SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Una nuova generazione dei fedeli laici nella politica.

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Criteri e Modalità per la Formazione
dei Fedeli Laici All’Impegno Politico

Il Santo Padre Benedetto XVI ha manifestato in diverse occasioni la necessità e urgenza di un rinnovato impegno dei cattolici nella vita politica. Nel discorso inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Lati noamericano, ad Aparecida, si rivolgeva a quel “continente di battezzati” con le seguente parole: «Il rispetto di una sana lai cità, perfino nella pluralità delle posizioni politiche, è essenziale nella tradizione cristiana. Se la Chiesa cominciasse a trasformarsi direttamente in un sogget to politico, non potrebbe fare di più per i poveri e per la giustizia, ma farebbe meno, perché perderebbe la sua indipendenza ed autorità morale, identificandosi con un’unica via politica e con posizioni parziali opinabili. La Chiesa è avvocato della giustizia e dei poveri preci samente non identificandosi coi politici né con gli inte ressi di partito (...). Formare le coscienze, essere avvo cato di giustizia e della verità, educare alle virtù indivi duali e politiche, è la vocazione fondamentale della Chiesa in questo settore. Ed i laici cattolici devono essere coscienti della loro responsabilità nella vita pubblica; devono essere presenti nella formazione dei consensi necessarie nell’opposizione contro le ingiu stizie. Trattandosi di un continente di battezzati, con viene colmare la notevole assenza nell’ambito politico, comunicativo ed universitario di voci ed iniziative di leader cattolici di forte personalità e di vocazione abne gata che siano coerenti con le loro convinzioni etiche e religiose»1 .
 
Altro intervento molto significativo, in questo campo, è stato quello che il Papa ha esposto durante la sua visita pastorale in Sardegna. Compito molto impor tante - ha detto Benedetto XVI - è la formazione «di una nuova generazione di laici cristiani impegnati» che siano «capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia e della politica»2 .
 
Ancora più esplicito è stata l’invito rivolto ai partecipanti alla XXIII assemblea plenaria del Consiglio Pontificio per i Laici, il 15 novem bre del 2008: «Ai laici tocca - ha affermato il Santo Padre - dare testimonianza della carità, specialmente ai più poveri, a chi soffre ed ai bisognosi, così come assumere tutti i compiti cristiani destinati a creare condizioni di giustizia e pace ogni volta maggiori nella convivenza umana, in modo che si aprano nuove fron tiere al Vangelo... In modo particolare, riaffermo la necessità ed urgenza della formazione evangelica e l’accompagnamento pastorale di una nuova genera zione di cattolici impegnati nella politica che siano coe renti nella fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professio nale e zelo di servizio per il bene comune»3.
 
E recentemente, a Lisbona, Benedetto XVI si è rivolto ai vescovi portoghesi con questo appello: “(…) i tempi nei quali viviamo esigono un nuovo vigore missionario dei cristiani, chiamati a formare un laicato maturo, identificato con la Chiesa, solidale con la complessa trasformazione del mondo. C’è bisogno di autentici testimoni di Gesù Cristo, soprattutto in quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita”4.
 
Potrebbero ancora aggiungersi altre citazioni nello stesso senso, ma queste sono sufficienti per essere consapevoli che il Papa Benedetto XVI senta il bisogno di convocare i fedeli laici ad essere, in modo rinnovato, testimoni di Cristo nella comunità politica, al servizio del bene comune.
 
Gli interventi precedenti hanno già approfondito le ragioni e le urgenze che possono essere alla base di questi richiami pontifici. Il tema che mi compete ora affrontare si pone da un punto di vista diverso. Il fatto che il Santo Padre chieda esplicitamente e reiteratamente la formazione di una nuova generazione di fedeli laici nella politica pone obiettivamente la questione di quali possano essere i criteri e le modalità adeguate di questa formazione. È proprio questo il tema della mia relazione.
 
Un invito rivolto specialmente al laicato cattolico
 
Questa pressante consapevolezza manifestata dal Santo Padre è un forte richiamo rivolto al laicato cattolico. Se la novità cristiana, derivata dal battesimo, definisce radicalmente i fedeli laici, essa è caratterizzata, come modalità singolare, dall’ “indole secolare”. Tutta la Chiesa ha una dimensione secolare, ma il “mondo” è l’ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici. In quanto discepoli e testimoni di Gesù Cristo, i fedeli laici vivono la loro vocazione cristiana e missionaria nelle condizioni ordinarie della vita personale, familiare e sociale5. Il matrimonio e la famiglia, il lavoro, l’educazione, la cultura e la comunità politica, sono dimensioni fondamentali della vita delle persone nella società, ambiti della missione per l’aderenza concreta del Vangelo, questioni cruciali in cui è in gioco la dignità delle persone, la con-vivenza in seno ai popoli e la qualità di vita delle nazioni. Sono, dunque, banchi di prova del servizio dei fedeli laici a la persona e alla società6. Questo è l’insegnamento del Concilio Vaticano II, ripreso dalla lettera apostolica Evangelii nuntiandi e dall’esortazione apostolica post-sinodale Chistifideles laici.
 
In molte occasioni, sia i Papi che numerosi Vescovi, hanno manifestato la loro preoccupazione per la sproporzione esistente tra la partecipazione attiva, generosa, di molti fedeli laici nell’edificazione delle comunità cristiane, assumendo responsabilità, uffici e ministeri, e certa diaspora scarsamente rilevante e significativa del laicato negli ambiti politici e culturali del nostro tempo7. Non si tratta di operare contrapposizioni schematiche ad intra ad extra, ma di indicare questo deficit de presenza. Si è parlato persino di una certa “clericalizzazione” dei laici quando cominciavano a placarsi le ondate tempestose di secolarizzazione dei chierici. L’insistenza rinnovata con cui, dal Concilio Vaticano II in poi, i pontefici hanno sottolineato questo compito peculia re ed insostituibile dei fedeli laici, sembra indicare che ciò richiede ancora ulteriori investimenti educativi e realizzazioni effettive.
 
Se “il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società” non è primariamente della Chiesa in quanto tale”, esso compete ai “fedeli laici “come cittadini dello Stato”, partecipando “in prima persona alla vita pubblica” e cooperando con gli altri cittadini “secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità”8, chiamati a “penetrare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità in cui vivono”9.
 
Questo è il contrario di ogni caricatura di “fuga mundis”, di ogni forma di ripiegamento ecclesiastico o di anonimato mondano da parte dei fedeli laici.
 
Un deficit di presenza    
   
Il Concilio Vaticano II aveva già ricordato, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, l’importanza dell’impegno dei laici nella politica: “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità…Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d’esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune (…)”10. L’esortazione apostolica Christifideles laici ribadiva venti anni dopo, rivolgendosi ai fedeli laici, “che tutti e ciascuno hanno il diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità”11. E ancora, la “Nota su alcune questioni relative all’impegno e al comportamento dei cattolici nella politica” della Congregazione per la Dottrina della Fede affermava, nell’anno 2002, che essi non possono pertanto abdicare “alle molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, administrativa e culturale, destinata a promuovere orgánicamente e istituzionalmente il bene comune”12. Adesso, i successivi recenti interventi di S.S. Benedetto XVI hanno invitato con rinnovata urgenza ai fedeli laici a partecipare nella politica.
 
Certo è che risulta indispensabile avere una visione ampia della politica oltre i limiti stretti che abitualmente la confinano nei partiti e nelle istituzioni politiche nonché nei processi elettorali. La politica è una dimensione di ogni attività umana che porta a riconoscere e realizzare il bene comune della società, a costruire un ordine giusto, e in questa prospettiva nessun ambito della vita sociale si sottrae ad essa, la quale li incrocia tutti trasversalmente. Se si allarga così l’ambito della politica, si può affermare che la Chiesa stessa vive questa dimensione politica e contribuisce al bene comune, e che i fedeli laici sono dappertutto impegnati per realizzarlo. Infatti, c’è una forte presenza dei cattolici in ciò che la dottrina sociale della Chiesa chiama “corpi intermedi” o che oggi tende a chiamarsi “società civile”, mediante la loro partecipazione a diverse organizzazioni non governative e iniziative di volontariato, a corporazioni professionali e organizzazioni sindacali, a diverse comunità civili a livello locale, ad associazioni e opere con varie finalità educative, culturali, ospedaliere, assistenziali e caritative, a imprese di vario tipo, a reti ideali di solidarietà e cooperazione, ecc.
 
Gli appelli di S.S. Benedetto XVI però sembrano riferirsi e invitare all’impegno politico tout court dei cristiani, ciò che significa suscitare e sostenere vocazioni specifiche che portino più cristiani a impegnarsi nelle istituzioni politiche con la dedizione, il sacrificio, il senso di gratuità e di solidarietà, la passione e la competenza, la pazienza e la lungimiranza che implica questo preciso impegno. E a questo livello che si avverte quel deficit di presenza. Basti citare, a modo illustrativo, ciò che indicava il papa Benedetto XVI ai vescovi brasiliani a San Paolo, parlando specialmente dei cristiani: “è necessario lavorare instancabilmente nella formazione dei politici”13, o ciò che affermano i vescovi latinoamericani nella loro V Conferenza generale ad Aparecida: “se molte delle attuali strutture generano povertà, in parte si è dovuto alla mancanza di fedeltà agli impegni evangelici da parte di molti cristiani con speciali responsabilità politiche, economiche e culturali”14. Nel suo recente libro, “Render Unto Caesar”, che ha come sotto-titolo “Servire la nazione vivendo il nostro credo cattolico nella vita politica”, il vescovo di Denver, Mons. Charles Chaput, segnala che negli Stati Uniti i cattolici sono 69 milioni, un quarto della popolazione e che nel Congresso siedono oltre 150 parlamentari che si dichiarano tali, mentre nel Senato i cattolici sono uno su quattro e nella Corte Suprema sono in maggioranza…”ma quale differenza fanno”?15
 
Qualcuno potrebbe domandarsi, parafrasando a Stalin, dove sono le “divisioni” del Papa? O dove si trovano i nostri Tomasso Moro, obbedienti alla legittima autorità ma soprattutto alla legge iscritta da Dio nella coscienza dell’uomo, fonte di autentica libertà? Dove sono i nostri Adenauer, i De Gasperi, i Monnet, i Schumann, che aprono strade alla riconciliazione, alla ricostruzione, all’integrazione e alla cooperazione tra i popoli? Quale sono le risposte politiche che i cristiani sostengono e promuovono come contributi originali ed efficaci per affrontare nuove vie di sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini di fronte alle enormi questioni e sfide che si pongo attualmente? Certo, non mancano testimonianze dei cristiani che sono motivo di incoraggiamento, di speranza, persino di ammirazione, ma non si avvertono forti correnti e movimenti di rinnovato impegno dei fedeli laici nell’agone politico.  
 
Oggi più che mai c’è bisogno dappertutto di dirigenti politici veramente impegnati per il bene del proprio popolo e specialmente dei settori più bisognosi e sfavoriti, che non antepongano i loro interessi individuali al bene comune, che abbiano sempre come guida la difesa e la promozione della dignità delle persona umana, con il “carisma” e l’esperienza di mettersi in sintonia con la saggezza, le sofferenze, i bisogni e le speranze del corpo sociale, con le competenze che richiedono il governo di società sempre più complesse, con la capacità di giudizio sulla storia del proprio Paese nel contesto regionale e mondiale, con un disegno che vada oltre il piccolo cabotaggio. C’è bisogni di politici liberi di ogni tendenza all’autoritarismo e alla violenza, amanti di autentica libertà, con la magnanimità di coloro che cercano maggiore giustizia e verità insieme alla riconciliazione e al perdono, capaci di sommare ideali e interessi per un maggiore coinvolgimento, mobilitazione e partecipazione democratica delle persone, famiglie, corpi intermedi, forze sociali, culturali e religiose nella costruzione della nazione. Se questo è bene chiederlo a tutti i politici, occorre domandarlo anche ai cristiani impegnati nella vita politica. Anzi, oltre ogni degenerazione della politica e del distacco da esse che queste tendenze provocano, i fedeli laici sono invitati a coinvolgersi in questo nobile servizio, vissuto e riabilitato nella sua più alta dignità, che è quella di essere una forma singolare di attuazione della carità, ossia risposta all’amore di Dio nell’amore per gli uomini, specialmente per “prossimi” com-patrioti, testimonianza di passione per la vita e per il destino del proprio popolo, nel servizio del bene comune.
 
Innanzitutto, formare i christifideles!
 
E nonostante ciò, si trarrebbero interpretazioni e conseguenze sbagliate dai richiami del Santo Padre se si traducesse questo invito e si rispondesse a tale urgenza concentrando energie, programmi e strumenti della Chiesa alla formazione di buoni politici. No! La formazione dei politici avviene nell’ambito delle istituzioni e della prassi della politica, così come la formazione degli ingegneri, degli avvocati, degli architetti…avviene nell’ambito dei centri universitari competenti e nella continua prassi professionale. I tentativi di alcune istanze ecclesiastiche di formare politici tra i cristiani, secondo programmi fatti a tavolino, si sono in genere conclusi con un fallimento. Non hanno lasciato traccia. Qui e là, nelle recente decadi trascorse, alcune Chiese locale hanno creato scuole per la formazione politica, ma i frutti risultarono irrilevanti. 
 
Non è questa la missione della Chiesa, la quale non gode neanche di speciale competenza in materia. È chiamata a tutt’altro che non a impegnarsi prioritariamente a formare dei buoni cittadini e buoni politici, secondo quanto una misura mondana si aspetta di essa, riducendola a “religione civile”.
 
I richiami moralistici del tipo…”bisogna impegnarsi nella politica” non hanno più la presa che ebbero per la generazione dell’immediato dopo-concilio, che si trovava allora nell’euforia dell’apertura al mondo e del protagonismi dei laici impegnati e militanti, mossi dalle alte mareggiate della politica e dell’ideologia all’apice dei messianismi secolarizzati, disposte alla trasformazione globale delle strutture. Oggi prevale il disincanto, la sfiducia nella politica, mentre regna l’utilitarismo. Inoltre, gli imperati categorici, a modo di esortazioni morali, raramente commuovono il cuore della persona, mettono in moto la sua intelligenza e cambiano la sua vita. Rimangono spesso come declamazioni retoriche a uso di una buona coscienza, senza conseguenze reali.
    
Non compete alla Chiesa la formazione di politici, neanche di politici cristiani. La sua missione è quella di generare dalle acque battesimali “creature nuove” perché diventate figli e figlie di Dio, unti dallo Spirito Santo, partecipi della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, membra del Suo Corpo. La sua missione è fare crescere “uomini nuove” e “donne nuove”, sempre più configurati a Cristo, con-formati a Lui, nella comunione dei suoi apostoli e discepoli. La sua missione è ricondurli, di volta in volta, a riscoprire la dignità, la bellezza, la gratitudine, la gioia e la responsabilità di essere cristiani.
 
Qualsiasi tentativo di rispondere all’invito del Papa di formare una nuova generazione dei cattolici nella politica che non cominci da questo, che non si basi su questo, che trascuri questo nocciolo essenziale, che non sia inserito dentro questi itinerari educativi dei christifideles, è destinato al fallimento. Infatti, risultano spesso alquanto patetico i tentativi e gli sforzi fatti nelle nostre comunità cristiane per trarre dalla vita dei laici le conseguenze sociale, culturali e politiche della fede – come si se trattasi di una mera questione di coerenza -, mentre essa rimane presupposta in modo sempre più irreale o irrilevante.
 
Bisogna sempre, per tutti i battezzati, “ricominciare da Cristo”16, cosa che rimanda alla natura stessa, al significato dell’avvenimento cristiano nella vita delle persone. Sappiamo bene che il cristianesimo non è, innanzitutto, una dottrina, una ideologia, né un insieme di precetti morali, meno ancora uno spiritualismo da “belle anime”. È un fatto, storicamente accaduto: il Verbo si è fatto carne, il Mistero in cui tutto consiste e sussiste ha fatto irruzione nella storia umana, Gesù Cristo ha rivelato il volto di Dio, che è amore misericordioso, e allo stesso tempo ha rivelato la vocazione, la dignità e il destino della persona umana e di tutta la creazione, salvate dalla caducità, dalla corruzione, grazie alla sua vittoria pasquale. Ed è stato dato a ogni persona, in ogni tempo e luogo, di essere contemporanea alla Presenza di Cristo grazie al suo Popolo, al suo Corpo, che è la Chiesa, compagnia dei suoi testimoni e discepoli. Perciò non ci stanchiamo di ripetere le parole di Benedetto XVI nell’enciclica Deus Caritas est: “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”17. Se manca ciò, o si da con faciloneria come presupposto o per scontato, allora accade, come spesso accade, la riduzione moralista dell’avvenimento cristiano, come se questo fosse soltanto un simbolo di compassione per i simili, un edificante volontariato sociale, un mero impeto etico di complementazione funzionale per tessuti sociali disgregati dal feticismo del denaro, dall’ingiustizia e dalla violenza, una spinta di solidarietà che finisce per esaurirsi nella stanchezza o arrabbiarsi nell’indignazione, nella denuncia, nella violenza.    
 
La questione prioritaria e fondamentale è rifare la fede dei cristiani. Siamo tutti chiamati a vivere e rivivere la fede come nuovo inizio, come quella novità sorprendente di vita, splendore di verità e promessa di felicità che rimanda all’avvenimento che la rende possibile e la feconda.
 
 Soltanto coloro che vivono con gratitudine e gioia la verità e la bellezza di essere cristiani, diventeranno effettivamente protagonisti di vita nuova dentro il mondo.  
 
 Una sorprendente novità di vita
 
Tutto ciò è l’esatto contrario di un cristianesimo dissociato dagli interessi portanti della persona, di quel divorzio tra fede e vita che i Padri del Concilio Vaticano II indicarono come “uno degli errori più gravi”18. “Nella loro esistenza – afferma l’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici – non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta ‘spirituale’, con i suoi valori e le sue esigenze, e dall’altra, la vita cosiddetta ‘secolare’, ossia la vita di famiglia, di lavoro, di rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura”19. In tale modo, il cristianesimo finisce per rimanere episodico e frammentario, appena residuale e infine superfluo. Una nuova generazione di cristiani impegnati nella vita politica potrà essere forgiata solo “se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l’unità di una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza”20.
 
Infatti, un vero incontro con Cristo, che diventa fedele sequela, un permanere con Lui in comunione, cambia la vita di coloro che si confessano cristiani. Nulla può rimanere straneo a questa metanoia, alla conversione e alla trasformazione di tutta l’esistenza. Se è vero incontro cambia la vita della persona, segna con la sua impronta la vita matrimoniale e familiare, le amicizie e il lavoro, l’uso del tempo libero e del denaro, il modo di guardare tutta la realtà…sino ai minimi gesti quotidiani. Tutto viene trasformato in qualcosa di più umano, più vero, più splendore di belleza, motivo di gioia e di felicità. Tutto è abbracciato in un amore trasfigurante, unificante, vivificante. “Chi è in Cristo è nuova creazione” (II Cor. 5, 16). Il cristianesimo è chiamata di Cristo alla nostra libertà; spera nella semplicità del fiat, come quello di Maria, affinchè, per mezzo della sacramentalità della Chiesa, si faccia carne nella nostra carne.
 
L’incontro con Cristo risveglia i desideri di amore e di verità, di giustizia e di felicità, radicati nell’essere della persona, e allo stesso tempo risponde ad essi in modo soddisfacente e compiuto. Fa scoprire all’uomo la propria umanità, tutta la sua potenzialità umana destinata al compimento. Si verifica dunque come esperienza bella e vantaggiosa, adeguata e conveniente per la persona. In altre parole, si tratta della riscoperta, piena di gratitudine, di gioia e responsabilità, del proprio battessimo come della più profonda autocoscienza della dignità della persona, diminuita, offuscata e disordinata dal peccato, ma rigenerata dalla grazia, destinata alla piena statura dell’umano in Cristo. La Signoria di Cristo chiama ad essere sempre di nuovo vissuta in modo concreto, comprensibile, ragionevole, convincente e conveniente, come certezza esperimentata nella vita, e non come discorso astratto e formale.
 
Certo, questa novità di vita non è il risultato di un mero sforzo morale, sempre fragile, della persona, ma innanzitutto il frutto della grazia, ossia di un rinnovato incontro con il Signore che approfondisce un’amicizia, una comunione, una fiducia mendicante nell’amore misericordioso di Dio, sino a poter esclamare con l’apostolo: “non sono io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal. 3, 19). Risplende così la forza di Cristo nella nostra debolezza, “La sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita (sarà) la più splendida e convincente testimonianza che, non la paura, ma la ricerca e l’adesione a Cristo, sono il fattore determinante perché l’uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana”21.
    
Soltanto coloro che vivono l’ esperienza di una vita materialmente cambiata dalla fede, non ostante le proprie incoerenze e miserie, diventano autentici soggetti che rendono presente il cristianesimo in tutti gli ambienti e le attività della società.
 
Il cristianesimo come radicale e globale intelligenza della realtà
 
Condizione, dunque, per promuovere una rinnovata presenza dei cristiani nella vita pubblica è che la loro esistenza tenda ad essere trasformata dalla grazia di Dio e animata dal Suo Vangelo. Ma c’è di più... Questa novità di vita che va configurando tutta l’esistenza genera nella “nuova creatura” una nuova sensibilità, una modalità nuova de guardare, affrontare e discernere ogni realtà. Nelle condizioni in cui viveva la cristianità in passato, questa mens cattolica dinnanzi agli eventi personali, familiari e sociali derivava dall’attaccamento alla tradizione, che permeava tutta la vita sociale. Oggi non è affatto così. E perciò la questione di un giudizio cattolico sui fatti della vita personale e sociale, incluso della vita politica, è un esigenza da non trascurare.
 
Non mancano oggi coloro che si professano cattolici, e cattolici osservanti o “praticanti”, ma il cui sguardo sulla realtà pubblica delle nazioni rimane imprigionata e offuscata dai diaframmi dei poteri politici, culturali e mediatici. Nessuno più sentirsi escluso da tali influssi. Sarebbe ingenuo e fuorviante pretendere di far un giudizio adeguato sulla realtà avendo, secondo le parole imputate a Karl Barth, in una mano la Bibbia e in un'altra il giornale. 
 
E c’è di più: ci sono di quelli che considerano sufficiente un generico riferimento ai “valori evangelici” o a una “ispirazione cristiana” , come di un input soggettivo per la loro attuazione nella vita politica e sociale. Altri ancora, e questo è più insidioso, pensano che la teologia sia per l’ambito de la religione ciò che le scienze sociali sono per l’analisi della realtà; in questo modo, d’una parte, si misconosce che le teorie e i modelli macro-sociali implicano, anche se non palesemente, una filosofia della storia, finanche una teologia e, dall’altro, si riduce la pretesa di verità e il contenuto conoscitivo che è proprio del cristianesimo.
   
Infatti, se Dio esiste ed è il Logos, ossia la razionalità originaria e ultima di tutta la realtà, ¿come non considerare il senso religioso come la dimensione più radicale, globale e decisiva nell’esistenza delle persone e della società? Costruire la società senza Dio, contro Dio, è costruirla contro l’uomo. E si Dio si è rivelato in Gesù Cristo, ¿come non considerare l’avvenimento dell’incarnazione come il fatto più capitale della storia umana, la chiave dell’intelligenza di tutta la realtà? Perciò, conclude il papa Benedetto, “soltanto chi riconosce Dio, conosce la realtà e può rispondere ad essa di modo adeguato e realmente umano”22. Questione cruciale è che l’intelligenza della fede sappia essere a fondamento dell’intelligenza di tutta la realtà
 
Sappiamo che questa pretesa di verità non si reduce a una formula intellettuale, a un ragionamento filosofico o a una cosmovisione ideologica, ma si identifica con una persona che ha detto di sé: “Io sono la verità”, “io” la verità del cosmo e della storia, “io” la chiave più radicale e totale della realtà, “io” il significato e il destino della esistenza umana, ¡“io” il senso della tua vita! Non c’è altra alternativa: o è la affermazione di un pazzo o è sorprendentemente vera. A noi, cristiani, che abbiamo ricevuto questa rivelazione dal flusso di una tradizione viva da 2000 anni e che l’ abbiamo esperimentato come vera nella propria vita, ci tocca, ¡nientemeno!, proporre questa “ipotesi” e dimostrare la sua ragionevolezza, ascoltando, discernendo e integrando i molteplici approcci alla verità e i segni di bene e di bellezza che si danno nell’avventura umana. Coloro che non credono in questa ipotesi, dovrebbero al meno accettarla come punto di partenza. Rifiutare questa possibilità in quanto ipotesi sarebbe pregiudizio irrazionale. Pretendere di imporla con i mezzi della politica, invece, sarebbe violenza.
 
Che Cristo sia la “pietra angolare” di ogni costruzione veramente umana è la certezza che deve animare ai cristiani nella vita pubblica delle nazione e nell’ordine internazionale. Questa asseverazione non li esime ma al contrario li porta a cogliere i “segni dei tempi”, ad apprezzare ogni progresso nel campo delle conoscenze, delle scienze e dello sviluppo sociale, a crescere in competenza per affrontare le questioni che si pongono nella vita sociale e politica, a riprendere tutto ciò che è patrimonio di saggezza nella vita politica e a elaborare sintesi culturali sempre provvisorie, collaborando con coloro che hanno a cuore il bene della persona, della famiglia e delle nazioni. È una “ipotesi di lavoro” che deve tradursi in argomentazione razionale e che va verificata dalla capacità di persuasione, mobilitazione e consenso nei diversi ambiti della vita pubblica e nelle varie congiunture storiche concrete in cui si vive.
 
Benedetto XVI sta chiamando a una rivalutazione della ragione, al suo allargamento oltre i limiti del positivismo e dell’utilitarismo, che sia estesa in ogni dimensione possibile, sino all'incontro con la fede che la sostiene e valorizza e su "tutto (...) getta una nuova luce”23.
 
Bisognerebbe aspettarsi molti più contributi in questo senso da parte delle istituzioni educative cattoliche e in particolare del lavoro intellettuale e inter-disciplinare di autentiche Università cattoliche.
 
Coscienza e appartenenza
 
La coscienza di ogni politico, e di ogni cristiano nella politica, rimane sempre e comunque l’ultimo e inalienabile criterio di giudizio che niente e nessuno potranno sopraffare. Sola davanti a Dio, la coscienza si trova nella drammatica situazione di dover scegliere su questioni che possono avere un forte influsso nella vita e nei comportamenti dei cittadini. La coscienza è sempre l’ultimo baluardo contro ogni tirannide, contro ogni irreggimentazione della vita politica che attenti alla libertà, contro ogni rigida e monolitica disciplina di partito, contro ogni eccesso di clericalismo.
 
La coscienza, però, non è mai neutrale, non può essere mai arbitraria, ed è sottomessa a ogni sorta di stimoli e pressioni. Perciò risulta importante contare su riferimenti autorevoli verso cui guardare per giudicare la propria azione. Per un cristiani in politica, la coscienza che lo guida deve essere sempre una coscienza credente, cristiana. Deve trattarsi di una coscienza informata e formata alla luce dell’appartenenza alla comunione ecclesiale.
 
Di più ancora: se la nostra certezza come cattolici è che Cristo costituisce il centro effettivo della realtà storica e la pietra angolare di ogni costruzione autenticamente umana, la stessa cosa possiamo affermare della Chiesa cattolica, il suo corpo che prolunga la Sua Presenza nella storia. La appartenenza al Corpo di Cristo, che è la Chiesa, è il riferimento ineludibile di tutti i fedeli come giudizio nuovo e originale sulla propria vita e su tutta la realtà. Quando questa appartenenza risulta fragile nella coscienza e nella vita, non si da questo giudizio originale (la forza purificatrice della fede rispetto alla ragione, per liberarla dalle cecità che l’assediano), e si finisce por essere sottomessi alle istanze dettate dal potere e dagli interessi dominanti.
 
Vivere nella comunione della Chiesa e renderne testimonianza è contributo fondamentale per la costruzione di ogni comunità umana e, allo stesso tempo, sorgente, forza e sostegno per l’impegno dei fedeli laici al servizio del bene comune. Infatti, nel piano di Dio, nel suo disegno di salvezza, la Chiesa è sacramento di comunione per cui tutti gli uomini sono stati creati e alla quale sono destinati. Essa comunica la forza della risurrezione del Signore, la massima rivoluzione dell’amore, la rottura di ogni catena di schiavitù, la vittoria sulla morte e la certezza di un destino buono per gli uomini. Il Vangelo di Gesù Cristo è “buona notizia sulla dignità della persona umana”24; è “messaggio di libertà e forza di liberazione”25; è speranza presente di vita vera, di vita in abbondanza e in pienezza. Perciò, il più grande e insostituibile contributo della Chiesa alla vita di ogni società è essere, e sempre di più, se stessa, cioè rendere testimonianza della sua vocazione e missione come mistero di comunione, come sacramento di unità tra gli uomini. Tale è il tremendum mysterium che fa crollare i muri dell’iniquità, della divisione e della menzogna che separano e contrappongono gli uomini e i popoli e li chiama a riconoscersi, mediante il battessimo, come “membri di uno stesso corpo”, tutti fatti “uno in Cristo” (cfr. Gal. 3, 28; Col. 3, 11), in quel “segno di unità” e “vincolo di carità” che è l’Eucaristia26. È in tale modo che la Chiesa si presenta come forma mundis, umanità riconciliata dall’amore misericordioso de Dio, in cui si vivono relazioni caratterizzate più dall’essere che dal avere, uniti in sorprendente fraternità, e perciò germe e segno, caparra e flusso di una nuova società dentro il mondo.
 
Mentre tutte le utopie umane di costruzione della comunità perfetta finiscono in “torri di babele”, se non in inferni reali, è a questa comunione che il “cuore” della persona anela e alla quale tutti gli uomini sono convocati e destinati. E nonostante ciò, si fa il male che non si vuole e non si fa il bene che si vuole, l’uomo diventa “caino” del fratello, gli interessi egoistici prevalgono sul bene comune, la minaccia della morte provoca catene di violenza e di sfruttamento, la dialettica dell’inimicizia si insinua ovunque e rimangono alzati nel cuore dell’uomo e nella convivenza sociale e politica le mura di iniquità. C’è bisogno che qualcosa accada e che venga qualcuno a riscattarci dalla corruzione e a realizzare quella comunione che non riusciamo a conquistare con le nostre sole e disordinate forze. Soltanto la misericordia di Dio, grazie all’incarnazione e alla pasqua di Gesù Cristo - “Redemptor hominis”!, nella più radicale e totale liberazione da tutte le schiavitù e servitù – e per la grazia dello Spirito Santo comunicata a noi per mezzo della Chiesa, ci salva dei limiti e dei disordini che ci incatenano e ci re-genera come figli di Dio, in ima comunione fraterna infrangibile. La nostra testimonianza dovrebbe suscitare quello stesso stupore dei pagani davanti ai primi cristiani: “Guardate come si amano!”; un qualcosa dell’altro mondo dentro il mondo! Ed è possibile vivere così nonostante portiamo questo mistero di comunione in vasi di creta.
 
È l’appartenenza alla Chiesa che custodisce la carità e richiama sempre alla sua gratuità, proponendo un “modello di unità” come esperienza presente. Soltanto un amore più grande di quello delle nostre misure umane è fonte di energia e di guida per ricostruire i vincoli di partecipazione e con-vivenza, di solidarietà e fraternità. Per ciò, la Chiesa è sempre generatrice e rigeneratrice di persone, di comunità e di popoli. È vero ciò che sottolineava S.S. Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica post-sinodal Christifideles laici, quando avvertiva che per “rifare il tessuto cristiano della società umana” è necessario “che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali”27 affinché queste riflettano e comunichino, con la maggiore trasparenza possibile, il mistero di comunione che è la Chiesa.
 
Vivere la Chiesa come “casa e scuola di comunione”28 è un bene per tutte le comunità umane ed è l’esperienza portante che il cristiano comunica in ogni suo ambiente, impegno e attività. Più si troveranno i cristiani nelle frontiere della politica, delle scienza, della lotta sociale..., più saranno scossi da complessi sfide e opzioni..., più aperti al confronto e alla collaborazione con gente di diverse convinzioni..., più dovranno essere vitalmente, intellettualmente e spiritualmente radicati nel concreto corpo ecclesiale.
 
Nel 1981, a cento anni della nascita di De Gasperi, Giovanni Paolo II gli rese omaggio, affermando che “in lui la fede fu centro ispiratore, forza coesiva, criterio di valore, ragioni di scelta”29. “Non si resta allora sorpresi – disse di lui Benedetto XVI – quando si apprende che nella sua giornata, oberata di impegni istituzionali, conservano sempre largo spazio alla preghiera e il rapporto con Dio, iniziando ogni giorno, quando gli era possibile, con il partecipare alla Santa Messa. Anzi, i momenti più caotici e movimentati segnarono il vertice della sua spiritualità”30. Questo si dovrebbe aspettare da ogni fedele laico impegnato nella vita politica: una feconda sintesi tra contemplazione e azione.
 
I paradossi del Vangelo
 
È in questa esperienza di comunione che i fedeli laici imparano a vivere la loro fede cristiana nella comunità politica secondo i paradossi del Vangelo. Questi paradossi furono già ben illustrati nella descrizione dei primi cristiani che offre la Lettera a Diognete: “ I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano (…) A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani”31.
 
Sono paradossi che valgono ieri come oggi. Infatti, i fedeli laici sono invitati ad impegnarsi nella politica come cittadini, come tutti i loro com-patrioti, e insieme a loro tengono molto alla costruzione di una vita buona nella città umana, ma sono soprattutto definiti dall’appartenenza alla comunione della Chiesa. Essi sono cristiani nella politica, sebbene la Chiesa non sia un soggetto politico, non ha una finalità politica, non ha come riferimento la conquista o il sostegno del potere politico32. Il Regno di Dio non può essere prodotto dalla politica né la fede può rimanere ordinata e subalterna alla politica. Questo non vuol dire che la Chiesa si disinteresse della vita pubblica delle nazioni, che non abbracci la totalità delle dimensioni dell’esistenza della società umana – tra le quali la politica è dimensione fondamentale e inglobante -, che non sia essa stessa implicata nella vita e nel destino delle nazioni e che non nutra un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia33. Anzi, il suo contributo originale è decisivo nella formazione e nel destino delle nazioni, per mezzo di un perseverante ricominciare dalla conversione e dalla educazione di ogni persona, dei contenuti di verità, amore e unità che comunica alla vita dei popoli, della forgia di energie di libertà, dignità, fraternità, laboriosità, sacrificio solidale, riconciliazione e giustizia, dei lumi della sua dottrina sociale.
 
I cristiani devono certamente ascoltare e seguire il magistero dei Pastori relativo ai loro comportamento nella polis ma devono agire in essa in base alla propria libertà, iniziativa e responsabilità, senza pretendere di rappresentare la Chiesa ne coinvolgerla nelle proprie scelte politiche.
 
I cristiani sanno benissimo che la politica ha la propria autonomia e consistenza, perché quel “date al Cesare ciò che è di Cesare” indicato da Gesù è il principio originario della laicità dello Stato, preziosa eredità sempre critica di ogni forma teocratica, di ogni fondamentalismo ideologico o religioso, perchè codesti portano violenza contro la libertà. Ieri abbiamo sofferto la terribile esperienza degli Stati confessionalmente atei come postulato ideologico, e oggi si impone la “sharia” come legge di molti Stati. Infatti la politica come organizzazione della con-vivenza su basi liberali, è dell’ordine del relativo; non può convertirsi in assoluto. Ma i cristiani sanno anche che ogni potere viene da Dio perché sia ordinato ed esercitato nel proprio ambito e secondo la propria finalità, e che quel “dare a Dio ciò che è di Dio” significa che, liberamente impegnati nella vita politica, i cristiani non possono che obbedire a Dio secondo la legge che Lui stesso iscrive nella coscienza umana e secondo quanto Lui stesso comunica e insegna nella grande tradizione e nel magistero della Chiesa. Pretendere di lasciare Dio fuori della vita pubblica non solo è impossibile ma radicalmente dannoso per il bene della comunità politica. I cristiani impegnati nella politica sono testimoni di Cristo in questo ambito.
 
I fedeli laici impegnati nella politica sanno che essa è indissociabile dall’etica e che spesso sono in gioco gravi questioni morali nei dibattiti e nelle deliberazioni politiche, per cui non possono accettare “l’alleanza tra democrazia e relativismo”34, dove la questione dei fondamenti e presupposti della comunità politica viene sostituita soltanto da norme procedurali sui consensi, sempre provvisori e mutevoli. Infatti, questo lascia svuotata la democrazia, in condizioni di fragilità e di confusione (e mentre si nega in via teorica una verità ontologica sull’uomo, permette al potere imporre per via legislativa e tramite i mass media una propria ontologia e antropologia…). Non possono, però, pretendere imporre uno “Stato etico” a società sempre più multiculturali. Potranno e dovranno fare appello, nel modo più ragionevole e persuasivo possibile, alla “legge naturale” – da dove ogni ordinamento giuridico trae ultimamente la sua legittimità, “il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica”35 - ma consapevoli che l’offuscarsi delle coscienze e il prevalere di interessi arbitrari porta spesso a confusione e violenza.
 
La novità della distinzione tra comunità politica e comunità religiosa che il cristianesimo ha apportato allo sviluppo della civiltà non solo ha desacralizzato ogni potere politico ma anche ha relativizzato la politica. Se tutto è politica - come si diceva in tempi della ebbrezza di iper-politicizzazione -, la politica certamente no è tutto, né la cosa più radicale e decisiva nella vita delle persone e della stesa polis. Non è la politica che può dare risposta ai desideri di verità e di felicità, di comunione e di amore, che sono esigenze costitutive e senza confini della natura umana, che richiamano la loro piena realizzazione. Quando lo Stato pretende di ignorare o ridurre questi desideri, commette un attentato contro la “dignità trascendente della persona”; quando, invece, pretende dare loro risposta e soddisfazione si attribuisce un potere salvifico che non fa altro che generare inferni. I cristiani sanno che l’impegno politico richiede una dedizione appassionata ma allo stesso tempo sanno anche che la politica non è tutto né la cosa principale. Anzi, “il primo servizio che la fede fa alla politica”, secondo quanto scriveva il cardinale Joseph Ratzinger è “la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici” che si attribuiscono potere messianici, salvifici, riprendendo e alla stessa volta cancellando e sostituendo la fede cristiana in una speranza superiore dell’uomo. “Non è morale il moralismo dell’avventura, che intende realizzare da se le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non assenza di ogni compromesso – conclude il cardinale in forma paradossale – ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”36.
 
Inoltre, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza che il potere è servizio e a riabilitare così il senso più eccelso della politica, ma senza contrapporre potere e servizio. Non sono “angeli” impotenti nella politica. Sanno che la politica implica la lotta per il potere…per poter servire meglio! Il loro riferimento ideale, però, non è quello del potente ma del bisognoso, del sofferente, del povero – in cui si rispecchia il volto del Signore -, perché per loro la “carità politica” è la ricerca e la lotta per trovare i migliori modi istituzionali per dare da mangiare all’affamato, dare da bere a coloro che hanno sete, vestire a chi è nudo, ospitare i forestieri, prendersi cura dei malati, dei carcerati e dei perseguitato…E oggi potremmo continuare dicendo: custodire la vita dei più deboli, favorire il matrimonio e la famiglia, dare lavoro al disoccupato, accogliere al migrante e ai rifugiati…Cosa c’è di più paradossale che vivere le beatitudini nella vita politica!: beati i poveri, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia. Ci si chiede perfino di amare i nemici.
 
Per fare tutto ciò, la politica ha che vedere con i cambiamenti delle leggi e delle strutture che regolano la vita delle società in molti campi, e non mancano strutture che mantengono situazioni di ingiustizia, disuguaglianza e discriminazioni – che vengono persino chiamati “strutture di peccato” -, ma per i cristiani ogni vero cambiamento comincia, sempre si rinnova e si dilata dal “cuore” della persona. Perciò, bisogna sempre ricominciare dalla persona, cosa che può apparire come uno scopo infimo e sproporzionato di fronte ai grande scenari della politica e alle questioni globali. In realtà, si tratta di abbandonare il pensiero ingannevole e illusorio che questo o quel modello o sistema, in virtù dei suoi meccanismi, possa sostituire il cambiamento nel cuore della persona, risparmiandole la fatica della scelta per il bene, caso per caso. Questo è il realismo cristiano nella polis che propone, innanzitutto, di riscattare la persona e le sue opere, congenitamente fragili, riformabili, migliorabili.
 
A cosa serve guadagnare tutto il mondo, se poi si perde l’anima! Qual è il senso di tutti gli impegni, i sacrifici, le lotte e le speranze per una maggiore giustizia se tutto si conclude con la morte? Appassionati sì per favorire il dispiegarsi della libertà, per aprire strade alla pace e alla giustizia, per fare tutto ciò che è possibile per promuovere uno sviluppo integrale e solidale ma consapevoli i cristiani che la grande speranza, oltre ogni limiti e fallimenti, è la vita eterna, la vittoria definitiva dell’amore sull’odio, sulla violenza e sulla menzogna, nella dimora di Dio. 
    
I cristiani non possono sbarazzarsi di questi paradossi evangelici, che sono al cuore di ogni autentica formazione cristiana dei fedeli laici.. Ad essi sono sempre richiamati, da essi dipende la qualità della loro testimonianza e dei loro contributi nella comunità politica.
 
Alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa
    
Il giudizio dei cristiani sulle diverse situazioni storiche e sociali e il loro impegno e contributo politico trovano un alimento sostanziale, come fonte di ispirazione e di guida, negli insegnamenti e orientamenti della Dottrina sociale della Chiesa. Essa è il frutto dell’ incontro del Vangelo con i problemi che vanno sorgendo nella vita sociale. Appartiene da sempre a la tradizione della Chiesa. È flusso della carità che va incontro ai bisogni degli uomini. Con l’enciclica Rerum Novarum la dottrina sociale entró in una fase moderna di codificazione organica sotto le ripercussioni della costituzione e dello sviluppo delle scienze sociali, la propagazione della rivoluzione urbano-industriale e il sorgere di nuovi movimenti storici e ideologici che posero rinnovate esigenze e sfide per il rilancio della missione della Chiesa. Da allora, “se è ormai costituito un aggiornato ‘corpus’ dottrinale, che si articola man mano che la Chiesa, nella pienezza della Parola rivelata da Cristo Gesù e con l’assistenza dello Spirito Santo, va leggendo gli avvenimenti mentre si svolgono nel corso della storia. Essa cerca così di guidare gli uomini a rispondere, anche con l’ausilio della riflessione razionale e delle scienze umane, alla loro vocazione di costruttori responsabili della società umana”37. La Dottrina sociale della Chiesa soffrì una fase di eclisse nella coscienza di molti cristiani nell’immediato pos-Concilio, ma fu profondamente rinnovata durante il pontificato di Giovanni Paolo II, nei suoi fondamenti teologici, antropologici e culturali, e nella sua aderenza storica. Questo patrimonio è stato ricapitolato sistematicamente nel “Compendio de la Doctrina Social de la Iglesia católica”38.
 
Or bene, una rinnovata presenza dei cattolici nella vita pubblica richiede la più piena integrazione degli insegnamenti sociali della Chiesa negli itinerari e nei contenuti della catechesi, della formazione cristiana. Richiede fondamentalmente da parte dei fedeli laici il suo studio, la sua fedele assimilazione, la sua assunzione come “principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione”39. Il tripode sul quale si basano questi insegnamenti ha una grande potenzialità per guidare l’analisi e la trasformazione sociale nel nostro tempo: la dignità della persona umana (mai ridotta a particella della natura, a mero anello della catena biologica, a elemento anonimo della polis a strumento o forza lavoro…), la sussidiarietà (in quanto valorizzazione della soggettività personale e sociale, dell’esercizio della libertà, della responsabilità e della partecipazione dei singoli, delle famiglie e dei “corpi intermedi”, oltre la strettezza della bipolarità Stato-mercato) e la solidarietà (animata dalla carità del “buon samaritano”, dalla carità delle opere e dalla carità politica, nell’orizzonte della “globalizzare la carità e la solidarietà”)40.
 
Nel ‘corpus’ degli insegnamenti della Chiesa ci sono alcuni principi fondamentali e irrinunciabili per la costruzione di una società veramente umana. La dignità trascendente della persona umana implica l’indisponibilità della vita e la sua custodia dal concepimento sino alla morte naturale, la liberta religiosa ed educativa che sono a fondamento di tutte le altre libertà, la famiglia fondata sul matrimonio41. Inoltre, i fedeli laici devono tenere nella massima considerazione altri aspetti di fondamentale importanza per ogni programma e scelta politica. Tra altri, si possono enumerar alcuni di particolare attualità: - l’investimento nell’educazione e la cura e fruttificazione del capitale umano, sociale e culturale delle nazioni, - la promozione di una autentica qualità di vita, di una ecologia umana della convivenza, di una protezione e sviluppo del tessuto familiare e sociale della nazione, - la ricerca di nuovi modelli di sviluppo, per mezzo di sinergie tra Stato, mercato, famiglia e gruppi intermedi della società civile, che sappiano combinare efficacemente crescita economica, equità sociale e lotta contro le povertà; - la padronanza e la condivisione del progresso tecnologico posto al servizio di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, secondo misure etiche e non di sola fattibilità, - la cura particolare e preferenziale dei bisognosi e dei sofferente, con speciale attenzione a tutte le forme e situazioni di povertà materiale, morale e spirituale presenti nella società odierna; il rifiuto della violenza, della guerra e del terrorismo, nella ricerca realistica e audace, senza “irenismi”, di tutto ciò che può portare verso la riconciliazione e la pace; la promozione della solidarietà, dell’equa distribuzioni dei beni della terra, della protezione dell’ambiente, della sicurezza, nel cammino verso la costruzione di un autentica comunità mondiale della famiglia umana42. 
 
Certo, se la dottrina sociale della Chiesa rimane limitata alla reiterazione generica dei suoi “principi” e “valori”, all’esegesi auto-referenziale dei suoi contenuti, alla sua considerazione meramente accademica, corre il rischio di diventare sterile. Essa appartiene al dominio della morale sociale, cioè è fondamento, criterio e motivazione per l’azione. “Oggi più che mai – scriveva Paolo VI – la Parola di Dio non potrà essere proclamata né ascoltata se non è accompagnata dalla testimonianza della potenza dello Spirito Santo, operante nell’azione dei cristiani al servizio dei loro fratelli, nei punti dove essi si giocano la loro esistenza e il loro avvenire”43. Infatti, ribadiva Giovanni Paolo II, “oggi più che mai la Chiesa è cosciente che il messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna”44. Quello che è in gioco non è un’ideologia o la discussione sui “massimi sistema” ma la verità, la vitalità e la fecondità di una esperienza cristiana che si irradia in tutti gli ambiti, strutture e circostanze della società. 
 
Perciò, la dottrina sociale della Chiesa non può ridursi a discorso, non si evapora nella retorica dei valori, non provoca soltanto una litania de denunce, non si affida a modelli prefabbricati, ma afferma e sostiene una vita, un movimento, un cambiamento della realtà in senso più umano. Infatti, Giovanni Paolo II riconosce nella tradizione della dottrina sociale della Chiesa “l’attività feconda di milioni e milioni di uomini” che, “agendo individualmente o variamente coordinati in gruppi, associazioni e organizzazioni (…) hanno costituito come un grande movimento per la difesa della persona umana e per la tutela della sua dignità, il che nelle alterne vicende della storia ha contribuito a costruire una società più giusta o, almeno a porre argini e limiti all’ingiustizia”45.
 
Questione preliminare ed essenziale è, dunque, quella dei soggetti reali che non soltanto conoscano bene questi principi, criteri e direttive ma sappiano inculturarli, tradurli con intelligenza e competenza, sia come ipotesi di analisi e di giudizio di società sempre più complesse, sia come costruzione di opere sociali, educative, produttive, culturali, caritative, che vengano incontro ai bisogni umani, che siano contributo al bene comune e che aprano vie verso forme di vita più umana, sia come criteri di impegno politico, legislativo e amministrativo al servizio del bene comune. Questo è un appello rivolto innanzitutto ai cattolici, ma bisogna tener presente che la stessa dottrina sociale propone principi e criteri fondati a livello razionale, radicati nella legge naturale, ragionevoli e adeguati per il bene della persona e della con-vivenza sociale. Perciò, dalla Chiesa, essi sono proposti anche ai cristiani di altre Chiese e comunità nonché a tutti gli uomini di retta coscienza e di buona volontà. Anzi, il loro influsso sarà ancor più efficace e ampio se diventeranno criteri di ispirazione e di orientamento di ambienti al di là dei confini ecclesiastici, sopra tutto di attivisti sociali, dirigenti politici e settori intellettuali.
 
Identità cristiana e collaborazione nella dialettica democratica 
 
I cristiani partecipano, insieme agli altri cittadini, nella vita politica. Sono sempre aperti al dialogo e a tutte le collaborazioni possibili. Non per essere cristiani sono i migliori politici. Non hanno le soluzioni politiche in tasca. Sanno arricchirsi dall’esperienza e dalla sapienza politica nei diversi contesti e circostanze. Non pretendono né cercano domini né egemonie. La coscienza della propria vocazione e missione non li separa né li allontana dagli altri nella ricerca del bene comune. Al contrario, permette di avere uno sguardo attento e un impeto capace di cogliere e di valorizzare tutto il bene che si trova al di là dei propri confini confessionali e di promuovere tutte le convergenze che siano per il bene delle persone, delle famiglie e delle nazioni.
 
Non si tratta, ovviamente, di trincerarsi nella resistenza difensiva e brandire postulati della rivelazione cristiana che dovrebbero essere rispettati e persino imposti da uno "Stato cattolico”, come ancora sostengono alcuni minoritari settori di tradizionalisti recalcitranti. La forza e la coerenza nell’affermazione dell’identità cristiana non possono portare a una chiusura ma essere fonte e sostegno per un’apertura al dialogo e al dibattito democratico. In mezzo a un cittadinanza sempre più multiculturale, caratterizzata da grande diversità di atteggiamenti etici e di convinzioni religiose e ideologiche, bisogna partecipare in questo dialogo democratico alla luce della recta ratio che aiuti a riconoscere ciò che è giusto qui e ora e a metterlo in pratica. Anche quando sono in gioco questioni etiche, esse non si pongono soltanto dentro dei limiti confessionali ma richiamano alla coscienza di ogni persona, di ogni politico.
 
La fede dei credenti, chiamata a proporre una qualità etica nella sfera pubblica, deve dunque esprimersi secondo l'argomentazione razionale e il dibattito aperto che è tipico della deliberazione politica. Nella politica importa la conquista del maggior consenso possibile. Il più largo consenso possibile deve fondarsi, innanzitutto, nel riconoscimento e nella promozione dei valori fondamentali, radicati nel “cuore” della persona e nella tradizione dei popoli e delle nazioni, che siano atti al discernimento, alla ricerca e alla costruzione di strutture che favoriscano rapporti di maggiore giustizia nei diversi contesti e circostanze. Esso è legato al ricupero del concetto di legge naturale – che non è “invenzione cattolica! - come principio di riferimento per l’ azione politica in una società laica e pluralista. La partecipazione dei cristiani nella vita politica deve saper combinare adeguatamente un riferimento ragionevole ai principi, valori e diritti con “l’arte del compromesso” che è proprio di ogni attività politica e con la ricerca del consenso nel dialogo democratico per fare avanzare proposte che si avvicinino alla consecuzione del bene comune.       
 
Neccesità di accompagnamento
   
Se l’appartenenza e il senso di comunione nella Chiesa risultano capitali per l’impegno sociale e politico dei cristiani, è importante tener ben presenti luoghi e tempi ecclesiali al loro accompagnamento cristiano, alla alimentazione della loro fede, al discernimento dei loro impegni e delle loro scelte, al sostengo della loro “buona battaglia”. Una rinnovata, esigente e coerente presenza dei cattolici nella vita pubblica non può infatti ridursi a una sorta di “franco-tiratori” isolati, in diaspora, dove non mancano singole testimonianze esemplari ma sono presente coloro la cui confessione cristiana sembra assai staccata, e persino superflua, rispetto ai loro concreti impegni politici.
 
A volte sono gli stessi Vescovi a conoscono scarsamente le “risorse umane” con cui la Chiesa può contare negli svariati campi dell’imprenditoria, dei mass media, delle università e nei laboratori di ricerca, nel sindacalismo e nella politica… Prevale spesso l’atteggiamento ecclesiastico che cura la funzionalità della machina pastorale, in forme assai auto-referenziali, che prende distanza dei cattolici impegnati nella vita politica a causa del timore di vedere confusa la libertà della Chiesa rispetto alle scelte che essi assumono. Ci sono atteggiamento distaccati che sembrano un lavarsi le mani e risparmiarsi la fatica del discernimento e dell’orientamento. È poco frequente che i Pastori convochino i politici – e gli imprenditori, i sindacalisti, gli artisti…- da un aprte, per conoscerli meglio, ascoltarli, consultarli, valorizzare e incoraggiare la loro testimonianza, e anche per “utilizzarli” (nel senso buono!) e, dall’altra, per confermarli ed edificarli nella fede, per riunirli in momenti di preghiera, per condividere con loro gli insegnamenti della Chiesa, per affrontare insieme a partire da una profonda intelligenza cristiana problemi concreti e cruciali che si pongono nell’attualità. In alcuni luoghi si sono creati cappellanie per accompagnare i politici e, in modo speciale i cattolici nella vita politica.
 
La partecipazione nella comunità parrocchiale, e specialmente alla messa dominicale, è sempre molto importante, ma a volte non sufficiente come risposta alle necessità che avvertono i cattolici impegnati e assorbiti nei diversi campi di azione e nei dibattiti della vita pubblica.
   
Associazioni dei fedeli e movimenti ecclesiali risultano, in genere, luoghi e compagnie più adeguate per rispondere a questa necessità, in quanto comunità cristiane vive che abbracciano concretamente la vita delle persone alla luce della fede, l’alimentano, la sostengono e la fanno crescere in tute le implicazioni e dimensioni cristiane sino alla sua verifica nei diversi settori dell’esistenza. È difficile per coloro che vivono la loro vocazione cristiana nella politica mantenersi liberi dalle seduzioni del potere, non lasciarsi assimilare alle logiche mondane, non tradire i propri rappresentati, e, invece, crescere nella esperienza viva dell’originalità e della fecondità della fede nell’agire politico, se mancano di una comunità cristiana, di una rete di amici cristiani, che ricordino loro le vere ragioni che li hanno portato a fare politica. Inoltre, l’asociazionismo favorisce la formazione e il protagonismo dei fedeli laici, operante, più che negli ambiti ristretti della territorialità parrocchiale, negli “areopaghi” funzionali della società, suscitando un più largo scambio di esperienze a livello nazionale e anche internazionale.
 
Infatti, una grande parte delle generazioni dei cattolici impegnati nella politica dalle prime decade del XX secolo fu formata, alimentata e sostenuta da una forte appartenenza all’Azione Cattolica. Non per caso, c’è stata una concomitanza tra la crisi dell’associazionismo cattolico sofferta dalla fine degli anni 60 sino agli anni 80, il deficit di presenza laicale nella vita politica e l’impatto della forza secolarizzante della politica nella vita dei cristiani.
 
Anche di fronte a questa sfida, il sorgere e lo svilupparsi dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, nel quadro di una nuova stagione aggregativi dei fedeli, è stato segno di speranza. Essi sono innanzitutto realtà ecclesiali, ma da un altro punto di vista potrebbero essere anche considerati soggetti politici perchè promuovono la formazione e l’azione di protagonisti nuovi nella polis, rafforzando la libertà, la responsabilità, la partecipazione sociale e le iniziative per il bene comune, incrementando il capitale umano. Oggi, riferendosi alla “notevole assenza” di leadership cattolica, il papa Benedetto XVI, in Aparecida, ha messo in rilievo “l’ampio campo” che hanno i movimenti ecclesiali per “ricordare ai laici la loro responsabilità e la loro missione di portare la luce del Vangelo alla vita pubblica, culturale, economica e politica”46. Sono già visibili ma non ancora sufficientemente estesi, cresciuti e maturi i frutti della loro educazione cristiana in tutti gli ambienti della società e in particolare della politica. 
 
Unità e pluralità
 
I cristiani che si impegnano nella vita politica devono anche essere educati a vivere la loro unità a volte nella pluralità di scelte politiche. 
 
Da una parte, la dottrina sociale della Chiesa non ha mai preteso mai di tradursi in una ingegneria sociale prefabbricata e pronta all’uso, formulando “soluzioni concrete, e meno ancora soluzioni uniche, per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno”47. D’altra parte, ci sono questioni irrinunciabili e persino non negoziabili per l’impegno dei cattolici nella vita pubblica. Essi sanno riconoscere che una stessa fede può condurre a impegni e scelte diverse di fronte alla complessità delle circostanze e alla pluralità di interpretazioni e delle vie relative alla ricerca del bene umano e sociale. Tuttavia i cattolici non possono assumere qualsiasi sorta di opzioni, perchè ci sono alcune che contraddicono la loro fede. “Una concezione relativista del pluralismo non ha nulla a che vedere con la legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge naturale, quella che, a suo criterio, si conforma meglio alle esigenze del bene comune”48. Non possono pretendere di coniugare la loro fede con ideologie i cui presupposti filosofici sono contraddittori ad essa e le cui prassi storiche hanno dimostrato ormai le devastazione umane che esse hanno provocato. Non si può essere cristiano e marxista, né si può essere cristiano e professare un neoliberalismo radicale. I cattolici devono sapere accettare i punti fermi e le posizioni comuni da condividere tra loro di fronte alle questioni sociali che pongono in gioco opzioni etiche fondamentali, ed essere anche uniti politicamente in obbedienza alle indicazioni prudenziali dei loro Pastori quando lo richieda il supremo bene della nazione o in congiunture molto critiche della vita ecclesiale in seno ad essa. Nessuna imposizione del partito politico di appartenenza può portare i cristiani a sostenere ciò che attenti contro questi principi non negoziabili e a disattendere altri criteri fondamentali della dottrina sociale della Chiesa, affermando, quando sia necessario, il diritto alla libertà e all’obbiezione di coscienza.
 
Infine è necessario che si coltivi una certa tensione verso l’ unità tra i cattolici che operano nei diversi ambiti della vita pubblica. È un sintomo negativo se i cattolici che assumono responsabilità politiche, manageriali, sindacali e in altri campi della vita pubblica, non sentono la necessità e l’esigenza di incontrarsi e di farlo perché uniti da qualcosa di radicalmente e totalmente più importante delle differenti opzioni che si prendono legittimamente in questi ambiti.
 
Se si appartiene a un mistero di comunione più profondo, decisivo e totale degli stessi legami di sangue, a magior ragione questa appartenenza è anteriore e preminente rispetto a qualsiasi legittimo pluralismo temporale tra i cattolici. L’esperienza di questa appartenenza non è qualcosa che si aggiunge ad altre forme di associazione, il che sarebbe vivere la Chiesa non come membra del corpo di Cristo ma come semplici partecipanti ad una istituzione con delle finalità religiose e morali. E la Chiesa non è questo. La fragilità e la povertà di questa appartenenza fa sì che la Chiesa non sia più il luogo da dove procedono e si nutrono i criteri che illuminano i comportamenti e le opzione dei laici nella vita pubblica. Solo l’esperienza della comunione – non l’isolamento o la diaspora nel mondo – genera e irradia libertà e originalità dinanzi alle pressione dell’ambiente che spingono ad adeguarsi. Altrimenti, saranno i riflessi ideologici, i pregiudizi di determinate strutture mentali o gli interessi dominante nei diversi settori sociali a predominare.
 
Al contrario, la esperienza di comunione – che trova la sua fonte e culmine nell’Eucaristia – deve dilatarsi come un’unità manifesta dei cristiani in tutti gli ambienti della convivenza umana. Questa appartenenza alla comunione ecclesiale deve essere esperimentata come la più appassionante e determinante appartenenza della propria vita, anche di fronte a qualunque altro interesse materiale, affettivo o spirituale, a qualsiasi altro senso di solidarietà sociale, politica, culturale o ideologica. Solo allora si daranno le condizioni per una testimonianza dell’unità nella multiformità: l’adesione all’unità nell’essenziale – la pienezza della fede cattolica – e la tensione verso l’ unità nei diversi ambiti della vita politica – per dare testimonianza della comunione alla quale tutti gli uomini sono chiamati – permettono di superare i circoli viziosi che si istaurano tra coloro che pretendono di attribuire esclusivamente alle proprie scelte contingenti il carattere di cattolico e coloro che cadono in pluralismi disgreganti caratterizzati dal relativismo culturale e morale. 
 
Ripensare scelte e modalità pastorali
 
È chiaro che risulta urgente concentrare investimenti educativi e pastorali nella formazione e nell’accompagnamento di nuove generazioni di cattolici che sappiano essere presenti nella vita politica con passione, intelligenza e tensione alla coerenza, mossi dalla loro fede e dal loro slancio missionario e di servizio all’uomo e alla società, come protagonisti decisi a collaborare nella promozione di nuove forme di vita più umane, più giuste, più pacifiche, più fraterne, rischiando sotto la propria libertà, iniziativa e responsabilità, sostenuti fattivamente dalle comunità cristiane, guidati dai loro Pastori, illuminati dalla dottrina sociale della Chiesa. Reiterare mille volte nei discorsi ecclesiastici i riferimenti al deficit esistente a questo riguardo e l’urgenza che si ha di colmarlo, serve a ben poco. Finisce in retorica che non lascia tracce reali, mentre la “macchina ecclesiastica” continua imperterrita su binari e ritmi consuetudinari. Bisogna piuttosto saper aprire gli occhi per vedere dove, come e quando si trovano esperienze positive come risposte a questi richiami, saperle valorizzar, scambiarle e diffonderle, sapere investire intelligenza e creatività, sia nel piano educativo che pastorale, per far sì che siano più largamente e incisivamente presenti, saper riprendere tutto il buono che si trova in esse per richiamarlo nel magistero pastorale e riproporlo a tutta la Chiesa.  
 
                                                 Prof. Avv. Guzmán Carriquiry Lecour
                                        Sotto-Segretario del Consejo Pontificio para los Laicos
 
 
 
Vaticano, 15.05.10
NOTE
(1) Benedetto XVI, Allocuzione nell’inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano ad Aparecida, L’Osservatore Romano, 14-15.05.07.
(2) Benedetto XVI, Allocuzione a Cagliari durante la sua visita pastorale, L’Osservatore Romano, 07.09.08.
(3) Benedetto XVI, Allocuzione ai partecipanti alla XXIII Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici,L’Osservatore Romano, 15.11.08.
(4) Benedetto XVI, Allocuzione ai vescovi portoghesi, L’Osservatore Romano, 13.05.10.
(5) Cfr. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 31, Gaudium et Spes, 43, Apostolicam Actuositatem, 2, 5, 7; vedere anche Esortazione Apostolica pos-sinodale Christifideles laici, 15, 16, 17.
(6) Cfr. Gaudium et Spes, parte II, 46 e ss. ; Christifideles laici, 36-44.
(7) Cfr. Christifideles laici, 2.
(8) Benedetto XVI, enciclica Deus caritas est, 28.
(9) Paolo VI, encíclica Populorum Progressio, 81.
(10) Gaudium et Spes, 75.
(11) Christifideles laici, 42.
(12)Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale su alcune questioni relative all’impegno e al comportamento dei cattolici nella politica, Vaticano, 2002.
(13) Benedetto XVI, Allocuzione all’episcopato del Brasile, San Paolo, L’Osservatore Romano, 11.05.06.
(14) V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, Documento de Aparecida, 501.
(15) Charles Chapul, Render Unto CaesarServing the Nation by Living our Catholic Beliefs in Political Life, Doubleday/Random House, New York, 2008.
(16) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, 29 ss.
(17) Deus caritas est, 1.
(18) Gaudium et Spes, 43.
(19) Christifideles laici, 59.
(20) Christifideles laici, 34.
(21) Christifideles laici, 34.
(22) Benedetto XVI, Allocuzione nell’inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano ad Aparecida, L’Osservatore Romano, 14-15.05.06.
(23) Gaudium et Spes, 11.
(24) Giovanni Paolo II, enciclica Redemptor hominis, 10.
(25) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis Nuntius, introduzione.
(26) Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 47.
(27) Christifideles laici, 34
(28) Novo Millennio ineunte, 43.
(29) Citato da Benedetto XVI in “Allocuzione alla Fondazione Alcide De Gasperi, L’Osservatore Romano,20.06.09.
(30) Benedetto XVI, Allocuzione alla Fondazione Alcide De Gasperi”, L’Osservatore Romano, 20.06.09.
(31) Anonimo, Lettera a Diognete, www.vatican.va/spirit/documents
(32 Deus caritas est, 27.
(33 Cfr. Benedetto XVI, Allocuzione al IV Convegno nazionale della Chiesa italiana a Verona, L’Osservatore Romano, 19.10.06; Allocuzione ad Aparecida, L’Osservatore Romano, 14-15.05.07.
(34 Giovanni Paolo II, enciclica Veritatis Splendor, n. 101; cfr. Centesimus Annus, 46.
(35 Joseph Ratzinger, Chiesa, ecumenismo e politica, ed. Paoline, Milano, 1987, p. 159.
(36) Joseph Ratzinger, Ibid, pp. 143-144.
(37) Giovanni Paolo II, enciclica Sollecitudo Rei Socialis, 1.
(38) Pontificio Consiglio ‘Giustizia e Pace’, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticano, 2005.
(39) Paolo VI, Lettera apostolica Octogesima Adveniens, 4.
(40) Cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.
(41) Cfr. Nota Dottrinale su alcune questioni relative all’impegno e al comportamento dei cattolici nella politica.
(42) Cfr. Benedetto XVI, enciclica Caritas in Veritate.
(43) Octogesima Adveniens, 51.
(44) Centesimus Annus, 57.
(45) Centessimus Annus, 3.
(46) Benedetto XVI, Allocuzione nell’inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano ad Aparecida, L’Osservatore Romano, 14-15-05.06.
(47) Cfr. Nota dottrinale su alcune questioni relative all’impegno e al comportamento dei cattolici nella politica.
(48) Ibidem
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