SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Strategia terroristica nell' area Oceano Indiano :
bombe in India e attentato all'ambasciata indiana in Pakistan .
Coinvolgimento dell'organizzazione islamica integralista Harkat-ul-Jihadi-al-Islami.

fonte : http://temi.repubblica.it/limes-14 Maggio 2008
di Francesca Marino

La strategia degli attentati in India. Il coinvolgimento dell'organizzazione islamica integralista Harkat-ul-Jihadi-al-Islami. L'addestramento trasferito dall'Afghanistan al Pakistan. La nuova tattica: usare cittadini indiani. I salti mortali di Musharraf.

Con un intervallo di pochi mesi, come da copione ormai consolidato, i terroristi tornano a colpire in India. Scegliendo anche questa volta l’ennesimo bersaglio insospettabile e, in qualche modo, indifendibile: Jaipur, la ‘città rosa’ capitale dello stato del Rajasthan e meta privilegiata di qualunque viaggio, organizzato e non, nella terra di Gandhi.

Le bombe, otto esplose e alcune disinnescate in un secondo tempo dall’esercito, sono state piazzate (e anche questo è ormai un copione consolidato) in prossimità di un tempio induista, nei mercati e perfino nelle vicinanze del monumento-simbolo della città, l’Hawa Mahal. L’esplosivo era stato collocato su biciclette e risciò abbandonati nei luoghi dell’esplosione.

E’ la seconda volta in pochi mesi che i terroristi colpiscono all’interno del Rajasthan, stato turistico per eccellenza. Lo scorso ottobre, difatti, una bomba era esplosa nel santuario sufi dedicato al santo Khwaja Moinuddin Chishti ad Ajmer, provocando tre morti e una ventina di feriti. La bomba era stata piazzata nel santuario due giorni prima e comandata per mezzo di telefoni cellulari. Si era pensato, in quel caso, a una sorta di ‘avvertimento’ ai musulmani moderati, visto che la Dargah di Ajmer è meta di pellegrinaggio e di devozione non soltanto da parte di musulmani ma anche di induisti. In questo caso, volendo dare un senso alle bombe di Jaipur, si ricorda che la città rosa è capitale di uno stato saldamente governato dal partito nazionalista hindu del Bjp. In realtà, secondo gli analisti, si tratterebbe soltanto dell’ennesimo episodio di una ben orchestrata strategia del terrore che ha ormai da tempo cambiato modalità e campo d’azione e si muove su linee guida completamente diverse.

Negli ultimi due anni
l’India è stata teatro di azioni terroristiche che brillano, apparentemente, per insensatezza: è stata colpita per l’ennesima volta la capitale economica Bombay nel giugno del 2006, e poi, per due volte la città sacra Varanasi: nel marzo del 2006 e nel novembre 2007. Al tempo stesso, però, i terroristi hanno colpito due volte, nel maggio e nell’agosto 2007, Hyderabad: moschea e mercati, in una città a maggioranza musulmana. Nel settembre 2006 era stata fatta esplodere un’altra moschea a Malegaon, in Maharashtra. Nel febbraio 2007 due bombe piazzate su un treno India-Pakistan avevano ucciso in maggioranza musulmani e, infine, c’è stato l’attacco alla Dargah di Ajmer.

Dietro quasi tutti gli episodi in questione,
secondo le indagini effettuate, ci sarebbe la stessa mano: la mano dell’organizzazione islamica integralista dell’Harkat-ul-Jihadi-al-Islami (HuIJ). La HuIJ è un’organizzazione nata nel 1992 a Dhaka, in Bangladesh, con il supporto morale e materiale dell’International Islamic Front di Osama bin Laden. Scopo dell’organizzazione, prendere il potere in Bangladesh e convertire lo stato in una nazione integralista sulla scia dell’Afghanistan dei Taliban.

Gli uomini della HuJI erano stati, e continuano a essere, reclutati nelle madrasa locali e addestrati in Afghanistan o in Pakistan. Anche dopo la caduta del regime di Kabul, secondo fonti delle varie intelligence locali la HuIJ continua a mantenere contatti con ciò che resta dei Taliban e con Al Qaida. Con una differenza: adesso, i ragazzi dell’organizzazione vengono addestrati in Pakistan sotto la protettiva ala dell’Inter-Service Intelligence (Isi), i servizi segreti pakistani che gestiscono con un certo successo una serie di campi di addestramento in Bangladesh. Finanziati dal Pakistan, ovviamente, ma anche dall’Arabia Saudita e dall’Afghanistan per mezzo di organizzazioni non governative a scopo cosiddetto umanitario.

La cattura di uno dei capi dell’organizzazione, Aftab Ansari, aveva portato negli anni scorsi a evidenziare una serie di interessanti relazioni tra la HuIJ, la Lashkar-i-Toiba e la Jaish-i-Mohammed (l’organizzazone sospettata di avere catturato e ucciso il giornalista americano Daniel Pearl). Le indagini della polizia indiana a Varanasi, ad Hyderabad e ad Ajmer, per citare solo qualche caso, avevano evidenziato il coinvolgimento di cittadini bangladeshi in ciascun episodio.

Di recente, però, sembra che qualcosa sia cambiato.
Sembra infatti che sia sempre più frequente il coinvolgimenti di cittadini indiani, invece che di agenti infiltrati, nelle operazioni terroristiche. Il che significa, secondo gli analisti, che sono state create in India cellule ‘dormienti’ composte da cittadini indiani reclutati tra la goventù musulmana integralista.

La Lashkar-i-Toiba e la Jaish-i-Mohammed sono organizzazioni pakistane
che operano di prevalenza nel Kashmir indiano. Da anni l’India ha un contenzioso aperto con il Pakistan, accusato di infiltrare e finanziare terroristi oltre confine mentre, ufficialmente, tende una mano a New Delhi per risolvere la questione del Kashmir. Di recente, il presidente Musharraf ha dichiarato che la Lashkar-i-Toiba non opera più in territorio pakistano, che non esiste più all’interno dei confini nazionali. Vero, visto che il suo braccio politico, la ex Markaz-Dawa-al-Irshad ha cambiato nome ed è diventata la Jamaat-ud-Dawa. Organizzazione a scopi umanitari molto attiva, ad esempio, durante il terremoto del 2005 e capeggiata da una vecchia conoscenza dei servizi segreti internazionali: Hafeez Mohammed Sayeed, ideologo e capo della vecchia Markaz-Dawa-al-Irshad.

Sia Musharraf che Sayeed negano ogni relazione
tra la Lashkar-i-Toiba e la Jamaat-ud-Dawa, ma non ci crede nessuno. Nemmeno gli americani, che hanno inserito la Jamaat-ud-Dawa nella lista delle organizzazioni terroriste, ma si sono viste opporre da Musharraf un secco rifiuto alla richiesta di congelamento dei fondi dell’organizzazione. Che adesso ha cambiato, su suggerimento dell’Isi, strategia. E’ vero, difatti, che i terroristi non vengono più infiltrati dentro i confini indiani: semplicemente, la Lashkar-i-Toiba e la Jaish-i-Mohammed sono state incoraggiate, e opportunamente finanziate, a contare per il lavoro da svolgersi su cittadini indiani. Cittadini che si spostano facilmente da una città all’altra, minimizzando il rischio di essere scoperti. La stessa politica è stata di recente applicata dalla HuIJ, che si avvale, come le altre due organizzazioni, del sostegno di un gruppo interno all’India, il fuorilegge Student’s Islamic Movement of India finanziato e sostenuto anch’esso dall’intelligence pakistana. Secondo gli analisti, in sostanza, la strategia del terrore in atto entro i confini indiani sarebbe volta a distogliere parte dell’attenzione internazionale nei confronti del Pakistan e del suo allevamento di jihadisti. E a proiettare della jihad un’immagine globale in grado di scindere finalmente l’equazione Pakistan-terrorismo.

Dopo l'attentato all'ambasciata indiana a kabul .
Le due facce dell’Isi-Pakistan.
L'ambiguo ruolo giocato da Musharraf e dal Pakistan.
Gli accordi con gli integralisti nelle zone di confine.
La presenza indiana in Afghanistan.
Stessa tecnica anche per il Kashmir.

fonte : http://temi.repubblica.it/limes/le-due-facce-dellisi-pakistan/ 
di Francesca Marino-(carta di Laura Canali )
(08/07/08)

Afghanistan: attentato all'ambasciata indiana .
Quarantuno morti e centocinquanta feriti ma, soprattutto, l’ennesima riapertura della discussione sull’ambiguo ruolo giocato dal Pakistan e dai suoi servizi segreti nella cosidetta lotta al terrorismo e nella guerra ormai infinita della coalizione Nato in Afghanistan. E’ il bilancio dell’attentato all’Ambasciata indiana a Kabul che, secondo il ministro degli Interni afghano, è stata “portata avanti con la collaborazione dei servizi segreti di un paese dell’area”. Ovviamente, il riferimento è all’Inter-Services Intelligence pakistana e ai suoi legami con il terrorismo islamico e i Taliban.

Storia vecchia, certamente. Che però viene ciclicamente e puntualmente ‘dimenticata’ dall’occidente fino al prossimo attentato. Al prossimo attentato, cioè, che venga a sfiorare, direttamente o indirettamente, gli interessi della coalizione o dei soli Stati Uniti nell’area. Perché l’India, ovviamente, non ha mai smesso di essere colpita dal terrorismo islamico di matrice pakistana che ha insediato oltre confine una serie di cellule dormienti di varie organizzazioni operanti in Kashmir o, meglio ancora, in Bangladesh addestrate dall’Isi. Neanche Kabul, d’altra parte, ha mai smesso di essere bersaglio privilegiato per i Taliban e per i loro amici: in aprile si è registrato l’ultimo attentato alla vita del presidente Karzai. Nel solo mese di giugno, tanto per dare un po’ di numeri, si sono raggiunti in Afghanistan due poco invidiabili primati: per la prima volta, le perdite della coalizione in Afghanistan hanno superato le perdite (nello stesso mese) in Iraq; e i quarantacinque soldati morti in giugno sul suolo afghano sono il numero più alto di perdite mai riportato in un singolo mese dal settembre 2001.

Secondo l’United Nations Humanitarian Affairs Operations in Afghanistan, inoltre, nei primi sei mesi del 2008 si è avuto un incremento del 62% circa nelle morti di civili rispetto all’anno precedente: 698, per la precisione. E gli attacchi alle truppe americane hanno subito un incremento, in pochi mesi, del quaranta per cento circa. Grazie, ovviamente, ai buoni uffici del governo di Islamabad. Che, in perfetta continuità con la linea politica del presidente Musharraf, si sono affrettati a stringere o rinnovare nuovi accordi di pace con gli integralisti nelle zone di confine. Con Baitullah Mehsud in Waziristan, ad esempio. Che, libero grazie alla sua missione all’interno dei confini pakistani (sloggiare le truppe governative da Waziristan e dintorni), è libero di concentrarsi sull’obiettivo numero due del suo Tehrik-i-Taliban: combattere la coalizione Nato in Afghanistan. Così come Maulana Radio, all’anagrafe Fazlullah, che a Swat ha ottenuto dal governo, per gentile concessione, il permesso di instaurare la Sharia e di continuare a fare dell’ex Svizzera pakistana un paradiso degli integralisti.

A dire la verità, gli accordi sono stati sospesi, in modo molto interessante, all’indomani di uno ‘sbadato’ bombardamento americano sul confine pakistano: che ha ucciso una ventina di soldati, ed è stato letto come ‘avvertimento’ a Islamabad. Avvertimento reiterato dallo stesso Karzai che, per la prima volta, ha affermato il diritto dell’Afghanistan a inseguire oltre confine i Taliban. Ne sono seguite un po’ di scaramucce e di solite operazioni di immagine, giusto il tempo di convincere la Gran Bretagna a raddoppiare, come è successo i primi di luglio, i fondi da stanziare al Pakistan nei prossimi tre anni per aiutarlo nella ormai famosa lotta al terrorismo: novecentocinquantasei milioni di dollari. Che, secondo Londra, dovrebbero essere adoperati per combattere la povertà e l’analfabetismo nelle zone di confine in modo da estirpare alla radice le cause della crescente ‘talibanizzazione’ dell’area. Per inciso, i primi fondi della vecchia tranche di aiuti sono stati erogati nel 2006, e non una nuova scuola si è vista nelle zone in questione. In compenso, come puntualizzano i rapporti dei generali della coalizione, i Taliban sono dotati di armi sempre più aggiornate e nuove di zecca cortesemente fornite, per ammissione degli stessi prigionieri, dall’Isi.

In questo quadro, l’attacco all’ambasciata indiana a Kabul non sorprende più di tanto. Sorprende, casomai, che sia avvenuto soltanto adesso. Quando i rapporti tra Pakistan e India camminano su un binario di formale collaborazione, e la lotta per il Kashmir libero, in Pakistan ma anche nello stesso Kashmir indiano, ha subito una battuta d’arresto. Il fatto è che le relazioni ottime tra Delhi e Kabul non piacciono per niente né ai Taliban né a Islamabad per diversi e alquanto evidenti motivi. E che la presenza indiana in Afghanistan, dal 2002, è diventata particolarmente significativa.

Ci sono circa quattromila indiani che lavorano a progetti di ricostruzione in Afghanistan, e l’India, con 750 milioni di dollari stanziati, è il quinto dei paesi che elargiscono fondi al governo di Kabul. I Taliban chiedono da anni che gli indiani abbandonino il paese, e ci sono stati, dal 2002 a oggi, vari episodi di violenza nei confronti di singoli cittadini indiani: rapimenti e omicidi, e perfino un attacco suicida a una delle postazioni della Indo-Tibetan Border Police.  Appare evidente, secondo gli analisti, che il Pakistan, in barba al nuovo, ‘democratico’ governo, continua a giocare al solito, vecchio gioco ben collaudato da Musharraf. Operazioni di facciata contro i Taliban e i loro sostenitori, sostanziale mano libera alle operazioni oltre confine. La stessa tecnica adottata, d’altra parte, nei confronti dell’India e della questione del Kashmir che, tempo fa, il generale Kiyani asseriva, durante un discorso alle truppe, di “non aver dimenticato”: colloqui di pace e trattative ufficiali, terroristi infiltrati oltre confine. L’estate 2008, dicono, minaccia di essere per le truppe della coalizione una delle più calde degli ultimi anni: e non in senso meteorologico..

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