SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Alimentazione artificiale agli anziani : considerazioni di un medico.
Il parere del Comitato Nazionale di Bioetica

Riteniamo opportuno riportare alcune considerazioni sulla alimentazione artificiale poichè molte famiglie si trovano oggi di fronte alla richiesta di applicare questo tipo di alimentazione a genitori o parenti anziani che non sono più in grado di prendere cibo per via naturale e non sono più in grado di intendere e volere, perciò di scegliere.

Linee guida delle principali società scientifiche di Nutrizione Clinica (Società Italiana di Nutrizione Parenterale e Enterale, SINPE; European Society of Parenteral and Enteral Nutrition – ESPEN; e American Society of Parenteral and Enteral Nutrition – ASPEN) riguardo alla nutrizione artificiale (NA)

http://www.sigg.it/public/doc/GIORNALEART/616.pdf

Schematicamente si possono individuare le seguenti possibili indicazioni ad una NA nei pazienti anziani ( Tabella I) :
– pazienti che rifiutano di alimentarsi naturalmente (e.g. demenza, gravi psicopatie, depressioni gravi);
– pazienti che non devono assumere alimenti per os (e.g. immediato decorso post-operatorio negli interventi chirurgici sul tratto digestivo prossimale);
– pazienti che non riescono ad alimentarsi (e.g. pazienti in coma o in ventilazione artificiale, pazienti sottoposti ad interventi chirurgici in ambito ORL, maxillo-faciale, toracico, esofageo);
– pazienti con ictus o deficit di nervi cranici complicati da disfagia transitoria o permanente;
– pazienti che possono alimentarsi per os, ma non sono in grado di assumere calorie e nutrienti sufficienti a coprire il loro fabbisogno (ad esempio pazienti ipercatabolici, politraumatizzati, ustionati, settici).

La NA totale o parziale è indicata in tutte queste situazioni quando ne sia prevista una durata di 2 o più settimane o anche solo di 1 settimana nei soggetti che presentino già una MPE ( malnutrizione). La scelta della via di somministrazione, l’opportuna modulazione degli alimenti e la modalità di somministrazione sono tutti fattori importanti per la riuscita della NA nel paziente ospedalizzato , soprattutto chirurgico .

Le indicazioni dovranno tener conto dello stato di nutrizione attuale, dell’entità del catabolismo e dello stress operatorio, dei fabbisogni di macro- e micronutrienti in rapporto alla massa magra.
Il controllo degli effetti positivi (che nell’anziano vanno attesi con pazienza, per la lentezza della risposta metabolica), e soprattutto delle complicazioni, deve essere molto attento e più frequente che nell’adulto. L’assistenza infermieristica va opportunamente integrata nel lavoro di un “team” nutrizionale, la cui creazione viene da tutti consigliata.

LA SCELTA DELLA VIA DI SOMMINISTRAZIONE
LA NP somministra i nutrienti attraverso l’accesso di una via venosa periferica (vena antecubitale del braccio), oppure attraverso una via venosa centrale (la vena succlavia o la vena cava superiore); la scelta di una delle due vie d’accesso è conseguente alla miscela nutritiva da somministrare (preparati troppo concentrati causerebbero lesioni infiammatorie della parete venosa se somministrati in vene di piccolo calibro periferiche) e dalle condizioni di salute del soggetto.

La NE prevede la somministrazione di nutrienti attraverso il canale gastrointestinale mediante il posizionamento di apposite sonde, intubazione naso-enterica (sondino naso-gastrico), attraverso stomie (faringostomia, gastrostomia, digiunostomia).
Nella scelta della via di somministrazione sono applicabili in linea generale le indicazioni stabilite dalle linee guida internazionali per l’adulto e nazionali .... Tuttavia nel paziente anziano è particolarmente importante identificare rapidamente il paziente a rischio di malnutrizione e, rispettando la gerarchia di intervento orale > enterale > parenterale, è cruciale iniziare tempestivamente un’eventuale NA.

La via di somministrazione più adeguata nel singolo paziente deve essere scelta considerando in particolare il rischio di complicanze, sicuramente maggiore nell’anziano. Nei casi di grave deficit cognitivo poi sono da considerare gli aspetti etici e medico legali legati alle scelte di procedure comunque invasive. Nel soggetto anziano è necessario attuare un monitoraggio metabolico e clinico attento per poter tempestivamente modulare l’intervento in base alla risposta nutrizionale e all’eventuale comparsa di complicanze. In tal senso rigide prescrizioni anche in campo nutrizionale devono lasciare il posto ad un atteggiamento ispirato alla vigile gradualità ed elasticità di intervento, all’interno di un percorso terapeutico complessivo.

Le complicazioni nella gestione della NA sono più frequenti e potenzialmente più pericolose nel paziente anziano . Questi pazienti sono maggiormente esposti allo sviluppo di una patologia da reflusso gastroesofageo in corso di nutrizione enterale (NE) con sonda nasogastrica o gastrostomica, e alla comparsa di diarrea e di disturbi idro-elettrolitici, sia in corso di NE che di NPT. Polmoniti “ab ingestis”, iponatriemia e disidratazione possono assumere carattere di gravità estrema.

Più frequenti e severe risultano anche le complicanze infettive in corso di nutrizione parenterale (NP) effettuata utilizzando un accesso venoso centrale. In tal senso segni clinici di sospetta sepsi sono indicazione alla rimozione immediata del catetere venoso. Peraltro un adeguato supporto nutrizionale nel paziente anziano, per le caratteristiche sopra indicate, pone più frequentemente problemi di organizzazione organizzazione del personale e di adeguato nursing del paziente, piuttosto che problemi di costi e di disponibilità del materiale e dei prodotti nutrizionali, oggi largamente diffusi e a disposizione nell’uso routinario dei reparti per acuti.

LA NUTRIZIONE ENTERALE (NE)
La NE rappresenta sempre la prima via di scelta per attuare una NA anche nell’anziano, qualora i supplementi nutrizionali non siano efficaci o somministrabili. Poiché negli anziani è difficile stabilire il grado di funzionalità intestinale (fatta eccezione per le cause palesi di insufficienza intestinale, quali stati occlusivi, fistole ad alta portata, intestini corti, etc.), la NE deve essere attuata con miscele enterali di tipo artificiale, equilibrate dal punto di vista calorico-proteico, con apporti completi (in genere per litro di miscela) di vitamine, elettroliti ed oligoelementi, con adeguata densità calorica, e sterili fino al momento della somministrazione. Come in tutte le altre fasce di età, la funzione intestinale non dovrebbe essere misurata, come nel passato, esclusivamente in funzione della capacità assorbitiva e/o digestiva residua dell’intestino. È invece opportuno valutare la capacità dell’intestino di “tollerare” un nutriente, assicurando un’infusione che garantisca un adeguato stato di nutrizione, misurabile su una reale evidenza clinica (es: scomparsa di decubiti, mantenimento delle masse muscolari, miglioramento psico-fisico, etc.).

La gastrostomia endoscopica percutanea (PEG) è la tecnica preferibile in caso di necessità di nutrizione enterale (NE) superiore ai 60 giorni, dimostrando di essere ben tollerata, sicura ed in grado di ridurre il rischio di aspirazione . Nei soggetti molto anziani tuttavia la mortalità dei portatori di PEG, un anno dopo il suo posizionamento, è stata descritta maggiore rispetto a quelli con SNG 45; resta però il fatto che, se gestite da un adeguato team specialistico, le PEG nei pazienti cronicizzati hanno una bassa incidenza di complicanze

In caso di NE endogastrica, la somministrazione può avvenire in modo continuo (mediante nutripompa o per caduta) o con boli distanziati. La maggior parte delle complicanze gastro-enteriche (es. cattiva tollerabilità del prodotto, rigurgiti, diarrea osmotica, iperglicemia, rischio di aspirazione, etc.) sono tuttavia fortemente ridotte dall’uso delle nutripompe con le quali è possibile attuare un periodo iniziale di induzione nutrizionale, impiegare un flusso continuo contenuto (es. < 100 ml/ora) e programmare con attenzione un eventuale “riposo” intestinale.
Gli effetti clinici della NE sui pazienti anziani non sono stati studiati molto frequentemente ed i risultati sono spesso modesti.

LA NUTRIZIONE PARENTERALE (NP)
La NP, totale o parziale, centrale o periferica, deve essere riservata a quei casi in cui la NE è controindicata controindicata o non eseguibile. La NP trova indicazione meno frequente nel paziente molto anziano anche in situazioni cataboliche severe. La somministrazione parenterale di soluzioni nutrizionali richiede infatti molta prudenza a causa della riduzione delle riserve funzionali d’organo, soprattutto cardiache e renali. La diminuzione delle capacità omeostatiche è una delle caratteristiche fondamentali della fragilità dell’anziano 102; è quindi spesso difficile prevedere la capacità funzionale di risposta cardiaca e renale di fronte a un carico di acqua e di sodio, in contemporaneità con le modificazioni metaboliche indotte dai nutrienti infusi. La sindrome da renutrizione (refeeding syndrome) è quindi una complicazione possibile e particolarmente temibile nel paziente anziano o molto anziano, soprattutto in corso di NP totale. Peraltro il fabbisogno energetico ed azotato del paziente anziano, in relazione alla nota riduzione della massa magra, sede principale dei processi metabolici e di consumo energetico, può talora essere inferiore a quello del paziente adulto in situazione catabolica equivalente: questo può rendere possibile l’infusione di nutrienti anche per via parenterale periferica, con netta riduzione dell’incidenza delle complicanze infettive legate all’accesso venoso centrale, o mediante i già citati supplementi orali o la NE.

Raccomandazioni
[...]

La NE non è stata valutata in modo approfondito nei pazienti anziani. Essa è indicata nel caso in cui, pur in presenza di un intestino funzionante, gli integratori non siano somministrabili, . L’impiego di nutripompe e l’istituzione di un team nutrizionale esperto migliora l’effetto della NE.

La PEG può consentire una diminuzione delle complicanze, anche se non sembra in grado di migliorare la prognosi a distanza

La NP totale ha indicazioni più rare perché può spesso essere sostituita da una NP periferica, eventualmente integrata da una NE parziale. La NP è gravata da un rischio elevato di complicanze .

NUTRIZIONE ARTIFICIALE -Caratteristiche e trattamenti corretti

di MARIA SPANO-Dietista-http://www.assistenzanziani.it/finmark_portale/contenuti/pdf_art/Nursing_NutrizArtificiale_20060600.pdf

La NP e la NE sebbene abbiano le stesse finalità, vale a dire, il mantenimento od il ripristino del normale stato nutrizionale e/o il contenimento delle perdite di azoto in caso di catabolismo, sono da considerarsi due trattamenti nutrizionali con indicazioni e controindicazioni, attualmente ben definite. Pertanto, sia la NP sia la NE, non devono essere considerate tecniche alternative da utilizzare indifferentemente nelle diverse tipologie di soggetti, ma con procedure e campi d’applicazione ben distinti.

Nella scelta tra NP e NE deve deve essere tenuto presente il criterio di scelta con la NE ogniqualvolta sia possibile l’utilizzo del tratto gastro-intestinale e di utilizzare la NP solo quando sia preclusa la via gastroenterica. L’indicazione generale alla NE trova il suo impiego in patologie neurologiche/disturbi della deglutizione, insufficienza d’organo, malattia infiammatoria cronica intestinale, insufficienza intestinale moderata, perioperatorio. La NE è ovviamente controindicata quando il paziente neghi il consenso al posizionamento del sondino naso – gastrico o della stomia, nel vomito incoercibile, in caso di sindromi diarroiche, nell’occlusione intestinale e in generale, quando la funzionalità gastro - intestinale è evidentemente compromessa. In alcuni casi la NP e la NE possono essere utilizzate contemporaneamente in maniera complementare (nutrizione mista) per la personalizzazione della nutrizione somministrata in patologie e condizione cliniche critiche. Per quanto riguarda le indicazioni generali per la NP, questa può trovare applicazione nelle seguenti condizioni: vomito intrattabile (chemioterapia, ecc…) diarrea intrattabile e/o malassorbimento grave, occlusione intestinale meccanica, ileo paralitico, indicazioni al “riposo intestinale”, controindicazioni alla nutrizione enterale.

Le indicazioni all’impiego della NP seppure relative sono da evitare in caso di pazienti con edema polmonare e/o ritenzione di acqua e sodio, pazienti anurici sottoposti a dialisi, gravi alterazioni metaboliche o con squilibrio idroelettrolitico. La somministrazione di una minima quota di apporto nutrizionale per via enterale, ogniqualvolta sia possibile, anche in soggetti con indicazione alla NP, si è dimostrata utile nella pratica clinica, al fine del mantenimento del trofismo della mucosa intestinale (cosiddetto “minimal enteral feeding”), e alla minor incidenza di complicanze epato- biliari della NP soprattutto quella a lungo termine.

Complicanze
Tra le complicanze legate all’attuazione della NP distinguiamo quelle legate all’accesso venoso (all’inserimento o al mantenimento delle vie venose periferiche o centrali); ed alle complicanze dell’apporto nutrizionale ovvero, complicanze metaboliche:
- Alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico: (sono relativamente frequenti e tra le più tipiche) l’iperidratazione/espansione del liquido extracellulare, ritenzione di acqua e sodio, alterazioni plasmatiche degli ioni intracellulari.
- Alterazioni dell’equilibrio acido base (poco frequenti).
- Alterazioni del metabolismo glucidico: iperglicemia infusionale, ipoglicemia da sospensione brusca della NP, coma iperosmolare iperglicemico senza chetosi (raro). L’iperglicemia infusionale è relativamente frequente e riconosce diverse cause: induzione rapida alla NP totale, diabete, pancreatite acuta, intolleranza al glucosio da sepsi, ustioni, stress, ecc…, eccessiva velocità da infusione, tale da superare la velocità massima di ossidazione del glucosio.
- Alterazioni del metabolismo azotato: iperazotemia, iperammoniemia, ipouricemia, alterazioni subcliniche del pattern plasmatici di aminoacidi (non frequenti).
- Alterazioni del metabolismo lipidico: ipertrigliceridemia da eccessivo apporto di lipidi e varie patologie di base, ipercolesterolemia, sindrome da sovraccarico lipidico sopra 4gr/pro Kg/die (alterazioni relativamente rare).
- Alterazioni del metabolismo osseo (Ca/P): in caso di NP totale protratta si riscontra ipofosfatemia, ipocalcemia, ipercalciuria, oppure una vera e propria “osteopatia metabolica da NP totale”.
- Carenze di micronutrienti: (limitate alla NP protratta), carenza di acidi grassi essenziali (nella NP senza lipidi), carenza di oligoelementi: ferro, cromo, selenio, zinco, rame, ecc…, si riscontra in pazienti in NP totale domiciliare a lungo termine con patologie quali: diarree, fistole, enteropatie.
- Carenze di vitamine: errori di prescrizione della NP totale. Sindrome da “refeeding”: si verifica in soggetti gravemente malnutriti, sottoposti improvvisamente a NP normo/ipercalorica. Tale sindrome raccoglie alcune o tutte le seguenti alterazioni: iperidratazione, ritenzione di acqua e sodio, edemi diffusi, alterazioni degli elettroliti plasmatici, sovraccarico circolatorio e scompenso cardiaco, iperglicemia, glicosuria, iperlipemia, ipermetabolismo.
La NP deve seguire protocolli di trattamento e accorgimenti specifici per il paziente malnutrito per evitare simile alterazione.
- Sindrome “overfeeding”: in pazienti sottoposti a NP con miscele ipercaloriche, si possono verificare alcune o tutte tra queste alterazioni: ipermetabolismo da stimolo adrenergico, aumento del quoziente respiratorio (rapporto tra produzione di CO2 e consumo di ossigeno), aumento dell’equivalente ventilatorio della CO2 con rischio di insufficienza ventilatoria, lipogenesi patologica, alterazioni della funzione epatica.
- Alterazioni del tratto gastroenterico: in corso di NP, sono state descritte numerose alterazioni a carico del tratto gastroenterico: colestasi intraepatica, colecistite acuta, ritardato svuotamento gastrico, stimolo della secrezione pancreatica, atrofia intestinale e traslocazione batterica.

I principi fondamentali per il monitoraggio della NE e la prevenzione delle complicanze sono: confermare il corretto posizionamento della sonda o della stomia (il metodo più attendibile è quello radiologico). Evitare l’aspirazione tracheale con la corretta somministrazione della NE in posizione adeguata che, per il paziente costretto a letto è con un’inclinazione della testata di 30-45°, nel caso di NE intermittente o per bolo, dopo ogni somministrazione occorre mantenere la stessa posizione e non sdraiarsi per almeno 20-30 minuti. Tale indicazioni trova una corretta applicazione anche per il paziente che riesce a mantenere una posizione seduta durante la somministrazione. La massima igiene deve essere riposta nel manipolare la via d’infusione e la miscela, con adeguati protocolli relativi anche alla pulizia del sondino concernenti l’infusione di acqua prima e dopo l’inizio della somministrazione. In corso di NE, molte sindromi diarroiche apparentemente inspiegabili sono in realtà dovute a contaminazione batterica delle miscele, per prevenire tali incidenti è opportuno preferire formule industriali a quelle artigianali, non abbandonare la miscela pronta per la somministrazione a temperatura ambiente, sostituire la sacca ed il deflussore ogni 24- 48 ore.

Il controllo del ristagno gastrico effettuato più volte al giorno (in caso di pazienti con presenza di nausea o vomito) è utile alla valutazione eventuale di un alterato svuotamento gastrico (ristagno superiore a 150 ml). Il controllo giornaliero del quantitativo di miscela e di liquidi somministrati è indispensabile al mantenimento dell’equilibrio elettrolitico. Essenziale è l’annotazione giornaliera di distensione addominale, meteorismo, crampi, diarrea (numero e consistenza delle scariche) stipsi, ecc…, poiché le complicanze gastroenteriche sono tra le più frequenti nel trattamento con la NE (20-40%), le ragioni si possono ritrovare fra i seguenti punti: effetto iatrogeno da farmaci (antibiotici, antiacidi, farmaci contenente sorbitolo, ecc…), intolleranza al lattosio, contaminazione batterica delle miscele, somministrazione a velocità troppo rapida (la somministrazione con nutripompe definisce in maniera più precisa la velocità per tutto il tempo d’infusione), mancanza di fibre solubili nella miscela somministrata, miscela iperosmolare, ipoalbuminemia.

In conclusione la NA nell’anziano a domicilio o istituzionalizzato deve considerarsi una “terapia” e come tale deve essere realizzata da operatori qualificati e addestrati ai diversi approcci, di prevenzione alle complicanze, al monitoraggio, ma soprattutto deve rispondere ai principi etici, di sicurezza e beneficio psico-fisico del paziente.

L’alimentazione artificiale del paziente incapace d’intendere e di volere
(È giusto alimentare artificialmente i pazienti dementi?)
Dott. Günther Donà- Relazione tenuta a Bressanone il 14 novembre 2003

Grazie ai progressi compiuti negli ultimi anni dalla medicina, oggi siamo in grado di curare efficacemente patologie o sequele di traumi che, in passato, erano considerate inguaribili, e questo senza alcun problema etico rilevante. In altri casi però, la medicina attuale ha aperto le porte a possibilità diagnostiche e terapeutiche che invece danno adito a riserve etiche piú o meno rilevanti, basti citare la diagnostica prenatale o i trapianti d’organi. Un altro argomento assai delicato, forse meno dibattuto ma assai piú frequente nell’attività clinica quotidiana, è l’alimentazione delle persone malate gravi e in stato terminale, soprattutto quando da parte loro non arrivano piú né richieste di cibo, né segni percepibili d’appetito o di sete. Proprio in questi casi, decidere come comportarsi, ossia se alimentare tali pazienti in nome del loro diritto a mangiare e bere, o interrompere l’apporto alimentare per non prolungare inutilmente il processo di morte, è tutt’altro che facile, per le incertezze giuridiche ed etiche che gravano su questa scelta.

[...]

Si intendono capaci d’intendere e di volere le persone in pieno possesso delle proprie facoltà mentali e in grado di ponderare e motivare criticamente le proprie scelte. La capacità d’intendere e di volere è il presupposto imprescindibile del consenso informato dal paziente, che deve dunque essere in grado di comprendere l’utilità, i rischi e la portata di un intervento, come pure le conseguenze cui andrebbe incontro se non lo accettasse. Solo a queste condizioni, infatti, una persona può decidere autonomamente e con cognizione di causa. In base alle norme vigenti, una scelta compiuta con questi presupposti va sempre rispettata dal medico, quale che essa sia. Ciò non toglie, però, che prima di adottare una decisione definitiva, il paziente va informato approfonditamente e debitamente assistito nel proprio processo decisionale.

I pazienti incapaci d’intendere e di volere o privi di coscienza, invece, sono quelli non in grado d’esprimere la propria volontà. In questi casi, la legge prevede che sia nominato dal tribunale un rappresentante legale che, in nome del principio del “beneficio” e del “non nuocere”, è autorizzato ad esprimere la volontà presunta del malato. In mancanza di un rappresentante legale, tutte le figure coinvolte debbono ponderare attentamente i pro e i contro, ma la decisione finale, in questo caso, è demandata al medico.

Infine, esistono le persone interdette o parzialmente interdette, vale a dire quelle che per sentenza di un giudice sono state sottoposte ad interdizione totale o parziale ai sensi del codice civile, e quindi private del tutto o in parte del proprio potere decisionale e affidate ad un tutore chiamato a rappresentarle legalmente. In ogni caso, lo stato d’interdizione non esonera il medico dall’obbligo di informare e di richiedere il consenso per la terapia che ritiene di dover somministrare.

I motivi che determinano l’incapacità d’intendere e di volere possono essere:
- lo stato comatoso o la perdita parziale di coscienza (con disturbo della deglutizione),
- la presenza di disturbi mentali (demenza con compromissione totale o parziale della deglutizione),
- la depressione grave o altre patologie psichiche legate ad un rifiuto dell’assistenza (per lo piú senza disturbo della deglutizione).

[...]

Un’altra distinzione assai importante per una scelta eticamente e giuridicamente corretta è anche quella tra
- i pazienti morenti o in stadio terminale da un lato,
- e quelli che, pur essendo affetti da patologie gravi, non sono considerabili alla stregua di malati terminali, per esempio un paziente giovane in coma vigile con sindrome apallica.

Quando una persona gravemente malata versa in condizioni ormai terminali, l’obiettivo terapeutico di garantire la sua sopravvivenza diventa secondario, e l’unico scopo dell’assistenza diventa quello di concedergli fino alla morte una qualità della vita accettabile e priva di sofferenze fisiche (1). Ma se il passaggio da una strategia terapeutica curativa ad una cura palliativa è un momento chiaramente definibile nel decorso di una malattia, una volta che subentra la fase del decesso questa possibilità non c’è piú, poiché a quel punto la qualità della vita del paziente non è piú scientificamente accertabile. Ma quando una persona può essere considerata morente o nello stadio terminale? È assai difficile spiegare che cosa intendiamo quando che una persona sta morendo. In un certo stenso, tutti noi stiamo per morire, ma a nessuno di noi verrebbe in mente di definirsi in questi termini.

In seno al Comitato etico, si è concordata la seguente definizione di stadio terminale: Si considerano morenti o in stadio terminale quelle persone nelle quali, a prescindere dalla propria età, la malattia o le conseguenze di un danno traumatico sono irreversibili e, nonostante le terapie, sono destinate a causare la morte in tempi prevedibilmente brevi. L’accertamento di questo stato patologico è svolto dal medico in base ai segni clinici.

[...]

Ma che cosa s’intende per alimentazione artificiale, e quando può essere considerata opportuna?

Le risposte a tale quesito fornite dalla letteratura scientifica sono piuttosto divergenti.

(1^ ipotesi ) Secondo alcuni autori, infatti, la distinzione tra alimentazione naturale e artificiale dipende essenzialmente dalla presenza o meno di un disturbo digestivo del tratto gastrointestinale. Stando a questa definizione, l’uso di un sondino nasogastrico costituirebbe una forma d’alimentazione naturale e sarebbe sempre opportuno. Diversamente, l’apporto di cibo per via endovenosa sarebbe un’alimentazione artificiale, e quindi da omettere in alcune situazioni, per esempio in presenza d’incapacità permanente degli organi digestivi di trasformare il cibo, oppure quando non è piú possibile alimentare il paziente con sonda nasogastrica senza causare complicanze piú o meno permanenti.

Stando a questa definizione, quindi, la rinuncia generalizzata all’alimentazione permanente per via endovenosa apparirebbe altrettanto giustificata quanto il ricorso al sondino nasogastrico. Le stesse considerazioni valgono, dal punto di vista etico, per l’apporto sottocutaneo di liquidi nel paziente terminale: l’utilità di quest’intervento, controverso dal punto di vista medico, si limita all’idratazione sostitutiva di breve durata in determinate situazioni, poiché iniettare liquidi senza apportare contemporaneamente alimenti, nei pazienti sia morenti che non morenti, è un metodo assai discutibile tanto sul piano medico quanto su quello etico.

(2^ ipotesi ) Altri autori, invece, ritengono che il criterio per distinguere fra alimentazione naturale e artificiale non debbano essere i disturbi digestivi del tratto gastrointestinale, bensí quelli della deglutizione.
In questo caso, ogni forma d’apporto alimentare che comporti la deglutizione autonoma va considerata naturale, mentre quelle che aggirano l’atto deglutitorio sarebbero artificiali. Adottando questo criterio, si potrebbe dunque rinunciare, in determinate situazioni, sia al sondino nasogastrico, sia all’accesso venoso, in quanto entrambe sarebbero delle forme d’alimentazione artificiale.

In ogni caso, ad un’analisi piú attenta sia la prima che la seconda definizione non sono prive d’incertezze e incongruenze.

E come se questi dilemmi non bastassero, un altro quesito irrisolto è se l’apporto di cibo e liquidi va considerato parte integrante dell’assistenza minima di base, e quindi eticamente obbligatorio, o se invece rappresenta un intervento terapeutico, e come tale da adottare solo in determinate situazioni e in presenza d’indicazioni mediche chiaramente definite.

(1^ ipotesi ) I fautori della prima ipotesi affermano che l’apporto di cibo, anche quando è artificiale, è un modo per rispettare e tutelare la dignità del paziente, e va quindi considerato un’esigenza basilare da non negare a nessuno.

(2^ ipotesi ) La maggior parte degli esperti, invece, ritiene che l’alimentazione artificiale sia un intervento terapeutico, equiparabile ad altri trattamenti medici come la respirazione artificiale, e come tale da adottare solo dopo aver ponderato, caso per caso, il rapporto tra rischi e benefici.

Da tutte le considerazioni fatte finora emerge che, allo stato attuale, la distinzione fra alimentazione naturale e artificiale è ancora piuttosto arbitraria. È chiaro, quindi, che percorrendo questa strada non troveremo un criterio affidabile e condivisibile per risolvere il nostro problema in termini eticamente accettabili.

Piuttosto, da parecchi anni nella medicina occidentale sta prendendo piede un altro criterio di riferimento etico, quello della riduzione del dolore o della sofferenza, ed anche nelle pubblicazioni scientifiche dedicate all’alimentazione e all’apporto di liquidi nei pazienti terminali, l’obiettivo di lenire o eliminare la sofferenza del paziente è ormai considerato determinante.

I fautori della disidratazione, ossia della riduzione o soppressione totale dell’apporto di liquidi nella persona morente, ne ricordano i molti vantaggi come la 6 minore produzione di saliva, la riduzione del vomito, il calo della produzione d’urina (che a sua volta comporta meno cateteri urinari, meno procedure laboriose per la minzione dei pazienti allettati e meno disturbi da decubito), la minore frequenza di tosse per assenza di ristagno polmonare, il conseguente ricorso piú raro all’aspirazione broncopolmonare e, infine, il calo dello stato di coscienza del paziente, che in generale determina una minore percezione del dolore.

I detrattori della disidratazione e della riduzione dell’apporto alimentare, invece, propugnano il diritto fondamentale del paziente ad un apporto sufficiente di liquidi e alimenti, considerano eticamente inaccettabile far morire di fame e di sete un paziente, e ritengono che l’alimentazione e l’apporto di liquidi siano un diritto assoluto e non disponibile, da collocare su un piano piú elevato rispetto ad altri trattamenti medici (per esempio la terapia antibiotica).

[...]

Quali sono, in generale, gli obiettivi da perseguire nell’attività medica e assistenziale?
“L’assistenza sanitaria ha sostanzialmente quattro obiettivi fondamentali:
1) promuovere la salute,
2) prevenire la malattia,
3) ripristinare lo stato di salute,
4) alleviare la sofferenza.”

[...]

Prima di decidere se avviare un’alimentazione artificiale per il bene del paziente, quindi, occorre rispondere ai seguenti quesiti:
• Che cosa rende necessaria l’alimentazione artificiale? E chi desidera questa forma d’alimentazione?
• Sono già stati esperiti tutti i tentativi possibili per alimentare il paziente in modo naturale?
• In quale stadio della malattia si trova il paziente?
• La prognosi è reversibile o irreversibile?
L’obiettivo terapeutico è curativo o palliativo?
• Nella situazione specifica del paziente, l’alimentazione artificiale può avere degli effetti scientificamente documentabili? E può far sí che il paziente non possa piú far ritorno al proprio domicilio?

[...]

Le persone non piú in grado d’intendere e di volere, per esempio vittime di traumi cranici gravi ed imprevisti, è piuttosto raro che abbiano espresso in passato la propria volontà sull’alimentazione artificiale. Le norme vigenti prevedono che in questi casi la decisione spetti a una persona delegata a rappresentare legalmente il malato, o alla persona che lo assiste, che deciderà in base alla volontà “presunta” dell’interessato o alle proprie convinzioni personali.

[...]

Il paziente incapace d’intendere e di volere ha il diritto di essere assistito, il che, in linea di massima, implica anche il diritto ad essere nutrito. Ma ciò non vuol dire necessariamente alimentarlo artificialmente, né dobbiamo ritenere che una persona incapace d’esprimere la propria volontà debba desiderare sempre e comunque tutto ciò che in qualche modo può prolungargli la vita.

Come si vede, quindi, al medico è concesso un margine molto ampio di discrezionalità, e l’obbligo di assistere la vita del paziente lo deve spingere a garantire il nutrimento fin quando ritiene che esso giovi al benessere del malato. Ma lo stesso obbligo gli proibisce di ostacolare il processo di morte adottando misure eccessive o inutili.

Se quindi la rinuncia all’alimentazione è una scelta lecita nei malati morenti, lo stesso non vale per le persone affette da danni cerebrali gravi e irreversibili, ma non in stadio terminale, per le quali invece la rinuncia all’alimentazione può valere, tutt’al piú, quando si è certi che questo atto non diventi la causa principale di morte del paziente. Lo stesso principio vale, per analogia, anche per le persone affette da demenza grave e progressiva.

[...]

Poiché il rifiuto del cibo nello stadio terminale della demenza non è la causa della morte, ma piú probabilmente una circostanza concomitante al decesso, sarebbe eticamente preferibile dare a queste persone l’affetto e il calore umano di cui necessitano (magari anche sotto forma di alimentazione manuale), piuttosto che delegare queste attenzioni ad una piú “comoda” alimentazione con sondino. Inoltre, non va dimenticato che i pazienti nutriti artificialmente subiscono un disagio piuttosto pesante, come dimostra il fatto che nella maggior parte dei casi si è costretti a misure costrittive per far tollerare loro il sondino.

In conclusione :

1-Per un paziente incapace d’intendere e di volere ma non morente, vale il diritto alla vita a prescindere dalla sua qualità.

2- Nel paziente gravemente malato non piú in grado d’esprimersi, l’alimentazione artificiale può essere omessa o interrotta quando sua sofferenza è destinata in tempi brevi e in modo irreversibile a sfociare nel decesso, quando la sottrazione del cibo non gli causa dolori o ulteriori sofferenze, e quando il medico, il personale infermieristico e i familiari concordano che questo atto sia nell’interesse del paziente.

Parere del Comitato Nazionale di Bioetica sull'alimentazione artificiale .

Somministrare cibo e acqua, anche attraverso un sondino, ai pazienti in stato vegetativo persistente non è un atto medico e, dunque, non può essere considerato come accanimento terapeutico.

E’, invece, da valutare “alla stregua di un sostentamento ordinario di base” e per questo è “da considerarsi eticamente e giuridicamente illecita” la decisione di sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiale.

Con un’unica eccezione: si può staccare il tubo solo quando l’organismo non è più in grado di “assimilare le sostanze fornite”, come nel caso dei malati terminali.

E’ con questa motivazione che il Comitato Nazionale di Bioetica ha approvato a maggioranza di due terzi un documento in cui dice “no” alla sospensione di tali trattamenti. 

TAR e stato vegetativo permanente

Tar: solo il paziente può decidere se interrompere o meno l'alimentazione e l'idratazione artificiale
A decidere sulla fine della propria esistenza, deve essere l'individuo interessato, sebbene questi viva in uno stato vegetativo. Soltanto il paziente può decidere se interrompere l'idratazione e l'alimentazione, non possono decidere gli altri al suo posto. Lo ha stabilito il Tar del Lazio con la sentenzan. 560/09, accettando il ricorso presentato dal Movimento difesa del cittadino (Mdc) circa la direttiva del Ministero del Welfare che aveva intimato a tutte le strutture del Servizio Sanitario Nazionale di impedire sempre l'interruzione dell'idratazione e alimentazione artificiali in pazienti in stato vegetativo permanente.

In particolare, si legge nella sentenza: "I pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare e non devono in ogni caso essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso, possono, nel caso in cui loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti". Il paziente, inoltre, "vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi".

Il principio fondamentale su cui si sono basati i giudici: la libertà personale è inviolabile così come sancito dall'articolo 13 della Costituzione

(Vedi: Il Sole 24 Ore- Sanita' n. 39) Lun, 17/10/2005

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