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Testamento biologico, i magistrati ci riprovano    

di Andrea Galli-http://www.avvenire.it

Un decreto emesso dal giudice tutelare del tribunale di Modena Guido Stanzani ha accolto ieri la richiesta presentata da un uomo in buone condizioni di salute di nominare la moglie suo amministratore di sostegno per le volontà di fine vita, per «non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico» in caso «di malattia allo stato terminale, malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante» e che «costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione»

Grazie al decreto, ha osservato l’avvocato dell’uomo, Maria Grazia Scacchetti, «la moglie è autorizzata a negare il consenso a terapie invasive non volute». Da questo momento le volontà di fine vita possono essere affidate a tre figure: il soggetto che le esprime, l’amministratore di sostegno e il giudice tutelare. Un eventuale cambiamento nelle volontà deve essere comunicato al giudice tutelare. «Se quindi il medico – ha concluso l’avvocato – mettesse comunque in atto interventi terapeutici non desiderati, sarebbe passibile dell’accusa di lesioni volontarie».

  l decreto si basa sul «diritto a non curarsi» recentemente riconosciuto dalla Cassazione e rilevando che «tutte le norme costituzionali a presidio dei diritti primari sono imperative e di immediata operatività», distingue il rifiuto delle cure salvifiche dall’eutanasia.

Quest’ultima è infatti definita dal giudice come «interventi accelerativi del naturale percorso biologico di morte per la persona capace di intendere e di volere che, affetta da sofferenze insopportabili e senza prospettive di guarigione, chiede che le vanga praticato un farmaco mortale, se non in grado di autosomministrarselo, ovvero, ed è il cosiddetto suicidio assistito, di fornirglielo così che possa assumerlo». Le situazioni relative al rifiuto delle terapie salvifiche si caratterizzano invece, sempre secondo il magistrato, «per il rispetto del normale percorso biologico sotto il profilo di non interferenza con il suo corso ovvero di suo ripristino, se forzatamente rallentato; nulla a che vedere dunque con l’eutanasia, la cui essenza consiste nell’indotta accelerazione del processo di morte».
  È la prima volta che un decreto di questo tipo riguarda un uomo in buone condizioni di salute. In assenza di una legge che regoli le dichiarazioni anticipate di volontà, trovano dunque spazio provvedimenti che imbavagliano
 Un decreto del giudice tutelare del Tribunale di Modena ha accolto ieri la richiesta presentata da un uomo in buone condizioni di salute di nominare la moglie suo «amministratore di sostegno» per eseguire le sue volontà di «fine vita» Con la delega di impedire qualsiasi trattamento terapeutico in caso «di malattia allo stato terminale». Ancora un giudice che «crea» una legge che non c’è
 il medico riducendolo a esecutore passivo delle volontà del malato.
  «Serve una normativa che dia regole certe ed è bene che il Parlamento legiferi velocemente – ha subito commentato il sottosegretario al Welfare con delega alla Salute, Eugenia Roccella – perché una cosa è la libertà di cura e un’altra è il diritto di morire: sono due cose diverse e bisogna stare attenti a segnare un confine certo, altrimenti si sconfina nel suicidio assistito».
  Strumenti come quello adottato a Modena rischiano di rendere «più labile» questo limite. Quella che serve è una norma che «indichi chiaramente cosa si può fare e cosa no, quali garanzie si offrono al paziente». «Ho dubbi – conclude Roccella – sull’uso dell’amministratore di sostegno.   Uno strumento già stato utilizzato, che affida a una persona il ruolo di depositario delle volontà o di un vero e proprio testamento biologico».
 
Dubbi che condivide Mario Ronco, ordinario di Diritto penale all’Università di Padova, per il quale ci si trova di fronte all’ennesimo caso di forzatura di un giudice a scopi molto chiari: «Far sì che i desideri del malato diventino cogenti per il medico va contro alla legislazione esistente e ai principi espressi dalla Convenzione di Oviedo – ricorda Ronco – in cui si indica di tener conto dei desideri della persona espressi durante la sua vita come elementi importanti di una valutazione finale che deve tener conto del bene del malato, evitando di fargli del male. Adesso si utilizza l’istituto dell’amministratore di sostegno per introdurre qualcosa che non esiste. Ricorda la tattica usata dai Radicali». E a chi, come Amedeo Santosuosso, docente di Diritto e scienze della vita all’Università di Pavia e tra i fondatori della Consulta di bioetica, di matrice radicale, sostiene che «quella di Modena è una procedura prevista dalla legge e che con la pronuncia del giudice garantisce un’attività di controllo», Ronco replica di non mischiare le carte in tavola: «L’amministratore di sostegno è un istituto che non c’entra assolutamente nulla col testamento biologico. Punto. E che si possano piegare le leggi per un’applicazione creativa contra legem è una cosa nota fin dai primordi del problema dell’interpretazione».

  Ha collaborato Stefano Andrini

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