SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Bendetto 16° in USA.
Tutti i Discorsi 

Primo giorno del papa negli USA.
Contro gli abusi sessuali e per l'America "modello di laicità positiva"

di Sandro Magister -http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/197841

Benedetto XVI dice che cosa fare perché lo "scandalo" non si verifichi più. Ed esalta il rapporto tra religione e politica che vige negli Stati Uniti, come una lezione per l'Europa .

In aereo

ROMA, 17 aprile 2008 – Sull'aereo in volo verso gli Stati Uniti, rispondendo alle domande dei giornalisti, Benedetto XVI ha subito preso di petto la questione che più infiamma la pubblica opinione americana, quella degli abusi sessuali su minori commessi da preti cattolici.

Il papa, parlando in inglese, si è espresso così:

"È una grande sofferenza per la Chiesa negli Stati Uniti e per la Chiesa in generale, e per me personalmente, il fatto che tutto ciò sia potuto accadere. Se leggo i resoconti di questi avvenimenti, mi riesce difficile comprendere come sia stato possibile che alcuni sacerdoti abbiano potuto fallire in questo modo nella missione di portare sollievo, di portare l'amore di Dio a questi bambini. Sono mortificato e faremo tutto il possibile per assicurare che questo non si ripeta in futuro. Credo che dovremo agire su tre piani: il primo è il piano della giustizia e il piano politico. Non voglio in questo momento parlare dell'omosessualità: questo è un altro discorso. Escluderemo rigorosamente i pedofili dal sacro ministero: è assolutamente incompatibile e chi è veramente colpevole di essere pedofilo non può essere sacerdote. Ecco, a questo primo livello possiamo fare giustizia ed aiutare le vittime, che sono profondamente provate. Questi sono i due aspetti della giustizia: uno è che i pedofili non possono essere sacerdoti e l'altro è aiutare in ogni modo possibile le vittime. Poi, c'è il piano pastorale. Le vittime avranno bisogno di guarire e di aiuto e di assistenza e di riconciliazione. Questo è un grande impegno pastorale e io so che i vescovi ed i sacerdoti e tutti i cattolici negli Stati Uniti faranno il possibile per aiutare, assistere, guarire. Abbiamo fatto delle ispezioni nei seminari e faremo quanto è possibile perché i seminaristi ricevano una profonda formazione spirituale, umana ed intellettuale. Solo persone sane potranno essere ammesse al sacerdozio e solo persone con una profonda vita personale in Cristo e che abbiano anche una profonda vita sacramentale. Io so che i vescovi ed i rettori dei seminari faranno il possibile per esercitare un discernimento molto, molto severo, perché è più importante avere buoni sacerdoti che averne molti. Questo è il nostro terzo punto, e speriamo di potere fare e di avere fatto e di fare in futuro ogni cosa sia in nostro potere per guarire queste ferite".

* * *

Rispondendo a un'altra domanda, questa volta in lingua italiana, Benedetto XVI ha poi toccato un tema a lui caro, quello del modello americano di rapporto tra religione e politica:
"Ciò che io trovo affascinante negli Stati Uniti è che hanno incominciato con un concetto positivo di laicità, perché questo nuovo popolo era composto da comunità e persone che erano fuggite dalle Chiese di stato e volevano avere uno stato laico, secolare, che aprisse possibilità a tutte le confessioni, per tutte le forme di esercizio religioso. [...] Laico doveva essere lo stato proprio per amore della religione nella sua autenticità, che può essere vissuta solo liberamente. [...] Questo mi sembra un modello fondamentale e positivo, [...] degno di essere tenuto presente anche in Europa".
Sono concetti che Joseph Ratzinger ha espresso più volte, prima e dopo la sua elezione a papa, l'ultima volta lo scorso 29 febbraio, quando ha ricevuto in Vaticano la nuova ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede, la cattolica Mary Ann Glendon.
E di nuovo Benedetto XVI ha ripreso tali concetti nel discorso che ha rivolto al presidente George W. Bush la mattina di mercoledì 16 aprile, alla Casa Bianca.
Ma per capire meglio perché Benedetto XVI consideri gli Stati Uniti un esempio a tutto il mondo – e soprattutto all'Europa – di rapporto positivo tra la religione e la politica, è illuminante questa pagina di un suo libro scritto e pubblicato nel 2004, quand'era cardinale, col titolo "Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam" :

Laici per amore della religione
di Joseph Ratzinger

L'idea di una religione civile cristiana mi fa venire in mente l'opera di Alexis de Tocqueville, "La democrazia in America". Durante i suoi studi negli Stati Unti, lo studioso francese aveva constatato – per dirla in breve – che il sistema di regole di per sé instabile e frammentario di cui, vista da fuori, questa democrazia era costituita funzionava soltanto perché nella società americana era vivo tutto un insieme di convinzioni religiose e morali di ispirazione cristiano-protestante, che nessuno aveva prescritto o definito, ma che veniva semplicemente presupposto da tutti come ovvia base spirituale. Il riconoscimento di tali orientamenti di fondo, religiosi e morali, che oltrepassavano le singole confessioni ma determinavano la società dall'interno, dette forza all'insieme degli ordinamenti, definì i limiti della libertà individuale dall'interno, offrendo proprio per questo le condizioni di una libertà condivisa e partecipata.

Vorrei, a tale riguardo, citare un'espressione significativa di Tocqueville: "Il dispotismo può fare a meno della fede, la libertà no". John Adams si mosse nella stessa direzione quando disse che la costituzione americana "è fatta soltanto per un popolo morale e religioso". Benché anche in America la secolarizzazione proceda a ritmo accelerato e la confluenza di molte differenti culture sconvolga il consenso cristiano di fondo, lì si percepisce, assai più chiaramente che in Europa, l'implicito riconoscimento delle basi religiose e morali scaturite dal cristianesimo e che oltrepassano le singole confessioni. L'Europa – contrariamente all'America – è in rotta di collisione con la propria storia e si fa spesso portavoce di una negazione quasi viscerale di qualsiasi possibile dimensione pubblica dei valori cristiani.

Perché? Come mai l'Europa, che pure ha una tradizione cristiana molto antica, non conosce più un consenso del genere? Un consenso che, indipendentemente dall'appartenenza a una determinata comunità di fede, conferisca alle concezioni fondamentali del cristianesimo un valore pubblico e portante? Siccome le basi storiche di tale differenza sono note, sarà sufficiente farne un breve cenno.

La società americana fu costruita in gran parte da gruppi che erano fuggiti dal sistema di Chiese di stato vigente in Europa, e avevano trovato la propria collocazione religiosa nelle libere comunità di fede al di fuori della Chiesa di stato. Il fondamento della società americana è costituito pertanto dalle Chiese libere, per le quali – a causa del loro approccio religioso – è strutturale non essere Chiesa dello stato, ma fondarsi su un'unione libera degli individui. In questo senso si può dire che alla base della società americana c'è una separazione fra stato e Chiesa determinata, anzi reclamata dalla religione; separazione, di conseguenza, ben altrimenti motivata e strutturata rispetto a quella imposta, nel segno del conflitto, dalla Rivoluzione francese e dai sistemi che a essa hanno fatto seguito. Lo stato in America non è altro che lo spazio libero per diverse comunità religiose; è nella sua natura riconoscere queste comunità nella loro particolarità e nel loro essere non statali, e lasciarle vivere. Una separazione che intende lasciare alla religione la sua propria natura, che rispetta e protegge il suo spazio vitale distinto dallo stato e dai suoi ordinamenti, è una separazione concepita positivamente.

Questa ha poi comportato un rapporto particolare tra sfera statale e sfera "privata", del tutto diverso da quello che conosciamo in Europa: la sfera "privata" ha un carattere assolutamente pubblico, ciò che è non statale non è affatto escluso per questo dalla dimensione pubblica della vita sociale. La maggior parte delle istituzioni culturali non è statale – prendiamo le università oppure gli enti per la tutela delle discipline artistiche eccetera; l'intero sistema giuridico e fiscale favorisce questo tipo di cultura non statale e la rende possibile, mentre in Europa, per esempio, le università private costituiscono un fenomeno recente e di fatto marginale. Sicuramente è anche successo che le Chiese libere abbiano considerato se stesse in modo piuttosto relativo, ma si sapevano comunque unite da una comune ragione che andava oltre le istituzioni ed era la base di tutto.

Naturalmente in tale contesto si annidano anche dei pericoli. Sembrano esserci oggi alcuni circoli che rispolverano l'ideologia del WASP: l'americano vero è bianco, di origine anglosassone e protestante. Questa ideologia nacque quando la penetrazione da parte di gruppi di immigrati di fede cattolica, soprattutto italiani, polacchi e gente di colore, sembrò minacciare l'identità ormai consolidatasi dell'America. Essa è rimasta valida fina al XX secolo, nel senso che, per poter aspirare a una posizione importante nella vita pubblica americana, bisognava essere un WASP. Ma in realtà la comunità cattolica si era già integrata nell'identità americana.

Anche i cattolici riconobbero il carattere positivo della separazione fra stato e Chiesa legata a motivazioni religiose, nonché l'importanza della libertà religiosa da essa garantita. È anche grazie al loro significativo contributo che si è mantenuta una coscienza cristiana nella società; ed è un contributo ancora valido, in un momento in cui stanno avvenendo radicali, profondi cambiamenti all'interno del protestantesimo. In quanto si adeguano sempre più alla società secolarizzata, le tradizionali comunità protestanti stanno perdendo la propria coesione interna e la capacità di convincere; gli "evangelical", finora i nemici più agguerriti del cattolicesimo, non solo vanno guadagnando sempre più terreno rispetto alle comunità tradizionali, ma scoprono anche una nuova vicinanza con il cattolicesimo, nel quale riconoscono un difensore, contro la pressione esercitata dalla secolarizzazione, dei medesimi grandi valori etici da loro stessi sostenuti; valori che vedono invece venir meno presso i loro fratelli protestanti.

A partire dalla struttura del cristianesimo in America, i vescovi cattolici americani hanno dato un contributo specifico al Concilio vaticano II: la dichiarazione "Dignitatis Humanae" sulla libertà religiosa ne è stata largamente influenzata e ha fatto confluire nella tradizione cattolica, relativa alla libertà della fede, l'esperienza della "non statalità" della Chiesa (che si era dimostrata condizione per conservare valore pubblico ai principi cristiani fondamentali) come una forma cristiana emergente dalla natura stessa della Chiesa. Oggi la società americana, in parte a causa della forte penetrazione degli ispanici, in parte per via della crescente pressione esercitata dalla secolarizzazione, si trova a dover affrontare nuove gravi prove. Si può comunque dire – almeno così mi sembra – che in America esiste ancora una religiose cristiana civile, se pure seriamente minacciata e divenuta incerta quanto ai contenuti.

Il Papa e il Presidente

Al Suo arrivo, il Papa è accolto dal Presidente degli Stati Uniti, il Sig. Georges W. Bush, e dalla First Lady. Oltre alle Autorità politiche e civili statunitensi, sono presenti alla Cerimonia di benvenuto, che si svolge nel South lawn della Casa Bianca, i Cardinali degli U.S.A., il Praesidium della Conferenza dei Vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America, i due Vescovi Ausiliari di Washington ed il Vescovo di Arlington, S.E. Mons. Paul Stephen Loverde.
Dopo il discorso del Presidente Georges W. Bush, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito.

Signor Presidente,
grazie per le gentili espressioni di benvenuto formulatemi a nome del popolo degli Stati Uniti d’America. Apprezzo profondamente il Suo invito a visitare questo grande Paese. La mia venuta coincide con un momento importante della vita della Comunità cattolica in America, cioè la celebrazione del secondo centenario della elevazione a metropolia arcidiocesana della prima diocesi del Paese, Baltimora, e la fondazione delle sedi di New York, Boston, Filadelfia e Louisville. Sono inoltre felice di essere ospite di tutti gli Americani. Vengo come amico e annunciatore del Vangelo, come uno che rispetta grandemente questa vasta società pluralistica. I cattolici americani hanno offerto, e continuano ad offrire, un eccellente contributo alla vita del loro Paese. Nell’accingermi a dare inizio alla mia visita, confido che la mia presenza possa essere fonte di rinnovamento e di speranza per la Chiesa negli Stati Uniti e rafforzi la determinazione dei cattolici a contribuire ancor più responsabilmente alla vita della Nazione, della quale sono fieri di essere cittadini.

Sin dagli albori della Repubblica, la ricerca di libertà dell’America è stata guidata dal convincimento che i principi che governano la vita politica e sociale sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore. Gli estensori dei documenti costitutivi di questa Nazione si basarono su tale convinzione, quando proclamarono la "verità evidente per se stessa" che tutti gli uomini sono creati eguali e dotati di inalienabili diritti, fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura. Il cammino della storia americana evidenzia le difficoltà, le lotte e la grande determinazione intellettuale e morale che sono state necessarie per formare una società che incorporasse fedelmente tali nobili principi. Lungo quel processo, che ha plasmato l’anima della Nazione, le credenze religiose furono un’ispirazione costante e una forza orientatrice, come ad esempio nella lotta contro la schiavitù e nel movimento per i diritti civili. Anche nel nostro tempo, particolarmente nei momenti di crisi, gli Americani continuano a trovare la propria energia nell’aderire a questo patrimonio di condivisi ideali ed aspirazioni.

Nei prossimi giorni, attendo con gioia di incontrare non soltanto la comunità cattolica d’America, ma anche altre comunità cristiane e rappresentanze delle molte tradizioni religiose presenti in questo Paese. Storicamente, non solo i cattolici, ma tutti i credenti hanno qui trovato la libertà di adorare Dio secondo i dettami della loro coscienza, essendo al tempo stesso accettati come parte di una confederazione nella quale ogni individuo ed ogni gruppo può far udire la propria voce. Ora che la Nazione deve affrontare sempre più complesse questioni politiche ed etiche, confido che gli americani potranno trovare nelle loro credenze religiose una fonte preziosa di discernimento ed un’ispirazione per perseguire un dialogo ragionevole, responsabile e rispettoso nello sforzo di edificare una società più umana e più libera.

La libertà non è solo un dono, ma anche un appello alla responsabilità personale. Gli americani lo sanno per esperienza - quasi ogni città di questo Paese possiede i suoi monumenti che rendono omaggio a quanti hanno sacrificato la loro vita in difesa della libertà, sia nella propria terra che altrove. La difesa della libertà chiama a coltivare la virtù, l’autodisciplina, il sacrificio per il bene comune ed un senso di responsabilità nei confronti dei meno fortunati. Esige inoltre il coraggio di impegnarsi nella vita civile, portando nel pubblico ragionevole dibattito le proprie credenze religiose e i propri valori più profondi. In una parola, la libertà è sempre nuova. Si tratta di una sfida posta ad ogni generazione, e deve essere costantemente vinta a favore della causa del bene (cfr Spe salvi, 24). Pochi hanno compreso ciò così lucidamente come Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria. Nel riflettere sulla vittoria spirituale della libertà sul totalitarismo nella sua natia Polonia e in Europa orientale, egli ci ricordò come la storia evidenzi, in tante occasioni, che "in un mondo senza verità, la libertà perde il proprio fondamento" e una democrazia senza valori può perdere la sua stessa anima (cfr Centesimus annus, 46). Queste parole profetiche fanno eco in qualche modo alla convinzione del Presidente Washington, espressa nel suo discorso d’addio, che la religione e la moralità costituiscono "sostegni indispensabili" per la prosperità politica.

La Chiesa, per parte sua, desidera contribuire alla costruzione di un mondo sempre più degno della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1, 26-27). Essa è convinta che la fede getta una luce nuova su tutte le cose, e che il Vangelo rivela la nobile vocazione e il sublime destino di ogni uomo e di ogni donna (cfr Gaudium et spes, 10). La fede, inoltre, ci offre la forza per rispondere alla nostra alta vocazione e la speranza che ci ispira ad operare per una società sempre più giusta e fraterna. La democrazia può fiorire soltanto, come i vostri Padri fondatori ben sapevano, quando i leader politici e quanti essi rappresentano sono guidati dalla verità e portano la saggezza, generata dal principio morale, nelle decisioni che riguardano la vita e il futuro della Nazione.

Da ben oltre un secolo, gli Stati Uniti d’America hanno svolto un ruolo importante nella comunità internazionale. Venerdì prossimo, a Dio piacendo, avrò l’onore di rivolgere la parola all’Organizzazione delle Nazioni Unite, dove spero di incoraggiare gli sforzi in atto per rendere quella istituzione una voce ancor più efficace per le legittime aspettative di tutti i popoli del mondo. A questo riguardo, nel 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, l’esigenza di una solidarietà globale è più urgente che mai, se si vuole che tutti possano vivere in modo adeguato alla loro dignità, come fratelli e sorelle che abitano in una stessa casa, attorno alla mensa che la bontà di Dio ha preparato per tutti i suoi figli. L’America si è sempre dimostrata generosa nel venire incontro ai bisogni umani immediati, promuovendo lo sviluppo e offrendo sollievo alle vittime delle catastrofi naturali. Ho fiducia che tale preoccupazione per l’ampia famiglia umana continuerà a trovare espressione nel sostenere gli sforzi pazienti della diplomazia internazionale volti a risolvere i conflitti e a promuovere il progresso. Così, le generazioni future saranno in grado di vivere in un mondo dove la verità, la libertà e la giustizia possano fiorire – un mondo dove la dignità e i diritti dati da Dio ad ogni uomo, donna e bambino, vengano tenuti in considerazione, protetti e promossi efficacemente.

Signor Presidente, cari amici: mentre mi accingo a dar inizio alla visita negli Stati Uniti, voglio esprimere ancora una volta la mia gratitudine per l’invito formulatomi, la gioia di essere in mezzo a voi, e la mia fervente preghiera che Dio Onnipotente confermi questa Nazione e il suo popolo nelle vie della giustizia, della prosperità e della pace. Dio benedica l’America!

Secondo giorno del papa negli USA.
Benedetto XVI detta ai vescovi le linee guida

di Sandro Magister

Il testo integrale del suo discorso ai vescovi degli Stati Uniti, e attraverso di essi a quelli di tutto il mondo. Con la trascrizione del successivo botta e risposta

ROMA, 18 aprile 2008 – Nel secondo giorno del viaggio americano di Benedetto XVI, l'attenzione pubblica ha raggiunto il suo picco con l'incontro tra il papa e il presidente George W. Bush alla Casa Bianca.

Ma per la Chiesa cattolica degli Stati Uniti il vero momento forte è stato la sera, nella cripta del santuario dell'Immacolata Concezione di Washington.
Lì, dopo il canto del vespero, Benedetto XVI ha rivolto un monumentale discorso agli oltre quattrocento cardinali e vescovi delle 194 diocesi dell'Unione. Ma non soltanto a loro. Attraverso di essi il papa ha voluto parlare ai pastori dell'intera Chiesa cattolica. E l'ha rimarcato fin dalle prime battute:

"La comunità cattolica che servite è una delle più vaste del mondo ed una delle più influenti. Quanto importante è dunque far sì che la vostra luce brilli di fronte ai vostri concittadini e al mondo 'perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli' (Matteo 5, 16)".

Nel suo discorso, il successore di Pietro ha detto a ciascun vescovo come essere "buon pastore" sul modello di Gesù. Ma gli ha detto anche che cosa fare – ed eventualmente come correggersi – di fronte alle maggiori sfide dell'era presente. Tra i numerosi punti critici passati in rassegna dal papa non è mancato quello degli abusi sessuali su minori, compiuti da preti. Una "vergogna" – ha detto – "talvolta gestita in pessimo modo", che esige una rigorosa "purificazione" e soprattutto una grande opera di compassione a sostegno delle vittime e di preventiva difesa dei piccoli innocenti.
Al termine del discorso – autentica "magna charta" della guida pastorale della Chiesa – Benedetto XVI ha inoltre risposto a tre domande di altrettanti vescovi, con il metodo del botta e risposta da lui già adottato più volte con sacerdoti, giovani e bambini: un metodo che egli particolarmente predilige perché gli consente di sviluppare con più libertà i temi che gli stanno a cuore.
Nell'ultima delle tre risposte, ad esempio, non ha esitato a denunciare "la quasi completa eclissi nelle nostre società tradizionalmente cristiane" di una speranza oltre questa vita. Una eclissi alla quale egli ha voluto reagire con l'enciclica "Spe salvi".
Ecco dunque i testi integrali del discorso del papa ai vescovi, col successivo botta e risposta:

"Venerati fratelli nell'episcopato..."
di Benedetto XVI

Discorso ai vescovi degli Stati Uniti, Washington, 17 aprile 2008

Venerati fratelli nell’episcopato, grande è la mia gioia nel salutarvi oggi, all’inizio della mia visita in questo paese, e ringrazio il cardinale George per le gentili parole rivoltemi a nome vostro. Desidero ringraziare ognuno di voi, specialmente gli officiali della conferenza episcopale, per l’impegnativo lavoro che hanno affrontato nella preparazione di questo viaggio. Il mio grato apprezzamento va inoltre allo staff e ai volontari del Santuario Nazionale, i quali ci hanno qui accolto questa sera. I cattolici d’America sono noti per la loro leale devozione alla sede di Pietro. La mia visita pastorale qui è un’occasione per rafforzare ulteriormente i vincoli di comunione che ci uniscono. Abbiamo iniziato con la celebrazione della preghiera serale in questa basilica dedicata all’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, santuario di speciale significato per i cattolici americani, proprio nel cuore della vostra capitale. Uniti in preghiera con Maria, Madre di Gesù, amorevolmente affidiamo al nostro Padre celeste il Popolo di Dio in ogni parte degli Stati Uniti.

Per le comunità cattoliche di Boston, New York, Filadelfia e Louisville, questo è un anno di celebrazioni particolari, dato che segna il bicentenario dell’erezione di queste Chiese locali a diocesi. Mi unisco a voi nel rendere grazie per i molti celesti doni concessi alla Chiesa in tali luoghi nei trascorsi due secoli. Dato che l’anno corrente segna pure il bicentenario dell’erezione della sede fondatrice, Baltimora, ad arcidiocesi, questo mi offre l’opportunità di ricordare con ammirazione e gratitudine la vita e il ministero di John Carroll, primo vescovo di Baltimora e degno pastore della comunità cattolica nella vostra nazione resasi da poco indipendente. I suoi instancabili sforzi per diffondere il Vangelo nel vasto territorio affidato alle sue cure posero le basi della vita ecclesiale nel vostro paese e permisero alla Chiesa in America di crescere verso la maturazione. Oggi la comunità cattolica che servite è una delle più vaste del mondo ed una delle più influenti. Quanto importante è dunque far sì che la vostra luce brilli di fronte ai vostri concittadini e al mondo "perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5, 16).

Molte delle persone nei confronti delle quali John Carroll e i suoi confratelli vescovi esercitarono il ministero due secoli orsono erano giunte da terre lontane. La diversità della loro provenienza è riflessa nella ricca varietà della vita ecclesiale dell’odierna America. Cari fratelli vescovi, desidero incoraggiare voi e le vostre comunità a continuare ad accogliere gli immigranti che si uniscono alle vostre file oggi, a condividere le loro gioie e speranze, a sostenerli nelle loro sofferenze e prove, e ad aiutarli a prosperare nella loro nuova casa. Questo, d’altra parte, è ciò che fecero i vostri concittadini per generazioni. Sin dagli inizi, essi hanno aperto le porte agli affaticati, ai poveri, alle "masse che si accalcavano alla ricerca di respirare nella libertà" (cfr il sonetto inciso sulla Statua della Libertà). Queste erano le persone che l’America ha fatto proprie.

Fra quanti vennero qui per costruirsi una nuova vita, molti furono capaci di far buon uso delle risorse e delle opportunità che vi trovarono, e di raggiungere un alto livello di prosperità. In verità, i cittadini di questo paese sono conosciuti per la loro grande vitalità e creatività. Essi sono pure conosciuti per la loro generosità. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, nel settembre del 2001, ed ancora dopo l’uragano Katrina nel 2005, gli americani hanno mostrato la loro prontezza a venire in aiuto dei loro fratelli e sorelle che erano nel bisogno. A livello internazionale, il contributo offerto dal popolo d’America alle operazioni di soccorso e di salvataggio dopo lo tsunami del dicembre del 2004 è un’ulteriore dimostrazione di tale compassione. Permettetemi di esprimere particolare apprezzamento per le innumerevoli forme di assistenza umanitaria offerta dai cattolici americani attraverso le Caritas cattoliche ed altre agenzie. La loro generosità ha dato frutti nell’attenzione verso i poveri e i bisognosi, come pure nell’energia manifestata nella costruzione della rete nazionale di parrocchie cattoliche, di ospedali, scuole e università. Tutto ciò offre solido motivo per rendere grazie.

L’America è anche una terra di grande fede. La vostra gente è ben conosciuta per il fervore religioso ed è fiera di appartenere ad una comunità orante. Ha fiducia in Dio e non esita ad introdurre nei discorsi pubblici ragioni morali radicate nella fede biblica. Il rispetto per la libertà di religione è profondamente radicato nella coscienza americana, un dato di fatto che ha contribuito a far sì che questo paese attraesse generazioni di immigranti alla ricerca di una casa dove poter liberamente rendere culto a Dio secondo i propri convincimenti religiosi.

In questo contesto, prendo atto volentieri della presenza fra di voi di vescovi da tutte le venerabili Chiese orientali in comunione con il successore di Pietro: li saluto con speciale gioia. Cari fratelli, vi chiedo di rassicurare le vostre comunità del mio profondo affetto e dell’incessante preghiera, sia per loro come pure per i molti fratelli e sorelle rimasti nella loro terra d’origine. La vostra presenza in questo paese è memoria della coraggiosa testimonianza per Cristo di tanti membri delle vostre comunità, spesso tra le sofferenze, nelle rispettive patrie. Ciò è anche un grande arricchimento per la vita ecclesiale in America, poiché offre una vivida espressione della cattolicità della Chiesa e della varietà delle sue tradizioni liturgiche e spirituali.

È in questo suolo fertile, nutrito da così numerose differenti fonti, che voi, venerati fratelli nell’episcopato, siete chiamati oggi a spargere la semente del Vangelo. Questo mi conduce a domandarmi come, nel ventunesimo secolo, un vescovo possa adempiere al meglio alla chiamata di "fare nuova ogni cosa in Cristo, nostra speranza"? Come può egli condurre il suo popolo "all’incontro con il Dio vivente", sorgente di quella speranza che trasforma la vita di cui parla il Vangelo? (cfr "Spe salvi", 4). Forse egli ha bisogno anzitutto di abbattere alcune barriere che impediscono tale incontro. Anche se è vero che questo paese è contrassegnato da un genuino spirito religioso, la sottile influenza del secolarismo può tuttavia segnare il modo in cui le persone permettono che la fede influenzi i propri comportamenti. È forse coerente professare la nostra fede in chiesa alla domenica e poi, lungo la settimana, promuovere pratiche di affari o procedure mediche contrarie a tale fede? È forse coerente per cattolici praticanti ignorare o sfruttare i poveri e gli emarginati, promuovere comportamenti sessuali contrari all’insegnamento morale cattolico, o adottare posizioni che contraddicono il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale? Occorre resistere ad ogni tendenza a considerare la religione come un fatto privato. Solo quando la fede permea ogni aspetto della vita, i cristiani diventano davvero aperti alla potenza trasformatrice del Vangelo.

Per una società ricca, un ulteriore ostacolo ad un incontro con il Dio vivente sta nella sottile influenza del materialismo, che può purtroppo molto facilmente concentrare l’attenzione sul "cento volte tanto" promesso da Dio in questa vita, a spese della vita eterna che egli promette per il tempo che verrà (Mc 10,30). Le persone hanno oggi bisogno di essere richiamate allo scopo ultimo dell’esistenza. Hanno bisogno di riconoscere che dentro di loro vi è una profonda sete di Dio. Hanno bisogno di avere l’opportunità di attingere al pozzo del suo amore infinito. È facile essere ammaliati dalle possibilità quasi illimitate che la scienza e la tecnica ci offrono; è facile compiere l’errore di pensare di poter ottenere con i nostri propri sforzi l’adempimento dei bisogni più profondi. Questa è un’illusione. Senza Dio, il quale ci dona ciò che da soli non possiamo raggiungere (cfr "Spe salvi", 31), le nostre vite sono in definitiva vuote. Le persone hanno bisogno di essere continuamente richiamate a coltivare una relazione con lui, che è venuto affinché avessimo la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Lo scopo di ogni nostra attività pastorale e catechetica, l’oggetto della nostra predicazione, il centro stesso del nostro ministero sacramentale deve esser quello di aiutare le persone a stabilire ed alimentare una simile relazione vitale con "Cristo Gesù, nostra speranza" (1 Tm 1,1).

In una società che dà molto valore alla libertà personale e all’autonomia, è facile perdere di vista la nostra dipendenza dagli altri, come pure le responsabilità che noi abbiamo nei loro confronti. Questa accentuazione dell’individualismo ha influenzato persino la Chiesa (cfr Spe salvi, 13-15), dando origine ad una forma di pietà che talvolta sottolinea il nostro rapporto privato con Dio a scapito della chiamata ad esser membri di una comunità redenta. Eppure sin dall’inizio, Dio vide che "non è bene che l’uomo sia solo" (Gn 2,18). Siamo stati creati come esseri sociali che trovano compimento soltanto nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Se vogliamo veramente tenere fisso lo sguardo su di lui, sorgente della nostra gioia, dobbiamo farlo come membri del Popolo di Dio (cfr Spe salvi, 14). Se ciò sembrasse andar contro la cultura odierna, sarebbe semplicemente un’ulteriore prova dell’urgente necessità di una rinnovata evangelizzazione della cultura.

Qui in America siete stati benedetti con un laicato cattolico di considerevole varietà culturale, che pone i propri multiformi doni al servizio della Chiesa e della società in generale. Esso guarda a voi per ricevere incoraggiamento, guida e indirizzo. In un’epoca satura di informazioni, l’importanza di offrire una solida formazione della fede non rischia di essere sopravalutata. I cattolici americani hanno riservato per tradizione un alto valore all’educazione religiosa, sia nelle scuole che nell’insieme dei programmi di formazione per adulti: occorre mantenere ed espandere. I numerosi uomini e donne che generosamente si dedicano alle opere caritative devono essere aiutati a rinnovare il loro impegno mediante una "formazione del cuore": un "incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore ed apra il loro animo agli altri" ("Deus caritas est", 31). In un’epoca in cui i progressi nelle scienze mediche portano nuova speranza a molti, possono essere suscitate sfide etiche in antecedenza inimmaginabili. Ciò rende più importante che mai assicurare una solida formazione negli insegnamenti morali della Chiesa a quei cattolici che sono impegnati nella sfera della salute. Una saggia guida è necessaria in tutti questi campi di apostolato, perché possano portare frutti abbondanti. Se essi vogliono veramente promuovere il bene integrale della persona, devono essi stessi essere resi nuovi in Cristo nostra speranza.

Quali annunciatori del Vangelo e guide della comunità cattolica, voi siete chiamati anche a partecipare allo scambio di idee nella pubblica arena, per aiutare a modellare atteggiamenti culturali adeguati. In un contesto in cui la libertà di parola è apprezzata e un dibattito robusto ed onesto viene incoraggiato, la vostra è una voce rispettata che molto ha da offrire alla discussione sulle questioni sociali e morali dell’attualità. Nel far sì che il Vangelo venga udito in modo chiaro, voi non soltanto formate le persone della vostra comunità, ma, nell’ambito della più vasta platea della comunicazione di massa, aiutate a diffondere il messaggio della speranza cristiana in tutto il mondo.

L’influenza della Chiesa nel pubblico dibattito, è chiaro, si effettua a molti livelli diversi. Negli Stati Uniti, come altrove, vi sono attualmente molte leggi già in vigore o in discussione che suscitano preoccupazione dal punto di vista della moralità e la comunità cattolica, sotto la vostra guida, deve offrire una testimonianza chiara ed unitaria su tali materie. Ancor più importante, tuttavia, è l’apertura graduale delle menti e dei cuori della comunità più ampia alla verità morale: qui c’è ancora molto da fare. In questo ambito è cruciale il ruolo dei fedeli laici nell’agire come "lievito" nella società. Tuttavia, non si deve dare per scontato che tutti i cittadini cattolici pensino secondo l’insegnamento della Chiesa circa le questioni etiche fondamentali di oggi. Ancora una volta è vostro dovere far sì che la formazione morale offerta ad ogni livello della vita ecclesiale rifletta l’autentico insegnamento del Vangelo della vita.

A tale proposito, un argomento di profonda preoccupazione per noi tutti è la situazione della famiglia all’interno della società. È vero: il cardinale George ha prima ricordato come voi abbiate posto il rafforzamento del matrimonio e della vita familiare fra le priorità della vostra attenzione nei prossimi anni. Nel Messaggio di quest’anno per la Giornata Mondiale per la Pace, ho parlato del contributo essenziale che una vita familiare sana offre alla pace entro e fra le nazioni. Nella casa della famiglia sperimentiamo "alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo" (n. 3). La famiglia è inoltre il luogo primario dell’evangelizzazione, nella trasmissione della fede, nell’aiutare i giovani ad apprezzare l’importanza della pratica religiosa e dell’osservanza della domenica. Come non essere sconcertati nell’osservare il rapido declino della famiglia quale elemento basilare della Chiesa e della società? Il divorzio e l’infedeltà sono in aumento, e molti giovani uomini e donne scelgono di ritardare il matrimonio o addirittura di ignorarlo completamente. Per alcuni giovani cattolici il vincolo sacramentale del matrimonio appare scarsamente distinguibile da un legame civile, o è percepito addirittura come un semplice accordo per vivere con un’altra persona in modo informale e senza stabilità. In conseguenza si vede un allarmante decremento di matrimoni cattolici negli Stati Uniti insieme ad un aumento di coabitazioni, nelle quali il reciproco donarsi degli sposi al modo di Cristo, mediante il sigillo di una pubblica promessa di vivere le esigenze di un impegno indissolubile per l’intera esistenza, è semplicemente assente. In tali circostanze viene negato ai figli l’ambiente sicuro di cui hanno bisogno per crescere come esseri umani, e vengono pure negati alla società quegli stabili pilastri che sono necessari, se si vuole mantenere la coesione e il centro morale della comunità.

Come il mio predecessore, il papa Giovanni Paolo II, insegnava, "il primo responsabile della pastorale familiare nella diocesi è il Vescovo. Egli deve consacrare interessamento, sollecitudine, tempo, personale, risorse; soprattutto, però, appoggio personale alle famiglie ed a quanti lo aiutano nella pastorale della famiglia" ("Familiaris consortio", 73). È vostro compito proclamare con forza gli argomenti di fede e ragione che parlano dell’istituto del matrimonio, compreso come impegno per la vita fra un uomo e una donna, aperto alla trasmissione della vita. Tale messaggio dovrebbe risuonare di fronte alle persone di oggi, poiché è essenzialmente un "sì" incondizionato e senza riserve alla vita, un "sì" all’amore e un "sì" alle aspirazioni del cuore della nostra comune umanità, mentre ci sforziamo di portare a compimento il nostro profondo desiderio di intimità con gli altri e con il Signore.

Fra i segni contrari al Vangelo della vita che si possono trovare in America, ma anche altrove, ve n’è uno che causa profonda vergogna: l’abuso sessuale dei minori. Molti di voi mi hanno parlato dell’enorme dolore che le vostre comunità hanno sofferto quando uomini di Chiesa hanno tradito i loro obblighi e compiti sacerdotali con un simile comportamento gravemente immorale. Mentre cercate di eliminare questo male ovunque esso capiti, siate sicuri del sostegno orante del Popolo di Dio in tutto il mondo. Giustamente voi date priorità alla manifestazione di compassione e sostegno alle vittime: è responsabilità che vi viene da Dio, quali Pastori, quella di fasciare le ferite causate da ogni violazione della fiducia, di favorire la guarigione, di promuovere la riconciliazione e di accostare con amorevole preoccupazione quanti sono stati così seriamente danneggiati.

La risposta a simile situazione non è stata facile e, come indicato dal presidente della vostra conferenza episcopale, è stata "talvolta gestita in pessimo modo". Ora che la dimensione e la gravità del problema sono compresi più chiaramente, avete potuto adottare misure di rimedio e disciplinari più adeguate e promuovere un ambiente sicuro che offre maggiore protezione ai giovani. Mentre si deve ricordare che la stragrande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi in America svolgono un’eccellente opera nel recare il messaggio liberante del Vangelo alle persone affidate alle loro premure pastorali, è di vitale importanza che i soggetti vulnerabili siano sempre protetti da quanti potrebbero causare ferite. A tale proposito, i vostri sforzi per alleviare e proteggere stanno portando grande frutto non soltanto nei confronti di quanti sono posti direttamente sotto la vostra cura pastorale, ma anche dell’intera società.

Se vogliamo che raggiungano il loro pieno scopo, tuttavia, occorre che le misure e le strategie da voi adottate siano poste in un contesto più ampio. I bambini hanno diritto di crescere con una sana comprensione della sessualità e il ruolo che le è proprio nelle relazioni umane. Ad essi dovrebbero essere risparmiate le manifestazioni degradanti e la volgare manipolazione della sessualità oggi così prevalente; essi hanno il diritto di essere educati negli autentici valori morali radicati nella dignità della persona umana. Ciò ci riporta alla considerazione sulla centralità della famiglia e sulla necessità di promuovere il Vangelo della vita. Che cosa significa parlare della protezione dei bimbi quando la pornografia e la violenza possono essere guardate in così tante case attraverso i mass media ampiamente disponibili oggi? Dobbiamo con urgenza riaffermare i valori che sorreggono la società, così da offrire a giovani e adulti una solida formazione morale. Tutti hanno un ruolo da svolgere in tale compito, non solo i genitori, le guide religiose, gli insegnanti e i catechisti, ma anche l’informazione e l’industria dell’intrattenimento. Sì, ogni membro della società può contribuire a questo rinnovamento morale e trarre beneficio da esso. Prendersi cura davvero dei giovani e del futuro della nostra civiltà significa riconoscere la nostra responsabilità di promuovere e di vivere quegli autentici valori morali che soli rendono capace la persona umana di prosperare. È vostro compito di pastori che hanno come modello Cristo, il Buon Pastore, di proclamare in modo forte e chiaro tale messaggio e di affrontare pertanto il peccato d’abuso entro il più vasto contesto dei comportamenti sessuali. Inoltre, nel riconoscere il problema e nell’affrontarlo quando accade in un contesto ecclesiale, voi potete offrire un orientamento agli altri, dato che questa piaga si trova non solo dentro le vostre diocesi, ma in ogni settore della società. Essa esige una risposta determinata e collettiva.

Pure i sacerdoti hanno bisogno della vostra guida e della vostra vicinanza durante questo tempo difficile. Essi hanno sperimentato la vergogna per ciò che è accaduto e molti di loro percepiscono di avere perduto parte di quella fiducia che una volta avevano. Non sono pochi quelli che sperimentano una vicinanza a Cristo nella sua passione, mentre si sforzano di affrontare le conseguenze della crisi presente. Il vescovo, come padre, fratello e amico dei suoi sacerdoti, li può aiutare a trarre frutto spirituale da questa unione con Cristo, rendendoli consci della consolante presenza del Signore nel mezzo delle loro sofferenze, ed incoraggiandoli a camminare con il Signore nel sentiero della speranza (cfr "Spe salvi", 39). Come osservava il papa Giovanni Paolo II sei anni orsono, "dobbiamo aver fiducia che questo tempo di prova porterà una purificazione dell’intera comunità cattolica", che condurrà "ad un sacerdozio più santo, ad un episcopato più santo e ad una Chiesa più santa" (Messaggio ai cardinali degli Stati Uniti, 23 aprile 2002, 4). Vi sono molti segni che, nel periodo successivo, una tale purificazione ha davvero avuto luogo. La costante presenza di Cristo nel mezzo delle nostre sofferenze sta gradualmente trasformando le nostre tenebre in luce: ogni cosa viene fatta nuova veramente in Cristo Gesù, nostra speranza.

In questo momento parte vitale del vostro compito è di rafforzare i rapporti con i vostri sacerdoti, specialmente in quei casi in cui è sorta tensione fra preti e Vescovi in conseguenza della crisi. È importante che continuiate a dimostrare nei loro confronti la vostra preoccupazione, il vostro sostegno e la vostra guida attraverso l’esempio. Così di certo li aiuterete ad incontrare il Dio vivente e li orienterete verso quella speranza che trasforma l’esistenza della quale parla il Vangelo. Se voi stessi vivrete in un modo che si configura strettamente a Cristo, il Buon Pastore, che diede la vita per le sue pecore, ispirerete i vostri fratelli sacerdoti a dedicarsi nuovamente al servizio del gregge con la generosità che caratterizzò Cristo. In verità, una concentrazione più chiara sull’imitazione di Cristo nella santità di vita è ciò che abbisogna, se vogliamo andare avanti. Dobbiamo riscoprire la gioia di vivere un’esistenza incentrata su Cristo, coltivando le virtù ed immergendoci nella preghiera. Quando i fedeli sanno che il loro pastore è uomo che prega e dedica la propria vita al loro servizio, rispondono con quel calore ed affetto che nutre e sostiene la vita dell’intera comunità.

Il tempo trascorso nella preghiera non è mai gettato via, per quanto siano importanti i doveri che ci pressano da ogni dove. L’adorazione di Cristo nostro Signore nel Santissimo Sacramento prolunga ed intensifica quell’unione a lui che si costituisce mediante la celebrazione eucaristica (cfr "Sacramentum caritatis", 66). La contemplazione dei misteri del Rosario sprigiona tutta la loro forza salvifica conformandoci, unendoci e consacrandoci a Gesù Cristo (cfr "Rosarium Virginis Mariae", 11.15). La fedeltà alla Liturgia delle Ore assicura che l’intero nostro giorno sia santificato, ricordandoci continuamente la necessità di restare concentrati nel compiere l’opera di Dio, nonostante tutte le urgenze o le distrazioni che possono sorgere nei confronti degli obblighi da compiere. In tale maniera, la devozione ci aiuta a parlare e ad agire "in persona Christi", ad insegnare, governare e santificare i fedeli nel nome di Gesù, recando la sua riconciliazione, la sua guarigione ed il suo amore a tutti i suoi amati fratelli e sorelle. Questa radicale configurazione a Cristo Buon Pastore è al centro del nostro ministero pastorale e se apriamo noi stessi, mediante la preghiera, alla potenza dello Spirito, Egli ci elargirà i doni di cui abbiamo bisogno per compiere il nostro formidabile dovere, tanto da non dover mai preoccuparci "di come o di che cosa parlare" (Mt 10,19).

Nel concludere questo mio discorso rivolto a voi questa sera, affido in maniera tutta particolare la Chiesa che è nel vostro Paese alla materna sollecitudine e all’intercessione di Maria Immacolata, Patrona degli Stati Uniti. Possa lei, che ha portato nel proprio grembo la speranza di tutte le nazioni, intercedere per il popolo di questa nazione, affinché tutti siano resi nuovi in Cristo Gesù, il Figlio suo. Cari fratelli vescovi, assicuro a ciascuno di voi qui presente la mia profonda amicizia e la mia partecipazione alle vostre preoccupazioni pastorali. A voi tutti, al clero, ai religiosi ed ai fedeli laici imparto cordialmente la benedizione apostolica, pegno di gioia e di pace in Cristo Risorto.

I vescovi domandano, il papa risponde

D. – Santo Padre, come valuta la crescente sfida del secolarismo nella vita pubblica e del relativismo nella vita intellettuale? Come suggerisce di affrontare tali sfide, per una evangelizzazione più efficace?

R. – Ho affrontato brevemente questo tema nel mio discorso. Ritengo significativo il fatto che qui in America, a differenza di molti luoghi in Europa, la mentalità secolare non si è posta come intrinsecamente opposta alla religione. All’interno del contesto della separazione fra Chiesa e Stato, la società americana è sempre stata segnata da un fondamentale rispetto della religione e del suo ruolo pubblico e, se si vuol dar credito ai sondaggi, il popolo americano è profondamente religioso. Ma non è sufficiente contare su questa religiosità tradizionale e comportarsi come se tutto fosse normale, mentre i suoi fondamenti vengono lentamente erosi. Un impegno serio nel campo dell’evangelizzazione non può prescindere da una diagnosi profonda delle sfide reali che il Vangelo ha di fronte nella cultura contemporanea americana.

Naturalmente, ciò che è essenziale è una corretta comprensione della giusta autonomia dell’ordine secolare, un’autonomia che non può essere disgiunta da Dio Creatore e dal suo piano di salvezza (cfr "Gaudium et spes", 36). Forse il tipo di secolarismo dell’America pone un problema particolare: mentre permette di credere in Dio e rispetta il ruolo pubblico della religione e delle Chiese, sottilmente tuttavia riduce la credenza religiosa al minimo comune denominatore. La fede diviene accettazione passiva che certe cose "là fuori" sono vere, ma senza rilevanza pratica per la vita quotidiana. Il risultato è una crescente separazione della fede dalla vita: il vivere "come se Dio non esistesse". Ciò è aggravato da un approccio individualistico ed eclettico alla fede e alla religione: lungi dall’approccio cattolico del "pensare con la Chiesa", ogni persona crede di avere un diritto di individuare e scegliere, mantenendo i vincoli sociali ma senza una conversione integrale, interiore alla legge di Cristo. Di conseguenza, piuttosto che essere trasformati e rinnovati nell’animo, i cristiani sono facilmente tentati di conformarsi allo spirito del secolo (cfr Rm 12,2). L’abbiamo constatato in maniera acuta nello scandalo dato da cattolici che promuovono un presunto diritto all’aborto.

A un livello più profondo, il secolarismo sfida la Chiesa a riaffermare e a perseguire ancor più attivamente la sua missione nel e al mondo. Come è stato reso chiaro dal Concilio, i laici a questo riguardo hanno una responsabilità particolare. Sono convinto che ciò di cui vi è bisogno sia un maggior senso del rapporto intrinseco fra il Vangelo e la legge naturale da una parte, e il perseguimento dall’altra dell’autentico bene umano, come viene incarnato nella legge civile e nelle decisioni morali personali. In una società che giustamente tiene in alta considerazione la libertà personale, la Chiesa deve promuovere ad ogni livello i suoi insegnamenti – nella catechesi, nella predicazione, nell’istruzione seminaristica ed universitaria – un’apologetica tesa ad affermare la verità della rivelazione cristiana, l’armonia tra fede e ragione, ed una sana comprensione della libertà, vista in termini positivi come liberazione sia dalle limitazioni del peccato che per una vita autentica e piena. In una parola, il Vangelo dev’esser predicato ed insegnato come un modo di vita integrale, che offre una risposta attraente e veritiera, intellettualmente e praticamente, ai problemi umani reali. La "dittatura del relativismo", alla fin fine, non è nient’altro che una minaccia alla libertà umana, la quale matura soltanto nella generosità e nella fedeltà alla verità.

Si potrebbe dire molto di più, naturalmente, su questo argomento: lasciatemi concludere, tuttavia, dicendo che io credo che la Chiesa in America, in questo preciso momento della sua storia, ha di fronte a sé la sfida di ritrovare la visione cattolica della realtà e di presentarla in maniera coinvolgente e con fantasia ad una società che fornisce ogni genere di ricette per l’auto realizzazione umana. Penso in particolare al nostro bisogno di parlare al cuore dei giovani, i quali, nonostante la costante esposizione a messaggi contrari al Vangelo, continuano ad aver sete di autenticità, di bontà, di verità. Molto resta ancora da fare a livello della predicazione e della catechesi nelle parrocchie e nelle scuole, se si vuole che l’evangelizzazione rechi frutto per il rinnovamento della vita ecclesiale in America.


D. – Santo Padre, come giudica il silenzioso abbandono di tanti cattolici dalla pratica della fede, dalla partecipazione alla messa e dall’identificazione con la Chiesa?

R. – Certamente molto di tutto ciò dipende dal progressivo ridursi di una cultura religiosa, talvolta paragonata in modo dispregiativo ad un "ghetto", che potrebbe rafforzare la partecipazione e l’identificazione con la Chiesa. Come ho appena detto, una delle grandi sfide che stanno di fronte alla Chiesa in questo paese è quella di coltivare un’identità cattolica basata non tanto su elementi esterni, quanto piuttosto su un modo di pensare e di agire radicato nel Vangelo ed arricchito in base alla tradizione vivente della Chiesa.

Il tema coinvolge chiaramente fattori come l’individualismo religioso e lo scandalo. Ma andiamo al cuore della questione: la fede non può sopravvivere se non è nutrita, se non "opera per mezzo della carità" (Gal 5,6). La gente ha oggi difficoltà ad incontrare Dio nelle nostre chiese? La nostra predicazione ha forse perso il proprio sale? Non potrebbe ciò essere dovuto al fatto che molti hanno dimenticato, o addirittura mai imparato, come pregare nella e con la Chiesa?

Non parlo qui di persone che lasciano la Chiesa alla ricerca di "esperienze" religiose soggettive; questo è un tema pastorale da affrontare nei termini propri. Penso che stiamo parlando di persone che sono cadute fuori strada senza aver coscientemente rigettato la fede in Cristo, ma che, per una qualche ragione, non hanno ricevuto forza vitale dalla liturgia, dai sacramenti, dalla predicazione. Eppure la fede cristiana, come sappiamo, è essenzialmente ecclesiale, e senza un vincolo vivo con la comunità, la fede dell’individuo non crescerà mai sino a maturità. Per tornare alla questione appena discussa: il risultato può essere un’apostasia silenziosa.

Lasciatemi perciò fare due brevi osservazioni sul problema del "processo di abbandono", che spero stimoleranno ulteriori riflessioni.

Per prima cosa, come sapete, diviene sempre più difficile nelle società occidentali parlare in maniera sensata di "salvezza". Eppure la salvezza – la liberazione dalla realtà del male e il dono di una vita nuova e libera in Cristo – è al cuore stesso del Vangelo. Dobbiamo riscoprire, come ho già detto, modi nuovi e avvincenti per proclamare questo messaggio e risvegliare una sete di quella pienezza che soltanto Cristo può dare. È nella liturgia della Chiesa, e soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, che queste realtà vengono manifestate nel modo più potente e vengono vissute nell’esistenza dei credenti; forse abbiamo ancora molto da fare per realizzare la visione del Concilio circa la liturgia, come esercizio del sacerdozio comune e come slancio per un fruttuoso apostolato nel mondo.

In secondo luogo, dobbiamo riconoscere con preoccupazione la quasi completa eclissi di un senso escatologico in molte delle nostre società tradizionalmente cristiane. Come sapete, ho sollevato tale problema nell’enciclica Spe salvi. Basti dire che fede e speranza non sono limitate a questo mondo: come virtù teologali esse ci uniscono al Signore e ci portano verso il compimento non soltanto del nostro destino ma anche di quello di tutta la creazione. La fede e la speranza sono l’ispirazione e la base dei nostri sforzi per prepararci alla venuta del Regno di Dio. Nel cristianesimo non vi può essere posto per una religione puramente privata: Cristo è il Salvatore del mondo e, quali membra del suo Corpo e partecipi dei suoi munera profetico, sacerdotale e regale, non possiamo separare il nostro amore per Lui dall’impegno dell’edificazione della Chiesa e dell’ampliamento del Regno. Nella misura in cui la religione diventa un affare puramente privato, essa perde la sua stessa anima.

Lasciatemi concludere, affermando l’ovvio. I campi sono a tutt’oggi pronti per la mietitura (cfr Gv 4,35); Dio continua a far crescere la messe (cfr 1 Cor 3,6). Possiamo e dobbiamo credere, insieme col defunto papa Giovanni Paolo II, che Dio sta preparando una nuova primavera per la cristianità (cfr Redemptoris missio, 86). Ciò di cui c’è maggior bisogno, in questo specifico tempo della storia della Chiesa in America, è il rinnovamento di quello zelo apostolico che ispiri i suoi pastori in maniera attiva a cercare gli smarriti, a fasciare quanti sono stati feriti e a rafforzare i deboli (cfr Ez 34,16). E ciò, come ho detto, esige nuovi modi di pensare basati su una sana diagnosi delle sfide odierne ed un impegno per l’unità nel servizio alla missione della Chiesa verso le generazioni presenti.


D. – Santo Padre, come valuta il declino delle vocazioni, nonostante le qualità personali e la sete di santità dei candidati che decidono di proseguire?

R. – Siamo sinceri: la capacità di coltivare le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa è un segno sicuro della salute di una Chiesa locale. Non c’è spazio per alcun compiacimento a questo riguardo. Dio continua a chiamare i giovani, ma spetta a noi incoraggiare una risposta generosa e libera a quella chiamata. D’altra parte, nessuno di noi può prendere tale grazia come scontata.

Nel Vangelo, Gesù ci dice di pregare perché il Signore della messe mandi operai; egli ammette pure che gli operai sono pochi al confronto dell’abbondanza della messe (cfr Mt 9,37-38). Sembrerà strano, ma io spesso penso che la preghiera – l’unum necessarium – è l’unico aspetto delle vocazioni che sia efficace e noi tendiamo spesso a dimenticarlo o a sottovalutarlo!

Non parlo soltanto di preghiera per le vocazioni. La preghiera stessa, nata nelle famiglie cattoliche, nutrita da programmi di formazione cristiana, rafforzata dalla grazia dei sacramenti, è il mezzo principale mediante il quale veniamo a conoscere la volontà di Dio per la nostra vita. Nella misura in cui insegniamo ai giovani a pregare, e a pregare bene, noi cooperiamo alla chiamata di Dio. I programmi, i piani e i progetti hanno il loro posto, ma il discernimento di una vocazione è anzitutto il frutto di dialogo intimo fra il Signore e i suoi discepoli. I giovani, se sanno pregare, possono essere fiduciosi di sapere che cosa fare della chiamata di Dio.

È stato notato che vi è una sete crescente di santità in molti giovani oggi e che, anche se in numero sempre minore, quanti vanno avanti dimostrano un grande idealismo e offrono molte promesse. È importante ascoltarli, comprendere le loro esperienze ed incoraggiarli ad aiutare i coetanei a vedere il bisogno di sacerdoti e religiosi impegnati, come pure a vedere la bellezza di una vita di sacrificio e di servizio al Signore e alla sua Chiesa. A mio giudizio, molto è richiesto ai direttori e formatori delle vocazioni: ai candidati, oggi più che mai, bisogna offrire una sana formazione intellettuale e umana che li ponga in grado non soltanto di rispondere alle domande reali e ai bisogni dei contemporanei, ma anche di maturare nella loro conversione e di perseverare nella vocazione attraverso un impegno che duri per la vita intera. Quali vescovi, siete coscienti del sacrificio che viene richiesto quando vi domandano di sollevare dagli impegni uno dei vostri preti migliori per lavorare in seminario. Vi esorto a rispondere con generosità per il bene della Chiesa intera.

Da ultimo, penso che sappiate per esperienza che molti dei vostri fratelli sacerdoti sono felici nella loro vocazione. Ciò che dissi nel mio discorso sull’importanza dell’unità e della collaborazione con il presbiterio si applica anche in questo campo. Vi è la necessità per tutti noi di lasciare le sterili divisioni, i disaccordi e i preconcetti e di ascoltare insieme la voce dello Spirito che guida la Chiesa verso un futuro di speranza. Ciascuno di noi sa quanto importante è stata la fraternità sacerdotale nella propria vita; essa non è soltanto un possesso prezioso, ma anche una risorsa immensa per il rinnovamento del sacerdozio e la crescita di nuove vocazioni. Desidero concludere incoraggiandovi a creare opportunità di un dialogo ancora maggiore e di incontri fraterni fra i vostri sacerdoti, specialmente quelli giovani. Sono convinto che ciò porterà frutto per il loro arricchimento, per l’aumento del loro amore al sacerdozio e alla Chiesa, come pure per l’efficacia del loro apostolato.

Con queste poche osservazioni, vi incoraggio ancora una volta nel vostro ministero nei confronti dei fedeli affidati alle vostre premure pastorali e vi affido all’amorevole intercessione di Maria Immacolata, Madre della Chiesa.

Terzo giorno del papa negli USA.
Con gli educatori cattolici, le altre religioni, gli ebrei

A proposito di dialogo interreligioso, Benedetto XVI dice che l'obiettivo maggiore non è la pace, ma "scoprire la verità". Che è Gesù. Il quale disse che "la salvezza viene dai giudei". Fuori programma, l'incontro con alcune vittime degli abusi sessuali .

di Sandro Magister

ROMA, 19 aprile 2008 – Nella sua terza giornata trascorsa a Washington Benedetto XVI è tornato per la terza volta sullo scandalo degli abusi sessuali compiuti da preti cattolici su minori.
L'ha fatto nell'omelia della messa celebrata giovedì 17 aprile nel Nationals Stadium, gremito da 46 mila fedeli:

"È nel contesto della speranza nata dall’amore e dalla fedeltà di Dio che io prendo atto del dolore che la Chiesa in America ha provato come conseguenza dell’abuso sessuale di minorenni. Nessuna mia parola potrebbe descrivere il dolore e il danno recati da tale abuso. È importante che a quanti hanno sofferto sia riservata un’amorevole attenzione pastorale. Né posso descrivere in modo adeguato il danno verificatosi all’interno della comunità della Chiesa. Sono già stati fatti grandi sforzi per affrontare in modo onesto e giusto questa tragica situazione e per assicurare che i bambini – che il nostro Signore ama così profondamente (cfr Mc 10,14) e che sono il nostro tesoro più grande – possano crescere in un ambiente sicuro. Queste premure per proteggere i bambini devono continuare. Ieri ho parlato con i vostri vescovi di questa cosa. Oggi incoraggio ognuno di voi a fare quanto gli è possibile per promuovere il risanamento e la riconciliazione e per aiutare quanti sono stati feriti".

Nel pomeriggio dello stesso giorno, nella cappella della nunziatura, il papa ha incontrato un piccolo gruppo di persone vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti. Il gruppo era accompagnato dall'arcivescovo di Boston, cardinale Sean O'Malley. Un comunicato diffuso dalla Santa Sede ha aggiunto che "hanno pregato insieme al Santo Padre, il quale ha ascoltato i loro racconti personali, ha detto loro parole di incoraggiamento e di speranza e li ha assicurati della sua preghiera per le loro intenzioni, per le loro famiglie e per tutte le vittime di abuso sessuale" .

Un altro momento saliente della giornata è stato l'incontro del papa con gli insegnanti delle università e delle scuole cattoliche degli Stati Uniti. Ad essi, Benedetto XVI ha detto che "l’identità cattolica [di una scuola] non dipende dalle statistiche. Neppure può essere semplicemente equiparata con l’ortodossia del contenuto dei corsi. Essa richiede ed ispira molto di più: e cioè che ogni aspetto delle vostre comunità di studio si riverberi nella vita ecclesiale di fede. Solo nella fede, infatti, la verità può farsi incarnata e la ragione veramente umana, capace di dirigere la volontà lungo il sentiero della libertà". Più sotto sono riportati i passaggi chiave dell'importante discorso, che sviluppa temi già enunciati da Benedetto XVI nelle sue memorabili lezioni a Ratisbona e per l'Università di Roma.

Infine, verso sera, il papa ha incontrato circa 200 rappresentanti appartenenti a cinque comunità religiose presenti negli Stati Uniti: ebrei, musulmani, indù, buddisti e giainisti. Ad essi, Benedetto XVI ha detto che il dialogo interreligioso "mira a qualcosa di più di un consenso per far progredire la pace".
L'obiettivo maggiore del dialogo è "quello di scoprire la verità" e tener deste nel cuore di tutti gli uomini le domande più profonde ed essenziali.
Ebbene, ha proseguito Benedetto XVI:
"Messi di fronte a questi interrogativi più profondi riguardanti l'origine e il destino del genere umano, i cristiani propongono Gesù di Nazareth. Egli è – questa è la nostra fede – il Logos eterno, che si è fatto carne per riconciliare l'uomo con Dio e rivelare la ragione che sta alla base di tutte le cose. È Lui che noi portiamo nel forum del dialogo interreligioso. È l'ardente desiderio di seguire le sue orme che spinge i cristiani ad aprire le loro menti e i loro cuori al dialogo".
Ed ha aggiunto:
"Cari amici, nel nostro tentativo di scoprire i punti di comunanza, forse abbiamo evitato la responsabilità di discutere le nostre differenze con calma e chiarezza. [...] Il più importante obiettivo del dialogo interreligioso richiede una chiara esposizione delle nostre rispettive dottrine religiose".
Una conferma speciale di come egli concepisce il dialogo interreligioso Benedetto XVI l'ha data subito dopo, incontrando dei rappresentanti della comunità ebraica, nell'antivigilia della loro celebrazione della Pasqua.
Nel messaggio che ha loro consegnato – rivolto a agli ebrei di tutto il mondo – papa Joseph Ratzinger ha ribadito la prossimità unica che sussiste tra cristiani ed ebrei, entrambi cresciuti sullo stesso ceppo, entrambi "prigionieri della speranza" nella stessa salvezza offerta da Dio.
E ha così proseguito:
"Questo vincolo permette a noi cristiani di celebrare al vostro fianco, anche se in un modo nostro specifico, la Pasqua della morte e della risurrezione di Cristo, che noi consideriamo inseparabile dal vostro, avendo Gesù stesso detto: 'la salvezza viene dai Giudei' (Giovanni 4, 22). La nostra Pasqua e il vostro Pesah, sebbene distinti e differenti, ci uniscono nella comune speranza centrata su Dio e sulla Sua misericordia. Questo ci sprona a cooperare gli uni con gli altri e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà per rendere migliore questo mondo per tutti, in attesa del compimento delle promesse di Dio".
Ecco qui di seguito i passaggi salienti delle parole rivolte dal papa agli insegnanti cattolici, ai rappresentanti delle religioni, agli ebrei.

Agli educatori cattolici
di Benedetto XVI

Washington, Catholic University, giovedì 17 aprile 2008

[...] L’identità di un’università o di una scuola cattolica non è semplicemente una questione di numero di studenti cattolici. È una questione di convinzione. Crediamo noi veramente che solo nel mistero del Verbo fatto carne diventa veramente chiaro il mistero dell’uomo (cfr Gaudium et spes, 22)? Siamo noi veramente pronti ad affidare il nostro intero io – intelletto e volontà, mente e cuore – a Dio? Accettiamo noi la verità che Cristo rivela? Nelle nostre università e scuole la fede è “tangibile”? Le viene data fervida espressione nella liturgia, nei sacramenti, mediante la preghiera, gli atti di carità, la sollecitudine per la giustizia e il rispetto per la creazione di Dio? Solo in questo modo noi rendiamo realmente testimonianza sul senso di chi noi siamo e di ciò che noi sosteniamo.

Da questa prospettiva si può riconoscere che la contemporanea “crisi di verità” è radicata in una “crisi di fede”. Solo mediante la fede noi possiamo dare liberamente il nostro assenso alla testimonianza di Dio e riconoscerlo come il trascendente garante della verità che egli rivela. Ancora una volta, noi vediamo perché il promuovere l’intimità personale con Gesù Cristo e la testimonianza comunitaria alla sua verità che è amore è indispensabile nelle istituzioni formative cattoliche. Di fatto tutti noi vediamo, e osserviamo con preoccupazione, la difficoltà o la riluttanza che molte persone hanno oggi nell’affidare se stesse a Dio. È un fenomeno complesso, questo, sul quale rifletto continuamente. Mentre abbiamo cercato con diligenza di coinvolgere l’intelligenza dei nostri giovani, forse abbiamo trascurato la loro volontà. Di conseguenza, noi osserviamo con ansia che la nozione di libertà viene distorta. La libertà non è facoltà di disimpegno da; è facoltà di impegno per – una partecipazione all’Essere stesso. Di conseguenza, l’autentica libertà non può mai essere raggiunta nell’allontanamento da Dio. Una simile scelta significherebbe ultimamente trascurare la genuina verità di cui abbisogniamo per capire noi stessi. Perciò una particolare responsabilità per ciascuno di voi, e per i vostri colleghi, è di suscitare tra i vostri giovani il desiderio di un atto di fede, incoraggiandoli ad affidarsi alla vita ecclesiale che fluisce da questo atto di fede. È qui che la libertà raggiunge la certezza della verità. Nella scelta di vivere secondo tale verità, noi abbracciamo la pienezza della vita di fede che ci è data nella Chiesa.

Chiaramente, pertanto, l’identità cattolica non dipende dalle statistiche. Neppure può essere semplicemente equiparata con l’ortodossia naturalmente contenuta. Ciò richiede ed ispira molto di più: e cioè che ogni aspetto delle vostre comunità di studio si riverberi nella vita ecclesiale di fede. Solo nella fede la verità può farsi incarnata e la ragione veramente umana, capace di dirigere la volontà lungo il sentiero della libertà (cfr Spe salvi, 23). In questo modo le nostre istituzioni offrono un vitale contributo alla missione della Chiesa e servono efficacemente la società. Esse diventano luoghi in cui l’attiva presenza di Dio negli affari umani è riconosciuta e ogni giovane persona scopre la gioia di entrare nell’”essere per gli altri” di Cristo (cfr ibid., 28).

La missione, primaria nella Chiesa, di evangelizzare, nella quale le istituzioni educative giocano un ruolo cruciale, è in consonanza con l’aspirazione fondamentale della nazione di sviluppare una società veramente degna della dignità della persona umana. A volte, tuttavia, il valore del contributo della Chiesa al forum pubblico è posto in questione. È perciò importante ricordare che la verità della fede e quella della ragione non si contraddicono mai tra loro (cfr Concilio Ecumenico Vaticano I, costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei Filius, IV: DS 3017; S. Agostino, Contra Academicos, III, 20,43). La missione della Chiesa, di fatto, la coinvolge nella lotta che l’umanità sostiene per raggiungere la verità. Nell’esprimere la verità rivelata essa serve tutti i membri della società purificando la ragione, assicurando che essa rimanga aperta alla considerazione delle verità ultime. Attingendo alla divina sapienza, essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica umana, e ricorda a tutti i gruppi nella società che non è la prassi a creare la verità ma è la verità che deve servire come base della prassi. Lungi dal minacciare la tolleranza della legittima diversità, un simile contributo illumina la verità stessa che rende raggiungibile il consenso, ed aiuta a mantenere ragionevole, onesto ed affidabile il pubblico dibattito. Similmente la Chiesa mai si stanca di sostenere le categorie morali essenziali del giusto e dell’ingiusto, senza le quali la speranza può solo appassire, aprendo la strada a freddi calcoli pragmatici utilitaristici che riducono la persona a poco più di una pedina su di un’ideale scacchiera.

Rispetto al forum educativo, la "diakonia", il servizio della verità assume un elevato significato nelle società in cui l’ideologia secolaristica pone un cuneo tra verità e fede. Questa divisione ha portato alla tendenza di eguagliare verità e conoscenza e ad adottare una mentalità positivistica che, rigettando la metafisica, nega i fondamenti della fede e rigetta la necessità di una visione morale. Verità significa di più che conoscenza: conoscere la verità ci porta a scoprire il bene. La verità parla all’individuo nella sua interezza, invitandoci a rispondere con tutto il nostro essere. Questa visione ottimistica è fondata nella nostra fede cristiana, perché in tale fede è donata la visione del Logos, la creatrice Ragione di Dio, che nell’Incarnazione si è rivelata come Divinità essa stessa. Lungi dall’essere solo una comunicazione di dati fattuali – “informativa” – la verità amante del Vangelo è creativa e capace di cambiare la vita, è “performativa” (cfr Spe salvi, 2). Con fiducia gli educatori cristiani possono liberare i giovani dai limiti del positivismo e risvegliare la loro recettività nei confronti della verità, di Dio e della sua bontà. In questo modo voi aiuterete anche a formare la loro coscienza che, arricchita dalla fede, apre un sicuro cammino verso la pace interiore e il rispetto per gli altri.

Non costituisce una sorpresa, tuttavia, se non tanto le nostre stesse comunità ecclesiali ma la società in generale ha intense aspettative di educatori cattolici. Questo pone su di voi una responsabilità e vi offre un’opportunità. Un numero sempre maggiore di persone – in particolare di genitori – riconosce il bisogno di eccellenza nella formazione umana dei loro figli. Come "Mater et Magistra", la Chiesa condivide la loro preoccupazione. Quando nulla aldilà dell’individuo è riconosciuto come definitivo, il criterio ultimo di giudizio diventa l’io e la soddisfazione dei desideri immediati dell’individuo. L’obiettività e la prospettiva, che derivano soltanto dal riconoscimento dell’essenziale dimensione trascendente della persona umana, possono andare perdute. All’interno di un simile orizzonte relativistico gli scopi dell’educazione vengono inevitabilmente ridotti. Lentamente si afferma un abbassamento dei livelli. Osserviamo oggi una certa timidezza di fronte alla categoria del bene e un’inconsulta caccia di novità in passerella come realizzazione della libertà. Siamo testimoni della convinzione che ogni esperienza sia di uguale valore e della riluttanza ad ammettere imperfezioni ed errori. E particolarmente inquietante è la riduzione della preziosa e delicata area dell’educazione sessuale alla gestione del “rischio”, privo di ogni riferimento alla bellezza dell’amore coniugale.

Come possono rispondere gli educatori cristiani? Questi pericolosi sviluppi pongono in evidenza la particolare urgenza di ciò che potremmo chiamare “carità intellettuale”. Questo aspetto della carità chiede all’educatore di riconoscere che la profonda responsabilità di condurre i giovani alla verità non è che un atto di amore. In verità, la dignità dell’educazione risiede nel promuovere la vera perfezione e la gioia di coloro che devono essere guidati. In pratica, la “carità intellettuale” sostiene l’essenziale unità della conoscenza contro la frammentazione che consegue quando la ragione è staccata dal perseguimento della verità. Ciò guida i giovani verso la profonda soddisfazione di esercitare la libertà in relazione alla verità, e ciò spinge a formulare la relazione tra la fede e i vari aspetti della vita familiare e civile. Una volta che la passione per la pienezza e l’unità della verità è stata risvegliata, i giovani sicuramente gusteranno la scoperta che la questione su ciò che essi possono conoscere li apre alla vasta avventura di ciò che essi dovrebbero fare. Qui essi sperimenteranno “in chi” e “in che cosa” è possibile sperare e saranno ispirati a recare il loro contributo alla società in un modo che genera speranza negli altri. [...]

A proposito dei membri delle facoltà nei collegi universitari cattolici, desidero riaffermare il grande valore della libertà accademica. In virtù di questa libertà voi siete chiamati a cercare la verità ovunque l’attenta analisi dell’evidenza vi conduce. Tuttavia è anche il caso di ricordare che ogni appello al principio della libertà accademica per giustificare posizioni che contraddicono la fede e l’insegnamento della Chiesa ostacolerebbe o addirittura tradirebbe l’identità e la missione dell’università, una missione che sta al cuore del munus docendi della Chiesa e non è in qualche modo autonoma o indipendente da essa.

Insegnanti ed amministratori, sia nelle università che nelle scuole, hanno il dovere e il privilegio di assicurare che gli studenti ricevano un’istruzione nella dottrina e nella pratica cattolica. Questo richiede che la testimonianza pubblica al modo d’essere di Cristo, come risulta dal Vangelo ed è proposto dal magistero della Chiesa, modelli ogni aspetto della vita istituzionale sia all’interno che all’esterno delle aule scolastiche. Prendere la distanza da questa visione indebolisce l’identità cattolica e, lungi dal far avanzare la libertà, inevitabilmente conduce alla confusione sia morale che intellettuale e spirituale. [...]

Ai rappresentanti di altre religioni
di Benedetto XVI

Washington, John Paul II Cultural Center, giovedì 17 aprile 2008

[...] La libertà religiosa, il dialogo interreligioso e la fede mirano a qualcosa di più di un consenso volto a individuare vie per attuare strategie concrete per far progredire la pace. L'obiettivo più ampio di dialogo è quello di scoprire la verità. Qual è l'origine e il destino del genere umano? Che cosa sono bene e male? Che cosa ci attende alla fine della nostra esistenza terrena? Solo affrontando queste questioni più profonde potremo costruire una solida base per la pace e la sicurezza della famiglia umana: "dove e quando l'uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace" (Messaggio 2006 per la Giornata Mondiale della Pace, 3).

Viviamo in un'epoca nella quale queste domande sono troppo spesso messe ai margini. Tuttavia, esse non potranno mai essere cancellate dal cuore umano. Nel corso della storia, gli uomini e le donne hanno cercato di collegare la loro inquietudine con questo mondo che passa. Nella tradizione giudaico-cristiana, i Salmi sono pieni di queste espressioni: "In me languisce il mio spirito" (Sal 143,4; cfr Sal 6,7; 31,11; 32,4; 38,8; 77,3); "Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi?" (Sal 42,6). La risposta è sempre di fede: "Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio" (ibidem; cfr Sal 62,6). I leaders spirituali hanno un particolare dovere, e potremmo dire una speciale competenza, a porre in primo piano le domande più profonde alla coscienza umana, a risvegliare l'umanità davanti al mistero dell'esistenza umana, a fare spazio in un mondo frenetico alla riflessione e alla preghiera.

Messi di fronte a questi interrogativi più profondi riguardanti l'origine e il destino del genere umano, i cristiani propongono Gesù di Nazareth. Egli è – questa è la nostra fede – il Logos eterno, che si è fatto carne per riconciliare l'uomo con Dio e rivelare la ragione che sta alla base di tutte le cose. È Lui che noi portiamo nel forum del dialogo interreligioso. L'ardente desiderio di seguire le sue orme spinge i cristiani ad aprire le loro menti e i loro cuori al dialogo (cfr Lc 10, 25-37; Gv 4, 7-26).

Cari amici, nel nostro tentativo di scoprire i punti di comunanza, forse abbiamo evitato la responsabilità di discutere le nostre differenze con calma e chiarezza. Mentre uniamo sempre i nostri cuori e le menti nella ricerca della pace, dobbiamo anche ascoltare con attenzione la voce della verità. In questo modo, il nostro dialogo non si ferma ad individuare un insieme comune di valori, ma si spinge innanzi ad indagare il loro fondamento ultimo. Non abbiamo alcun motivo di temere, perché la verità ci svela il rapporto essenziale tra il mondo e Dio. Siamo in grado di percepire che la pace è un "dono celeste", che ci chiama a conformare la storia umana all’ordine divino. Sta qui la "verità della pace" (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2006). [...]

Agli ebrei
di Benedetto XVI

Messaggio in occasione della festa di Pesah, Washington, giovedì 17 aprile 2008

In occasione della vostra più solenne celebrazione, mi sento a voi particolarmente vicino, proprio per ciò che “Nostra Aetate” invita i cristiani a ricordare sempre: che cioè la Chiesa “ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento tramite quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia si è degnato di stringere l’Antica Alleanza e che si nutre dalla radice del buon ulivo su cui sono stati innestati i rami dell’oleastro dei Gentili” (n. 4). [...]

Al Sèder della Pasqua voi richiamate i santi patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e le sante donne di Israele, Sara, Rebecca, Rachele e Lia, l’inizio della lunga generazione di figli e figlie dell’Alleanza. Con il passare del tempo l’Alleanza assume un valore sempre più universale, quando la promessa fatta ad Abramo prende forma: “Io ti benedirò e renderò grande il tuo nome, e diventerai una benedizione. In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Genesi 12, 2-3). In effetti, secondo il profeta Isaia, la speranza della redenzione si estende all’intera umanità: “Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri" (Isaia 2, 3). In questo orizzonte escatologico viene offerta una reale prospettiva di fraternità universale sul cammino della giustizia e della pace, per preparare la via del Signore (cfr Isaia 62, 10).

Cristiani ed ebrei condividono questa speranza; infatti, noi siamo, effettivamente, come affermano i profeti, “prigionieri della speranza” (Zaccaria 9, 12). Questo vincolo permette a noi cristiani di celebrare al vostro fianco, anche se in un modo nostro specifico, la Pasqua della morte e della risurrezione di Cristo, che noi consideriamo inseparabile dal vostro, avendo Gesù stesso detto: “la salvezza viene dai giudei” (Giovanni 4, 22). La nostra Pasqua e il vostro Pesah, sebbene distinti e differenti, ci uniscono nella comune speranza centrata su Dio e sulla Sua misericordia. Questo ci sprona a cooperare gli uni con gli altri e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà per rendere migliore questo mondo per tutti, in attesa del compimento delle promesse di Dio. [...]


Quarto giorno del papa negli USA.
Benedetto XVI spiega perchè i cristiani sono così divisi

di Sandro Magister

È perché si uniformano al mondo, dice. E invece che predicare la verità oggettiva della fede esortano a scegliere la comunità di proprio gusto. Il discorso chock letto dal papa ai rappresentanti dell'ecumenismo

ROMA, 20 aprile 2008 – L'indiscutibile momento clou della quarta giornata di Benedetto XVI negli Stati Uniti è stato il suo discorso all'assemblea generale delle Nazioni Unite. www.chiesa l'ha immediatamente messo in rete, in quattro lingue, subito dopo che il papa l'aveva pronunciato. Ma nel pomeriggio di quello stesso venerdì 18 aprile, a New York, il papa ha compiuto altri due gesti. Il primo è stato una visita alla sinagoga di Park East, retta dal rabbino Arthur Schneier, alla vigilia della Pasqua ebraica ). Il secondo è stato un incontro ecumenico, nella chiesa di Saint Joseph, con 250 rappresentanti di una decina di confessioni cristiane.

Durante questo incontro, al termine della liturgia della Parola, Benedetto XVI ha rivolto ai presenti un discorso del tutto insolito in simili consessi. Anzi, molto nuovo anche rispetto a precedenti interventi di papa Joseph Ratzinger in tema di ecumenismo. La tesi di Benedetto XVI è che la cristianità è così divisa sia per una reciproca rivalità fatta di "azioni profetiche" che tendono a distinguersi e a dividersi dalla "comunione con la Chiesa di tutti i tempi", sia per "un approccio relativistico alla dottrina cristiana simile a quello che troviamo nelle ideologie secolarizzate".
Così, invece di predicare Gesù Cristo e "questi crocifisso" (1 Cor 2, 2) – cioè "la verità oggettiva" della fede apostolica – molti cristiani delle diverse denominazioni preferiscono esortare a seguire la propria coscienza e a scegliere quella comunità che meglio incontra i propri gusti personali.

A giudizio di Benedetto XVI, tale riluttanza ad asserire la centralità della dottrina "per timore che essa possa soltanto esacerbare piuttosto che curare le ferite della divisione" è presente anche all'interno del movimento ecumenico.
Al contrario, questa è l'invocazione del papa.
"Soltanto 'restando saldi' all’insegnamento sicuro (cfr 2 Ts 2, 15) riusciremo a rispondere alle sfide con cui siamo chiamati a confrontarci in un mondo che cambia. Soltanto così daremo una testimonianza ferma alla verità del Vangelo e al suo insegnamento morale. Questo è il messaggio che il mondo si aspetta di sentire da noi".
Un'invocazione che è tanto più attuale "proprio nel momento il cui il mondo ha smarrito l’orientamento ed ha bisogno di testimonianze comuni e convincenti del potere salvifico del Vangelo (cfr Rm 1, 18-23)".
Ecco qui di seguito i passaggi salienti del discorso del papa:

Sulla frammentazione delle comunità cristiane
di Benedetto XVI

New York, incontro ecumenico nella chiesa di Saint Joseph, venerdì 18 aprile 2008

[...] Troppo spesso i non cristiani, che osservano la frammentazione delle comunità cristiane, restano a ragione confusi circa lo stesso messaggio del Vangelo. Credenze e comportamenti cristiani fondamentali vengono a volte modificati in seno alle comunità da cosiddette "azioni profetiche" fondate su un’ermeneutica non sempre in consonanza con il dato della Scrittura e della Tradizione. Di conseguenza le comunità rinunciano ad agire come un corpo unito, e preferiscono invece operare secondo il principio delle "opzioni locali". In tale processo, si smarrisce da qualche parte il bisogno di una koinonia diacronica – la comunione con la Chiesa di tutti i tempi – proprio nel momento il cui il mondo ha smarrito l’orientamento ed ha bisogno di testimonianze comuni e convincenti del potere salvifico del Vangelo (cfr Rm 1, 18-23).

Di fronte a queste difficoltà, dobbiamo in primo luogo ricordarci che l’unità della Chiesa deriva dalla perfetta unità della Trinità. Il Vangelo di Giovanni ci dice che Gesù ha pregato il Padre perché i suoi discepoli possano essere una cosa sola, "come tu sei in me e io in te" (cfr Gv 17, 21). Questo passo riflette la ferma convinzione della comunità cristiana delle origini che la sua unità era frutto e riflesso dell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ciò, a sua volta, mostra che la coesione reciproca dei credenti era fondata sulla piena integrità della confessione del loro credo (cfr 1 Tm 1, 3-11). In tutto il Nuovo Testamento noi troviamo che gli Apostoli furono ripetutamente chiamati a rendere ragione della loro fede sia ai Gentili (cfr At 17, 16-34) che ai Giudei (cfr At 4, 5-22; 5, 27-42). Il nucleo centrale della loro argomentazione fu sempre il fatto storico della risurrezione corporea del Signore dalla tomba (At 2, 24,32; 3, 15; 4,10; 5,30; 10,40; 13,30). L’efficacia ultima della loro predicazione non dipendeva da "parole ricercate" o da "sapienza umana" (1 Cor 2, 13), ma piuttosto dall’azione dello Spirito (Ef 3, 5) che confermava l’autorevole testimonianza degli Apostoli (cfr 1 Cor 15, 1-11). Il nucleo della predicazione di Paolo e della Chiesa delle origini non era altro che Gesù Cristo, e "questi crocifisso" (1 Cor 2, 2). E questa proclamazione doveva essere garantita dalla purezza della dottrina normativa espressa nelle formule di fede – i simboli – che articolavano l’essenza della fede cristiana e costituivano il fondamento dell’unità dei battezzati (cfr 1 Cor 15,3-5; Gal 1,6-9; Unitatis redintegratio, 2).

Miei cari amici, la forza del kerygma non ha perso nulla del suo interiore dinamismo. Pur tuttavia dobbiamo chiederci se il suo pieno vigore non sia stato attenuato da un approccio relativistico alla dottrina cristiana simile a quello che troviamo nelle ideologie secolarizzate, che, con il sostenere che solo la scienza è "oggettiva", relegano completamente la religione nella sfera soggettiva del sentimento dell’individuo. Le scoperte scientifiche e le loro realizzazioni attraverso l’ingegno umano offrono senza dubbio all’umanità nuove possibilità di miglioramento. Questo non significa, tuttavia, che il "conoscibile" sia limitato a ciò che è empiricamente verificabile, né che la religione sia confinata al regno mutevole della "esperienza personale".

L’accettazione di questa erronea linea di pensiero porterebbe i cristiani a concludere che nella presentazione della fede cristiana non è necessario sottolineare la verità oggettiva, perché non si deve che seguire la propria coscienza e scegliere quella comunità che meglio incontra i propri gusti personali. Il risultato è riscontrabile nella continua proliferazione di comunità che sovente evitano strutture istituzionali e minimizzano l’importanza per la vita cristiana del contenuto dottrinale.

Anche all’interno del movimento ecumenico i cristiani possono mostrarsi riluttanti ad asserire il ruolo della dottrina per timore che esso possa soltanto esacerbare piuttosto che curare le ferite della divisione. Malgrado ciò, una chiara e convincente testimonianza resa alla salvezza operata per noi in Cristo Gesù deve basarsi sulla nozione di un insegnamento apostolico normativo – un insegnamento che davvero sottolinea la parola ispirata di Dio e sostiene la vita sacramentale dei cristiani di oggi.

Soltanto "restando saldi" all’insegnamento sicuro (cfr 2 Ts 2, 15) riusciremo a rispondere alle sfide con cui siamo chiamati a confrontarci in un mondo che cambia. Soltanto così daremo una testimonianza ferma alla verità del Vangelo e al suo insegnamento morale. Questo è il messaggio che il mondo si aspetta di sentire da noi. Così come i primi cristiani, abbiamo la responsabilità di dare una testimonianza trasparente delle "ragioni della nostra speranza", così che gli occhi di tutti gli uomini di buona volontà possano aprirsi per vedere che Dio ha manifestato il suo volto (cfr 2 Cor 3,12-18) e ci ha permesso di accedere alla sua vita divina attraverso Gesù Cristo. Lui solo è la nostra speranza! Dio ha rivelato il suo amore per tutti i popoli attraverso il mistero della passione e morte del suo Figlio, e ci ha chiamati a proclamare che è veramente risorto, si è seduto alla destra del Padre e "di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti" (Credo niceno). [...]

Quinto giorno del papa negli USA.
L'omelia nel cuore di Manhattan e l'incontro con i giovani

Una "nuova Pentecoste della Chiesa in America": è questo il sogno di Benedetto XVI. Per spiegarlo si ispira al "puro stile gotico" della chiesa in cui dice messa. E ai giovani dà questa consegna: seguire l'esempio dei santi
di Sandro Magister


ROMA, 21 aprile 2008 – Il quinto giorno di Benedetto XVI negli Stati Uniti ha avuto due momenti forti: la celebrazione della messa nella cattedrale di Saint Patrick, a New York, e l'incontro con migliaia di ragazzi e ragazze aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa, nel vicino seminario di Saint Joseph.

Delle tre messe pubbliche di Benedetto XVI nel suo viaggio americano, questa è stata l'unica celebrata all'interno di una chiesa. Il fatto è insolito nei viaggi papali, che a motivo dell'accorrere di grandi folle optano quasi sempre per celebrazioni in luoghi aperti. Ma l'eccezione è stata personalmente voluta da papa Joseph Ratzinger. E le ragioni di questa scelta le ha fatte intuire nell'omelia.

Il papa, rivolgendosi ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose che gremivano la chiesa – e che ha voluto presenti alla celebrazione come protagonisti di una invocata "nuova Pentecoste della Chiesa in America" – ha costruito buona parte dell'omelia proprio in riferimento al "puro stile gotico" della storica cattedrale di New York: alle sue vetrate, alla sua architettura, al suo slancio verticale. Da questi elementi architettonici egli ha ricavato l'ispirazione per il rinnovato impegno di conversione e di evangelizzazione che egli ha affidato ai presenti.
In un passaggio dell'omelia, Benedetto XVI ha parlato per la quarta volta della tragedia degli abusi sessuali su minori commessi da uomini di Chiesa, invitando tutti a pregare con lui "affinché questo sia un tempo di purificazione [...] e di guarigione".

E a questo proposito sono trapelati dei particolari sull'incontro avvenuto il 17 aprile, nella cappella della nunziatura di Washington, tra il papa e cinque vittime degli abusi, uomini e donne. Volutamente l'incontro non era stato annunciato e si è svolto al riparo dalle telecamere. Ma alcuni dei presenti hanno poi riferito di essere stati colpiti molto positivamente dal gesto del papa. Uno di essi, Olan Horne, ha detto d'essersi recato all'incontro carico di rancore ma di esserne uscito rasserenato. "La mia speranza oggi è stata rigenerata", ha detto alla Radio Vaticana.
Nel pomeriggio di sabato 19 aprile Benedetto XVI si è poi recato al seminario di Saint Joseph a Yonkers, poco fuori New York, per parlare a migliaia di giovani aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa. Anche questo incontro è stato personalmente imposto dal papa come parte del programma del viaggio.

Ai suoi giovani ascoltatori Benedetto XVI ha dettato un programma di vita cristiana molto impegnativo, senza sconti. E ha dato loro appuntamento a Sydney, in luglio, alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù.
Gli hanno risposto entusiasti. Così come molto calorosa col papa era stata la gente di New York, la mattina, mentre egli percorreva la Quinta Strada, verso la cattedrale di Saint Patrick.
Anche la copertura che i media stanno dando del viaggio papale risulta più favorevole del previsto.
Ecco dunque qui di seguito i passaggi salienti dell'omelia nella cattedrale di Saint Patrick e del discorso ai giovani.

"Una nuova Pentecoste della Chiesa in America"

di Benedetto XVI

New York, omelia della messa nella cattedrale di Saint Patrick, sabato 19 aprile 2008

Cari fratelli e sorelle in Cristo, [...] vorrei richiamare la vostra attenzione su alcuni aspetti di questa bellissima chiesa, che mi sembra possa servire come punto di partenza per una riflessione sulle nostre vocazioni particolari all’interno dell’unità del Corpo mistico.

Il primo aspetto riguarda le finestre con vetrate istoriate che inondano l’ambiente interno di una luce mistica. Viste da fuori, tali finestre appaiono scure, pesanti, addirittura tetre. Ma quando si entra nella chiesa, esse all’improvviso prendono vita; riflettendo la luce che le attraversa rivelano tutto il loro splendore. Molti scrittori – qui in America possiamo pensare a Nathaniel Hawthorne – hanno usato l’immagine dei vetri istoriati per illustrare il mistero della Chiesa stessa. È solo dal di dentro, dall’esperienza di fede e di vita ecclesiale che vediamo la Chiesa così come è veramente: inondata di grazia, splendente di bellezza, adorna dei molteplici doni dello Spirito. Ne consegue che noi, che viviamo la vita di grazia nella comunione della Chiesa, siamo chiamati ad attrarre dentro questo mistero di luce tutta la gente.

Non è un compito facile in un mondo che può essere incline a guardare la Chiesa, come queste finestre istoriate, “dal di fuori”: un mondo che sente profondamente un bisogno di spiritualità, ma trova difficile “entrare nel” mistero della Chiesa. Anche per qualcuno di noi all’interno, la luce della fede può essere attenuata dalla routine e lo splendore della Chiesa essere offuscato dai peccati e dalle debolezze dei suoi membri. [...]

La parola di Dio, tuttavia, ci ricorda che nella fede noi vediamo i cieli aperti e la grazia dello Spirito Santo illuminare la Chiesa e portare una speranza sicura al nostro mondo. “Signore, mio Dio”, canta il salmista, “se mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (Sal 104,30). Queste parole evocano la prima creazione, quando “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn 1,2). Ed esse spingono il nostro sguardo avanti verso la nuova creazione, a Pentecoste, quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli ed instaurò la Chiesa come primizia dell’umanità redenta (cfr Gv 20,22-23). Queste parole ci esortano ad una fede sempre più profonda nella potenza infinita di Dio di trasformare ogni situazione umana, di creare vita dalla morte e di rischiarare anche la notte più buia. E ci fanno pensare ad un’altra bellissima frase di sant’Ireneo: “Dov’è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; dov’è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia” (Adv. Haer. III, 24,1).

Ciò mi conduce ad un'altra riflessione sull’architettura di questa chiesa. Come tutte le cattedrali gotiche, essa è una struttura molto complessa, le cui proporzioni precise ed armoniose simboleggiano l’unità della creazione di Dio. Gli artisti medievali spesso rappresentavano Cristo, la Parola creatrice di Dio, come un “geometra” celeste, col compasso in mano, che ordina il cosmo con infinita sapienza e determinazione. Una simile immagine non ci fa forse venire in mente il nostro bisogno di vedere tutte le cose con gli occhi della fede, per poterle in questo modo comprendere nella loro prospettiva più vera, nell’unità del piano eterno di Dio? Ciò richiede, come sappiamo, una continua conversione e l’impegno di “rinnovarci nello spirito della nostra mente” (cfr Ef 4,23), per acquistare una mentalità nuova e spirituale. Esige anche lo sviluppo di quelle virtù che mettono ciascuno di noi in grado di crescere in santità e di portare frutti spirituali nel proprio stato di vita. Non è forse questa costante conversione “intellettuale” altrettanto necessaria quanto la conversione “morale” per la nostra crescita nella fede, per il nostro discernimento dei segni dei tempi e per il nostro contributo personale alla vita e la missione della Chiesa? [...]

Qui, nel contesto del nostro bisogno di una prospettiva fondata sulla fede e di unità e collaborazione nel lavoro dell’edificazione della Chiesa, vorrei dire una parola circa l’abuso sessuale che ha causato tanta sofferenza. Ho già avuto modo di parlare di questo e del conseguente danno per la comunità dei fedeli. Qui desidero semplicemente assicurare a voi, cari sacerdoti e religiosi, la mia vicinanza spirituale, mentre cercate di rispondere con speranza cristiana alle continue sfide presentate da questa situazione. Mi unisco a voi pregando affinché questo sia un tempo di purificazione per ciascuno e per ogni singola Chiesa e comunità religiosa, sia un tempo di guarigione. Inoltre vi incoraggio a cooperare con i vostri vescovi, che continuano a lavorare efficacemente per risolvere questo problema. Che il Signore Gesù Cristo conceda alla Chiesa in America un rinnovato senso di unità e di decisione, mentre tutti – vescovi, clero, religiosi, religiose e laici – camminano nella speranza e nell’amore vicendevole e per la verità.

Cari amici, queste considerazioni mi conducono ad un’ultima osservazione riguardo a questa grande cattedrale in cui ci troviamo. L’unità di una cattedrale gotica, lo sappiamo, non è l’unità statica di un tempio classico, ma un’unità nata dalla tensione dinamica di forze diverse che spingono l’architettura in alto, orientandola verso il cielo. Anche qui possiamo vedere un simbolo dell’unità della Chiesa che è unità – come san Paolo ci ha detto – di un corpo vivo composto da molte membra diverse, ognuno con il proprio ruolo e la propria determinazione. Anche qui vediamo la necessità di riconoscere e rispettare i doni di ogni singolo membro del corpo come “manifestazioni dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12,7). Certo, nella struttura della Chiesa voluta da Dio occorre distinguere tra i doni gerarchici e quelli carismatici (cfr Lumen gentium, 4). Ma proprio la varietà e la ricchezza delle grazie concesse dallo Spirito ci invitano costantemente a discernere come questi doni debbano essere inseriti in modo giusto nel servizio della missione della Chiesa. [...]

Cari fratelli e sorelle, [...] le punte delle torri della cattedrale di San Patrizio vengono di gran lunga superate dai grattacieli del profilo di Manhattan; tuttavia, nel cuore di questa metropoli indaffarata esse sono un segno vivo che ricorda la costante nostalgia dello spirito umano di elevarsi verso Dio. In questa celebrazione eucaristica vogliamo ringraziare il Signore perché ci permette di riconoscerlo nella comunione della Chiesa e di collaborare con Lui, edificando il suo Corpo mistico e portando la sua parola salvifica come buona novella agli uomini e alle donne del nostro tempo. E quando poi usciremo da questa grande chiesa, andiamo come araldi della speranza in mezzo a questa città e in tutti quei luoghi dove la grazia di Dio ci ha posto. In questo modo la Chiesa in America conoscerà una nuova primavera nello Spirito ed indicherà la via verso quell’altra città più grande, la nuova Gerusalemme, la cui luce è l’Agnello (cfr Ap 21,23). Poiché Dio sta preparando anche ora un banchetto di gioia e vita infinite per tutti i popoli. Amen.

"Mostrate al mondo la ragione della speranza che è in voi"
di Benedetto XVI

New York, ai giovani nel Seminario di Saint Joseph, sabato 19 aprile 2008

Cari giovani amici, [...] i miei anni da teenager sono stati rovinati da un regime infausto che pensava di possedere tutte le risposte; il suo influsso crebbe – penetrando nelle scuole e negli organismi civili come anche nella politica e addirittura nella religione – prima di essere pienamente riconosciuto per quel mostro che era. Esso mise Dio al bando, e così diventò inaccessibile per tutto ciò che era vero e buono. Molti dei vostri genitori e nonni vi avranno raccontato l’orrore della distruzione che seguì. Alcuni di loro, infatti, vennero in America proprio per sfuggire a tale terrore.

Ringraziamo Dio, perché oggi molti della vostra generazione sono in grado di godere le libertà che sono emerse grazie alla diffusione della democrazia e del rispetto dei diritti umani. [...]

Il potere distruttivo, tuttavia, rimane. Sostenere il contrario significherebbe ingannare se stessi. Ma esso non trionferà mai; è stato sconfitto. È questa l’essenza della speranza che ci distingue come cristiani; la Chiesa lo ricorda in modo molto drammatico durante il Triduo Pasquale e lo celebra con grande gioia nel Tempo Pasquale! Colui che ci indica la via oltre la morte è Colui che ci indica come superare distruzione e angoscia: è quindi Gesù il vero maestro di vita (cfr Spe salvi, 6). La sua morte e risurrezione significa che possiamo dire al Padre celeste: “Tu hai rinnovato il mondo” (Venerdì Santo, Preghiera dopo la comunione). E così, appena qualche settimana fa, durante la bellissima liturgia della Veglia Pasquale non era per disperazione o angoscia, ma con una fiducia piena di speranza, che abbiamo gridato a Dio in favore del nostro mondo: "Disperdi le tenebre del nostro cuore! Disperdi le tenebre del nostro spirito!" (cfr Preghiera durante l’accensione del cero pasquale).

Che cosa possono essere queste tenebre? Cosa succede quando le persone, soprattutto le più vulnerabili, incontrano il pugno chiuso della repressione o della manipolazione invece della mano tesa della speranza?

Il primo gruppo di esempi appartiene al cuore. Qui, i sogni e desideri che i giovani perseguono possono essere così facilmente frantumati e distrutti. Penso a quanti sono colpiti dall’abuso della droga e degli stupefacenti, dalla mancanza di una casa e dalla povertà, dal razzismo, dalla violenza e dalla degradazione – particolarmente ragazze e donne. Mentre le cause di tali situazioni problematiche sono complesse, tutte hanno in comune un atteggiamento mentale avvelenato che si manifesta nel trattare le persone come meri oggetti. Si afferma così un’insensibilità di cuore che prima ignora e poi deride la dignità data da Dio ad ogni persona umana. [...]

La seconda zona di tenebre – quelle che colpiscono lo spirito – rimane spesso non avvertita, e per questa ragione è particolarmente funesta. [...] La libertà è un valore delicato. Può essere fraintesa o usata male così da non condurre alla felicità che tutti da essa ci aspettiamo, ma verso uno scenario buio di manipolazione, nel quale la nostra comprensione di noi stessi e del mondo si fa confusa o viene addirittura distorta da quanti hanno un loro progetto nascosto.

Avete notato quanto spesso la rivendicazione della libertà viene fatta, senza mai fare riferimento alla verità della persona umana? C’è chi oggi asserisce che il rispetto della libertà del singolo renda ingiusto cercare la verità, compresa la verità su che cosa sia bene. In alcuni ambienti il parlare di verità viene considerato fonte di discussioni o di divisioni e quindi da riservarsi piuttosto alla sfera privata. E al posto della verità – o meglio, della sua assenza – si è diffusa l’idea che, dando valore indiscriminatamente a tutto, si assicura la libertà e si libera la coscienza. È ciò che chiamiamo relativismo. Ma che scopo ha una “libertà” che, ignorando la verità, insegue ciò che è falso o ingiusto? A quanti giovani è stata offerta una mano che, nel nome della libertà o dell’esperienza, li ha guidati all’assuefazione agli stupefacenti, alla confusione morale o intellettuale, alla violenza, alla perdita del rispetto per se stessi, anzi alla disperazione e così, tragicamente, al suicidio? Cari amici, la verità non è un’imposizione. Né è semplicemente un insieme di regole. È la scoperta di Uno che non ci tradisce mai; di Uno del quale possiamo sempre fidarci. Nel cercare la verità arriviamo a vivere in base alla fede perché, in definitiva, la verità è una persona: Gesù Cristo. È questa la ragione per cui l’autentica libertà non è una scelta di “disimpegno da”. È una scelta di “impegno per”; niente di meno che uscire da se stessi e permettere di venire coinvolti nell’ “essere per gli altri” di Cristo (cfr Spe salvi, 28).

Come possiamo allora da credenti aiutare gli altri a camminare sulla via della libertà che porta al pieno appagamento e alla felicità duratura? La risposta si trova nel nocciolo della [...] nostra fede. L’incarnazione, la nascita di Gesù ci dice che Dio, di fatto, cerca un posto fra noi. È pieno l’albergo, ma ciononostante Egli entra per la stalla, e ci sono delle persone che vedono la sua luce. Riconoscono per quello che è il mondo buio e chiuso di Erode e seguono invece il brillare della stella che li guida nel cielo notturno. E che cosa irradia? A questo punto potete ricordarvi della preghiera pronunciata nella santissima notte di Pasqua: “O Padre, che per mezzo del tuo Figlio, luce del mondo, ci hai comunicato la luce della tua gloria, accendi in noi la fiamma viva della tua speranza!” (cfr Benedizione del fuoco). E così, in una processione solenne con le nostre candele accese, ci siamo passati l’un l’altro la luce di Cristo. È la luce che “sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti, dissipa l’odio, ci porta la pace e umilia la superbia del mondo” (Exsultet). È questa la luce di Cristo all’opera. È questa la via dei santi. È la magnifica visione della speranza. La luce di Cristo vi invita ad essere stelle-guida per gli altri, camminando sulla via di Cristo che è via di perdono, di riconciliazione, di umiltà, di gioia e di pace. [...]

Cari amici, l’esempio dei santi ci invita, poi, a considerare quattro aspetti essenziali del tesoro della nostra fede: preghiera personale e silenzio, preghiera liturgica, carità praticata e vocazioni. [...]

Nella liturgia troviamo l’intera Chiesa in preghiera. La parola “liturgia” significa la partecipazione del Popolo di Dio all’“opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa” (Sacrosanctum Concilium, 7). In che cosa consiste questa opera? Prima di tutto si riferisce alla passione di Cristo, alla sua morte e risurrezione e alla sua ascensione – ciò che chiamiamo “Mistero pasquale”. Ma si riferisce anche alla celebrazione stessa della liturgia. I due significati, infatti, sono inseparabilmente connessi, perché questa “opera di Gesù” è il vero contenuto della liturgia. Mediante la liturgia, l’“opera di Gesù” viene continuamente messa in contatto con la storia; con la nostra vita, per plasmarla. Qui captiamo un’ulteriore idea della grandezza della nostra fede cristiana. Ogni volta che vi radunate per la Santa Messa, quando andate a confessarvi, ogni volta che celebrate uno dei Sacramenti, Gesù è all’opera. Attraverso lo Spirito Santo vi attira verso di sé, dentro il suo amore sacrificale per il Padre, che diventa amore per tutti. Vediamo così che la liturgia della Chiesa è un ministero di speranza per l’umanità. La vostra partecipazione piena di fede è una speranza attiva che aiuta a tenere il mondo – santi come peccatori – aperto a Dio; è questa la vera speranza umana che noi offriamo a ciascuno (cfr Spe salvi, 34). [...]

Amici, vi domando di nuovo, cosa dire del momento presente? Che cosa state cercando? Che cosa Dio suggerisce a voi? La speranza che mai delude è Gesù Cristo. I santi ci mostrano l’amore disinteressato del suo cammino. Come discepoli di Cristo, i loro tragitti straordinari si svilupparono all’interno di quella comunità della speranza che è la Chiesa. È dall’interno della Chiesa che anche voi troverete il coraggio ed il sostegno per camminare sulla via del Signore. Nutriti dalla preghiera personale, preparati nel silenzio, plasmati dalla liturgia della Chiesa, scoprirete la vocazione particolare che il Signore riserva per voi. Abbracciatela con gioia. Oggi i discepoli di Cristo siete voi. Irradiate la sua luce su questa grande città e oltre. Mostrate al mondo la ragione della speranza che è in voi. Parlate con gli altri della verità che vi rende liberi. Con questi sentimenti di grande speranza in voi, vi saluto con un “arrivederci” nell’attesa di incontrarvi di nuovo a Sydney, nel luglio, per la Giornata Mondiale della Gioventù! E, come pegno del mio affetto per voi e per le vostre famiglie, vi imparto con gioia la Benedizione Apostolica.

Sesto giorno del papa negli USA.
La preghiera a Ground Zero e l'ultima omelia "in questa terra di libertà"

Benedetto XVI prega per la conversione dei terroristi. E ai cattolici americani spiega che la vera libertà si fonda su Cristo che è "la via, la verità e la vita". Per il papa teologo un successo superiore alle attese

di Sandro Magister

ROMA, 21 aprile 2008 – Benedetto XVI ha aperto la sua ultima giornata negli Stati Uniti con un momento di preghiera a Ground Zero, nella voragine sotto quelle che furono le due torri. Cielo grigio, folate di vento, le note meditative delle suites per violoncello di Bach.
Il papa si inginocchia a lungo in silenzio. Poi benedice e prega. Per le vittime innocenti e per "i primi eroici soccorritori". Per la "guarigione" dei feriti e dei famigliari. Per la conversione di "coloro che hanno il cuore e la mente consumati dall'odio".

Completamente diverso lo scenario nel pomeriggio, alla messa nello Yankee Stadium.
Nell'omelia, Benedetto XVI rovescia un'ondata di ottimismo sui fedeli che gremiscono gli spalti. Li richiama sì all'autorità e all'obbedienza, "parole non facili da pronunciare". Ma soprattutto scioglie un inno alla libertà cristiana, in un paese che egli vede così congeniale ad essa.

La libertà cristiana, dice il papa. è all'opposto dei "falsi vangeli di libertà e felicita" e della "falsa separazione tra fede e vita politica". È una libertà che si nutre delle "immutabili verità che hanno fondamento in Cristo". L'applauso più forte dei fedeli è quando dice che questo binomio tra libertà e verità è il solo che può difendere "i più indifesi tra gli esseri umani, i bimbi non ancora nati nel grembo materno".

Nei cattolici americani Benedetto XVI vede in atto una dinamica molto promettente, capace di risorgere anche dai suoi peccati. Sullo scandalo degli abusi sessuali il papa è stato tanto severo quanto partecipe. Ha preso anche su di sé il carico delle colpe. Il gesto più toccante e inatteso dei suoi sei giorni di viaggio è stato l'incontro con cinque vittime degli abusi. L'incontro è avvenuto a porte chiuse, lontano dagli occhi delle telecamere. Ma nel parlare in pubblico di questo scandalo il papa è stato così chiaro che quell'incontro silenzioso non aveva bisogno di nessuna didascalia ed è stato capito e approvato praticamente da tutti.

Benedetto XVI non è nuovo a questi gesti silenziosi e nello stesso tempo eloquentissimi. Un precedente è stato quello della Moschea Blu di Istanbul. Pur pregando in silenzio rivolto alla Mecca, il papa non ingenerò alcun equivoco. A far chiarezza aveva già provveduto a Ratisbona.
Qui di seguito, i passaggi salienti dell'omelia nello Yankee Stadium.

Il futuro della Chiesa in America
di Benedetto XVI

New York, omelia nella messa allo Yankee Stadium, domenica 20 aprile 2008

Cari fratelli e sorelle in Cristo, nel Vangelo che abbiamo or ora ascoltato, Gesù dice ai suoi Apostoli di riporre la loro fede in lui, poiché egli è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Cristo è la via che conduce al Padre, la verità che dà significato all’umana esistenza, e la sorgente di quella vita che è gioia eterna con tutti i Santi nel Regno dei cieli. Prendiamo il Signore in parola! Rinnoviamo la fede in lui e mettiamo ogni nostra speranza nelle sue promesse! [...]

La celebrazione odierna è anche un segno della crescita impressionante che Dio ha concesso alla Chiesa nel vostro paese nei trascorsi duecento anni. Da piccolo gregge come quello descritto nella prima lettura, la Chiesa in America è stata edificata nella fedeltà ai due comandamenti dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo. In questa terra di libertà e di opportunità, la Chiesa ha unito greggi molto diversi nella professione di fede e, attraverso le sue molte opere educative, caritative e sociali, ha contribuito in modo significativo anche alla crescita della società americana nel suo insieme.

Questo grande risultato non è stato senza sfide. La prima lettura odierna, dagli Atti degli Apostoli, parla di tensioni linguistiche e culturali presenti già all’interno della primitiva comunità ecclesiale. Nello stesso tempo, essa mostra la potenza della Parola di Dio, proclamata autorevolmente dagli Apostoli e ricevuta nella fede, per creare un’unità capace di trascendere le divisioni provenienti dai limiti e dalle debolezze umane. Ci viene qui ricordata una verità fondamentale: che l’unità della Chiesa non ha altro fondamento se non quello della Parola di Dio, divenuta carne in Cristo Gesù nostro Signore. Tutti i segni esterni di identità, tutte le strutture, associazioni o programmi, per quanto validi o addirittura essenziali possano essere, esistono in ultima analisi soltanto per sostenere e promuovere la più profonda unità la quale, in Cristo, è dono indefettibile di Dio alla sua Chiesa.

La prima lettura mostra, inoltre, come vediamo nell’imposizione delle mani sui primi diaconi, che l’unità della Chiesa è “apostolica”, cioè un’unità visibile fondata sugli Apostoli, che Cristo ha scelto e costituito come testimoni della sua risurrezione, ed è nata da ciò che la Scrittura chiama “l’obbedienza della fede” (Rm 1,5; At 6,7).

“Autorità”… “obbedienza”. Ad essere franchi, queste non sono parole facili da pronunciare oggi. Parole come queste rappresentano una “pietra d’inciampo” per molti nostri contemporanei, specie in una società che giustamente dà grande valore alla libertà personale. Eppure, alla luce della nostra fede in Gesù Cristo – “la vita, la verità e la vita” – arriviamo a vedere il senso più pieno, il valore e addirittura la bellezza, di tali parole. Il Vangelo ci insegna che la vera libertà, la libertà dei figli di Dio, può essere trovata soltanto nella perdita di sé che è parte del mistero dell’amore. Solo perdendo noi stessi, il Signore ci dice, ritroviamo veramente noi stessi (cfr Lc 17,33). La vera libertà fiorisce quando ci allontaniamo dal giogo del peccato, che annebbia le nostre percezioni e indebolisce la nostra determinazione, e vede la fonte della nostra felicità definitiva in lui, che è amore infinito, libertà infinita, vita senza fine. “Nella sua volontà vi è la nostra pace”. [...]

Ogni giorno in questa terra voi e molti dei vostri vicini pregano il Padre con le parole stesse del Signore: “Venga il tuo Regno”. Tale preghiera deve forgiare la mente ed il cuore di ogni cristiano in questa Nazione. Deve portar frutto nel modo in cui vivete la vostra esistenza e nella maniera nella quale costruite la vostra famiglia e la vostra comunità. Deve creare nuovi “luoghi di speranza” (cfr Spe salvi, 32 ss) in cui il Regno di Dio si fa presente in tutta la sua potenza salvifica.

Pregare con fervore per la venuta del Regno significa inoltre essere costantemente all’erta per i segni della sua presenza, operando per la sua crescita in ogni settore della società. Vuol dire affrontare le sfide del presente e del futuro fiduciosi nella vittoria di Cristo ed impegnandosi per l’avanzamento del suo Regno. Questo significa non perdere la fiducia di fronte a resistenze, avversità e scandali. Significa superare ogni separazione tra fede e vita, opponendosi ai falsi vangeli di libertà e di felicità. Vuol dire inoltre respingere la falsa dicotomia tra fede e vita politica, poiché come ha affermato il Concilio Vaticano II, “nessuna attività umana, neanche nelle cose temporali, può essere sottratta al dominio di Dio” (Lumen gentium, 36). Ciò vuol dire agire per arricchire la società e la cultura americane della bellezza e della verità del Vangelo, mai perdendo di vista quella grande speranza che dà significato e valore a tutte le altre speranze che ispirano la nostra vita.

Questa, cari amici, è la sfida che pone oggi a voi il Successore di Pietro. Quale “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa”, seguite con fedeltà le orme di quanti vi hanno preceduto! Affrettate la venuta del Regno di Dio in questa terra! Le passate generazioni vi hanno lasciato un’eredità straordinaria. Anche ai nostri giorni la comunità cattolica di questa Nazione è stata grande nella testimonianza profetica in difesa della vita, nell’educazione dei giovani, nella cura dei poveri, dei malati e dei forestieri tra voi. Su queste solide basi il futuro della Chiesa in America deve anche oggi iniziare a sorgere.

Ieri, non lontano da qui, sono stato colpito dalla gioia, dalla speranza e dall’amore generoso per Cristo che ho visto sul volto di tanti giovani riuniti a Dunwoodie. Essi sono il futuro della Chiesa e hanno diritto a tutte le preghiere e ad ogni sostegno che possiamo dar loro. Così desidero concludere aggiungendo una parola di incoraggiamento per loro. Cari giovani amici, come i sette uomini “ripieni di Spirito e di saggezza” ai quali gli Apostoli affidarono la cura della giovane Chiesa, possiate anche voi alzarvi e assumervi la responsabilità che la fede in Cristo vi pone innanzi! Possiate trovare il coraggio di proclamare Cristo “lo stesso ieri, oggi e sempre” e le immutabili verità che hanno fondamento in lui (cfr Gaudium et spes, 10; Eb 13,8): sono verità che ci rendono liberi! Si tratta delle sole verità che possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti di ogni uomo, donna e bambino nel mondo, compresi i più indifesi tra gli esseri umani, i bimbi non ancora nati nel grembo materno. In un mondo in cui, come Papa Giovanni Paolo II parlando in questo stesso luogo ci ricordò, Lazzaro continua a bussare alla nostra porta (Omelia allo Yankee Stadium, 2 ottobre 1979, n. 7), fate in modo che la vostra fede e il vostro amore portino frutto nel soccorrere i poveri, i bisognosi e i senza voce. Giovani uomini e donne d’America, io insisto con voi: aprite i cuori alla chiamata di Dio a seguirlo nel sacerdozio e nella vita religiosa. Vi può essere un segno di amore più grande di questo: seguire le orme di Cristo, che si rese disponibile a dare la propria vita per i suoi amici (cfr Gv 15,13)?

Nel Vangelo odierno il Signore promette ai discepoli che faranno opere ancor più grandi delle sue (cfr Gv 14,12). Cari amici, soltanto Dio nella sua provvidenza sa che cosa la sua grazia deve ancora compiere nelle vostre vite e nella vita della Chiesa negli Stati Uniti. Nel frattempo, la promessa di Cristo ci riempie di sicura speranza. Uniamo perciò la nostra preghiera alla sua, quali pietre vive di quel tempio spirituale che è la sua Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Alziamo gli occhi a lui, poiché anche adesso sta preparando un posto per noi nella casa del Padre suo. E rafforzati dallo Spirito Santo, lavoriamo con rinnovato zelo per la diffusione del suo Regno.

“Beati quanti crederanno” (cfr 1 Pt 2,7). Rivolgiamoci a Gesù! Lui soltanto è la via che conduce all’eterna felicità, la verità che soddisfa i desideri più profondi di ogni cuore, e la vita che offre gioia e speranza sempre nuove a noi e al nostro mondo. Amen.

Il papa all'ONU: "La persona umana è il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia"

Discorso all’Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, New York, 18 aprile 2008
di Benedetto XVI

Signor Presidente, Signore e Signori,

nel dare inizio al mio discorso a questa Assemblea, desidero anzitutto esprimere a Lei, Signor Presidente, la mia sincera gratitudine per le gentili parole a me dirette. Uguale sentimento va anche al Segretario Generale, il Signor Ban Ki-moon, per avermi invitato a visitare gli uffici centrali dell’Organizzazione e per il benvenuto che mi ha rivolto. Saluto gli Ambasciatori e i Diplomatici degli Stati Membri e quanti sono presenti: attraverso di voi, saluto i popoli che qui rappresentate. Essi attendono da questa Istituzione che porti avanti l’ispirazione che ne ha guidato la fondazione, quella di un "centro per l’armonizzazione degli atti delle Nazioni nel perseguimento dei fini comuni", la pace e lo sviluppo (cfr Carta delle Nazioni Unite, art. 1.2-1.4). Come il Papa Giovanni Paolo II disse nel 1995, l’Organizzazione dovrebbe essere "centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una ‘famiglia di nazioni’" (Messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 50° anniversario della fondazione, New York, 5 ottobre 1995, 14).

Mediante le Nazioni Unite, gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell’umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso. I principi fondativi dell’Organizzazione – il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità della persona, la cooperazione umanitaria e l’assistenza – esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali. Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta di argomenti che la Chiesa Cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiché vedono nella vostra attività come problemi e conflitti riguardanti la comunità mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione. Le Nazioni Unite incarnano l’aspirazione ad "un grado superiore di orientamento internazionale" (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 43), ispirato e governato dal principio di sussidiarietà, e pertanto capace di rispondere alle domande dell’umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli. Ciò è ancor più necessario in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale.

Certo, questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, richiedono che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni più deboli del pianeta. Penso in particolar modo a quei Paesi dell’Africa e di altre parti del mondo che rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione. Nel contesto delle relazioni internazionali, è necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la libertà umana. Tali regole non limitano la libertà; al contrario, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l’effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana. Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri. Qui il nostro pensiero si rivolge al modo in cui i risultati delle scoperte della ricerca scientifica e tecnologica sono stati talvolta applicati. Nonostante gli enormi benefici che l’umanità può trarne, alcuni aspetti di tale applicazione rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale. Allo stesso modo, l’azione internazionale volta a preservare l’ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l’autentica immagine della creazione. Questo non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici.

Il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per l’innata dignità di ogni uomo e donna trovano oggi una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Solo di recente questo principio è stato definito, ma era già implicitamente presente alle origini delle Nazioni Unite ed è ora divenuto sempre più caratteristica dell’attività dell’Organizzazione. Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali. L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione.

Il principio della "responsabilità di proteggere" era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: nel tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell’idea delle Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli. Ora, come allora, tale principio deve invocare l’idea della persona quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà. La fondazione delle Nazioni Unite, come sappiamo, coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo. Quando ciò accade, sono minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l’ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti ed inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite. Quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare "un terreno comune", minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti.

Il riferimento all’umana dignità, che è il fondamento e l’obiettivo della responsabilità di proteggere, ci porta al tema sul quale siamo invitati a concentrarci quest’anno, che segna il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il documento fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti.

La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia ed ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto. La promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza. Certo, le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace. Tuttavia il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti. Il merito della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Oggi però occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari. La Dichiarazione fu adottata come "comune concezione da perseguire" (preambolo) e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani.

L’esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo. Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali. Tale aspetto viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una gretta prospettiva utilitaristica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana, è facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli. Questa intuizione fu espressa sin dal quinto secolo da Agostino di Ippona, uno dei maestri della nostra eredità intellettuale, il quale ebbe a dire riguardo al "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" che tale massima "non può in alcun modo variare a seconda delle diverse comprensioni presenti nel mondo" (De doctrina christiana, III, 14). Perciò, i diritti umani debbono esser rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori.

Signore e Signori,

mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni e si tenta di collegarle a nuovi diritti. Il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male, diviene ancor più essenziale nel contesto di esigenze che riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli. Affrontando il tema dei diritti, dato che vi sono coinvolte situazioni importanti e realtà profonde, il discernimento è al tempo stesso una virtù indispensabile e fruttuosa.

Il discernimento, dunque, mostra come l’affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni di persone, comunità e popoli interi può talvolta avere delle conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona. D’altra parte, una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace. Ciò fornisce inoltre il contesto proprio per quel dialogo interreligioso che le Nazioni Unite sono chiamate a sostenere, allo stesso modo in cui sostengono il dialogo in altri campi dell’attività umana. Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari. È proprio della natura delle religioni, liberamente praticate, il fatto che possano autonomamente condurre un dialogo di pensiero e di vita. Se anche a tale livello la sfera religiosa è tenuta separata dall’azione politica, grandi benefici ne provengono per gli individui e per le comunità. D’altro canto, le Nazioni Unite possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto dalla disponibilità dei credenti a porre le propri esperienze a servizio del bene comune. Loro compito è quello di proporre una visione della fede non in termini di intolleranza, di discriminazione e di conflitto, ma in termini di rispetto totale della verità, della coesistenza, dei diritti e della riconciliazione.

Ovviamente i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente. L’attività delle Nazioni Unite negli anni recenti ha assicurato che il dibattito pubblico offra spazio a punti di vista ispirati ad una visione religiosa in tutte le sue dimensioni, inclusa quella rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la libertà di professare o di scegliere una religione. È perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale. In verità, già lo stanno facendo, ad esempio, attraverso il loro coinvolgimento influente e generoso in una vasta rete di iniziative, che vanno dalle università, alle istituzioni scientifiche, alle scuole, alle agenzie di cure mediche e ad organizzazioni caritative al servizio dei più poveri e dei più marginalizzati. Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto – per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone – privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona.

La mia presenza in questa Assemblea è un segno di stima per le Nazioni Unite ed è intesa quale espressione della speranza che l’Organizzazione possa servire sempre più come segno di unità fra Stati e quale strumento di servizio per tutta l’umana famiglia. Essa mostra pure la volontà della Chiesa Cattolica di offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza. La Chiesa opera inoltre per la realizzazione di tali obiettivi attraverso l’attività internazionale della Santa Sede, in modo coerente con il proprio contributo nella sfera etica e morale e con la libera attività dei propri fedeli. Indubbiamente la Santa Sede ha sempre avuto un posto nelle assemblee delle Nazioni, manifestando così il proprio carattere specifico quale soggetto nell’ambito internazionale. Come hanno recentemente confermato le Nazioni Unite, la Santa Sede offre così il proprio contributo secondo le disposizioni della legge internazionale, aiuta a definirla e ad essa fa riferimento.

Le Nazioni Unite rimangono un luogo privilegiato nel quale la Chiesa è impegnata a portare la propria esperienza "in umanità", sviluppata lungo i secoli fra popoli di ogni razza e cultura, e a metterla a disposizione di tutti i membri della comunità internazionale. Questa esperienza ed attività, dirette ad ottenere la libertà per ogni credente, cercano inoltre di aumentare la protezione offerta ai diritti della persona. Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendente della persona, che permette a uomini e donne di percorrere il loro cammino di fede e la loro ricerca di Dio in questo mondo. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell’umanità in un mondo migliore, e se vogliamo creare le condizioni per la pace, lo sviluppo, la cooperazione e la garanzia dei diritti delle generazioni future.

Nella mia recente Enciclica "Spe salvi", ho sottolineato "che la sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione" (n. 25). Per i cristiani tale compito è motivato dalla speranza che scaturisce dall’opera salvifica di Gesù Cristo. Ecco perché la Chiesa è lieta di essere associata all’attività di questa illustre Organizzazione, alla quale è affidata la responsabilità di promuovere la pace e la buona volontà in tutto il mondo. Cari amici, vi ringrazio per l’odierna opportunità di rivolgermi a voi e prometto il sostegno delle mie preghiere per il proseguimento del vostro nobile compito.

Prima di congedarmi da questa distinta Assemblea, vorrei porgere i miei saluti a tutte le Nazioni qui rappresentate nelle lingue ufficiali, in inglese, in francese, in spagnolo, in arabo, in cinese, in russo:


Pace e prosperità con l’aiuto di Dio!

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