SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Il futuro dell'Occidente e le sfide del mercato.
Tremonti vs Severino 

ECONOMIA, POLITICA, VALORI: L'INTELLETTUALE SFIDA IL POLITICO. E VINCE
ECCO COME GIULIO METTE IN CRISI TREMONTI

Famiglia cristiana n° 12 - 2008

Giulio Tremonti è mente acuta e figura poliedrica. Lo sanno bene coloro che, in Tv, affrontano, insieme, il politico grintoso come un pitbull, l'economista preciso come un computer e l'intellettuale ardito. Un po' di questo timor panico si nota nel dibattito sul suo libro, La paura e la speranza (Mondadori): nessuno che sia d'accordo ma tutti a dirlo in modi felpati, dovessero mai incontrarlo al bar o in qualche centro studi.

Al libro, bello, provocatorio e da consigliare a prescindere, si fanno due torti. Di legarlo alla campagna elettorale: ma Tremonti propone una rivoluzione, e chi mette una rivoluzione nel programma? E di giudicarlo dalle conclusioni, quando semmai nelle premesse è lecito criticarlo.

Dopo tanti dibattiti, Tremonti è messo in crisi dall'unico in gamba come lui: Giulio. Perché all'intellettuale libero è di zavorra il politico, ancorato a logiche di schieramento. Qual è la paura? Che il mercatismoideologia forsennata dello sviluppo spinto dalla sola e assoluta forza del mercato», pag. 25) continui a dominare i processi di globalizzazione e ci regali il tracollo dell'ambiente, l'emarginazione dell'Africa, la colonizzazione dell'Europa da parte di coloro (prima la Cina) che si sono dati meno regole e su scala planetaria sono più pronti a operare come sistema politicoeconomico innervato da valori a cui il Vecchio Continente ha rinunciato senza valide alternative.

La speranza, invece, sta in una ripresa di potere della politica sull'economia. Una politica che combatta il consumismo con sette parole d'ordine: valori, famiglia, identità, autorità, ordine, responsabilità, federalismo. Senza tale rivoluzione l'Europa è condannata a disgregarsi. E se non tutela i propri interessi (tariffe doganali sulle merci dei Paesi che violano le regole del lavoro e dell'ambiente e i diritti civili), a essere soggiogata.

Tutti a dire: i dazi no, non si può, non conviene. Invece forse sì, ma non cosi scrive per esempio Tremonti: «È il comunismo a fornire al consumismo il codice di forza per la sua diffusione lineare su scala globale». Il comunismo? Dal punto di vista pratico, la globalizzazione odierna esiste perché non c'è più il Muro di Berlino, la barriera (anche fisica) del comunismo. E dal punto di vista ideologico, l'industria dei panini tutti uguali in tutti i Paesi per tutti i popoli l'ha inventata McDonald's, mica Lenin. Da sempre l'industria capitalista chiede mercati aperti e clienti uniformi, per risparmiare nella produzione e fare maggiori profitti. Nel 1925 Herbert Hoover, allora ministro del Commercio e nel 1929 presidente Usa, radunò 250 uomini d'affari per spiegare i vantaggi della grande distribuzione standardizzata. Che c'entra il comunismo? Per recuperare i valori di cui sopra, poi, l'Europa deve avere una politica estera, un Parlamento che legiferi (e Tremonti infatti lo propone), un esercito, una Costituzione seria. Serve, insomma, più Europa, non meno Europa. E ancora: un trattato commerciale tra UE e Usa («comuni princìpi doganali, di copyright, di Antitrust, di sussidi agricoli», pag. 106) non si farà perché gli Usa, come il Giulio intellettuale sa e il Tremonti politico non riconosce, non rinunceranno mai alla libertà di osteggiare l'acciaio europeo un giorno e vendere l'Ibm alla Cina il giorno dopo.

Onorevole, dimentichiamo comunisti, pacifisti e altri "isti" ormai marginali. Il mercatismo è la minestra preparata da chi diceva: finito il comunismo, finiti i problemi. E sui valori (non passare «dal consumo delle cose al consumo dei rapporti e dei sentimenti», pag. 87), siamo tutti con lei. Lo era, a suo modo, anche Marx: «Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle libertà patentate ha messo, unica, la libertà di commercio» {Manifesto delpartito comunista, 1848).

Fulvio Scaglione


Platone la Tecnica e il Mondo Globale
(22 marzo 2008) Corriere della Sera

Si dice: l' Europa si è allontanata dalle proprie radici cristiane, tuttavia, purché lo si voglia, esse possono salvarla già qui sulla terra.

Ma si dice anche: nonostante il rinnovato vigore del cristianesimo nel mondo cattolico, e negli Stati Uniti e in Russia, tale rinnovamento appartiene a un processo dove quelle radici sono destinate alla decomposizione e dove la tecnica è la volontà che, al culmine di tale processo, si presenta come la suprema forza salvifica.

Sostengo da tempo questa tesi, ma in un senso che però differisce essenzialmente dalle varie forme di tecnocrazia. La prima tesi è invece propria della Chiesa cattolica e di quanti seguono il suo insegnamento. Tra di essi, in Italia, ora anche Giulio Tremonti, nel suo libro La paura e la speranza (Mondadori, pp. 112, 16): per salvare l' Europa serve «una filosofia che ci sposti dal primato dell' economia al primato della politica», «serve una leva» il cui «punto di appoggio può essere uno solo: le radici giudaico-cristiane dell' Europa» (p. 62); e per Tremonti questo discorso «coincide perfettamente» con la dottrina, di Benedetto XVI, che «non si può governare la storia con mere strutture materiali, prescindendo da Dio» (p. 81).

Si vuole dunque governare la storia, avere potenza su di essa; e, certo, lungo la tradizione occidentale si pensa per lo più che la vera potenza sia ottenuta alleandosi a Dio. Pertanto Tremonti aggiunge che «il principio della soluzione della crisi europea non sta nella tecnica, non sta nella supposta forza salvifica della tecnocrazia, sta nella politica e nel potere» (p. 62). Egli non giustifica una così rapida liquidazione della tecnica. Forse perché, come altri, identifica ciò che non è identico: economia (di cui, certo, parla molto) e tecnica. Inoltre, nonostante l' intento di assegnare alla filosofia una posizione fondamentale, l' affermazione che «punto di appoggio» della «leva» filosofica siano le «radici giudaico-cristiane» implica che la filosofia debba fondarsi sulla fede cristiana la qual cosa, come ho altre volte rilevato (Corriere, 19 gennaio 2008) è daccapo un principio che, sebbene particolarmente sottolineato dall' attuale pontefice, è tuttavia una resa a quel «relativismo» da cui anche l' ortodossia cattolica di Tremonti vorrebbe prendere le distanze.

Rifacendosi a Platone, egli aggiunge che i marinai non governano il vento, ma le vele. Ma come soffia il vento? I pericoli dell' Europa risponde sono la globalizzazione, la conseguente aggressività economica dell' Asia, il «mercatismo» che riduce l' uomo a homo oeconomicus.

E invece il pericolo che minaccia la tradizione europea è ben più profondo: il pensiero filosofico degli ultimi due secoli (la cui forza, tendenzialmente nascosta, dev' essere peraltro capita) mostra l' impossibilità di ogni valore eterno, a cominciare da Dio. Per le radici cristiane il pericolo è ancora maggiore: sin dall' inizio «Europa» è la volontà (si chiama «filosofia») di vedere come stanno le cose al di là del volere, proprio delle religioni, che esse stiano in un certo modo. Tremonti afferma invece che per salvare l' Europa si devono «conservare valori che per noi sono eterni», i valori cristiani (p. 87). Lo afferma in modo oscillante, perché i valori eterni intendono essere leggi che guidano e muovono la vita umana, mentre per lui è da respingere il principio «comunista» (e della sinistra europea) che «la vita degli uomini sia mossa e possa essere mossa da una "legge"» e tanto meno da una «legge assoluta» (p. 35).

Eppure le leggi marxiane della storia hanno la stessa assolutezza della Provvidenza, della coscienza morale, delle «leggi di natura», concetti centrali del cristianesimo. Per salvare l' Europa, egli dice seguendo il pontefice, si deve «governare la storia», aver «potere» su di essa. La salvezza è potenza. (L' impotente non si salva; chi si salva o chi salva è potente). E la potenza è la capacità di superare i limiti che ostacolano la volontà. Ma i «valori eterni» sono i limiti assoluti, che più degli altri ostacolano la volontà di potenza e di governo della storia. Eccoci al tratto decisivo: se l' essenza della filosofia degli ultimi due secoli mostra l' impossibilità di ogni valore eterno, la volontà di potenza che scorge questa impossibilità è più potente e da ultimo è inevitabilmente vincente rispetto alla volontà di potenza che invece non scorge quella impossibilità e crede, illudendosi, che la maggiore potenza sia data da Dio.

Se la salvezza dell' Europa è una questione di potenza, allora la salvezza può farsi avanti solo se ci si allontana dalla tradizione europea, dunque solo se si recidono le radici giudaico-cristiane dell' Europa. Questo processo è già in atto.

Certo, esiste lo sbandamento attuale dell' Europa (a cui anche Tremonti si riferisce). Il quale è però la conseguenza del fatto che anch' essa si trova in mezzo al guado: tra la sponda della tradizione occidentale e la sponda della volontà di potenza vincente. Che non è l' economia di mercato, ma la tecnica guidata dalla scienza moderna. Anche il capitalismo intende essere un valore eterno (mi sembra che anche Tremonti lo ritenga tale, pur rifiutandosi di vedere in esso l' unico valore). Non può quindi sentire la voce che mostra il tramonto di ogni valore eterno. Sono un valore eterno, nel capitalismo, l' individuo, la proprietà privata, la libertà e la sua applicazione al mercato, la concorrenza (il cui fondamento è la riduzione della potenza dei concorrenti, con la conseguente riduzione della potenza globale a disposizione dell' uomo), il carattere escludente della volontà capitalistica (come di ogni altra forma di volontà della tradizione occidentale), cioè il carattere per il quale il tipo di potenza voluta (cioè un mondo capitalistico) esclude la realizzazione di altre forme di potenza (cioè un mondo comunista, cristiano, democratico, ecc.).

Nonostante le crisi, il capitalismo sembra oggi vincente perché si serve della tecnica. È inevitabile che per continuare a vincere voglia rafforzare sempre più lo strumento che gli consente di vincere. Ma con questa volontà il capitalismo non assume più come scopo l' incremento indefinito del profitto, ma l' incremento indefinito della potenza della tecnica. Inevitabile quindi che, rinunciando al proprio scopo, rinunci a se stesso, ossia perda proprio perché vuole vincere. Rinuncia a se stesso anche quando si vuole che l' economia sia guidata dalla politica e la politica dalle radici cristiane, come dice Tremonti e in questo modo egli non si avvede (peraltro in compagnia dei più) che se il «bene comune» cristiano, cioè la potenza e la salvezza date da Dio, diventa lo scopo del capitalismo, il capitalismo e l' uso capitalistico della tecnica cessano di vivere.

Il capitalismo, comunque, non è la tecnica. Se la salvezza è una questione di potenza, l' Europa si salva alleandosi non alla potenza di Dio, ma a quella della tecnica qualora quest' ultima ascolti la voce della filosofia del nostro tempo.

Ma è anche inevitabile che la ascolti, perché ascoltandola raggiunge la maggiore potenza che d' altra parte non è data dalla semplice fede nell' inesistenza di Dio. E se anche per Tremonti non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è moralmente lecito (p. 67), va rilevato che questa morale è l' adeguazione ai valori eterni, e quindi declina col loro declinare.

La morale autentica è oggi l' adeguazione alla maggiore potenza, che non può più essere quella di Dio, ma è quella della tecnica. (Né con ciò abbiamo detto l' ultima parola sul destino della tecnica).

Questo libro di Tremonti identifica la «sinistra» con il vizio capitale del «mercatismo», ma non chiude la porta a una politica di «grossa coalizione» (p. 87). E qui non sbaglia, perché sinistra e destra restano accomunate, anche a livello mondiale, dalla persistente incapacità di comprendere il senso autentico della destinazione della tecnica al dominio, cioè il senso autentico di ciò che possiamo chiamare «la grande politica». La politica può modificare il contesto immediato del proprio agire, ma, ancora, sta andando contro il vento dell' Occidente: o ha fede nelle radici cristiane, oppure ha fede nella modernità, nella scienza, nella tecnica, senza affrontare la tradizione europea ma voltandole semplicemente e ingenuamente le spalle.

Il pensiero non dice che cosa i popoli o l' Europa debbano fare, ma mostra che cosa sono destinati a volere.

Severino Emanuele

 

          SOMMARIO RASSEGNA STAMPA