SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Ebrei e Chiesa cattolica.
Ai rabbini d'Italia questo papa non piace

di Sandro Magister -http://chiesa.espresso.repubblica.it-Genn. 2009

Non gradiscono né la nuova preghiera del Venerdì Santo, né la via di dialogo aperta da Benedetto XVI nel libro "Gesù di Nazaret".E si dissociano dalla giornata per l'ebraismo indetta dai vescovi. Ma tra loro non tutti la pensano così.

[...] Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, ipotizzato per maggio, si auspica che attenui le reciproche incomprensioni. Intanto, però, soprattutto per l'intransigenza israeliana, non fanno passi avanti i negoziati per dare attuazione pratica agli accordi del 1993 tra la Santa Sede e Israele. Né si intravede alcuna disponibilità a rimuovere, nel museo della Shoah a Gerusalemme, la didascalia che squalifica Pio XII come complice dello sterminio nazista degli ebrei. Ma anche sul terreno più strettamente religioso il rapporto tra le due parti è accidentato.

Per il 17 gennaio la conferenza episcopale italiana ha indetto la "Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei". Dal 1990 questa giornata si tiene tutti gli anni, dal 2001 la comunità ebraica italiana la promuove assieme ai vescovi e dal 2005 entrambe le parti hanno concordato un programma decennale di riflessione sui Dieci Comandamenti. Ma questa volta la Chiesa cattolica si ritrova sola. L'assemblea dei rabbini italiani, presieduta da Giuseppe Laras, ha deciso di "sospendere" la partecipazione degli ebrei all'evento. Laras ha annunciato il ritiro dell'adesione lo scorso 18 novembre, durante un convegno sul dialogo interreligioso svoltosi a Roma alla camera dei deputati. E l'ha addebitata alla decisione di Benedetto XVI di introdurre nel rito romano antico del Venerdì Santo l'invocazione affinché Dio "illumini" i cuori degli ebrei, "perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini". Invocazione giudicata da Laras inaccettabile in quanto finalizzata alla conversione degli ebrei alla fede cristiana.

Il 13 gennaio il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, ha rincarato la protesta. Su "Popoli", la rivista missionaria dei gesuiti italiani, ha scritto che con Benedetto XVI "stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa". La conferenza episcopale italiana ha reagito mantenendo ferma la giornata di riflessione ebraico-cristiana – significativamente collocata alla vigilia dell'annuale settimana dell'unità dei cristiani – e pubblicando per l'occasione un documento che riassume le tappe del dialogo tra ebrei e cristiani nell'ultimo mezzo secolo, a partire dalla cancellazione, decisa da papa Giovanni XXIII nel 1959, dell'aggettivo latino "perfidi" (che propriamente significa "increduli") applicato agli ebrei nella preghiera del Venerdì Santo in vigore all'epoca.

Nel documento è sottolineata l'importanza del testo vaticano pubblicato dall'allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2001 col titolo "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana". Questo testo, in effetti, è riconosciuto da autorevoli esponenti cattolici ed ebrei come il punto più alto e costruttivo fin qui raggiunto nel dialogo tra le due fedi, assieme al libro "Gesù di Nazaret" pubblicato nel 2007 dallo stesso Ratzinger, nel frattempo divenuto papa, nelle pagine dedicate alla divinità di Gesù: questione teologica capitale per gli ebrei di allora come di oggi, credenti in Cristo oppure no.

In campo cattolico la via tracciata da Ratzinger nel dialogo con l'ebraismo non è da tutti accettata. Gli si oppone la cosiddetta "teologia della sostituzione", sia nelle versioni "di sinistra", filopalestinesi, sia in quelle "di destra", tradizionaliste. Secondo tale teologia, l'alleanza con Israele è stata revocata da Dio e solo la Chiesa è il nuovo popolo eletto. In taluni tale visione arriva sino a un rigetto sostanziale dell'Antico Testamento.

Ma anche in campo ebraico vi sono sensibili divergenze di vedute. Lo scorso novembre, quando Benedetto XVI fece colpo affermando che "un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale", a sorpresa il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (nella foto), si dichiarò d'accordo col papa. E aggiunse che la decisione dell'assemblea dei rabbini italiani di sospendere l'adesione alla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio andava anch'essa in questa direzione: "rimuovere l'equivoco che si debba dialogare tra cristiani ed ebrei anche sul piano teologico".

Rispetto al predecessore Elio Toaff – quello del celebre abbraccio con Giovanni Paolo II in sinagoga – Di Segni ha inaugurato una dirigenza del rabbinato in Italia meno laica e più identitaria, più osservante di riti e precetti, e di conseguenza più conflittuale col papato sul versante religioso. Ma, appunto, non tutti gli ebrei la pensano così. Alcuni interpretano diversamente le riserve di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso. Ritengono cioè che il papa, quando esclude "un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola", non si riferisca all'ebraismo ma soltanto alle religioni esterne al plesso ebraico-cristiano, cioè islam, induismo, buddismo, eccetera. E infatti – chiedono – "che cosa sono stati il documento del 2001 e il libro 'Gesù di Nazaret' se non un confronto sul terreno propriamente teologico con l'unica religione con cui il cristianesimo può farlo?".

A formulare quest'ultima domanda – in una nota sul quotidiano "il Foglio" dell'11 gennaio – è stato Giorgio Israel, docente di matematica all'Università di Roma "La Sapienza" ed impegnato fautore del dialogo ebraico-cristiano in sintonia con l'attuale pontefice. Assieme a Guido Guastalla, assessore alla cultura della comunità ebraica di Livorno, Israel ha anche contestato pubblicamente, sul "Corriere della sera" del 26 novembre, la decisione di Laras e dell'assemblea dei rabbini di dissociarsi dalla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio.

A loro giudizio, la motivazione portata a sostegno del rifiuto, cioè la preghiera per gli ebrei formulata da Benedetto XVI per il rito antico del Venerdì Santo, non è più sostenibile dopo le chiarificazioni fatte in proposito dalle autorità vaticane, chiarificazioni accolte anche dal presidente dell'International Jewish Committee, il rabbino David Rosen. Hanno replicato a Israel e Guastalla, sul "Corriere della Sera" del 4 dicembre, il rabbino Laras, l'altro rabbino Amos Luzzatto e il presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, Daniele Nahum. I tre hanno restituito alla Chiesa cattolica e in particolare al papa la colpa della rottura, hanno definito le posizioni di Benedetto XVI "una regressione rispetto alle conquiste scaturite dagli ultimi decenni di dialogo e collaborazione" e hanno accusato i loro critici di voler usare il dialogo ebraico-cristiano in funzione anti islam. Laras, Luzzatto e Nahum hanno concluso così la loro replica: "Si ricordi che i rapporti tra ebraismo e islam generalmente sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra ebraismo e cristianesimo". La storia ha il suo peso irremovibile. Ma riletti oggi, nel pieno della guerra di Gaza, questo omaggio all'islam e questa stilettata alla Chiesa suonano surreali.

Dialogo e annuncio - gennaio 2009

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Giornata dell'ebraismo: «Le ragioni del nostro no»

Rav Elia Enrico Richetti Rabbino capo di Venezia Il primo passo per un dialogo autentico è mettersi in ascolto delle ragioni dell'altro. Con tale convinzione, che anima la linea editoriale della nostra rivista, ospitiamo volentieri il commento del rabbino Richetti. L'Assemblea dei rabbini d'Italia ha comunicato che, almeno per quest'anno, non vi sarà collaborazione fra le Comunità ebraiche d'Italia e le istituzioni cattoliche per la celebrazione della Giornata dell'ebraismo (17 gennaio). È la logica conseguenza di un momento particolare che sta vivendo il dialogo interconfessionale oggi, momento i cui segni hanno cominciato a manifestarsi quando il Papa, liberalizzando la messa in latino, ha indicato nel Messale tridentino il modulo da seguire.

In quella formulazione, nelle preghiere del Venerdì Santo è contenuta una preghiera che auspica la conversione degli ebrei alla «verità» della Chiesa e alla fede nel ruolo salvifico di Gesù. A onor del vero, quella preghiera, che nella prima formulazione definiva gli ebrei «perfidi», ossia «fuori dalla fede» e ciechi, era già stata «saltata» (ma mai abolita) da Giovanni XXIII. Benedetto XVI l'ha espurgata dai termini più offensivi e l'ha reintrodotta. Fin dal primo momento, l'Assemblea dei rabbini d'Italia ha preso una pausa di riflessione, sospendendo temporaneamente gli incontri interreligiosi. I mesi successivi sono stati caratterizzati da un susseguirsi di contatti, incontri e mediazioni con diversi esponenti, anche ad alto livello, del mondo ecclesiastico, alcuni dei quali si sono dimostrati sinceramente preoccupati per il futuro di un dialogo che stava procedendo in maniera fruttuosa e che registrava un allargarsi del senso di rispetto e di pari dignità delle fedi.

Purtroppo, i risultati si sono dimostrati deludenti. Si sono registrate reazioni «offese» da parte di alte gerarchie vaticane: «Come si permettono gli ebrei di giudicare in che modo un cristiano deve pregare? Forse che la Chiesa si permette di espungere dal rituale delle preghiere ebraiche alcune espressioni che possono essere interpretate come anticristiane?». Altri prelati hanno ritenuto che l'atteggiamento dei rabbini italiani fosse dettato da una «ipersensibilità» ebraica ai tentativi di proselitismo, ipersensibilità non giustificata dai fatti. Invece, e questa è stata la risposta più o meno ufficiale (una risposta della Conferenza episcopale, sia pure sollecitata, è mancata), gli ebrei non hanno niente da temere: la speranza espressa dalla preghiera «Pro Judaeis» è «puramente escatologica», è una speranza relativa alla «fine dei tempi» e non invita a fare proselitismo attivo (peraltro già vietato da Paolo VI). Queste risposte non hanno affatto accontentato il Rabbinato italiano.

Se io ritengo, sia pure in chiave escatologica, che il mio vicino debba diventare come me per essere degno di salvezza, non rispetto la sua identità. Non si tratta, quindi, di ipersensibilità: si tratta del più banale senso del rispetto dovuto all'altro come creatura di Dio. Se a ciò aggiungiamo le più recenti prese di posizione del Papa in merito al dialogo, definito inutile perché in ogni caso va testimoniata la superiorità della fede cristiana, è evidente che stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa. In quest'ottica, l'interruzione della collaborazione tra ebraismo italiano e Chiesa è la logica conseguenza del pensiero ecclesiastico espresso dalla sua somma autorità. È vero, la Chiesa non si permette di correggere le preghiere ebraiche (anche se un tempo la censura ecclesiastica è stata alquanto attiva). Ma è da dire che le preghiere che qualcuno vuole interpretare come anticristiane sono in realtà contro «coloro che si inchinano agli idoli» e contro «i calunniatori e gli eretici». Perché dei cristiani dovrebbero sentirsi presi di mira? Che cosa pensano di se stessi? È vero, non sta agli ebrei insegnare ai cristiani come devono pregare o che cosa devono pensare, e nessuno fra gli ebrei o i rabbini italiani pretende di farlo. Ma è chiaro che dialogare vuol dire rispettare ognuno il diritto dell'altro ad essere se stesso, cogliere la possibilità di imparare qualcosa dalla sensibilità dell'altro, qualcosa che mi può arricchire. Quando l'idea di dialogo come rispetto (non come sincretismo e non come prevaricazione) sarà ripristinata, i rabbini italiani saranno sempre pronti a svolgere il ruolo che hanno svolto negli ultimi cinquant'anni.

Ufficio Nazionale per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana
Ebrei e cristiani 1959-2009: mezzo secolo di dialogo

È dal 17 gennaio 1990 che la Conferenza Episcopale Italiana propone ai cattolici italiani la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che taluni hanno denominato più semplicemente “Giornata dell’ebraismo”. I vescovi italiani ritennero così di dare un’occasione di riflessione su un tema importante come il rapporto tra ebrei e cristiani. La Chiesa cattolica infatti, dal Concilio Vaticano II in avanti, ha sviluppato un´ampia riflessione su questo rapporto, riscoperto anche alla luce dei drammatici interrogativi posti dalla Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto dal nazismo.

Questa riflessione ha anche reso evidente la necessità di una purificazione della memoria da parte dei cristiani e di un rinnovamento profondo nei rapporti con il popolo d´Israele, il popolo della promessa mai revocata, come insegna l’apostolo Paolo. Si tratta di un cammino che la Chiesa cattolica si sente chiamata a compiere, e nel quale si sente impegnata ad adeguare la sua predicazione, la sua catechesi, la sua stessa lettura della Scrittura a una visione rinnovata, libera da pregiudizi nei confronti del popolo di Israele. Quest’anno dunque, in occasione della Giornata, proponiamo una breve riflessione sugli sviluppi del dialogo ebraico-cattolico negli ultimi cinquant’anni.

Cinquant’anni fa – il Venerdì Santo del 1959 – Papa Giovanni XXIII faceva omettere l’espressione “perfidi” dalla Preghiera pro Judaeis: fu un gesto che additò un’aurora di nuova speranza per i rapporti ebraico-cristiani. Questa nuova primavera trovò la sua espressione più alta e positiva nella Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra Aetate (28 ottobre 1965), il cui paragrafo 4 costituisce la “pietra miliare” del futuro dialogo cattolico-ebraico, e nell’insieme si può considerare la Magna Charta dei rapporti interreligiosi. Da allora, si è sviluppato fra la Chiesa Cattolica e il popolo ebraico un movimento crescente di dialogo, di studi comuni e di collaborazione fraterna, che ha comportato anche l’esame critico del passato, spesso polemico, non negandolo ma cercandone il superamento entro le nuove prospettive ecumeniche e interreligiose.

Mezzo secolo di relazioni ebraico-cristiane Per riflettere su questo mezzo secolo di relazioni ebraico-cristiane la giornata del 17 gennaio 2009 è quanto mai appropriata. Come sussidi disponiamo oggi di numerosi testi di documentazione, analisi storica e biblico-teologica (vedi più sotto l’Appendice bibliografica), utili quale base per avanzare verso nuove tappe di amicizia e fraternità con gli ebrei “nostri fratelli prediletti” (Giovanni Paolo II) in quanto “Popolo primogenito dell’Alleanza” (Liturgia Romana) che ai pagani “ha donato l’universalità” dei valori di Israele, con la “Fiaccola del Decalogo” (Benedetto XVI). Sono passati ormai più di 40 anni dalla promulgazione del testo conciliare e i frutti sono davvero notevoli. Il Concilio ha stabilito un punto di non ritorno con il quale tutti i cattolici avrebbero dovuto confrontarsi. Si trattava di far passare i dettami conciliari nella coscienza comune dei fedeli, che presentava ancora notevoli ritardi in questo campo.

L'antisemitismo era un problema di mentalità, frutto spesso di un’educazione, anche religiosa, che presentava gli ebrei ancora come il popolo maledetto. Non solo sono stati superati i pregiudizi e le convinzioni che spesso hanno contribuito al diffondersi dell’antisemitismo e alle conseguenti persecuzioni e ghettizzazioni delle comunità ebraiche, ma si sono stabilite nuove relazioni, si è rafforzato il dialogo, soprattutto da parte cattolica si è approfondito quel legame storico e spirituale del cristianesimo con l’ebraismo. Il 22 ottobre 1974 fu istituita, all'interno dell'allora Segretariato per l'Unione dei Cristiani, la Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, presieduta dal Card. J. Willebrands. La commissione ha elaborato in questi anni tre documenti significativi:

1. Orientamenti e Suggerimenti per l'applicazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate (1 Dicembre 1974);

2. Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell'Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica (24 giugno 1985);

3. Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah (16 marzo 1998).

I primi due testi spiegano il senso del rapporto unico tra ebrei e cristiani e danno una serie di indicazioni per presentare in modo corretto l'ebraismo nella catechesi e nella predicazione. Il terzo è una riflessione storica, in cui si evidenziano le responsabilità dei cristiani nei confronti delle persecuzioni contro gli ebrei, con un riferimento particolare alla Shoah. Anche nel documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, elaborato dalla Commissione teologica internazionale durante il Giubileo dell’Anno 2000, contiene un paragrafo sulle colpe dei cristiani nei confronti degli ebrei (5.4).

Ebraismo e cristianesimo

Potremmo dire che il suggello del nuovo orientamento della Chiesa cattolica prima degli ultimi documenti fu la visita del Papa alla Sinagoga di Roma il 13 aprile 1986. Qui Giovanni Paolo II chiamò gli ebrei "i nostri fratelli maggiori": "La religione ebraica - disse - non ci è estrinseca, ma in un certo qual modo è intrinseca alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun'altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti, e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori". La particolarità di questo rapporto è ben evidenziata da due fatti tra loro collegati, anche se lontani nel tempo:

1. La Commissione per i Rapporti Religiosi con l'ebraismo viene creata all'interno del Pontificio Consiglio per l'Unità dei cristiani e non di quello per i non cristiani;
2. L'istituzione da parte della CEI della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, il 17 gennaio di ogni anno, giorno precedente l'inizio della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

Il Card. Cassidy ha suggerito al Sinodo dei Vescovi Europei che una tale giornata sia estesa dalle varie Conferenze Episcopali ai singoli paesi europei. Non si può dimenticare inoltre il lavoro svolto negli ultimi anni dal Comitato bilaterale promosso dalla Pontificia Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo e dal Gran Rabbinato di Israele, che dal 2003 al 2006, dopo un incontro preliminare nel 2002, ha elaborato in cinque incontri successivi altrettante dichiarazioni su diversi temi:

1. la santità della vita umana e i valori della famiglia;
2. la rilevanza per la società contemporanea degli insegnamenti centrali della Sacra Scrittura che condividiamo e la conseguente educazione della futura generazione;
3. una visione condivisa della giustizia sociale e della condotta etica;
4. la relazione tra l’autorità religiosa e civile nella tradizione ebraica e cristiana;
5. la relazione tra vita umana e tecnologia.

L’ultimo documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana ribadisce in modo ancora più esplicito il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento secondo la prospettiva conciliare, con sviluppi interessanti. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno ribadito il legame intrinseco tra la Chiesa e Israele. Papa Benedetto ha recentemente affermato nella Sinagoga di Colonia: “In considerazione della radice ebraica del cristianesimo il mio venerato Predecessore, confermando un giudizio dei Vescovi tedeschi, affermò: «Chi incontra Cristo incontra l’ebraismo»”. Per questo il rapporto della Chiesa con l’ebraismo è essenziale per la Chiesa stessa. Occorre sottolineare che non si tratta qui solo della tradizione ebraica quale è rappresentata dalla sue Sacre Scritture.

Talvolta anche nel dialogo ebraico-cristiano si evidenzia quasi esclusivamente il legame esistente tra le Scritture ebraiche e quelle cristiane. Ma qui non si sta parlando di una storia conclusa, di cui la Chiesa è l’erede, che cancella e rende vana ciò che l’ha preceduta. Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana Giovanni Paolo II ha ribadito il valore di quell’“alleanza mai revocata” tra Dio e Israele. Le parole del Papa chiedono un impegno di rilettura della realtà attuale dell’ebraismo. La Chiesa cattolica lo ha fatto in una successione continua a partire dal Vaticano II. L’ultimo documento della Pontificia Commissione Biblica, la cui prefazione porta la firma dell’allora Cardinal Ratzinger (2001), Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, deve essere collocato in questa prospettiva. In esso vengono rilette le Scritture ebraiche all’interno della Bibbia cristiana, non solo riconoscendone il valore storico, ma anche cercando di reinterpretare i dati evangelici che talvolta sono stati sottoposti a letture oggi non più in linea con il Magistero della chiesa. Si veda ad esempio l’interpretazione dei testi neotestamentari in cui i “giudei” sembrano essere presentati in una luce negativa ed essere esclusi definitivamente dalla salvezza e dalla grazia di Dio, o, secondo l’antica accusa, ritenuti responsabili di deicidio. Questo nuovo modo di vedere le cose è fondamentale per la teologia e la lettura cristiana della Bibbia.

Si tratta di un punto fermo essenziale, che raccoglie lo spirito del Concilio in maniera definitiva. Da parte cattolica esiste il compito immenso di permettere a questi documenti di passare nella riflessione teologica così come nella catechesi e nella mentalità quotidiana. Il titolo stesso del documento vaticano è significativo. Si parla di popolo ebraico e di “sue” Sacre Scritture, cioè di Scritture che vivono oggi in un popolo. Ciò porta a dire che uno dei problemi del dialogo ebraico cristiano è l’oggi, cioè la consapevolezza da parte cristiana che l’ebraismo non è finito, che vive in numerose comunità, che esso non è solo l’Antico Testamento, ma che si nutre di una lunga e viva tradizione, raccolta nel Talmud, nella sapienza rabbinica e nella riflessione e nella cultura di generazioni di appartenenti a Israele.

Dialogo significa anche questa consapevolezza, quindi implica conoscenza, incontro, da cui nascono mutuo rispetto e stima. È poi opportuno parlare di “mutuo rispetto e stima”, perché si deve purtroppo riconoscere che anche nel mondo ebraico l’ignoranza del cristianesimo è tuttora diffusa. Alcuni pensano o sospettano che l’attitudine della Chiesa verso gli ebrei sia ancora quella del disprezzo, della volontà di convertire anche forzatamente o perfino della persecuzione. Sarebbe opportuno invece che da parte ebraica si sviluppasse una comprensione (teologica, si potrebbe dire) del cristianesimo e delle sue radici ebraiche, come ha chiesto anche il Papa Benedetto XVI nella Sinagoga di Colonia. C’è bisogno ancora di gesti, che mostrino quanto è cambiato nei nostri rapporti.

La storica visita di Giovanni Paolo II al Tempio Maggiore di Roma nel 1986, la visita al museo della Shoah e al Muro del pianto, o la visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Colonia hanno un valore enorme. Oggi abbiamo ancora bisogno anche di gesti di riconciliazione che mostrino con chiarezza che cristiani ed ebrei sono diversi, ma si possono guardare l’un l’altro con rispetto, fiducia e stima, riconoscendo nell’altro la presenza di quel Dio unico, che si è rivelato ad Abramo, a Mosè, ai profeti e a Gesù Cristo, ebreo di Nazaret di Galilea, profondamente credente nel Dio dei padri. La memoria della Shoah Questa consapevolezza significa anche memoria. L’Europa non può dimenticare che all’interno della sua lunga storia è stato possibile che sei milioni di ebrei - insieme a 500 mila zingari, e a disabili, intellettuali, oppositori politici e religiosi - fossero eliminati nei campi di sterminio, frutto di un’ideologia della razza, nata nel suo seno.

La memoria di quell’evento è un monito e una responsabilità che l’Europa ha non solo verso il popolo ebraico, ma verso il mondo intero. In questa prospettiva, un cenno alla Shoah nella Costituzione europea sarebbe stato opportuno. Come preservare e comunicare questa memoria? È stato istituito nei paesi europei il Giorno della memoria, il 27 gennaio, anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Si tratta indubbiamente di un significativo risultato. 5 Scriveva Settimia Spizzichino, l’unica donna sopravvissuta alla deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943, che - dopo anni di silenzio - aveva deciso di parlare e di raccontare: “Se noi, i superstiti, non perpetuiamo e diffondiamo la memoria di quello che è successo, a che scopo siamo rimasti vivi? E che accadrà quando noi non ci saremo più? Si perderà il ricordo di quell’infamia?” (S. Spizzichino, Gli anni rubati, Cava de’ Tirreni 1996, p. 75).

Settimia Spizzichino è morta, come tanti altri testimoni, dopo aver parlato instancabilmente e aver accompagnato tanti giovani ad Auschwitz. È necessario conservare la sua memoria e quella di molti altri. In un mondo che accetta con facilità la logica della guerra, in un Europa dove torna ad affacciarsi lo spettro dell’antisemitismo e la fobia dello straniero, che produce fenomeni di razzismo, i cristiani non possono tacere. La memoria della Shoah è un imperativo alla coscienza. E i segnali più o meno recenti di un insorgente antisemitismo (profanazioni di cimiteri, attacchi alle sinagoghe, aggressioni) sono preoccupanti, perché quando viene colpita la sinagoga è sempre il segnale di un imbarbarimento, di cui tutti – non solo gli ebrei – finiscono per essere vittime. Un dialogo che non si ferma Oggi il dialogo ebraico cristiano non si è fermato.

Non bisogna fare di singoli episodi o momenti anche di difficoltà un motivo di sospetto o addirittura di interruzione di un processo di avvicinamento e di mutua comprensione. Occorre certamente fare ancora passi avanti sulla via della comprensione e del dialogo. L’antisemitismo facilmente si sposa, ad esempio, con l’antisionismo o alimenta antichi pregiudizi. C’è bisogno di affermare, pur non disconoscendo le differenze, la necessità di non tornare indietro rispetto ai passi importanti compiuti in questi ultimi cinquanta anni. Scrive Jonathan Sacks, dopo aver citato una frase del trattato Sanhedrin della Mishna che dice: “«Quando un essere umano crea molte monete con lo stesso conio, escono tutte uguali. Dio crea tutte le persone secondo la sua stessa immagine – la sua immagine – e ciascuna è differente». La sfida all’immaginario religioso è vedere l’immagine di Dio in chi non rispecchia la nostra immagine” (J. Sacks, Dignità della differenza, Milano 2004, p. 72).

APPENDICE BIBLIOGRAFICA
Si presentano qui di seguito alcune opere che possono risultare utili per approfondire il tema.

- Fratelli Prediletti. Chiesa e popolo ebraico. Documenti e fatti: 1965-2005. Prefazione di Walter Kasper (a cura di Pier Francesco Fumagalli), Mondadori, Milano 2005. 6 In quest’opera sono raccolti e presentati analiticamente i principali documenti ufficiali cattolici e delle Commissioni miste sul dialogo, che possono costituire il fondamento di un futuro cammino comune. La Prefazione del cardinale Walter Kasper invoca una “purificazione della memoria” cristiana dopo la Shoah, e sottolinea la “necessità dell’educazione” fondata sui comuni valori spirituali ebraico-cristiani. Le sezioni sono: I. Testi del Concilio e della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo; II. Testi di Giovanni Paolo II; III. Testi delle Commissioni miste di dialogo. - Giovanni Paolo II – Benedetto XVI, Ebrei, fratelli maggiori. La necessità del dialogo fra cattolicesimo ed ebraismo nei discorsi di Papa Wojtyla e di papa Ratzinger, (a c. di Santino Spartà), Newton Compton, Roma 2007. Il curatore ha accuratamente selezionato, nei due pontificati più recenti, i testi più significativi sia del magistero pontificio, sia dei documenti promulgati da Papa Giovanni Paolo II – come il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) – e da Papa Benedetto XVI, arricchendoli con un’ampia cronaca, che permette di coglierne il contesto e illuminarne il significato. - AA. VV., Chiesa ed Ebraismo oggi. Percorsi fatti, questioni aperte, (a c. di Norbert J. Hofmann, Joseph Sievers, Maurizio Mottolese), Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2005. Il volume raccoglie il ciclo di conferenze tenute alla Pontificia Università Gregoriana in Roma, nel 2004-2005, per iniziativa del Centro “Cardinal Bea” per gli studi giudaici, per “tentare un primo bilancio dei cambiamenti avvenuti nel rapporto fra Ebraismo e Cristianesimo” a 40 anni dal Concilio Vaticano II. Contributi di Oded Ben-Hur, Riccardo Di Segni, Anna Foa, Bruno Forte, Pier Francesco Fumagalli, Massimo Giuliani, Norbert J. Hofmann, Peter Hünermann, Walter Kasper, Giuseppe Laras, Carlo Maria Martini, Jorge Mejía, Alberto Melloni, Achille Silvestrini, Erich Zenger. - Pier Francesco Fumagalli, Roma e Gerusalemme. La Chiesa cattolica e il popolo d’Israele. Postfazione di Riccardo Di Segni, Mondatori, Milano 2007. Con questo Saggio l’Autore – che è stato Segretario della Commissione della Santa Sede per l’Ebraismo - ha inteso offrire una sua presentazione sintetica del percorso storico che dall’Israele biblico conduce all’attuale dialogo ebraico-cristiano, passando attraverso il Medio Evo, il Rinascimento, l’Età moderna, la Shoah. Le sue osservazioni, arricchite di riflessioni tratte dall’esperienza personale del dialogo, riassumono il senso del cammino e permettono di cogliere meglio il grande cambiamento nei rapporti ebraico-cristiani, promosso dal Concilio Vaticano II. Ufficio Nazionale per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI)

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