiana (anche se neppure l’UCOII può vantarsi di rappresentare la maggioranza, né una percentuale veramente rilevante, dei seicentomila musulmani presenti in Italia), ed è egemonizzata dai Fratelli Musulmani, cioè dai fondamentalisti “neo-tradizionalisti”. Piccardo, evidentemente, sa benissimo che “il partito islamico di Adel Smith” non è la “struttura di riferimento” né di Bouchta né di altri, e rappresenta quattro gatti, anzi a rigore meno di quattro. Tuttavia, anziché associarsi alle campagne che ambienti tutt’altro che ostili all’UCOII conducono su Internet per spiegare alla stampa che l’organizzazione di Smith esiste solo sulla carta, Piccardo attribuisce a Smith un’importanza spropositata.

L’esempio, per Piccardo, viene dall’alto: l’imam Yusuf al-Qaradawi, forse il più noto predicatore internazionale dell’area fondamentalista neo-tradizionalista, dopo essersi reso noto per avere giustificato gli attentati suicidi di Hamas, il 13 settembre 2001 dichiarava illeciti gli attentati dell’11 settembre, nel quadro di un tentativo di riqualificazione come “moderato” favorito da una lobby filo-islamica all’interno degli ambienti cattolici specializzati nel dialogo inter-religioso. Naturalmente, nel caso di Piccardo, tutto va ricondotto a un contesto all’italiana: ma forse è perfino più facile prendere le distanze da Smith che da bin Laden; quest’ultimo tira le bombe, mentre l’immagine di Adel Smith evoca piuttosto quella di chi tira le torte in faccia.

Così – sospinto da una strana, certamente inconsapevole e involontaria coalizione che va da Forza Nuova all’UCOII – Adel Smith continua la sua resistibile ascesa. A essa l’Enciclopedia delle religioni in Italia è lieta di non avere contribuito. Un omaggio al buon senso, come mostra la risposta in Parlamento, nella seduta del 3 dicembre 2002, del sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì a un’interrogazione di un parlamentare leghista preoccupato dal “partito islamico” di Adel Smith. D’Alì ha risposto che “non sussistono iniziative promosse dal signor Adel Smith finalizzate alla costituzione di un partito musulmano in Italia. Inoltre, l'unione musulmani italiani, di cui il predetto sarebbe presidente, non figura neanche nelle più recenti pubblicazioni che descrivono le realtà religiose presenti in Italia”. Peraltro, il sottosegretario ha anche affermato, quanto “alla legge islamica detta sharia”, che i suoi “principi cardine sono altresì in netto contrasto con quelli di uguaglianza ai quali si ispirano la Costituzione italiana e la Convenzione dei diritti dell'uomo”.