SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Per capire il terrorismo in India .   

Corriere del Ticino
VENERDÌ 28 NOVEMBRE 2008

«È matematico: scoppia la strage ogni volta che si negozia sul Kashmir»

Per i suoi studi sull’ultrafonda mentalismo islamico, Massim Introvigne, direttore del Centro Studi Nuove Religioni di Torino (CESNUR) è stato spesso in India. Anzi, è stato spesso a Mumbai, soggiornando proprio nell’Hotel Ta j Mahal, oggetto degli attacchi terroristici delle ultime ore.

«Sono stato tante volte al Taj Mahal Hotel» – ci dice rispondend al telefono da Roma – «E la strada davanti all’albergo, molto frequentata dai turisti, era già stat fatta esplodere nel 2003 con un serie di bombe che avevano sventrato un’intera via di negozi».

Conoscendo queste vicende non ha mai avuto timori a soggiornare in questo albergo?

«Conoscendo i fatti del 2003, francamente, se avessi dovuto andare a Mumbai anche in questi giorni sarei tornato nello stesso albergo per il buon motivo che di solito è raro che gli attacchi si ripetano due volte nel medesimo luogo. Ma, evidentemente, questo albergo che nell’architettura – è un paradosso – si ispira all’arte islamica e non a quella indù, è considerato anche per la sua importanza storica un simbolo del colonialismo».

È stupito di quanto è successo?

«No, perché vi è stata un’escalation continua dal 2003 ad oggi in India. E questa escalation è collegata alla questione del Kashmir soprattutto al desiderio del terrorismo internazionale che questa questione non si risolva. In questo momento la nuova amministrazione pakistana ha fatto dei passi verso una soluzione pacifica e una conferenza di pace sull questione del Kashmir e devo dire che c’è la puntualità di un orologio. Tutte le volte che ci sono dei passi di questo genere, immedia tamente vi è un grosso attentat terroristico che avvelena il clima nell’opinione pubblica indiana nei confronti dei musulmani in genere e dei pachistani in particolare. E questo sconsiglia di organizzare una conferenza di pace. Tra l’altro anche l’équipe di Barak Obama ha messo il Kashmir al centro delle sue priorità. Direi quindi che purtroppo è tutto molto prevedibile. Esattamente come in Palestina gli attentati suicidi ripredono ogni volta che vi è una prospettiva di soluzione negoziata del conflitto, così anche le bombe in India sono assolutamente collegat a qualunque progresso nell’annosa e antica questione del Kashmir».

Ma allora l’11 settembre non c’entra

«L’11 settembre c’entra. La questione del Kashmir risale all’indomani della seconda guerra mondiale e alla partition tra India Pakistan secondo piani del 1947. Risale quindi a oltre sessant’anni fa. Dall’11 settembre ad oggi vi però stata un’escalation del terrorismo: c’è una galassia di gruppuscoli che cambiano nomi ma che é gestito – se noi guardiamo gli organigrammi che prepara la polizia indiana – sempre dalle stesse persone e che si è messa sotto la sigla e l’usbergo internazionale di Al Qaida. Questa galassia ha aumentato la propria potenza di fuoco e anche le proprie capacità strategiche».

Quali sono i tratti caratteristici dell’ultrafondamentalismo islamico indiano?

«L’ultrafondamentalismo islamico in India nasce da una matrice diversa da quella araba. Il fondamentalismo nasce tra le due guerre in modo assolutamente indipendente, anche se con un giro mentale parallelo. Nell’Egitto nasce con i Fratelli Musulmani e nell’area indo-pakistana, che allor era indo-britannica, con Maududi e con l’Associazione islamica. Sia in Asia sia nell’area araba c’è stata una divisione tra un’ala che intende andare al potere con mezzi democratici e un’ala terroristica, cioè tra fondamentalismo e anti-fondamentalismo. Ciò detto l’elaborazione teologica, in genere, nei Paesi arabi risale all’are radicale dei Fratelli Musulmani, in particolare a Qutb, mentre il ri ferimento ideologico per i fonda mentalisti asiatici rimane sempre Maududi. Anche se è vero che in vita sua Maududi non è mai sta to accusato di organizzare attentati terroristici. Poi c’è un’altra differenza».

Quale?

«Nei Paesi arabi, il riferimento mitico e pratico che permette di reclutare persone perché solleva forti emozioni è la questione della Palestina. Mentre nell’area indopakistana (e non dimentichiamo che in India, anche dopo la partizione del Pakistan, sono rimasti 150 milioni di musulmani) è la questione del Kashmir che solleva emozioni non meno forti fra i musulmani».

L’India si sta profilando in questi anni come il Paese degli scontri tra le religioni...

«Direi proprio di sì. Il fondamentalismo islamico indubbiamente in india è anche alimentato da un certo fondamentalismo indù, i primi grandi scontri che vanno avanti ormai da vent’anni riguardano il mitico luogo natale del dio Ram dove è stata costruita un moschea che ogni tanto i fondamentalisti indù cercano di abbattere e che i musulmani difendono. Inoltre vi è il problema delle aree tribali che sono zone tradizionalmente refrattarie all’induismo, dove hanno successo sia la predicazione islamica, sia la predicazione cristiana. Il che dà fastidio al fondamentalismo indù che identifica l’India all’induismo. Da qui gli scontri tra indù e musulmani e fra indù e cristiani. Bisogna però dire che nello scontro tra indù e musulmani ci sono violenze tra le due parti, mentre nello scontro tra indù e cristiani e tra musulmani e cristiani in Pakistan, la violenza è da una parte sola. Non si conoscono gruppi cristiani che abbiano reagito in modo violento. Quindi i cristiani, in questo conto, entrano soltanto come vittime».

Come inquadrare gli attentati di ieri nella grande cornice del terrorismo internazionale?

«Fin dai primi manifesti di Osama bin Laden, l’India è stata uno scenario considerato importante per due ragioni. La prima perché tra India e Pakistan c’è qualche centinaia di milioni di musulmani, e poi perché c’è una tradizione fondamentalista, grazie appunto al magistero di Maududi. Bin Laden, insomma, non ha mai considerato che solo intorno alla questione della Palestina occorre agitare il mondo islamico. Per lui, anzi, questa è sempre stata la ragione del conflitto tra Al Qaida e Hamas. Non c’è una sola questione. Non a caso la sua scelta fu di dare la priorità alla questione dell’Afghanistan rispetto a quella della Palestina. Poi inserì L’Iraq dopo l’invasione americana. Ma la questione del Kashmir, per lui c’è sempre stata».

Carlo Silini

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