SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Un saggio dello studioso musulmano europeo Tariq Ramadan:
la denuncia di un complotto ai suoi danni con la genericità minacciosa del cospirazionismo. Vittimismo islamico fondato su un doppio linguaggio 

L' Ambigua Autodifesa di Ramadan.
Polemiche

Tariq Ramadan ha scritto un libro per Einaudi, Islam e libertà, come «opera di chiarificazione» allo scopo di rintuzzare, a suo dire, un malevolo complotto mediatico che vorrebbe squalificare uno dei più noti intellettuali musulmani come un maestro del «doppio linguaggio», un acrobata dell' ambiguità e della dissimulazione. Giacché Ramadan è molto addestrato nei chiaroscuri delle parole e dei concetti, in realtà non scrive «complotto», ma «abile manovra».

Ma resta il presunto disegno attribuito ai suoi detrattori. E cioè la deformazione sistematica di un pensiero, il suo, che vuole accreditarsi come «ponte di congiunzione» tra la civiltà occidentale e quella islamica, una «mediazione» che permetta di portare a sintesi gli opposti, il dialogo al posto della reciproca scomunica, la convivenza invece della guerra. La messa a punto einaudiana di Ramadan, tuttavia, lascia aperti tutti gli interrogativi sul conto del suo autore. Il ponte di congiunzione appare vacillante, tarlato, privo di fondamenta stabili e l' identità del pontiere tutt' altro che rassicurante. Un' occasione perduta. Ramadan, accusato di parlare con un «doppio linguaggio», gode certamente di una doppia e contrastante fama. Da una parte la fama del pontiere, consacrata dall' invito con cui l' allora governo Blair lo gratificò di un' autorevole consulenza all' indomani degli attentati a Londra del luglio 2005. Oppure la fama dell' intellettuale islamico tormentato e generoso che piace molto alla sinistra abbacinata dalla mitologia «multiculturalista».

Dall' altra la fama del militante islamista cui non è permesso di entrare negli Stati Uniti per aver finanziato organizzazioni legate ad Hamas, che si prefiggono l' annientamento dello Stato d' Israele; del polemista che accusò la cultura francese di essere succube dei suoi intellettuali «ebrei»; del pensatore che suggerì non di condannare senza mezzi termini, bensì di «contestualizzare» l' ondata terroristica degli attentatori suicidi che hanno seminato la morte tra i civili israeliani; dell' intellettuale che si è adoperato nel maggio scorso per imbavagliare con appositi boicottaggi gli scrittori israeliani invitati alla Fiera del libro di Torino. Nel libro in uscita oggi Ramadan si ribella a questo destino di doppiezza. Ma non ritiene di fornire spiegazioni sui fatti che gli vengono contestati. Preferisce piuttosto il registro dell' autovittimizzazione.

Ce l' hanno tutti con lui. Ma chi ce l' ha con lui? Le indicazioni di Ramadan emanano la vaghezza sospettosa, la genericità minacciosa tipiche del paradigma cospirazionista. La lista dei colpevoli comprende infatti: «ideologi molto settari», «certe tendenze "laiche"», «certi ambienti "laici"», «coloro a cui questo discorso dà fastidio», «certi intellettuali e partiti politici», «fronti peraltro abbastanza identificabili». Riferimenti molto imprecisi. Ma quando poi Ramadan arriva a mettere a fuoco le sue accuse, la sensazione del «doppio linguaggio» finisce inesorabilmente per rafforzarsi. I suoi detrattori, scrive nel libro einaudiano, sono molti. Prima di tutto i «fautori di un' ideologia della laicità antireligiosa». Poi «l' estrema destra», che «spesso sconfina nel razzismo». Poi «le correnti femministe» malate di «eurocentrismo», che esagerano la portata dell' oppressione femminile nell' universo islamico. Poi «le vere e proprie lobby di omosessuali e lesbiche», che intervengono «sia a livello politico che mediatico». Per finire le due categorie peggiori e più insidiose: gli ebrei e gli apostati della fede musulmana. Ramadan, è ovvio, non li definisce così. Ma gli ebrei sono indicate come le «lobby pro-israeliane» dedite alla «manipolazione», che si avvalgono delle «manovre di certi intellettuali (ebrei e non ebrei)», premiate dalla «notevole influenza degli evangelisti sionisti» che hanno artatamente dilatato la portata di un «presunto, e pericoloso, antisemitismo».

Gli apostati invece sono chiamati «musulmani moderati» o «ex musulmani» che sono «strumentalizzati politicamente» e «si prestano al gioco con un certo compiacimento», non foss' altro perché «dalla loro posizione ricavano riconoscimenti, celebrità e qualche vantaggio finanziario». Inutile dire che gli apostati denigrati da Ramadan con i procedimenti diffamatori tipici della delegittimazione demonizzante, dalla loro scomodissima posizione ricavano soprattutto minacce, vite blindate, persecuzioni e campagne di terrore, come dimostra il caso di Ayaan Hirsi Ali, braccata in Olanda (e non solo) come infame «traditrice» della religione islamica.

Ma il «doppio linguaggio» di Ramadan, malgrado l' accorata autodifesa del suo artefice, consiste esattamente in questo duplice movimento: da una parte l' enfatizzazione di ogni aspetto che confermi l' immagine di un Islam discriminato in Europa e in Occidente; dall' altra la grottesca minimizzazione di ogni evento destinato a smentire la natura intrinsecamente pacifica e conciliatrice dell' islamismo ingiustamente messo sotto accusa dalle varie «lobby» della manipolazione antimusulmana. È stupefacente che (pagina 49 del volumetto einaudiano) gli attentati terroristici di matrice islamica siano derubricati a «notizie ad effetto» o addirittura ad «aneddoti piccanti riportati dai media» per ingigantire i pericoli attribuiti all' Islam. Questa degli «aneddoti» è poi una vera ossessione. «Per gettare il sospetto sui musulmani nel loro complesso» chi fa leva sulla paura ricorre secondo Ramadan all' abuso «di aneddoti scioccanti».

La vicenda delle «vignette danesi» non è il sintomo della libertà di stampa e di opinione minacciata, ma una provocazione alla religione islamica nel suo complesso. E parlando dell' «aneddoto» del discorso di Ratisbona del Papa, Ramadan non fa il minimo cenno alle manifestazioni cruente che in tutte le capitali islamiche diffusero un messaggio intimidatorio e violento. Il cuore del ragionamento di Ramadan, del resto, è che solo un' infima minoranza di islamici in Europa sia tentata dal messaggio della violenza estremista e del terrorismo, essendo la maggioranza dedita all' esclusiva «ricerca di senso» animata da una nuova tensione religiosa. Una chiave autoinnocentizzante che imputa all' Occidente persino le tentazioni terroristiche: «Il terrorismo colpisce dall' interno perché gli autori degli attentati, nella maggior parte dei casi, sono nati e cresciuti in Europa, quindi impregnati della cultura occidentale». Beninteso, in questo libro Ramadan scrive anche cose molto sensate e moderate. Sono interessanti le sue distinzioni tra «credo», «cultura» e «costume» per recidere il legame che sembra unire la lettura dogmatica del Corano e la pratica dell' intolleranza. O quando perora la causa di una nuovo senso di «cittadinanza» che dovrebbe includere gli islamici negli ordinamenti europei.

Ma il «doppio linguaggio» si nutre inesorabilmente di omissioni. Quando parla di «princìpi democratici», «modelli democratici», «diritti dell' Uomo», Ramadan fa galleggiare questi concetti nel vuoto, come se non fossero il frutto della vicenda storica e culturale che si è soliti definire «Occidente». E mai, in tutto il libro autodifensivo, sembra accorgersi della sistematica negazione dei diritti fondamentali conosciuta nelle nazioni schiacciate dal dominio totalitario della Sharia (solo generici riferimenti, politici e non politico-religiosi, alle «dittature»): è il «terzo linguaggio», quello del silenzio reticente. L' autore *** Nato nel 1962 a Ginevra, Tariq Ramadan insegna nell' ateneo britannico di Oxford e presiede il think tank «Rete musulmana europea» *** Il libro *** Da oggi in libreria per Einaudi, nella collana «Le vele», il saggio di Tariq Ramadan «Islam e libertà» (traduzione di C. Testi, pagine 142, 9)

Battista Pierluigi-Pagina 001.051- (23 settembre 2008) - Corriere della Sera

I veri studiosi dell' Islam e il reticente Ramadan

Passeggio per il campus dell' Université Libre di Bruxelles con Khadija e Sébastien. Ventenni appassionati, mi raccontano del loro lavoro storico-filologico sulle fonti dell' Islam. Incrociamo alcuni studenti musulmani. Uno sputa per terra, un altro sibila un insulto. Khadija e Sébastien hanno il torto di aver firmato sul quotidiano Le Soir un manifesto contro Tariq Ramadan. Noi facciamo ricerca, mi dicono, vogliamo sapere, essere liberi. A Ramadan interessa solo dar ragione a tutti per averla sempre lui. Se ne frega del sapere. Dico loro che Einaudi ha tradotto in un anno due suoi libri, il primo in una versione più furba di quella venduta in Gran Bretagna. Che il quotidiano Il Riformista pubblica Ramadan perché, scrive Andrea Romano, questi chiede «ai musulmani di rimanere tali accettando i doveri, le responsabilità e l' impegno che lo spazio civile liberale chiede a ogni suo cittadino». Khadija e Sébastien sorridono. Per loro lo «spazio civile liberale» comincia dalla libertà del sapere, dalla critica delle fonti, dall' onestà delle idee.

Non certo dai libri di Ramadan, tutti reticenze e sottintesi, ambiguità e distinguo; non da opere in cui l' autore venera fonti intoccabili e si sottomette alle «norme condivise dagli studiosi e dalle scienze islamiche». Su questi presupposti i Paesi arabi hanno ottenuto dalle Nazioni Unite una risoluzione che chiama «diffamazione» la critica dell' Islam, un documento denunciato dal Dipartimento di Stato Usa lo scorso 19 settembre. Intanto l' università di Khadija e Sébastien destina mezzo milione di euro a ricerche sull' Islam. Risorse per studiosi veri; per i tanti giovani, musulmani e no, cui preme anzitutto la libertà del sapere.

Ventura Marco-Pagina 47- (27 settembre 2008) - Corriere della Sera

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