SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
 Il braccio filippino di Al Qaeda decapita due testimoni di Geova.

Le teste trovate in un mercato dell´isola di Jolo con un cartello: «Così finisce chi non crede in Allah»

Le teste mozzate di due Testimoni di Geova filippini, Leonil Monti e Lewil Bantolo, appartenenti a un gruppo di sei che erano stati rapiti martedì scorso a Patikul, capoluogo dell'isola di Jolo, sono state ritrovate ieri in un grande mercato nelle Filippine meridionali. Erano chiuse in sacchetti di plastica; accanto a loro un cartello: «Chi non crede in Allah, subirà la stessa sorte... Quest'azione è parte della guerra santa», altri scritti inneggianti alla jihad e versetti del Corano, vergati in arabo e in un dialetto locale.

Secondo l'esercito, che continua le ricerche per localizzare rapitori e ostaggi (quattro donne sono ancora nelle loro mani), il sequestro e gli omicidi sarebbero opera di una cellula di Abu Sayyaf, il gruppo islamico che gli Stati Uniti ritengono legato ad Al Qaeda e a Osama bin Laden. A guidarli un capo locale, Moin Sahiron, nipote di Radulah Sahiron, un veterano delle guerre separatistiche nel Sud dell'arcipelago filippino. I sei filippini rapiti vendevano cosmetici Avon, tè e medicinali a base di erbe nella zona, a maggioranza musulmana. Alcuni giornali hanno scritto che svolgevano anche opera di evangelizzazione e che portavano con sè Bibbie e opuscoli di propaganda religiosa, un´attività estremamente rischiosa in una delle culle del fondamentalismo islamico.

Al momento dell' assalto erano accompagnati da un autista e una guida locale, entrambi musulmani, che non sono stati toccati. Da oltre un secolo, nelle Filippine meridionali, è attiva la guerriglia musulmana del fronte Moro. Dalle loro fila si è staccato negli Anni `90 il gruppo Abu Sayyaf, che si propone la creazione di uno Stato islamico nel Sud delle Filippine ed è responsabile di molte azioni violente, tra le quali l'uccisione di un prete italiano, Salvatore Carzedda. Tra le sue ultime vittime, un gruppo di 21 persone di cui facevano parte dieci turisti occidentali, liberati dopo una lunga prigionia dietro pagamento di un riscatto di milioni di dollari, e i missionari americani Martin e Garcia Burnham, tenuti in ostaggio per 376 giorni. In passato il gruppo aveva anche rapito filippini poveri, all´unico scopo di costringerli a lavorare come schiavi per qualche settimana e quindi rilasciandoli. Questa attività, che sembrava ormai condotta a esclusivo scopo di schiavismo, ha avuto una netta sterzata politica dopo l´11 settembre, tanto che nell´inverno il governo di Manila si era rivolto per aiuti a Washington.

L'intervento delle truppe Usa, che aveva tra i suoi compiti anche l'addestramento dell'esercito filippino, e nel corso del quale Abu Sabaya, uno dei principali dirigenti di Abu Sayyaf, era stato ucciso, si era concentrato sull'isola di Basilan, concludendosi il 31 luglio scorso. Il rapimento è avvenuto mentre l'esercito bombardava alcuni rifugi di Abu Sayyaf nella regione, nell'ambito di una offensiva contro la guerriglia ed è la prima azione dall´inizio dell´offensiva. La vicenda si sta dimostrando quindi una grave fonte di imbarazzo per il governo di Manila, che aveva ricevuto generosi aiuti dagli Usa per combattere il terrorismo. La presidente Arroyo, che si era spesa in prima persona con gli Stati Uniti per ottenere finanziamenti e appoggio per debellare l´estremismo islamico, appare oggi in difficoltà. Una difficoltà che traspare anche dalle notizie contradditorie fornite sull´accaduto: martedì, il giorno del rapimento, i militari avevano annunciato che era opera del gruppo terrorista, due giorni dopo avevano fatto marcia indietro, affermando che si trattava dell´azione di un gruppo di banditi comuni. Ieri, comunque, centinaia di rinforzi sono arrivati a Patikul da altri villaggi dell´isola nel tentativo di sgominare il commando, considerato particolarmente pericoloso. Secondo l'esercito filippino ci sarebbe stato Abu Sayyaf dietro a un complotto, sventato dalla polizia, per uccidere il Papa durante il suo viaggio del 1994 nelle Filippine. E il suo organizzatore, Ramzi Ahmed Yusef, sconta una pena all'ergastolo negli Stati Uniti per il primo attentato commesso contro il World Trade Center nel 1993, che causò sei morti.

Francesco Sisci (C) LA STAMPA, 23/8/2002

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