SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Maoled, il compleanno di Maometto.

Il Natale di Tripoli .Un evento solenne e magico nel segno dell’Islam

testo e foto di Andrea Semplici .-http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista/2005_05/primo_piano1_intero.htm

Ogni anno i vecchi quartieri della capitale libica ospitano la grande festa del Maoled, il compleanno di Maometto, uno dei giorni più sacri del calendario musulmano. Per l’occasione le confraternite sufi escono dalle moschee e fanno cortei musicali per la città cantando canzoni d’amore

Il mio cuore brucia come il fuoco di un amore. La voce è calda, gli occhi sprizzano felicità. Il ragazzo, guappo come sanno esserlo solo nei vicoli della città vecchia, canta e muove le braccia come un’onda del Mediterraneo. I suoi amici si stringono a braccetto, si tengono per mano. Il loro cammino è una danza, le tuniche lunghe scivolano fino ai piedi: il piccolo corteo festoso occupa tutta la strada, nessun vicolo riesce a contenerli. Sono strisce di gioventù. Davanti si muove il drappo della confraternita. Qualcuno sparge incenso: gli uomini immergono il viso nel fumo che si disperde nell’aria. Le donne, dai tetti, fanno volare acqua di rose sulla processione. Un cerchio di tamburelli circonda con vibrazioni da virtuosi il rimbombo del noba, il tamburo grande che un uomo sorregge con passi lenti.

LA PROCESSIONE

Questo è uno dei giorni più sacri dell’Islam. È la notte della nascita, è il Natale musulmano. È Maoled, festa del Profeta, giubileo di Maometto. È il dodicesimo giorno del mese lunare di rabi’ al-awwal, ‘il primo autunno’, data variabile di anno in anno. Queste sono le ore in cui le porte delle piccole moschee dei Sufi musulmani, si aprono: a Tripoli, unico luogo del Nordafrica arabo, ragazzi e sceicchi, maestri e allievi, in questo giorno di festa, escono per le strade in cortei fitti e felici. In testa gli uomini seguono lo stendardo, grande come un lenzuolo, della propria confraternita. I ragazzini ne tengono le corde per farlo ammirare in tutto il suo sfolgorio. Sembra un immenso uccello con le ali spiegate. Gli uomini avanzano in file che si specchiano l’una di fronte all’altra. I primi camminano spalle alla strada, un regista invisibile guida i loro passi. Gli altri avanzano guardandoli in faccia, un suonatore di piatti saltella fra i due gruppi.

PREGHIERE E TRANCE

Sorprendono i Sufi di Tripoli. Mistici islamici, romantici musulmani, fratelli di antiche confraternite sopravvivono in uno stato come la Libia. In un paese laico, materialista, beduino, arricchito dai fiumi di petrolio sepolto sotto i suoi deserti e il suo mare. A Tripoli le loro moschee sono piccole stanze rettangolari, spartane, sempre imbiancate di calce fresca, dimesse, ma sfolgoranti di luci. Entriamo a visitare la zawya Sarira, una moschea della confraternita isauiya, originaria del lontano Marocco. Siamo ai confini della città vecchia. Là dove si sfiora il mare. Questo è il quartiere dei pescatori. Reti, zavorre, canne da pesca, perfino fucili subacquei decorano, nei giorni di Natale, le pareti delle case.

Gli uomini affondano le mani in un sacco di tela bianca che un vecchio fa sfilare davanti a loro. Ne estraggono piccoli baz, i timpani dal suono secco e pieno. Qualcuno dà un segnale impercettibile, muove il corpo come se lo lasciasse andare, oscilla le braccia come fosse un mulino afferrato da un vento leggero e caldo. È una danza immobile. Le mani colpiscono la pelle del baz. I movimenti degli uomini in cerchio si fanno sempre più veloci. Braccia, tuniche bianche, spalle che si flettono e si rincorrono, teste che si piegano, le lodi ad Allah che si inseguono come rintocchi. Crescono fino a riempire la sala, fino ad afferrare l’anima di ciascuno. Questo è il dhikr, la preghiera cantata, la trance nella ripetizione di una parola sacra.

CANTI D’AMORE

Improvvisamente cessa l’ipnosi del nome di Allah. Nuove musiche escono, ora, dal cuore della stanza dei Sufi. Il suono del ghita, un flauto dalle note struggenti, cerca compagnia. Il musicista gonfia le guance e soffia. Trova il canto di un uomo massiccio: ne esce una voce appena percettibile. Un liuto va alla ricerca di accordi. Come contrappunto decine di ragazzi cantano in un coro che ha le note del miracolo. È il maluf, antico canto andaluso. I musulmani cacciati dalla Spagna dalla furia dei soldati di Isabella di Castiglia nel 1492 si dispersero per le coste del Nord Africa. I fedeli delle confraternite Sufi attraversarono il Marocco, l’Algeria, la Tunisia, la Libia. Erano accompagnati dalla loro musica. Le canzoni del maluf sono mistiche, appassionate, percorse da un erotismo nascosto. Nei cortei di Maoled i ragazzi le cantano a voce alta, ridendo, chiudendo gli occhi per l’intensità. I giovani fanno a gara per cantare: le parole d’amore devono essere profonde e volare oltre le grate delle finestre e i muretti delle terrazze aeree. Devono raggiungere il cuore di quella ragazza. Lei deve capire che quel canto gridato per i vicoli della città vecchia è tutto per lei.

UN GIORNO DI LIBERTÀ

Tripoli ha un’aria frastornata nei giorni del Maoled. I negozi aprono con lentezza. Si sa che qualcosa sta per accadere. Si vedono piccoli preparativi. Gli uomini sono più eleganti. Le tuniche sono pulitissime, bianche, perfettamente stirate. I gilet sono degni di sfilate di moda. I ragazzini sono agghindati con minicostumi tradizionali. Gruppetti di ragazze (le più coraggiose, le più sfrontate) sfiorano la processione degli uomini. Per molte di loro, il Maoled è l’unico momento di vera libertà in un anno: uscire di casa senza essere accompagnate dalla scorta di madri e nonne. Nelle case si sono preparati dolcetti al miele e piccole pizze. Gli uomini hanno scaldato il tè. I più pigri e i più ricchi sono andati in pasticceria e sono tornati con vassoi di cremini. Tavolini sono sistemati fuori dalle porta di casa: dolci e leccornie sono offerti alla gente della processione. Lampadine colorate illuminano piccoli banchetti mentre la musica vibra senza alcun riposo. I vecchi mettono le sedie ai bordi delle strade: si godono il corteo del Natale.

LA BATTAGLIA DEI PETARDI

Ad un tratto scoppia il caos. È l’ora della battaglia. I ragazzi dei vicoli si sfidano a colpi di petardi e bengala. Si nascondono dietro un angolo, sfregano la punta di un piccolo cilindro contro la scatola dei fiammiferi e lanciano la loro arma. Finisce in mezzo a un gruppo di altri ragazzi. Che si spariglia con la velocità di un lampo.

Le giovani ragazze, come a Fuorigrotta nei giorni di San Gennaro, come a Barcellona nei giorni di festa, come I Sufi rivendicano radici fra gli ahl us-Suffa, i discepoli più vicini al Profeta. Erano gli allievi che avevano lasciato ogni bene pur di vivere a fianco di Maometto. Avevano trovato ospitalità sotto la pergola della casa di sua figlia, Aisha. Erano loro i primi a incontrare, al mattino, il Profeta.

Se è vero, i ragazzi di Tripoli hanno imparato in fretta dai loro fratelli napoletani a far scoppiare mortaretti: a Natale la capitale della Libia è come il capoluogo campano nelle ore della fine dell’anno. Ma, nel caos della festa, un vecchio venditore di ceci e fave spinge ancora il suo carretto per i vicoli: le braci scaldano di continuo la sua zuppa. I ragazzi, in un attimo di tregua, ne comprano un bicchiere dopo l’altro. È un grande giorno per il vecchio. Il Maoled è, come ovunque il Natale, festa pagana. Festa felice, notte fantastica di Tripoli.

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