SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Dialogo Islam-Vaticano.
Per il Vaticano re Abdullah pesa più di 138 dotti musulmani 

Lo fa capire "L'Osservatore Romano", che dialoga con il sovrano saudita proprio mentre infuriano le critiche al papa per aver battezzato un celebre convertito dall'islam. La replica di Pietro De Marco ad Aref Ali Nayed
(vedi : M.Allam)

di Sandro Magister -http://chiesa.espresso.repubblica.it/

ROMA, 31 marzo 2008 – Alle accuse che hanno colpito Benedetto XVI per aver battezzato nella veglia di Pasqua il convertito dall'islam Magdi Cristiano Allam – di cui www.chiesa ha riferito in un servizio di tre giorni fa – la Santa Sede ha risposto in due modi, diretto e indiretto.
In modo diretto la Santa Sede ha espresso il suo punto di vista su "L'Osservatore Romano" del 25-26 marzo con una nota del suo direttore Giovanni Maria Vian. E poi con una dichiarazione alla Radio Vaticana, il 27 marzo, del suo direttore padre Federico Lombardi.

Ma ancor più interessanti sono i modi indiretti con cui la Santa Sede, all'incirca negli stessi giorni, ha ribattuto alle critiche.
La palestra di queste risposte indirette è stata di nuovo "L'Osservatore Romano".
Giovedì 27 marzo il giornale del papa ha dedicato un ampio servizio alla figura di Ramon Lull – noto in Italia come Raimondo Lullo – vissuto tra i secoli XIII e XIV, francescano, grande conoscitore della lingua e della letteratura araba, ardente promotore di una predicazione missionaria mirata a convertire e battezzare le popolazioni musulmane nei paesi mediterranei dominati dall'islam.
Il titolo dell'articolo – firmato da una specialista del tema, Sara Muzzi – era di per sé eloquente: "Raimondo Lullo e il dialogo tra le religioni. Se ti mostro la verità finirai con l'abbracciarla".
In effetti, come risulta anche dai suoi libri, Lullo si battè per promuovere una predicazione missionaria pacifica, tutta fondata sulla conoscenza delle due fedi, sulla forza del convincimento e sull'argomentazione razionale della verità.

Due giorni dopo, sabato 29 marzo, "L'Osservatore Romano" ha dedicato due servizi a due momenti di dialogo tra la Chiesa cattolica e l'islam, mostrando come tale dialogo registri promettenti sviluppi proprio nei giorni delle polemiche contro il battesimo di Allam amministrato dal papa.
Il primo segno promettente evidenziato riguarda l'Indonesia, il più popoloso paese musulmano del mondo. L'8 e il 9 marzo si è tenuto a Yogyakarta un incontro tra rappresentanti cristiani e musulmani, con la presenza di buddisti e induisti, su come le religioni possono collaborare nel rispondere alle sfide portate dalla globalizzazione. Inoltre, nei giorni di Pasqua, nella capitale Jakarta trentacinque autorevoli ulema di altrettante scuole islamiche hanno lanciato un appello perché l'istruzione data ai giovani musulmani sia svolta in forma corretta e rispettosa, libera da qualsiasi giustificazione della violenza. Titolo del servizio: "In Indonesia prove di dialogo tra cristiani e musulmani"
Ma con ancor più evidenza "L'Osservatore Romano" ha dato notizia, nella stessa pagina, di alcuni fatti recenti dell'Arabia Saudita, sotto il titolo: "Il re saudita per un incontro 'con i fratelli di fede'. Abdullah, davanti alla crisi dei valori etici, apre al diaìogo con cristiani ed ebrei".

In apertura del servizio il giornale vaticano ha riportato queste parole di Abdullah:
"C'è un pensiero che mi ossessiona da due anni. Il mondo soffre e questa crisi ha causato uno squilibrio della religione, dell'etica e dell'umanità intera. [...] Abbiamo perso la fede nella religione e il rispetto per l'umanità. La disintegrazione della famiglia e l'ateismo diffuso nel mondo sono fenomeni spaventosi con cui tutte le religioni devono fare i conti e che devono sconfiggere. [...] Per questo ho pensato di invitare le autorità religiose a esprimere un parere su ciò che accade nel mondo e, se Dio vuole, cominceremo a organizzare incontri con i fratelli appartenenti alle religioni monoteistiche, tra rappresentanti dei credenti del Corano, del Vangelo e della Bibbia".

Il giornale vaticano ha aggiunto che la proposta di re Abdullah ha avuto il consenso dei principali dotti musulmani del regno.

Ma i rilievi più interessanti che "L'Osservatore Romano" ha aggiunto sono questi altri due.
Il primo riguarda la data della dichiarazione fatta da Abdullah: il 24 marzo, cioè per i cristiani il lunedì di Pasqua.
Come dire: proprio mentre esplodevano le accuse contro Benedetto XVI per il battesimo di Allam, il re saudita non solo ha ignorato tali accuse, ma si è pronunciato con accenti diametralmente opposti.
Il secondo rilievo fatto dal giornale del papa è testualmente il seguente:
"Dialogo interculturale e interreligioso; collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei per la promozione della pace. Sono gli stessi temi che, il 6 novembre 2007, sono stati al centro del colloquio in Vaticano tra Benedetto XVI e Abdullah, ricevuto in udienza con il seguito. Nel corso dello storico incontro – è stata la prima visita di un sovrano saudita al papa – si è fatto anche riferimento alla positiva presenza nel paese della comunità cristiana (che rappresenta circa il 3 per cento di una popolazione quasi totalmente di religione musulmana). Giorni fa il governo di Riyadh ha deciso di avviare corsi di aggiornamento per quarantamila imam, nel tentativo di favorire un'interpretazione più moderata dell'islam e scoraggiare gli estremisti".

Chi ha orecchi per intendere intenda. A giudizio della Chiesa di Roma il dialogo con l'islam non si riduce soltanto al seguito della lettera dei 138 – un cui esponente di punta, Aref Ali Nayed, ha rivolto accuse durissime al papa per aver battezzato Allam – ma si sviluppa su più terreni, alcuni dei quali ritenuti più promettenti.
Quanto a Benedetto XVI, è sempre più evidente che sia la sua lezione di Ratisbona, sia la sua decisione di battezzare un convertito dall'islam nella notte di Pasqua in San Pietro, non sono gesti di rottura ma, al contrario, sono proprio ciò che rende intelligibile e inequivoca – ai musulmani come ai cristiani – la sua volontà di dialogo, espressa ad esempio nella preghiera silenziosa nella Moschea Blu di Istanbul e nella calorosa udienza al re d'Arabia Saudita.


Doppia risposta. Ai cattolici e ad Aref Ali Nayed

Tornando alle critiche al papa per il battesimo di Allam – sia da parte di cattolici, sia da parte del dotto musulmano Aref Ali Nayed – ecco qui di seguito una replica ragionata agli uni e all'altro, scritta per www.chiesa da Pietro De Marco, professore di sociologia della religione all'Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale.

di Pietro De Marco

I. – A leggere certe reazioni al battesimo di Magdi Cristiano Allam amministrato dal papa nella veglia di Pasqua nella basilica di San Pietro – ad esempio quando si sostiene che “il battesimo dovrebbe essere atto privato” – si ha l’impressione che non si sappia più cosa sia conversione e cosa sia battesimo.

Né, per la verità, ce lo insegnano i battesimi ritualmente leggeri e quasi vergognosi di sé celebrati nelle nostre parrocchie.

Anche lo scrittore Claudio Magris, cattolico, ha espresso la sua insoddisfazione, sul "Corriere della Sera" di cui Allam è vicedirettore "ad personam". Scrive Magris che “il battesimo è un atto di vita interiore” e che, eventualmente, la sua “dimensione politica viene dopo, quale frutto della conversione, e non nel momento in cui si riceve l’acqua di vita”.

Ora, certamente il battesimo non è un atto privato né "di vita interiore". Magris stesso riconosce che è “trasformazione radicale dell’esistenza”. Un rito è azione e segno “per molti”, manifestazione ordinata di simboli, in particolare quelli della luce nel battesimo: "lumina neophitorum splendida". È come un’icona del mistero della Salvezza. Nelle azioni sacramentali la Chiesa trascende la Sacra Scrittura, ne attualizza l’origine stessa, l’Incarnazione.

Se interiore è la scelta personale, il battesimo fa di tale scelta un evento solidale di intere comunità. Così è stato per secoli. L’evento battesimale non appartiene più alla singola persona, quasi possa nasconderlo in sé. Paolo descrisse il suo battesimo con le parole: "Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Nella traversata segnata dalla conversione l'io è già non-più-io.

Altri commentatori cattolici sono caduti ancor più di Magris nei tic della immediata censura alla "esibizione" mediatica di Magdi Cristiano non meno che del pontefice. Sembra questo il residuo di infelici decenni che hanno cercato di sciupare, di estinguere in noi la gioia per una conversione alla Chiesa cattolica, persino la gioia più grande per un nuovo battezzato. Le due cose possono infatti non corrispondere. Per un battezzato di altra confessione cristiana o per un ritorno alla fede di un battezzato non credente resta decisivo l’"unum baptismum" già ricevuto, il segno incancellabile, la cui unicità proclamiamo nel Credo.

Non posso dimenticare l’istintiva reazione di un amico con cui, parecchi anni fa, progettavamo una raccolta di studi sulla Firenze religiosa del Novecento. Alla mia proposta di includere la conversione di Giovanni Papini e di altri, rispose: “Perché, ti paiono cose belle?”. A lui non parevano tali, e non si trattava di antipatia per Papini; lo scandalo era la conversione. Si è sostenuto da molti, negli anni Settanta e oltre, che la comunità cristiana non ha motivo di volersi come istituzione specifica, con una sua identità. Premuta dalla secolarizzzazione, la nuova apologetica della fede nella storia si fondava proprio sul presupposto che ovunque la fede attecchisce lì sono all’opera i fondamentali valori umani. E quindi la Chiesa, segnando confini e volendosi come istituzione, distruggerebbe il terreno sul quale il cristianesimo può esistere e rigenerarsi, ossia l’unità del genere umano sancita dalla coscienza morale, realizzata nelle rivoluzioni dei poveri e rivelata religiosamente, alla persona, solo dall’universalità della via mistica, che brucia ogni particolarità.

Così si manifestava anche nella Chiesa cattolica il processo di rovesciamento del rapporto tra Rivelazione e umanità che segna la modernità recente. Solo l’umano, secondo tale ragione, è l’universalmente costituito; mentre ogni Rivelazione non può essere che particolaristicamente data o fondata. Da qui deriva che il passaggio, o il ritorno, a una religione possa essere visto come un atto indesiderabile, incomprensibile, a maggior ragione quando proprio le élites di questa religione cercano di emanciparsi dalla sua particolarità.

Fortunatamente i termini attuali della riflessione cattolica non sono più quelli ora detti, ma spiritualità transreligiose e vaghe religioni filosofiche la tentano ancora. E neppure oggi la conversione è amata. Magdi Cristiano Allam avrà modo di accorgersene: nelle pieghe dello splendore della Città di Dio apprenderà l’amaro della "complexio oppositorum" cattolica.

In effetti la conversione è sempre un passaggio di soglia. Essa disegna tale soglia, la mostra là dove prima non appariva, la rende visibile a chi per abitudine o per opacità di visione non la riconosceva più, oppure a chi, conoscendola, la nega per ideologia, nihilisticamente. Contro teologie, letterature e “mistiche” che intendono la Salvezza come immobile autocontemplazione e regno dell'indifferenza, la conversione religiosa dichiara decisiva la differenza. La soglia nega l’indifferenza dei punti del percorso, come fossero tutti di eguale valore.

La soglia implica l’umano-divino della ricerca che vuole trascendimento. Lo stesso agostiniano "ritorna in te stesso" è per eccellenza un percorso e un passaggio ad Altro, poiché l’anima è aperta, teocentrica. La differenza attribuisce alla Speranza l’unico suo possibile significato.

Diceva il convertito Paul Claudel che la soglia rivelata dalla conversione si attraversa per lenti, piccoli successi. È una traversata, spesso penosa, di terre incognite, dopo il fulgore di una chiamata, dopo l'apparire di una "certezza d'una Presenza pura" (Louis Massignon) che giudica e brucia il cuore. È l'uscita da un Egitto spirituale, per un viaggio il cui approdo trascende la ricerca, e rivela una terra che non è quella di partenza.

Che l’approdo non sia garantito, che debba essere sempre desiderato come non fosse posseduto, come dono che resta sotto la sovranità del Donatore, tutto ciò non nega, anzi conferma la realtà della soglia. La precarietà del dono, infatti, è tale per l’uomo solo. Ma, dall’attraversamento della soglia, sappiamo che Egli, l’Amante divino (come i veri mistici lo conoscono, oltre l’ineffabilità) “ci prende come per mano, ci introduce nella vita duratura, in quella vera e giusta”. E quindi: “Teniamo stretta la sua mano!”. Suonano tenere, perfette, queste parole dedicate al battesimo da Benedetto XVI nell’omelia della veglia pasquale in cui Allam è stato battezzato.

Il tema della conversione alla Chiesa cattolica mi ha fatto riaprire un libretto, "Il Mistero della Chiesa" di padre Humbert Clérissac, chiave di volta della geografia spirituale delle “grandi amicizie” di Raïssa e Jacques Maritain, anch'essi dei convertiti. “Fuori della Chiesa – scriveva Clérissac in quest'opera uscita postuma a cura di Jacques nel 1918 – l’errore individualista trascina anche a una specie di fatalismo morale. Non si crede veramente al passaggio dal male al bene, alla trasformazione del peccato in santità: mutamento che si opera solo attraverso quella solitudine che è peculiare alla Chiesa. Solamente la Chiesa sa coniugare il percorso nel deserto e i bisogni della persona".

È nella “maternità e sovranità” della Chiesa quella “perfetta pace e tranquillità” che John Henry Newman attestava dopo la sua conversione al cattolicesimo romano, tranquillità insopportabile per i sempiterni inquieti. “Al momento della conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mente. Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della Rivelazione, né una maggiore padronanza di me; ma avevo l’impressione di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora, è rimasta inalterata”. E ciò nonostante che la sua penetrante intelligenza cogliesse le infinite difficoltà di “ogni articolo del Credo cristiano”. Appare in questa evocazione della gioia dell’approdo la celebre formula dell’"Apologia": “Diecimila difficoltà, secondo me, non costituiscono un solo dubbio”.

Se questo è il profilo – tratto da pochissime testimonianze tra le infinite – dell’approdo spirituale al porto, alla maternità della Chiesa cattolica, si capisce la passione rivelativa con cui il convertito comunica agli altri l’uscita dall’incertezza itinerante, dalla incompiutezza di un edificio non voltato, dal pungolo dell’insignificanza di sé e del mondo.

Tanto più se l’attraversamento del Mar Rosso spirituale è segnato e attuato nella sua figura cristiana eminente, il battesimo. Che è evento dell’intera Città di Dio, pubblico per eccellenza, esteso dalla comunità particolare alla Città celeste, dai presenti alla intera comunione dei santi. Si cita spesso un brano di Origene: “Quando il sacramento della fede ti è stato dato le virtù celesti, i ministeri degli angeli, la Chiesa dei primogeniti erano presenti”. Vi è gioia tra gli angeli... È questo che si avvertiva in San Pietro nella notte pasquale.

In tale ordine di bellezza, l’intensità della interpretazione che Magdi Cristiano ha poi dato del proprio battesimo non è fuori luogo. Allam ha attraversato una vera soglia, da un ordinamento di senso a un altro, da un’appartenenza a un’altra. La Casa a cui è giunto, l’abbraccio del Padre in cui si è lasciato serrare, lo segnano e lo confermano nella novità, non utopica né evolutiva, ma antichissima della “Chiesa dei primogeniti” in Cristo risorto. E non è facile riconoscere e accettare al termine di un percorso di libertà un Padre, un amore sovrano. L’atto decisivo di accoglimento della fede fu, in Louis Massignon, il suo riuscire ad inginocchiarsi di fronte al suo direttore spirituale e tramite lui a Dio. Quando Allam vede questa Casa, universalmente destinata all’uomo, come luogo di libertà e verità rispetto al proprio passato, si muove all’altezza del significato essenziale del suo battesimo.

Anche lo scrittore cattolico Vittorio Messori, in un articolo sul "Corriere" parallelo a quello di Magris, ha espresso riserve rispetto all’asprezza di qualche enunciato di Allam sull’islam. Osservo che oggi in Magdi Cristiano l’esperienza della soglia attraversata, dell’uscita da una “servitù di peccato” (non solo individuale e interiore, tanto meno metaforica) è troppo forte perché egli non parli per opposizioni. Quella sua anteriorità musulmana resta troppo protesa a colpire la sua vita stessa per non avere per lui i nomi e le forme del radicalismo, del fanatismo, del terrorismo. Forse la felicità del suo oggi cristiano, la stessa maternità della Chiesa che lo aveva attratto già negli anni d’infanzia, gli permetteranno col tempo di pensare all’oceano attraversato non solo nei termini (realissimi, ma non esclusivi) di pericolo e di abisso.

* * *

II. – Mi rivolgo ora agli ufficiosi commenti – datati Amman, 24 marzo – del professor Aref Ali Nayed, che hanno la paradossale caratteristica di usare in contesto musulmano toni e argomenti “occidentali” e “laici”, assieme a un minaccioso cenno al "proselitismo" delle scuole cattoliche che, purtroppo, sembra fatto per confermare le ragioni di Allam. Mi rivolgo al suo testo e a lui, come a un uomo religioso.

Dopo aver ricordato un fondamento dell’islam che per la verità ci accomuna, cristiani ed islamici, cioè la fede come dono di Dio, Nayed ritiene di interpretare il racconto che Magdi Allam ha fatto della sua giovinezza religiosa, fino all’occasionale seguire la messa e, una volta, accostarsi alla comunione, come l’effetto di una deliberata pressione cristianizzante da parte dei suoi insegnanti.

Ora, chi conosce un poco i comportamenti religiosi sa che l'attrazione della comunione eucaristica è molto forte, anche nei credenti esterni alla pratica cattolica, ed è facilitata dalla accessibilità di chiunque al rito. Invece, da quelle memorie di adolescenza il professor Nayed prende spunto per un cenno spiacevole a quanto accadrebbe nelle scuole cattoliche a scapito della "dignità umana", includendo tra le questioni da discutere con la Chiesa di Roma la pratica designata col termine deteriore di "proselitismo", pratica evidentemente illegittima e perseguibile.

Poiché, d’altronde, sarebbe stato vittima di una educazione scolastica cristianizzante, Magdi Allam non può dirsi formato all’islam. Con ciò il professor Nayed ritiene, ad un tempo, di svalutare la sua conversione dall'islam (in quanto era già cristiano) e di attribuire la responsabilità prevalente della conversione e del battesimo alla Chiesa di Roma e al pontefice. Poiché per Nayed la libertà morale di Allam non conta, vi è stata solo l’iniziativa politica di Roma, che avrebbe queste caratteristiche:

1. Roma ha strumentalizzato una persona per “segnare punti” contro l’islam, e questo è "contro la dignità umana" (singolare questo argomento, che suona ritorsione artificiosa dell’accusa di attentato ai diritti umani che l’Occidente porta al fondamentalismo islamico).

2. Allam è stato scelto per questo atto pubblico perché è un generatore di odio (ma il professor Nayed non ritiene di fare cenno alle minacce di morte di cui Allam è fatto oggetto). In particolare – argomenta Nayed – nel suo articolo-confessione sul "Corriere della Sera" Allam sembra confermare il "famigerato" argomento della lezione di Ratisbona sulla natura violenta dell’islam. Per evitare questa deduzione la Santa Sede deve prendere le distanze dal neobattezzato.

3. Benedetto XVI ha dato una caratterizzazione "quasi manichea" al suo messaggio pasquale, introducendo le categorie di luce e tenebre e attribuendo a sé la luce e all’altro la tenebra. La pace offerta da Roma consiste, quindi, nel sottomettere l’altro a sé, attraverso il battesimo.

Nayed si domanda poi chi tra i consiglieri del papa su questioni islamiche abbia la responsabilità dello "spettacolo" pasquale. E termina confermando, comunque, la ricerca di un mondo comune di pace, attraverso "una teologia compassionevole che ripara i collegamenti, i ponti, per favorire l’amore di Dio e del prossimo".

A mio avviso il professor Nayed, come spesso gli uomini di dialogo delle diverse tradizioni, si mostra poco sensibile al dato teologico e storico-religioso. Come è possibile, iniziando dal punto 3, evocare il manicheismo per la splendida pagina di Benedetto XVI sulla luce nella liturgia battesimale? Papa Benedetto ci parla di "potenze" (che nel linguaggio del Nuovo Testamento comprendono uomini ed angeli) che vogliono spingerci in un buio che riguarda Dio e noi stessi, ossia nella sostanziale negazione di Dio e nella falsificazione dell’essenza dell’uomo. Questo allarme, così profondamente posto (col simbolismo luce-tenebra che anche la tradizione islamica conosce e usa), non si vede come non debba essere condiviso da ogni uomo religioso di ogni tradizione.

E Benedetto prosegue: “Questa Luce è insieme anche fuoco [presente dall’antichità nella liturgia pasquale], forza da parte di Dio, forza che non distrugge ma vuole trasformare i nostri cuori”. Il papa aveva appena parlato in questo contesto del battesimo, come mistero, ovvero come rivelazione e segno efficace dell’attirarci a Sé di Dio (sia benedetto il Suo nome). In questo mistero dell’amore di Dio sono immersi anche coloro che sono stati battezzati nella notte di Pasqua. È davvero così difficile per un islamico, un uomo religioso di tradizione biblica, intendere che nel collocare il battesimo di Allam nel suo orizzonte teologico il papa lo sottrae a ogni piccola politica?

Sul punto 2 ribadisco quanto ho già scritto a proposito di Ratisbona. Benedetto XVI apprezza il dialogo tra le religioni senza fingere di ignorare il peso della realtà storico-politica. Si tratta di una dialettica che coglie ciò che spinge alla fraternità tra credenti in Dio, ma cerca di affrontare criticamente anche ciò che, nei comportamenti, si oppone a questa fraternità.

È il realismo teologico-politico cristiano contro il moralismo di chi solo parla emotivamente di pace e sottovaluta la forza dei fatti. Come l’imperatore Manuele stendeva il suo pacato dialogo dottrinale mentre l’esercito ottomano assediava Costantinopoli, e non poteva ignorarlo, così papa Benedetto parla con la mente e il cuore all’islam, non potendo ignorare che esso ha, in alcune forze e rappresentanti, un volto aggressivo. Che si esercita contro la vita stessa di Magdi Allam, che è da anni in pericolo.

Un uomo religioso dovrebbe cogliere che Magdi Allam, nel denunciare ciò che lo minaccia da parte dell’estremismo islamico e nel chiamare il mondo musulmano a corresponsabilità (il professor Nayed ha forse una sola parola che renda giustizia a Magdi Cristiano?), fa tuttavia una scelta religiosa col suo battesimo.

Diversamente da altri che, come Salman Rushdie, ritengono di approdare alla condanna di tutte le fedi, Allam sceglie per la fede in Dio, nel Dio di Gesù. Dal cattolicesimo, che ora egli oppone alla sua tradizione di origine, gli sarà possibile testimoniare all’uomo contemporaneo come uomo di fede. Entro la profondità del dialogo promosso da Roma, prendere la conversione di Magdi Cristiano sotto la propria diretta protezione non è da parte di Benedetto XVI una sfida all’islam, ma l'offerta di un impegnativo promemoria.

Gli intellettuali musulmani, gli uomini di fede islamica che hanno accettato di dialogare con Roma potranno, solo che lo vogliano, leggere nell'alta e paterna protezione offerta da Benedetto XVI allo scrittore egiziano (che considera il papa suo maestro) il segno di una possibilità offerta all’uomo islamico contemporaneo. L’islam può cogliere nel confronto col cristianesimo – con la grande Chiesa cattolica, anzitutto – l’opportunità di uscire criticamente da sé, di aprirsi alla dimensione dell’universale e tornare su di sé come islam riflessivamente rinnovato (non dico né moderno né liberale, poiché non sono queste le categorie veramente rilevanti per una tradizione religiosa).

A questo punto non è utile discutere il punto 1 di Nayed, che è solo polemico. L’apertura di Magdi Allam alla fede cattolica è stato un atto libero che scaturisce dalla ricchezza spirituale di un uomo musulmano. Nessuno poteva costringerlo. Come nessuno può trasformare in puro strumento di parte tale potenziale ricchezza di incontro.

Vorremmo che il professor Nayed riflettesse sull’evidenza che le sue critiche rischiano di assomigliare nel loro oltranzismo a quelle di un occidentale secolarizzato e anticlericale, per il quale i comportamenti di un’istituzione religiosa sono sempre cinicamente strumentali al suo potere sulle coscienze.

Questa incomprensione ostile – e perdente – non può essere adottata da un intellettuale e uomo religioso islamico. Negando veracità alla Chiesa cattolica egli nega anche se stesso. E, in effetti, sotto l'attacco della negazione anticlericale, anzi irreligiosa, cattolicesimo romano e islam si trovano spesso accomunati.

           SOMMARIO RASSEGNA STAMPA