SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Il Papa in Africa.
In attesa del Papa in Camerun,
parla Pierre Titi Nwel

di Marco Pagani - http://www.missionline.org
01/03/2009

L'Africa che aspetta Benedetto XVI

In vista del primo viaggio africano di Papa Ratzinger, un laico camerunese, impegnato nel sociale delinea problemi e prospettive della Chiesa d'’Africa Pierre Titi Nwel, camerunese, è un personaggio di spicco della società civile del suo Paese. Al punto che, dopo le violenze scoppiate nel febbraio 2008, a causa della crisi alimentare, è stato eletto Mediatore sociale generale. Anche a livello accademico ed ecclesiale, Titi Nwel ha svolto per tutta la vita un ruolo di primo piano; oggi è in pensione, dopo aver insegnato per un quarto di secolo all’Università di Yaoundé. Ed è stato, dal 2001 al 2008, coordinatore del Servizio giustizia e pace della Conferenza episcopale camerunese.
Dal suo osservatorio di intellettuale attivo nella società e di laico impegnato nella vita della Chiesa, guarda con grande interesse all’imminente visita di Benedetto XVI in Camerun e Angola e al prossimo Sinodo per l’Africa, che si terrà a Roma dal 4 al 25 ottobre.

Che cosa si attende dalla visita del Papa in Camerun?

Il Papa viene in Camerun per incontrare i vescovi d’Africa in vista della preparazione del prossimo Sinodo continentale. I cattolici camerunesi sono molto lusingati di essere i primi a cui Benedetto XVI fa visita. E hanno grandi aspettative. Ma ritengono anche che il Papa non dovrebbe chiudersi in un discorso puramente teologico, senza rapporto con la vita concreta dalla gente. Qui, come in altre parti dell’Africa, la gente, di fronte a minacce di ogni genere, si rifugia spontaneamente nella Chiesa e dietro la Chiesa. Il Papa rappresenta la Chiesa nella sua totalità. Se tace, rimarranno delusi. I cattolici si aspettano che faccia chiarezza nel chiaro-scuro che avvolge il clero camerunese e particolarmente l’episcopato, su questioni come celibato, potere e beni economici. Si tratta del primo viaggio apostolico di Benedetto XVI in Africa.

Quale significato gli attribuisce?

Il Papa tocca al tempo stesso l’essenziale della fede cristiana e l’essenziale dei problemi dell’Africa, venendo per parlare di giustizia, pace e riconciliazione. La Chiesa realizza il Regno dei cieli, che non è di questo mondo e non assomiglia in nulla a ciò che è di questo mondo; ma è l’amore di questo Regno che ci invita a occuparci della città terrestre e di coloro che soffrono. Vale a dire che non possiamo pretendere di andare in cielo se ci rifiutiamo di organizzare la città terrestre. «La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace». Questo il titolo del prossimo Sinodo africano.

Ritiene opportuna la scelta di questo tema?

È certamente una scelta appropriata. Se l’Africa fosse una persona umana, diremmo che non dorme, ma soffre d’insonnia permanente a causa dei molti problemi. Una società giusta è quella in cui i diritti degli uni e degli altri sono sistematicamente riconosciuti e gli individui rispettano fedelmente e correttamente i propri doveri verso gli altri. Non è questo il caso dell’Africa, dove i più forti (coloro che detengono il potere) calpestano i più deboli e dove la corruzione dilagante fa sì che anche i servizi gratuiti siano monetarizzati. Quanto alla pace, essa ha come pilastri, oltre alla giustizia, la verità. È risaputo: l’ambito politico in Africa è generalmente un contesto di frodi e menzogne.

Da ciò ne risulta una situazione stagnante di conflitti e guerre in diversi Paesi africani; situazione che, una volta raggiunta la pace, richiede percorsi di riconciliazione e di rinuncia alle vendette, in cui i cristiani dovrebbero avere un ruolo importante da giocare. I temi della famiglia e dell’inculturazione, al centro del precedente Sinodo, sembrano oggi finiti in secondo piano... Il primo Sinodo dei vescovi per l’Africa aveva visto giusto: le nostre culture e le nostre società devono essere evangelizzate, affinché i nostri comportamenti nel quotidiano siano conformi alle esigenze del messaggio cristiano. Così, in seno alla Chiesa, noi potremo formare una stessa famiglia, quella dei figli di Dio.

Ma questo Sinodo si confronta con una società africana conquistata da molto tempo dalle idee di una certa Negritudine, che «biologizza» i modi di pensare e di agire degli individui. Così abbiamo rapidamente creduto che, in quanto neri, gli africani dovrebbero celebrare la liturgia a modo loro: si inventano gesti o si canta in lingue africane che, talvolta, la maggior parte dei partecipanti non capiscono… Questo aspetto dell’inculturazione ha scardinato quello più profondo che permette di «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (Evangelii Nuntiandi, n° 19).

La liturgia «inculturata» non ha impedito conflitti, massacri e ingiustizie. Il tema dell’inculturazione e quello della Chiesa-Famiglia di Dio restano di attualità in Africa così come nella Chiesa universale. Ma mi sembra che il prossimo Sinodo voglia essere più concreto.

Quali sono, dal suo punto di vista, le priorità della Chiesa in Camerun e in generale per la Chiesa d’Africa?

Penso che il prossimo Sinodo debba aiutare il laicato africano a scoprirsi e a giocare un ruolo nella Chiesa, partendo dalla società: ruolo che è ben descritto nella Lumen Gentium. In caso contrario, come può la Chiesa pretendere di venire a capo delle ingiustizie e organizzare la riconciliazioni tra i gruppi e gli individui se la massa dei laici resta amorfa e non concepisce la sua azione che attraverso la pratica dei sacramenti e la partecipazione alla liturgia? Lei ha lavorato a lungo al servizio della Chiesa del Camerun sui temi della giustizia e della pace.

Con quali obiettivi?

L’obiettivo di fondo era promuovere la pace e la giustizia secondo il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa. In particolare ,presentavo ai vescovi rapporti, accompagnati da proposte sui temi trattati e coordinavo il lavoro fatto nelle diocesi, in particolare la creazione di una sorta di osservatorio sulla democrazia.

In che cosa consisteva?

Si trattava di organizzare un gruppo di osservatori che verificassero che la legge elettorale fosse rispettata da tutti gli attori in gioco. Gli osservatori, scelti e inviati dai parroci, venivano formati a livello diocesano. Quindi, venivano inviati sul terreno per seguire la campagna elettorale e le operazioni di voto. A livello centrale, un’équipe restava in contatto per telefono o via fax. In seguito, a partire dagli elementi ottenuti sul terreno, redigevamo un rapporto che veniva reso pubblico. In questo modo, sulla base dall’osservazione delle elezioni municipali, legislative e presidenziali, a partire dal 2002, i nostri vescovi hanno potuto intervenire nel processo elettorale attraverso la pubblicazione di lettere pastorali, la presentazione al governo di una proposta di emendamento della legge elettorale e la pubblicazione di un Manuale di educazione alla cittadinanza.

La voce della Chiesa, spesso forte e incisiva, soprattutto attraverso il cardinale Christian Tumi, è stata ascoltata e apprezzata da molte persone non solo cattoliche.

Come promuovere al meglio la giustizia e la pace in Africa?

Occorre implicarsi totalmente e implicare tutti i settori della popolazione nel processo democratico. Inoltre, è necessario opporsi a idee preconcette, come quelle che sostengono che «l’Africa ha la sua propria democrazia», «l’Africa deve camminare al suo proprio ritmo», e così via... Questo contribuisce a mantenere dei profittatori al potere, diffondendo l’oscurantismo e scoraggiando il sorgere di una vera cittadinanza. È importante promuovere l’educazione alla cittadinanza per tutti, affinché ogni abitante del continente sappia che il futuro del suo Paese dipende da lui, attraverso il suo lavoro ben fatto, la scelta dei suoi dirigenti e la partecipazione alla gestione degli affari pubblici.

Conosce esperienze interessanti e innovative a questo proposito?

Purtroppo possiamo contare sulle dita di una mano i Paesi dove il processo elettorale si svolge correttamente o dove, come in Repubblica Demo cratica del Congo o in Burkina Faso, le Commissioni giustizia e pace sono molto attive e vivaci. In che modo la Chiesa agisce per favorire un cambiamento? È necessario che la Chiesa prenda sul serio e metta in opera il Messaggio del Sinodo precedente, secondo il quale «la democrazia autentica, nel rispetto del pluralismo è una delle strade principali sulle quali la Chiesa cammina con il popolo (Ecclesia in Africa, n. 112). Non è questione di favorire alcuni laici: occorre spronare tutti ad aprire gli occhi e a farsi carico dei problemi economici, politici e culturali del proprio Paese. Il concetto di «laico impegnato» non significa niente in sé, dal momento che non si parla di clero o di religiosi «impegnati».

Tutti i laici fedeli di Cristo sono o devono essere «impegnati» affinché, ovunque, in economa, in politica o in famiglia, le cose si svolgano come Dio vuole. La preghiera, la partecipazione alla liturgia non sono un fine, ma mezzi per sostenere l’azione del fedele in concreto. Le difficoltà, a questo proposito, si riassumono nel fatto che i pastori della Chiesa non sono tutti convinti che i nostri Paesi starebbero meglio in una situazione di autentica democrazia. L’atteggiamento riservato, o piuttosto il mutismo di alcuni di loro sul piano politico, fanno credere che essi condividano il punto di vista e le pratiche di potere in termini di democrazia. Una lettura meditata del Compendio della dottrina sociale della Chiesa sarebbe utile a questo proposito. Nel febbraio 2008, ci sono state in Camerun (e non solo) delle «rivolte della fame». Questo ha suscitato una grande inquietudine nel Paese, che non si aspettava una collera così diffusa.

C’è qualcosa di cambiato nella società civile?

In seguito alle rivolte, la società civile ha ritenuto di dover vegliare direttamente sulla pace nel nostro Paese. Il modo in cui questi avvenimenti sono stati trattati dal potere mostra che in ogni momento la situazione può esplodere. Il nostro Paese è fragile. Le organizzazioni della società civile hanno pertanto promosso l’elezione di un Mediatore sociale generale (lo stesso Titi Nwel - ndr), molto diverso dal Mediatore della Repubblica nominato dal Capo dello Stato. Attraverso la mediazione delle «sentinelle della pace», diffuse su tutto il territorio nazionale, e l’educazione alla cittadinanza, il Mediatore sociale generale deve fare in modo che le popolazioni scontente, invece di distruggere e bruciare, facciano intendere la loro voce, dialogando con il potere.

E come si è espressa la Chiesa in proposito?

I vescovi hanno condannato la violenza, sia quella dei manifestanti che la reazione del governo, e ricordato che il rispetto dei diritti di tutti è la via per costruire una società di pace. E hanno messo in guardia i giovani contro le manipolazioni da parte dei partiti. Tuttavia anche la Chiesa in Camerun, e più in generale in Africa, deve «fare pace» pure al suo interno. Spesso, infatti, emergono problemi legati alle appartenenze etniche, differenze talvolta utilizzate dal potere per far paura…

In che modo la Chiesa può uscire da questa trappola?

Grazie alla Santa Sede, che non tiene conto dell’appartenenza etnica dei vescovi prima di affidare loro la gestione di una porzione di popolo di Dio, la Chiesa sta uscendo un po’ alla volta da questa trappola. Non tutti i membri del clero, tuttavia, sono allineati a questo modo di fare.

In che modo la Chiesa può sviluppare il suo ruolo profetico nella società africana? Come può realmente essere al fianco del popolo senza cedere alla lusinghe del potere?

La Chiesa deve essere quello che è: messaggera della Buona Novella. Deve dire la verità. Se non lo fa, non svolge il suo ruolo profetico e non è più la «voce dei senza voce» (Ecclesia in Africa, n. 70). Questo presuppone un’inculturazione reale, profonda e non meramente decorativa della Parola di Dio. La paura di non avere il necessario per vivere spinge laici e preti a essere sensibili alle lusinghe del potere, ma anche a lusingare loro stessi il potere. Se la Chiesa crede fermamente al suo Maestro e Signore, avrà da fare ancora molto lavoro.

 (traduzione e adattamento a cura di Anna Pozzi-http://www.missionline.org )

Le tappe del Sinodo africano
- 8 maggio 1994 celebrazione conclusiva dell’Assemblea speciale per l’Africa del sinodo dei vescovi
- 14 settembre 1995 viaggio di Giovanni Paolo II in Camerun e presentazione della lettera post-sinodale «Ecclesia in Africa»
-17-20 marzo 2009 viaggio di Benedetto XVI in Camerun e consegna ai rappresentanti delle Conferenze episcopali dell’Africa dell’Instrumentum laboris
-4-25 ottobre 2009 Seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi «La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace: “Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13.14)»

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