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Trapianti e morte cerebrale. "L'Osservatore Romano" ha rotto il tabù |
di Sandro magister - http://chiesa.espresso.repubblica.it Il giornale del papa ha messo in dubbio che per accertare la morte di una persona basti l'arresto del cervello. E con ciò ha riaperto la discussione sui prelievi d'organi da "cadaveri caldi" a cuore battente. Ancor più critici gli studiosi della Pontificia Accademia delle Scienze. E Ratzinger, quand'era cardinale... Sotto traccia, però, nella Chiesa i dubbi crescono. Intanto, da Pio XII in poi, i pronunciamenti della gerarchia sulla questione sono meno lineari di come appaiono. A illustrare queste "ambiguità" della Chiesa c'è un intero capitolo di un libro uscito di recente in Italia: "Morte cerebrale e trapianto di organi. Una questione di etica giuridica", edito dalla Morcelliana di Brescia. Ne è autore Paolo Becchi, professore di filosofia del diritto nelle università di Genova e di Lucerna e allievo di un pensatore ebreo che dedicò riflessioni preoccupate alla questione della fine della vita, Hans Jonas. Secondo Jonas, la nuova definizione di morte accreditata dal rapporto di Harvard era motivata, più che da un reale avanzamento scientifico, dall'interesse, cioè dalla domanda di organi da trapiantare. Ma soprattutto aumentano nella Chiesa le voci critiche. Già nel 1989, quando la Pontificia Accademia delle Scienze si occupò della questione, il professor Josef Seifert, rettore dell'Accademia Filosofica Internazionale del Liechtenstein, avanzò forti obiezioni alla definizione di morte cerebrale. A quel convegno, quella di Seifert fu l'unica voce dissenziente. Ma anni dopo, quando il 3-4 febbraio del 2005 la Pontificia Accademia delle Scienze si riunì di nuovo a discutere la questione dei "segni della morte", le posizioni si erano capovolte. Gli esperti presenti – filosofi, giuristi, neurologi di vari paesi – si trovarono d'accordo nel ritenere che la sola morte cerebrale non è la morte dell'essere umano e che il criterio della morte cerebrale, privo di attendibilità scientifica, debba essere abbandonato. Questa conferenza fu uno choc per i dirigenti vaticani che aderivano al rapporto di Harvard. Il vescovo Marcélo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, dispose che gli atti non fossero pubblicati. Un buon numero dei relatori consegnò allora i propri testi a un editore esterno, Rubbettino. E ne venne un libro dal titolo latino: "Finis Vitae", curato dal professor Roberto de Mattei, vicedirettore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e direttore della rivista "Radici Cristiane". Il libro ha avuto una doppia edizione, in italiano e in inglese. Allinea diciotto saggi, metà dei quali di studiosi che non parteciparono al convegno della Pontificia Accademia delle Scienze ma ne condividevano gli orientamenti. Tra questi il professor Becchi. Mentre tra i relatori al convegno spiccano i nomi di Seifert e del filosofo tedesco Robert Spaemann, quest'ultimo molto stimato da papa Joseph Ratzinger. Sia questo doppio volume edito da Rubbettino, sia quello di Becchi pubblicato dalla Morcelliana hanno dato lo spunto a Lucetta Scaraffia per riaprire la discussione sulle colonne de "L'Osservatore Romano", nel quarantesimo del rapporto di Harvard. E Benedetto XVI? Sulla questione non si è mai pronunciato direttamente, nemmeno da teologo e cardinale. Si sa però che apprezza le argomentazioni dell'amico Spaemann. Nel concistoro del 1991 Ratzinger tenne ai cardinali una relazione sulle "minacce contro la vita". E nel descrivere tali minacce si espresse così: "La diagnosi prenatale viene usata quasi di routine sulle donne cosiddette a rischio, per eliminare sistematicamente tutti i feti che potrebbero essere più o meno malformati o malati. Tutti quelli che hanno la buona sorte di essere portati sino al termine della gravidanza dalla loro madre, ma hanno la sventura di nascere handicappati, rischiano fortemente di essere soppressi subito dopo la nascita o di vedersi rifiutare l'alimentazione e le cure più elementari. " "Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma 'irreversibile' saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo o serviranno, anch'essi, alla sperimentazione medica, come 'cadaveri caldi'. " "Infine, quando la morte si preannuncerà, molti saranno tentati di affrettarne la venuta mediante l'eutanasia". Da queste parole si intuisce che Ratzinger aveva già allora forti riserve sui criteri di Harvard e sulla pratica che ne è derivata. A suo giudizio i prelievi d'organo su donatori in fin di vita avvengono spesso su persone non già morte, ma "messe a morte" a tal fine. Inoltre, da papa, Ratzinger ha pubblicato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Nel quale si legge, al n. 476: "Per il nobile atto della donazione degli organi dopo la morte deve essere pienamente accertata la morte reale del donatore". Commenta Becchi nel suo libro: "Poiché oggi ci sono buoni argomenti per ritenere che la morte cerebrale non equivalga alla morte reale dell'individuo, le conseguenze in materia di trapianti potrebbero davvero essere dirompenti. E ci si può chiedere quando esse saranno oggetto di una presa di posizione ufficiale della Chiesa "
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