SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Abusi sessuali. Le nuove norme "sui delitti più gravi"

a cura di Sandro Magister- http://chiesa.espresso.repubblica.it

Il testo completo delle nuove norme, con allegato un inquadramento storico del motu proprio del 2001 "Sacramentorum sanctitatis tutela", di cui sono l'applicazione aggiornata.
Il tutto introdotto e spiegato dal direttore della sala stampa vaticana , Federico Lombardi .


ROMA, 15 luglio 2010 – Nel 2001 il Santo Padre Giovanni Paolo II aveva promulgato un documento di grande importanza, il Motu Proprio "Sacramentorum sanctitatis tutela" che attribuiva alla Congregazione per la Dottrina della Fede [vedi foto] la competenza per trattare e giudicare nell’ambito dell’ordinamento canonico una serie di delitti particolarmente gravi, per i quali la competenza era precedentemente attribuita anche ad altri Dicasteri o non era del tutto chiara.

Il Motu Proprio (la "legge" in senso stretto) era accompagnato da una serie di Norme applicative e procedurali note come "Normae de gravioribus delictis". Nel corso dei nove anni successivi l’esperienza ha naturalmente suggerito l’integrazione e l’aggiornamento di tali Norme, in modo da poter sveltire o semplificare le procedure per renderle più efficaci, o tener conto di nuove problematiche. Ciò è avvenuto principalmente grazie all’attribuzione da parte del Papa di nuove "facoltà" alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che però non erano state integrate organicamente nelle "Norme" iniziali. È ciò che è ora avvenuto, nell’ambito appunto di una revisione sistematica di tali Norme.

I delitti gravissimi a cui si riferiva questa normativa riguardano realtà centrali per la vita della Chiesa, cioè i sacramenti dell’Eucarestia e della Penitenza, ma anche gli abusi sessuali commessi da un chierico con un minore al disotto dei 18 anni di età.
La vasta risonanza pubblica avuta negli anni recenti da quest’ultimo tipo di delitti ha attirato grande attenzione e sviluppato un intenso dibattito sulle norme e procedure applicate dalla Chiesa per il giudizio e la punizione di essi.

È giusto quindi che vi sia piena chiarezza sulla normativa oggi in vigore in questo campo e che questa stessa normativa si presenti in modo organico, così da facilitare l’orientamento di chiunque debba occuparsi di queste materie.
Un primo contributo di chiarificazione – soprattutto ad uso degli operatori dell’informazione - era stato dato poco tempo fa con la pubblicazione sul Sito Internet della Santa Sede di una sintetica "Guida alla comprensione delle procedure di base della Congregazione per la Dottrina della Fede riguardo alle accuse di abusi sessuali", ma la pubblicazione delle nuove Norme è tutt’altra cosa, offrendoci un testo giuridico ufficiale aggiornato, valido per tutta la Chiesa.

Per facilitarne la lettura da parte di un pubblico non specialistico, interessato principalmente alla problematica relativa agli abusi sessuali, cerchiamo di metterne in luce alcuni aspetti rilevanti.
Fra le novità introdotte rispetto alle Norme precedenti si devono sottolineare soprattutto quelle intese a rendere le procedure più spedite, come la possibilità di non seguire la "via processuale giudiziale" ma di procedere "per decreto extragiudiziale", o quella di presentare al Santo Padre in circostanze particolari i casi più gravi in vista della dimissione dallo stato clericale.

Un’altra norma intesa a semplificare problemi precedenti e a tener conto dell’evoluzione della situazione nella Chiesa, riguarda la possibilità di avere come membri del personale dei tribunali, o come avvocati o procuratori, non solo più sacerdoti, ma anche laici. 
Analogamente, per svolgere tali funzioni non è più strettamente necessaria la laurea in diritto canonico, ma la competenza richiesta può essere comprovata anche in altro modo, ad esempio con il titolo di licenza.

Da notare anche il passaggio del termine della prescrizione da dieci a venti anni, restando sempre la possibilità di deroga anche oltre tale periodo.
Significativa la equiparazione ai minori delle persone con limitato uso di ragione, e la introduzione di una nuova fattispecie: la pedopornografia. Questa viene così definita: "l’acquisizione, la detenzione o la divulgazione" compiuta da un membro del clero "in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, di immagini pornografiche aventi ad oggetto minori di anni 14".

Si ripropone la normativa sulla confidenzialità dei processi, a tutela della dignità di tutte le persone coinvolte. Un punto che non viene toccato, mentre spesso è oggetto di discussione in questi tempi, riguarda la collaborazione con le autorità civili. Bisogna tener conto che le Norme ora pubblicate sono parte dell’ordinamento penale canonico, in sé completo e pienamente distinto da quello degli Stati.

A questo proposito si può tuttavia far notare quanto scritto nella già ricordata "Guida alla comprensione delle procedure…" pubblicata sul Sito della Santa Sede. In tale "Guida" la indicazione: "Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte", è stata inserita nella Sezione dedicata alle "Procedure preliminari". Ciò significa che nella prassi proposta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede occorre provvedere per tempo ad ottemperare alle disposizioni di legge vigenti nei diversi Paesi e non nel corso del procedimento canonico o successivamente ad esso.

La pubblicazione odierna delle Norme dà un grande contributo alla chiarezza e alla certezza del diritto in un campo in cui la Chiesa è fortemente impegnata oggi a procedere con rigore e con trasparenza, così da rispondere pienamente alle giuste attese di tutela della coerenza morale e della santità evangelica che i fedeli e l’opinione pubblica nutrono verso di essa, e che il Santo Padre ha continuamente ribadito.

Naturalmente occorrono anche molte altre misure ed iniziative, da parte di diverse istanze ecclesiali.
Per quanto riguarda la Congregazione per la Dottrina della Fede, essa sta attualmente studiando come aiutare gli Episcopati del mondo a formulare e sviluppare in modo coerente ed efficace le indicazioni e direttive necessarie ad affrontare la problematica degli abusi sessuali di minori da parte di membri del clero o nell’ambito di attività o istituzioni connesse alla Chiesa, con riguardo alla situazione e ai problemi della società in cui operano.

Sarà un altro passo cruciale nel cammino perché la Chiesa traduca in prassi permanente e in consapevolezza continua i frutti degli insegnamenti e delle riflessioni maturati nel corso della dolorosa vicenda della "crisi" dovuta agli abusi sessuali da parte di membri del clero.

Per completare questa breve rassegna sulle principali novità contenute nelle "Norme", è bene osservare anche quelle che si riferiscono a delitti di altra natura. In realtà anche in questi casi non si tratta tanto di determinazioni nuove nella sostanza, quanto di inserimento di normative già vigenti, così da ottenere una normativa complessiva più ordinata e organica sui "delitti più gravi" riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Più specificamente sono stati inseriti: i delitti contro la fede (cioè eresia, apostasia e scisma), per i quali sono normalmente competenti gli Ordinari, ma la Congregazione diventa competente in caso di appello; la registrazione e divulgazione compiute maliziosamente delle confessioni sacramentali, sulle quali già era stato emesso un decreto di condanna nel 1988; l’attentata ordinazione delle donne, sulla quale pure esisteva già un decreto del 2007.

NUOVE NORME "DE GRAVIORIBUS DELICTIS"
21 MAGGIO 2010

Parte Prima

NORME SOSTANZIALI


Art. 1

§ 1. La Congregazione per la Dottrina della Fede, a norma dell’art. 52 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus, giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi contro i costumi o nella celebrazione dei sacramenti e, se del caso, procede a dichiarare o irrogare le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune sia proprio, fatta salva la competenza della Penitenzieria Apostolica e ferma restando la Agendi ratio in doctrinarum examine.
§ 2. Nei delitti di cui al § 1, per mandato del Romano Pontefice, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha il diritto di giudicare i Padri Cardinali, i Patriarchi, i Legati della Sede Apostolica, i Vescovi, nonché le altre persone fisiche di cui al can. 1405 § 3 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1061 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
§ 3. La Congregazione per la Dottrina della Fede giudica i delitti riservati di cui al § 1 a norma degli articoli seguenti.

Art. 2

§ 1. I delitti contro la fede, di cui all’art. 1, sono l’eresia, l’apostasia e lo scisma, a norma dei cann. 751 e 1364 del Codice di Diritto Canonico e dei cann. 1436 e 1437 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
§ 2. Nei casi di cui al § 1, a norma del diritto spetta all’Ordinario o al Gerarca rimettere, se del caso, la scomunica latae sententiae e svolgere il processo giudiziale in prima istanza o extragiudiziale per decreto, fatto salvo il diritto di appello o di ricorso alla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Art. 3

§ 1. I delitti più gravi contro la santità dell’augustissimo Sacrificio e sacramento dell’Eucaristia riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede sono:
1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate, di cui al can. 1367 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1442 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali;
2° l’attentata azione liturgica del Sacrificio eucaristico di cui al can. 1378 § 2 n. 1 del Codice di Diritto Canonico;
3° la simulazione dell’azione liturgica del Sacrificio eucaristico di cui al can. 1379 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1443 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali;
4° la concelebrazione del Sacrificio eucaristico vietata dal can. 908 del Codice di Diritto Canonico e dal can. 702 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, di cui al can. 1365 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1440 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, insieme ai ministri delle comunità ecclesiali che non hanno la successione apostolica e non riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale.
§ 2. Alla Congregazione per la Dottrina della Fede è riservato anche il delitto che consiste nella consacrazione a fine sacrilego di una sola materia o di entrambe, nella celebrazione eucaristica o fuori di essa. Colui che commette questo delitto, sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione o la deposizione.

Art. 4

§ 1. I delitti più gravi contro la santità del sacramento della Penitenza riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede sono:
1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, di cui al can. 1378 § 1 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1457 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali;
2° l’attentata assoluzione sacramentale o l’ascolto vietato della confessione di cui al can. 1378 § 2, 2° del Codice di Diritto Canonico;
3° la simulazione dell’assoluzione sacramentale di cui al can. 1379 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1443 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali;
4° la sollecitazione al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, di cui al can. 1387 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1458 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, se diretta al peccato con lo stesso confessore;
5° la violazione diretta e indiretta del sigillo sacramentale, di cui al can. 1388 § 1 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1456 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
§ 2. Fermo restando il disposto del § 1 n. 5, alla Congregazione per la Dottrina della Fede è riservato anche il delitto più grave consistente nella registrazione, fatta con qualunque mezzo tecnico, o nella divulgazione con i mezzi di comunicazione sociale svolta con malizia, delle cose che vengono dette dal confessore o dal penitente nella confessione sacramentale, vera o falsa. Colui che commette questo delitto, sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione o la deposizione, se è un chierico.

Art. 5

Alla Congregazione per la Dottrina della Fede è riservato anche il delitto più grave di attentata sacra ordinazione di una donna:
1° fermo restando il disposto del can. 1378 del Codice di Diritto Canonico, sia colui che attenta il conferimento del sacro ordine, sia la donna che attenta la recezione del sacro ordine, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica;
2° se poi colui che attenta il conferimento del sacro ordine o la donna che attenta la recezione del sacro ordine è un cristiano soggetto al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, fermo restando il disposto del can. 1443 del medesimo Codice, sia punito con la scomunica maggiore, la cui remissione è pure riservata alla Sede Apostolica;
3° se poi il reo è un chierico, può essere punito con la dimissione o la deposizione.

Art. 6

§ 1. I delitti più gravi contro i costumi, riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede, sono:
1° il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore di diciotto anni; in questo numero, viene equiparata al minore la persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione;
2° l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto i quattordici anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento.
§ 2. Il chierico che compie i delitti di cui al § 1 sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione o la deposizione.

Art. 7

§ 1. Fatto salvo il diritto della Congregazione per la Dottrina della Fede di derogare alla prescrizione per i singoli casi, l’azione criminale relativa ai delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede si estingue per prescrizione in vent’anni.
§ 2. La prescrizione decorre a norma del can. 1362 § 2 del Codice di Diritto Canonico e del can. 1152 § 3 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Ma nel delitto di cui all’art. 6 § 1 n. 1, la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto diciotto anni.

Seconda Parte

NORME PROCEDURALI

Titolo I

Costituzione e competenza del Tribunale


Art. 8

§ 1. La Congregazione per la Dottrina della Fede è il Supremo Tribunale Apostolico per la Chiesa Latina, nonché per le Chiese Orientali Cattoliche, nel giudicare i delitti definiti negli articoli precedenti.
§ 2. Questo Supremo Tribunale giudica anche gli altri delitti, per i quali il reo viene accusato dal Promotore di Giustizia, in ragione della connessione della persona e della complicità.
§ 3. Le sentenze di questo Supremo Tribunale, emesse nei limiti della propria competenza, non sono soggette all’approvazione del Sommo Pontefice.

Art. 9

§ 1. I giudici di questo Supremo Tribunale sono, per lo stesso diritto, i Padri della Congregazione per la Dottrina della Fede.
§ 2. Presiede il collegio dei Padri, quale primo fra pari, il Prefetto della Congregazione e, in caso di vacanza o di impedimento del Prefetto, ne adempie l’ufficio il Segretario della Congregazione.
§ 3. Spetta al Prefetto della Congregazione nominare anche altri giudici stabili o incaricati.

Art. 10

È necessario che siano nominati giudici sacerdoti di età matura, provvisti di dottorato in diritto canonico, di buoni costumi, particolarmente distinti per prudenza ed esperienza giuridica, anche se esercitano contemporaneamente l’ufficio di giudice o di consultore in un altro Dicastero della Curia Romana.

Art. 11

Per presentare e sostenere l’accusa, è costituito un Promotore di Giustizia, che sia sacerdote, provvisto di dottorato in diritto canonico, di buoni costumi, particolarmente distinto per prudenza ed esperienza giuridica, che adempia il suo ufficio in tutti i gradi di giudizio.

Art. 12

Per i compiti di Notaio e di Cancelliere sono designati sacerdoti, sia Officiali di questa Congregazione, sia esterni.

Art. 13

Funge da Avvocato e Procuratore un sacerdote, provvisto di dottorato in diritto canonico, che viene approvato dal Presidente del collegio.

Art. 14

Negli altri Tribunali, poi, per le cause di cui nelle presenti norme, possono adempiere validamente gli uffici di Giudice, Promotore di Giustizia, Notaio e Patrono soltanto sacerdoti.

Art. 15

Fermo restando il prescritto del can. 1421 del Codice di Diritto Canonico e del can. 1087 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, alla Congregazione per la Dottrina della Fede è lecito concedere le dispense dai requisiti del sacerdozio, nonché del dottorato in diritto canonico.

Art. 16

Ogni volta che l’Ordinario o il Gerarca ha la notizia, almeno verisimile, di un delitto più grave, svolta l’indagine previa, la renda nota alla Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale, se non avoca a sé la causa per circostanze particolari, ordina all’Ordinario o al Gerarca di procedere ulteriormente, fermo restando tuttavia, se del caso, il diritto di appello contro la sentenza di primo grado soltanto al Supremo Tribunale della medesima Congregazione.

Art. 17

Se il caso viene deferito direttamente alla Congregazione, senza condurre l’indagine previa, i preliminari del processo, che per diritto comune spettano all’Ordinario o al Gerarca, possono essere adempiuti dalla Congregazione stessa.

Art. 18

La Congregazione per la Dottrina della Fede, nelle cause ad essa legittimamente deferite, può sanare gli atti, fatto salvo il diritto alla difesa, se sono state violate leggi meramente processuali da parte dei Tribunali inferiori che agiscono per mandato della medesima Congregazione o secondo l’art. 16.

Art. 19

Fermo restando il diritto dell’Ordinario o del Gerarca, fin dall’inizio dell’indagine previa, di imporre quanto è stabilito nel can. 1722 del Codice di Diritto Canonico o nel can. 1473 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, anche il Presidente di turno del Tribunale, su istanza del Promotore di Giustizia, ha la stessa potestà alle stesse condizioni determinate nei detti canoni.

Art. 20
 
Il Supremo Tribunale della Congregazione per la Dottrina della Fede giudica in seconda istanza:
1° le cause giudicate in prima istanza dai Tribunali inferiori;
2° le cause definite in prima istanza dal medesimo Supremo Tribunale Apostolico.
 
Titolo II

L’ordine giudiziario


Art. 21

§ 1. I delitti più gravi riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede vanno perseguiti in processo giudiziale.
§ 2. Tuttavia, alla Congregazione per la Dottrina della Fede è lecito:
1° nei singoli casi, d’ufficio o su istanza dell’Ordinario o del Gerarca, decidere di procedere per decreto extragiudiziale, di cui al can. 1720 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1486 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali; tuttavia, con l’intendimento che le pene espiatorie perpetue siano irrogate soltanto dietro mandato della Congregazione per la Dottrina della Fede;
2° deferire direttamente alla decisione del Sommo Pontefice in merito alla dimissione dallo stato clericale o alla deposizione, insieme alla dispensa dalla legge del celibato, i casi più gravi, quando consta manifestamente il compimento del delitto, dopo che sia stata data al reo la facoltà di difendersi.

Art. 22

Per giudicare una causa, il Prefetto costituisca un Turno di tre o di cinque giudici.
 
Art. 23
 
Se, in grado di appello, il Promotore di Giustizia porta un’accusa specificamente diversa, questo Supremo Tribunale può ammetterla e giudicarla, come se fosse in prima istanza.
 
Art. 24
 
§ 1. Nelle cause per i delitti di cui all’art. 4 § 1, il Tribunale non può rendere noto il nome del denunciante, né all’accusato, e neppure al suo Patrono, se il denunciante non ha dato espresso consenso.
§ 2. Lo stesso Tribunale deve valutare con particolare attenzione la credibilità del denunciante.
§ 3. Tuttavia, bisogna provvedere a che si eviti assolutamente qualunque pericolo di violazione del sigillo sacramentale.
 
Art. 25
 
Se emerge una questione incidentale, il Collegio definisca la cosa per decreto con la massima celerità.
 
Art. 26
 
§ 1. Fatto salvo il diritto di appello a questo Supremo Tribunale, terminata in qualunque modo l’istanza in un altro Tribunale, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
§ 2. Il diritto del Promotore di Giustizia della Congregazione di impugnare la sentenza decorre dal giorno in cui la sentenza di prima istanza è stata notificata al medesimo Procuratore.
 
Art. 27
 
Contro gli atti amministrativi singolari emessi o approvati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nei casi dei delitti riservati, si ammette il ricorso, presentato entro il termine perentorio di sessanta giorni utili, alla Congregazione Ordinaria (ossia, Feria IV) del medesimo Dicastero, la quale giudica il merito e la legittimità, eliminato qualsiasi ulteriore ricorso di cui all’art. 123 della Costituzione Apostolica Pastor bonus.

Art. 28
 
La cosa passa in giudicato:
1° se la sentenza è stata emessa in seconda istanza;
2° se l’appello contro la sentenza non è stato interposto entro un mese;
3° se, in grado di appello, l’istanza andò perenta o si rinunciò ad essa;
4° se fu emessa una sentenza a norma dell’art. 20.

Art. 29

§ 1. Le spese giudiziarie si paghino secondo quanto stabilito dalla sentenza.
§ 2. Se il reo non può pagare le spese, esse siano pagate dall’Ordinario o dal Gerarca della causa.
 
Art. 30
 
§ 1. Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.
§ 2. Chiunque viola il segreto o, per dolo o negligenza grave, reca altro danno all’accusato o ai testimoni, su istanza della parte lesa o anche d’ufficio sia punito dal Turno superiore con congrue pene.
 
Art. 31

In queste cause, insieme alle prescrizioni di questo norme, a cui sono tenuti tutti i Tribunali della Chiesa Latina e delle Chiese Orientali Cattoliche, si debbono applicare anche i canoni sui delitti e le pene e sul processo penale dell’uno e dell’altro Codice.

INTRODUZIONE STORICA AL MOTU PROPRIO DEL 2001 "SACRAMENTORUM SANCTITATIS TUTELA",
DI CUI LE NUOVE NORME SONO L'APPLICAZIONE

Il Codice di Diritto Canonico promulgato dal Papa Benedetto XV nel 1917 riconosceva l’esistenza di un certo numero di reati canonici o "delitti" riservati alla competenza esclusiva della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, che, in quanto tribunale, era governata da una legge propria (cfr. can. 1555 CIC 1917).

Pochi anni dopo la promulgazione del Codice del 1917, il Sant’Uffizio emanò un’Istruzione, la "Crimen Sollicitationis" (1922), che dava istruzioni dettagliate alle singole Diocesi e ai tribunali sulle procedure da adottare quando si dovevano trattare il delitto canonico di sollecitazione. Questo gravissimo delitto riguardava l’abuso della santità e della dignità del Sacramento della Penitenza da parte di un prete cattolico, che sollecitasse il penitente a peccare contro il sesto comandamento, con il confessore o con una terza persona. La normativa del 1922 aveva lo scopo di aggiornare alla luce del nuovo Codice di Diritto Canonico le indicazioni della Costituzione Apostolica "Sacramentorum Poenitentiae" promulgata dal Papa Benedetto XIV nel 1741. Si dovevano considerare diversi elementi che vanno a sottolineare la specificità della fattispecie (con risvolti meno rilevanti dal punto di vista del diritto penale civile): il rispetto della dignità del sacramento, l’inviolabilità del sigillo sacramentale, la dignità del penitente e il fatto che in molti casi il prete accusato non poteva essere interrogato su tutto quello che fosse capitato senza mettere in pericolo il sigillo sacramentale. Questa procedura speciale, perciò si basava su un metodo indiretto di raggiungere la certezza morale necessaria per giungere ad una decisione definitiva sul caso. Questo metodo indiretto includeva di indagare sulla credibilità della persona che accusava il prete e la vita e il comportamento del prete accusato. L’accusa stessa era considerata come una delle accuse più gravi che si potevano muovere contro un prete cattolico. Perciò, la procedura ebbe cura di assicurare che il prete che poteva essere vittima di un’accusa falsa o calunniosa venisse protetto dall’infamia finché non si provasse la sua colpevolezza. Ciò venne garantito dalla stretta riservatezza della procedura stessa, intesa a proteggere da un’indebita pubblicità tutte le persone coinvolte, fino alla decisione definitiva del tribunale ecclesiastico.

L’Istruzione del 1922 includeva una breve sezione dedicata ad un altro delitto canonico: il crimen pessimum, che trattava della condotta omosessuale da parte di un chierico. Questa ulteriore sezione determinava che le procedure speciali per i casi di sollecitazione fossero applicate anche per questa fattispecie, con i necessari adattamenti dovuti alla natura del caso. Le norme che riguardavano il crimen pessimum venivano estese all’odioso crimine dell’abuso sessuale di bambini prepuberi e alla bestialità.

L’Istruzione "crimen sollicitationis" pertanto non ha mai inteso rappresentare l’intera policy della Chiesa cattolica circa condotte sessuali improprie da parte del clero, ma solo istituire una procedura che permettesse di rispondere a quella situazione del tutto singolare e particolarmente delicata che è la confessione, in cui alla completa apertura dell’intimità dell’anima da parte del penitente corrisponde, per legge divina, il dovere di assoluta riservatezza da parte del sacerdote. Solo progressivamente e per analogia essa è stata estesa ad alcuni casi di condotta immorale di sacerdoti. L’idea che sia necessaria una normativa organica sulla condotta sessuale di persone con responsabilità educativa è assai recente, perciò rappresenta un grave anacronismo voler giudicare in questa prospettiva i testi normativi canonici di buona parte del secolo scorso

L’Istruzione del 1922 veniva inviata ai Vescovi che avessero la necessità di trattare casi particolari che riguardavano la sollecitazione, l’omosessualità di un chierico, l’abuso sessuale di bambini e la bestialità. Nel 1962, il Papa Giovanni XXIII autorizzò una ristampa dell’Istruzione del 1922 con una breve aggiunta sulle procedure amministrative nei casi che coinvolgevano chierici religiosi. Le copie della ristampa del 1962 sarebbero dovute essere distribuite ai Vescovi radunati nel Concilio Vaticano II (1962-1965). Alcune copie della ristampa furono consegnate ai Vescovi che, nel frattempo, avevano bisogno di trattare casi riservati al Sant’Uffizio; tuttavia, la maggior parte delle copie non venne mai distribuita. Le riforme proposte dal Concilio Vaticano II comportavano anche una riforma del Codice di Diritto canonico del 1917 e della Curia romana. Il periodo fra il 1965 e il 1983 (l’anno in cui fu pubblicato il nuovo Codice di Diritto Canonico per la Chiesa latina) fu contrassegnato da differenti tendenze fra gli studiosi di diritto canonico in merito ai fini della legge penale canonica e alla necessità di un approccio decentralizzato ai casi, valorizzando l’autorità e il discernimento del Vescovi locali. Venne preferito un "atteggiamento pastorale" nei confronti delle condotte inappropriate; i processi canonici venivano da alcuni ritenuti anacronistici. Spesso prevalse il "modello terapeutico" nel trattamento dei casi di condotte inappropriate dei chierici. Ci si attendeva che il Vescovo fosse in grado di "guarire" più che di "punire". Un’idea fin troppo ottimista a proposito dei benefici delle terapie psicologiche determinò molte decisioni che riguardavano il personale delle diocesi e degli istituti religiosi, a volte senza considerare adeguatamente le possibilità di una recidiva.

In ogni modo, casi riguardanti la dignità del Sacramento della Penitenza, invece, dopo il Concilio rimasero alla Congregazione per la Dottrina della Fede (già Sant’Uffizio; il nome venne cambiato nel 1965), e l’Istruzione "Crimen sollicitationis" fu ancora usata per questi casi fino alle nuove norme fissate dal motu proprio "Sacramentorum sanctitatis tutela" del 2001.

Nel periodo seguente al Concilio Vaticano II, furono presentati alla Congregazione per la Dottrina della Fede pochi casi riguardanti condotte sessuali inappropriate del clero relative a minori: alcuni di questi casi erano legati all’abuso del Sacramento della Penitenza; alcuni altri possono essere stati inviati tra le richieste di dispensa dagli obblighi dell’ordinazione sacerdotale e dal celibato (prassi talvolta definita "laicizzazione"), che furono trattate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede sino al 1989 (dal 1989 al 2005 la competenza per tali dispense è passata alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; dal 2005 ad oggi, gli stessi casi vengono trattati dalla Congregazione per il Clero).

Il Codice di Diritto Canonico promulgato dal Papa Giovanni Paolo II nel 1983 rinnovò la disciplina in materia al can. 1395, § 2: "Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti". Secondo il CIC 1983 i processi vengono celebrati nelle Diocesi. Gli appelli dalle sentenze giudiziali possono essere presentati presso la Rota Romana, mentre i ricorsi amministrativi contro i decreti penali vengono proposti presso la Congregazione per il Clero.

Nel 1994, la Santa Sede concesse un indulto per i Vescovi degli Stati Uniti: l’età per definire il delitto canonico di abuso sessuale di un minore fu elevata a 18 anni . Inoltre, il tempo per la prescrizione fu esteso ad un periodo di 10 anni calcolato a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. Venne indicato esplicitamente ai Vescovi di svolgere i processi canonici nelle Diocesi. Gli appelli furono riservati alla Rota Romana, i ricorsi amministrativi alla Congregazione per il Clero. Durante questo periodo (1994-2001) non si fece alcun riferimento all’antica competenza del Sant’Uffizio per questi casi.

L’indulto del 1994 per gli Stati Uniti fu esteso all’Irlanda nel 1996. Nel frattempo, la questione di procedure speciali per casi di abuso sessuale venne discussa nella Curia romana. Alla fine, il Papa Giovanni Paolo II decise di includere l’abuso sessuale di un minore di 18 anni commesso da un chierico nel nuovo elenco di delitti canonici riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede. La prescrizione per questi casi venne fissata in 10 anni a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La nuova legge, un motu proprio dal titolo "Sacramentorum sanctitatis tutela", fu promulgata il 30 aprile 2001. Una lettera firmata dal Cardinal Joseph Ratzinger e dall’Arcivescovo Tarcisio Bertone, rispettivamente Prefetto e Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, fu inviata a tutti i Vescovi cattolici il 18 maggio 2001. La lettera informava i Vescovi della nuova legge e delle nuove procedure che sostituivano l’Istruzione "Crimen Sollicitationis".

In essa erano innanzitutto indicati quali fossero i delitti più gravi, sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, riservati alla Congregazione; inoltre venivano indicate le speciali norme procedurali da osservarsi nei casi riguardanti tali gravi delitti, comprese le norme riguardanti la determinazione delle sanzioni canoniche e la loro imposizione.

I delicta graviora riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede venivano elencati nel modo seguente:nell’ambito dei delitti contro la santità dell'augustissimo sacramento e sacrificio dell'Eucaristia:

1° l'asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate (can. 1367 CIC e can. 1442 CCEO);?
2° l'attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima (can. 1378 § 2 n. 1 CIC e cann. 1379 CIC e 1443 CCEO);
3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico insieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica né riconoscono la dignità sacramentale dell'ordinazione sacerdotale (cann. 908 e 1365 CIC; cann. 702 e 1440 CCEO);
4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l'altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe al di fuori della celebrazione eucaristica (cf. can. 927 CIC);

nell’ambito dei delitti contro la santità del sacramento della Penitenza:

1° l'assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo (can. 1378 § 1 CIC e can. 1457 CCEO);
2° la sollecitazione, nell'atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso (can. 1387 CIC e 1458 CCEO);
3° la violazione diretta del sigillo sacramentale (can. 1388 § 1 e 1456 CCEO);

nell’ambito, infine, dei delitti contro la morale:

1° il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età (cf. can. 1395 § 2 CIC ).

Le norme processuali da seguirsi in questi casi venivano così indicate:

- qualora l'Ordinario o il Gerarca avesse notizia, almeno verosimile, della commissione di un delitto riservato, dopo aver svolto un'indagine preliminare, lo stesso la segnalasse alla Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale (tranne l’ipotesi, per particolari circostanze, di avocazione a sé del caso) avrebbe indicato all'Ordinario o al Gerarca come procedere, fermo restando il diritto di appellare la sentenza di primo grado unicamente innanzi il Supremo Tribunale della medesima Congregazione;

- l’azione criminale, nei casi di delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, si estinguesse per prescrizione in un decennio. Veniva inoltre previsto che la prescrizione decorresse a norma dei cann. 1362 § 2 CIC e 1152 § 3 CCEO, con l’unica eccezione del delitto contra sextum cum minore, nel qual caso venne sancito che la praescriptio decorresse a far data dal giorno in cui il minore avesse compiuto il 18° anno di età;

- nei Tribunali costituiti presso gli Ordinari o i Gerarchi, relativamente a queste cause, potessero ricoprire validamente l'ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono solamente dei sacerdoti e che, quando l'istanza nel Tribunale fosse in qualsiasi modo conclusa, tutti gli atti della causa fossero trasmessi quanto prima ex officio alla Congregazione per la Dottrina della Fede;

Veniva inoltre stabilito che tutti i Tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche fossero tenuti ad osservare i canoni sui delitti e le pene e sul processo penale, rispettivamente dell'uno e dell'altro Codice, unitamente alle norme speciali, date dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

A distanza di nove anni dalla promulgazione del Motu Proprio «Sacramentorum sanctitatis tutela», la Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’intento di migliorare l’applicazione della legge, ha ritenuto necessario introdurre alcuni cambiamenti a queste norme, senza modificare il testo nella sua interezza, ma solo in alcune sue parti.

Dopo un attento e accurato studio dei cambiamenti proposti, i membri della Congregazione per la Dottrina della Fede hanno sottoposto al Romano Pontefice il risultato delle proprie determinazioni che, lo stesso Sommo Pontefice, con decisione del 21 maggio 2010, ha approvato, ordinandone la promulgazione.

La versione delle Norme sui delicta graviora attualmente in vigore è quella approvata dal Santo Padre Benedetto XVI il 21 maggio 2010.

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