SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Il nuovo politeismo e i suoi idoli tentatori

di Sandro Magister http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1345887

Benedetto XVI lancia l'allarme. La dimenticanza dell'unico Dio apre lo spazio a un mondo dominato da una pluralità di nuovi dèi dal volto seducente. Viaggio tra i cultori del moderno paganesimo 

ROMA, 9 dicembre 2010 – "Politeismo": questa parola è balenata come un lampo, lo scorso ottobre, in un discorso di Benedetto XVI al sinodo dei vescovi del Medio Oriente, cioè proprio la terra natale dell'unico Dio fatto uomo, Gesù, e dei più potenti monoteismi della storia, quello ebraico, quello musulmano.
"Credo in unum Deum" è il poderoso accordo da cui ha principio la dottrina cristiana. Ma per Joseph Ratzinger, papa teologo, il politeismo è tutt'altro che morto. È la sfida perenne che anche oggi si erge contro le fedi nell'unico Dio.
"Pensiamo alle grandi potenze della storia di oggi", proseguì il papa nel sinodo. I capitali anonimi, la violenza terroristica, la droga, la tirannia dell'opinione pubblica sono le moderne divinità che schiavizzano l'uomo. Devono cadere. Devono essere fatte cadere. La caduta degli dèi è l'imperativo di ieri, di oggi, di sempre dei credenti nell'unico Dio vero.

Ma il politeismo di oggi non è solo fatto di potenze oscure. I suoi molti dèi hanno anche volto benevolo e capacità di seduzione. È la "gaia scienza" vaticinata da Nietzsche più di un secolo fa, che offre a ogni singolo uomo "il più grande vantaggio": quello di "erigere il suo proprio ideale e derivare da esso la sua legge, le sue gioie e i suoi diritti".
È il trionfo del libero arbitrio individuale, senza più il giogo di una tavola della legge, una sola per tutti perché scritta da un unico intrattabile Dio. Quell'ammirazione per il "Genio del cristianesimo" che aveva infiammato Chateaubriand e i romantici cede oggi il passo a una riscoperta entusiasta del "Genio del paganesimo", titolo di un'operetta dell'antropologo francese Marc Augé.
In Italia un altro antropologo, Francesco Remotti, si scaglia contro "L'ossessione identitaria", titolo del suo ultimo libro, e rimprovera il papa, in un altro suo libro in forma di lettera, per il suo ostinato procedere "contro natura", contro una modernità che fa invece gustare le meraviglie del politeismo, così liquido, pluralista, tollerante, liberatorio.

LO "SPIRITO DI ASSISI"

Certo, l'attuale reviviscenza del politeismo non riporta in voga i culti a Giove e a Giunone, a Venere e a Marte. Ma la filosofia dei pagani colti dell'impero di Roma riaffiora intatta nei ragionamenti di tanti moderni fautori del "pensiero debole". E non solo di questi. Chi oggi rilegge, sedici secoli dopo, la disputa tra il monoteista Ambrogio, il santo patrono di Milano, e il politeista Simmaco, senatore della Roma pagana, è fortemente tentato di dare ragione al secondo, quando dice: "Che cosa importa per quale via ciascuno ricerchi, secondo il proprio giudizio, la verità? Non per una sola strada si può giungere a un così grande mistero".

La magnanima parità tra tutte le religioni e gli dèi che queste parole sembrano ispirare incanta anche molti cristiani. Lo "spirito di Assisi" nato dall'adunanza multireligiosa che là si tenne nel 1986 ha così contagiato il diffuso sentire che nel 2000 la Chiesa di Giovanni Paolo II e dell'allora cardinale Joseph Ratzinger si sentì in dovere di ricordare ai cattolici che di salvatore dell'umanità ce n'è uno solo, ed è il Dio fatto uomo in Gesù: una verità su cui l'intero Nuovo Testamento sta o cade, una verità che in due millenni mai la Chiesa aveva sentito la necessità di ribadire con un pronunciamento "ad hoc". Eppure, quella dichiarazione del 2000, la "Dominus Iesus", fu accolta da un fuoco di fila di proteste, dentro la Chiesa e fuori, per la sua esclusione di una pluralità di vie di salvezza tutte in sé sufficienti e piene di grazia e verità.

Che in questi sentimenti si annidi la nostalgia per una pluralità di dèi è possibile, ma l'odierno politeismo, a livello di massa, è più sfumato. L'idea corrente è che le varie religioni siano a loro modo tutte espressione di un "divino". E tuttavia questa divinità somma, come già spiegava ad Ambrogio il pagano Simmaco, è inconoscibile e lontana, troppo lontana per appassionare gli uomini e prendere cura di loro.

Da uno scrittore latino del III secolo, Minucio Felice, ci è giunto un altro dialogo, molto raffinato, nel quale il pagano Cecilio, passeggiando sul litorale di Ostia, dopo aver reso omaggio a una statua di Serapide, spiega che "nelle cose umane tutto è dubbioso, incerto, indeciso" ma proprio per questo è bene seguire la religione degli antichi e adorare "quegli dèi che i nostri padri ci hanno insegnato a temere, piuttosto che a conoscere troppo da vicino".

In un'omelia in piazza San Pietro dello scorso 11 giugno, Benedetto XVI ha detto che "stranamente questo pensiero è riemerso nell'Illuminismo". E in effetti un campione dell'età dei lumi come il miscredente Voltaire ordinava ai suoi familiari e alla servitù di ossequiare il cristianesimo e i suoi precetti, per motivi di buona creanza civica. Dio c'è, forse. E forse è lui che ha creato il mondo. Ma poi se ne è talmente disinteressato da sparire dall'orizzonte vitale. La sua bontà è tutta nel non produrre disturbo alcuno.
E così, sotto il cielo di questa divinità vaga e remota, la terra si è popolata di nuovi dèi. In divisa laica e pragmatica.

POLITEISMO DEI VALORI

Già nell'Ottocento, nei suoi "Saggi sulla religione", l'economista e filosofo John Stuart Mill scrisse che il politeismo era di gran lunga più funzionale del monotesimo nel descrivere quella pluralità di etiche che caratterizzava lo scenario di vita della prima società industriale. E Max Weber, nel primo Novecento, coniò la formula di "Polytheismus der Werte", politeismo dei valori, proprio per indicare il pantheon della moderna società.

In un mondo ormai disincantato, senza più un unico Dio che proclami comandamenti validi per tutti, ciascuna delle sfere sociali – dalla politica all'economia, dall'arte alla scienza alla stessa religione – è retta da un suo dio con i suoi oracoli. Oracoli spesso tra loro in conflitto, con l'uomo drammaticamente solo nell'ora della decisione.

Weber, con l'impeccabile distacco dello studioso, non disse se questo moderno politeismo fosse un bene o un male. Ma altri pensatori venuti dopo di lui non nascondono più a cosa vanno le loro simpatie.

Nel secondo Novecento, alla "teologia politica del monoteismo" propugnata da Erik Peterson (un autore tra i più letti e ammirati da Joseph Ratzinger fin da giovane professore), il filosofo tedesco Odo Marquard contrappone una "teologia politica del politeismo", e nel titolo del suo saggio loda tale politeismo con la qualifica di "illuminato". A suo giudizio, l'uomo ha sempre bisogno di miti, e l'importante è che tali miti siano molti e aperti a infinite variazioni, come nella mitologia antica, all'opposto dell'ebraismo e del cristianesimo che poggiano su fatti storici unici e incontrovertibili.

In Spagna, la filosofa Maria Zambrano ha puntato il dito contro l'ascetismo di matrice medievale della spiritualità cristiana, distruttivo dei sentimenti. È la poesia, a suo giudizio, che può liberare l'uomo dal "monolitismo" e restituirlo al suo gioioso politeismo nativo.

In Italia è Salvatore Natoli il filosofo che difende una "etica del finito", un insieme cioè di riferimenti "politeistici", multipli, che offrano all'uomo dei punti d'appoggio, mai definitivi ma pur sempre capaci di salvarlo provvisoriamente dall'anarchia degli istinti.

Sicuramente, però, l'opera che ha più instillato nella cultura italiana contemporanea una rivalutazione del politeismo è più letteraria che filosofica: sono "Le nozze di Cadmo e Armonia" di Roberto Calasso, del 1988, con la loro evocazione gloriosa della mitologia classica.

PER UN REINCANTO DEL MONDO

A dispetto del "disincanto del mondo" descritto da Weber, infatti, la società moderna non appare immune dall'opposta seduzione di un mondo nuovamente incantato.
Alain de Benoist, pensatore della "nouvelle droite" francese, è il più acceso banditore di questo ritorno alla sacralità neopagana. Per la corrente culturale da lui rappresentata il grande nemico è proprio il giudeocristianesimo con la sua idea "desacralizzante" della creazione. Se non c'è altro Dio all'infuori del Dio unico, infatti, le creature non hanno più nulla di divino e perfino gli astri, come dice la prima pagina della Genesi, sono semplici "luminari" appesi dal Creatore alla volta celeste per segnare il giorno e la notte. Il mondo è definitivamente consegnato alla sua profanità.

Osserva Leonardo Lugaresi, docente a Bologna e Parigi e specialista di cristianesimo antico: "Nel rimprovero mosso oggi al cristianesimo di essere responsabile della desacralizzazione del mondo, quella che torna in gioco, sotto nuove forme, non è altro che la vecchia accusa di ateismo mossa ai cristiani dei primi secoli".

E aggiunge: "Come allora, anche per una certa mentalità neopagana di oggi il cristianesimo è nocivo perché ha tolto alla terra il suo incanto, i suoi dèi, e ha privato l'uomo di un rapporto religioso con la natura. Di conseguenza, il nuovo paganesimo vuole guarire il mondo dalla 'rottura monoteistica', cioè restituirgli quella sacralità e divinità che il cristianesimo gli ha tolto".

NON UN QUALSIASI DIO

La formula "rottura monoteistica" rimanda agli studi di un grande egittologo, il tedesco Jan Assmann, che ha indagato a fondo sulla novità rivoluzionaria introdotta dall'unico Dio della religione di Mosè rispetto al politeismo dell'Egitto dell'epoca. Non sorprende, quindi, che l'editrice il Mulino, nel pubblicare quest'anno dieci saggi affidati ad altrettanti autori sui dieci comandamenti del decalogo mosaico, abbia assegnato proprio ad Assmann il commento del "Non avrai altro Dio".

Assmann non è un apologeta del politeismo. Ma vede nel monoteismo mosaico, fin dal suo nascere, un contrapporsi esclusivo e intollerante alle altre religioni. Tutti i monoteismi storicamente venuti alla luce, dall'ebraismo, al cristianesimo, all'islam, portano in sé, a suo giudizio, il veleno della violenza. E allora egli chiede ai monoteismi di superare i loro assoluti e "raggiungere il punto trascendentale grazie al quale diviene possibile la vera tolleranza", di elevarsi cioè alla forma superiore di "sapienza religiosa" o di "religione profonda" incarnata da sapienti come Albert Schweitzer, il Mahatma Gandhi e Rabindranath Tagore, insomma, di elevarsi "all'ideale settecentesco di tolleranza espresso dal massone Lessing nella parabola dei tre anelli, nel racconto di Nathan il saggio".

E cos'è questa se non la religione senza norme né dogmi dell'Illuminismo, con il suo Dio remoto? E a che cosa può aprire lo spazio, questa religione vaga, se non a un nuovo politeismo dell'arbitrio?

Lo scorso 13 settembre, nel ricevere il nuovo ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Walter Jürgen Schmid, Benedetto XVI ha alzato gli occhi dal testo scritto e ha così proseguito: "Molti uomini mostrano oggi un’inclinazione verso concezioni religiose più permissive anche per se stessi. Al posto del Dio personale del cristianesimo, che si rivela nella Bibbia, subentra un essere supremo, misterioso e indeterminato, che ha solo una vaga relazione con la vita personale dell’essere umano. Se però uno abbandona la fede verso un Dio personale, sorge l’alternativa di un ‘dio’ che non conosce non sente e non parla. E, più che mai, non ha un volere. Se Dio non ha una propria volontà, il bene e il male alla fine non sono più distinguibili. L’uomo perde così la sua forza morale e spirituale, necessaria per uno sviluppo complessivo della persona. L’agire sociale viene dominato sempre di più dall’interesse privato o dal calcolo del potere".

Da queste parole si capisce ancor più il motivo per cui oggi, per papa Benedetto, "la priorità suprema e fondamentale" sia di riaprire a una umanità disorientata l'accesso a Dio.

E "non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto".

(Da "L'espresso" n. 50 del 2010).

Su questo sfondo vanno lette le decisioni di Benedetto XVI di istituire un nuovo dicastero in curia "per la nuova evangelizzazione" e di dedicare a questo stesso tema il sinodo dei vescovi del 2012, così come l'iniziativa di dialogo con i non credenti che ha chiamato "cortile dei gentili" e ha affidato al suo ministro della cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi.

Tra i recenti discorsi di papa Benedetto su Dio e il politeismo, si vedano in particolare la meditazione pronunciata nel sinodo dei vescovi per il Medio Oriente l'11 ottobre 2010:

"È la fede dei semplici che abbatte i falsi dèi"

La trascrizione integrale dell'omelia a braccio del papa nella prima sessione del sinodo speciale sul Medio Oriente. Capitali finanziari, terrorismo, droga, ideologie dominanti. L'ascesa e caduta delle potenze di questo mondo, interpretate alla luce dell'Apocalisse 

di Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle, l'11 ottobre 1962, quarantotto anni fa, papa Giovanni XXIII inaugurava il Concilio Vaticano II. Si celebrava allora l'11 ottobre la festa della Maternità divina di Maria, e, con questo gesto, con questa data, papa Giovanni voleva affidare tutto il Concilio alle mani materne, al cuore materno della Madonna. Anche noi cominciamo l'11 ottobre, anche noi vogliamo affidare questo sinodo, con tutti i problemi, con tutte le sfide, con tutte le speranze, al cuore materno della Madonna, della Madre di Dio.

Pio XI, nel 1930, aveva introdotto questa festa, millecinquecento anni dopo il Concilio di Efeso, il quale aveva legittimato, per Maria, il titolo "Theotókos", "Dei Genitrix". In questa grande parola "Dei Genitrix", "Theotókos", il Concilio di Efeso aveva riassunto tutta la dottrina di Cristo, di Maria, tutta la dottrina della redenzione. E così vale la pena riflettere un po', un momento, su ciò di cui parla il Concilio di Efeso, ciò di cui parla questo giorno.

In realtà, "Theotókos" è un titolo audace. Una donna è Madre di Dio. Si potrebbe dire: come è possibile? Dio è eterno, è il Creatore. Noi siamo creature, siamo nel tempo: come potrebbe una persona umana essere Madre di Dio, dell'Eterno, dato che noi siamo tutti nel tempo, siamo tutti creature? Perciò si capisce che c'era forte opposizione, in parte, contro questa parola. I nestoriani dicevano: si può parlare di "Christotókos", sì, ma di "Theotókos" no: "Theós", Dio, è oltre, sopra gli avvenimenti della storia. Ma il Concilio ha deciso questo, e proprio così ha messo in luce l'avventura di Dio, la grandezza di quanto ha fatto per noi. Dio non è rimasto in sé: è uscito da sé, si è unito talmente, così radicalmente con quest'uomo, Gesù, che quest'uomo Gesù è Dio, e se parliamo di lui, possiamo sempre anche parlare di Dio. Non è nato solo un uomo che aveva a che fare con Dio, ma in lui è nato Dio sulla terra. Dio è uscito da sé. Ma possiamo anche dire il contrario: Dio ci ha attirato in se stesso, così che non siamo più fuori di Dio, ma siamo nell'intimo, nell'intimità di Dio stesso.

La filosofia aristotelica, lo sappiamo bene, ci dice che tra Dio e l'uomo esiste solo una relazione non reciproca. L'uomo si riferisce a Dio, ma Dio, l'Eterno, è in sé, non cambia: non può avere oggi questa e domani un'altra relazione. Sta in sé, non ha relazione "ad extra", non ha relazione con me. È una parola molto logica, ma è una parola che ci fa disperare. Con l'incarnazione, con l’avvenimento della "Theotókos", questo è cambiato radicalmente, perché Dio ci ha attirato in se stesso e Dio in se stesso è relazione e ci fa partecipare nella sua relazione interiore. Così siamo nel suo essere Padre, Figlio e Spirito Santo, siamo nell'interno del suo essere in relazione, siamo in relazione con lui e lui realmente ha creato relazione con noi. In quel momento Dio voleva essere nato da una donna ed essere sempre se stesso: questo è il grande avvenimento. E così possiamo capire la profondità dell’atto di papa Giovanni, che affidò l’assise conciliare, sinodale, al mistero centrale, alla Madre di Dio che è attirata dal Signore in lui stesso, e così noi tutti con lei.

Il Concilio ha cominciato con l'icona della "Theotókos". Alla fine papa Paolo VI riconosce alla stessa Madonna il titolo "Mater Ecclesiæ". E queste due icone, che iniziano e concludono il Concilio, sono intrinsecamente collegate, sono, alla fine, un’icona sola. Perché Cristo non è nato come un individuo tra altri. È nato per crearsi un corpo: è nato – come dice Giovanni al capitolo 12 del suo Vangelo – per attirare tutti a sé e in sé. È nato – come dicono le lettere ai Colossesi e agli Efesini – per ricapitolare tutto il mondo, è nato come primogenito di molti fratelli, è nato per riunire il cosmo in sé, cosicché lui è il capo di un grande corpo. Dove nasce Cristo, inizia il movimento della ricapitolazione, inizia il momento della chiamata, della costruzione del suo corpo, della santa Chiesa. La Madre di "Theós", la Madre di Dio, è Madre della Chiesa, perché Madre di colui che è venuto per riunirci tutti nel suo corpo risorto.

San Luca ci fa capire questo nel parallelismo tra il primo capitolo del suo Vangelo e il primo capitolo degli Atti degli Apostoli, che ripetono su due livelli lo stesso mistero. Nel primo capitolo del Vangelo lo Spirito Santo viene su Maria e così partorisce e ci dona il Figlio di Dio. Nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli Maria è al centro dei discepoli di Gesù che pregano tutti insieme, implorando la nube dello Spirito Santo. E così dalla Chiesa credente, con Maria nel centro, nasce la Chiesa, il corpo di Cristo. Questa duplice nascita è l’unica nascita del Christus totus, del Cristo che abbraccia il mondo e noi tutti.

Nascita a Betlemme, nascita nel cenacolo. Nascita di Gesù Bambino, nascita del corpo di Cristo, della Chiesa. Sono due avvenimenti o un unico avvenimento. Ma tra i due stanno realmente la croce e la risurrezione. E solo tramite la croce avviene il cammino verso la totalità del Cristo, verso il suo corpo risorto, verso l'universalizzazione del suo essere nell'unità della Chiesa. E così, tenendo presente che solo dal grano caduto in terra nasce poi il grande raccolto, dal Signore trafitto sulla croce viene l'universalità dei suoi discepoli riuniti in questo suo corpo, morto e risorto.

Tenendo conto di questo nesso tra "Theotókos" e "Mater Ecclesiæ", il nostro sguardo va verso l'ultimo libro della Sacra Scrittura, l'Apocalisse, dove, nel capitolo 12, appare proprio questa sintesi. La donna vestita di sole, con dodici stelle sul capo e la luna sotto i piedi, partorisce. E partorisce con un grido di dolore, partorisce con grande dolore. Qui il mistero mariano è il mistero di Betlemme allargato al mistero cosmico. Cristo nasce sempre di nuovo in tutte le generazioni e così assume, raccoglie l'umanità in se stesso. E questa nascita cosmica si realizza nel grido della croce, nel dolore della passione. E a questo grido della croce appartiene il sangue dei martiri.

Così, in questo momento, possiamo gettare uno sguardo sul secondo salmo di questa ora media, il salmo 81, dove si vede una parte di questo processo. Dio sta tra gli dei, ancora considerati in Israele come dei. In questo salmo, in un concentramento grande, in una visione profetica, si vede il depotenziamento degli dei. Quelli che apparivano dei non sono dei e perdono il carattere divino, cadono a terra. "Dii estis et moriemini sicut homine" (cfr. Salmo 82 [81], 6-7): il depotenziamento, la caduta delle divinità.

Questo processo che si realizza nel lungo cammino della fede di Israele, e che qui è riassunto in un'unica visione, è un processo vero della storia della religione: la caduta degli dei. E così la trasformazione del mondo, la conoscenza del vero Dio, il depotenziamento delle forze che dominano la terra, è un processo di dolore. Nella storia di Israele vediamo come questo liberarsi dal politeismo, questo riconoscimento – "solo lui è Dio" – si realizza in tanti dolori, cominciando dal cammino di Abramo, l'esilio, i Maccabei, fino a Cristo. E nella storia continua questo processo del depotenziamento, del quale parla l'Apocalisse al capitolo 12; parla della caduta degli angeli, che non sono angeli, non sono divinità sulla terra. E si realizza realmente proprio nel tempo della Chiesa nascente, dove vediamo come col sangue dei martiri vengono depotenziate le divinità, tutte queste divinità, cominciando dall'imperatore divino. È il sangue dei martiri, il dolore, il grido della Madre Chiesa che le fa cadere e trasforma così il mondo.

Questa caduta non è solo la conoscenza che esse non sono Dio. È il processo di trasformazione del mondo, che costa il sangue, costa la sofferenza dei testimoni di Cristo. E, se guardiamo bene, vediamo che questo processo non è mai finito. Si realizza nei diversi periodi della storia in modi sempre nuovi. Anche oggi, in questo momento, in cui Cristo, l'unico Figlio di Dio, deve nascere per il mondo con la caduta degli dei, con il dolore, il martirio dei testimoni.

Pensiamo alle grandi potenze della storia di oggi, pensiamo ai capitali anonimi che schiavizzano l'uomo, che non sono più cosa dell’uomo, ma sono un potere anonimo al quale servono gli uomini, dal quale sono tormentati gli uomini e perfino trucidati. Sono un potere distruttivo, che minaccia il mondo. E poi il potere delle ideologie terroristiche. Apparentemente in nome di Dio viene fatta violenza, ma non è Dio: sono false divinità, che devono essere smascherate, che non sono Dio. E poi la droga, questo potere che, come una bestia vorace, stende le sue mani su tutte le parti della terra e distrugge: è una divinità, ma una divinità falsa, che deve cadere. O anche il modo di vivere propagato dall'opinione pubblica: oggi si fa così, il matrimonio non conta più, la castità non è più una virtù, e così via.

Queste ideologie che dominano, così che si impongono con forza, sono divinità. E nel dolore dei santi, nel dolore dei credenti, della Madre Chiesa della quale noi siamo parte, devono cadere queste divinità, deve realizzarsi quanto dicono le lettere ai Colossesi e agli Efesini: le dominazioni, i poteri cadono e diventano sudditi dell'unico Signore Gesù Cristo.

Di questa lotta nella quale noi stiamo, di questo depotenziamento degli dei, di questa caduta dei falsi dei, che cadono perché non sono divinità, ma poteri che distruggono il mondo, parla l'Apocalisse al capitolo 12, anche con un'immagine misteriosa, per la quale, mi pare, ci sono tuttavia diverse belle interpretazioni. Viene detto che il dragone mette un grande fiume di acqua contro la donna in fuga per travolgerla. E sembra inevitabile che la donna venga annegata in questo fiume. Ma la buona terra assorbe questo fiume ed esso non può nuocere. Io penso che il fiume sia facilmente interpretabile: sono queste correnti che dominano tutti e che vogliono far scomparire la fede della Chiesa, la quale non sembra più avere posto davanti alla forza di queste correnti che si impongono come l'unica razionalità, come l'unico modo di vivere. E la terra che assorbe queste correnti è la fede dei semplici, che non si lascia travolgere da questi fiumi e salva la madre e salva il figlio. Perciò il salmo dice, il primo salmo dell’ora media: "La fede dei semplici è la vera saggezza" (cfr. Salmo 118, 130). Questa saggezza vera della fede semplice, che non si lascia divorare dalle acque, è la forza della Chiesa. E siamo ritornati al mistero mariano.

E c'è anche un'ultima parola nel salmo 81, "Movebuntur omnia fundamenta terrae" (Salmo 82 [81], 5), vacillano le fondamenta della terra. Lo vediamo oggi, con i problemi climatici, come sono minacciate le fondamenta della terra, ma sono minacciate dal nostro comportamento. Vacillano le fondamenta esteriori perché vacillano le fondamenta interiori, le fondamenta morali e religiose, la fede dalla quale segue il retto modo di vivere. E sappiamo che la fede è il fondamento, e, in definitiva, le fondamenta della terra non possono vacillare se rimane ferma la fede, la vera saggezza.

E poi il salmo dice: "Alzati, Signore, e giudica la terra" (Salmo 82 [81], 8). Così diciamo anche noi al Signore: "Alzati in questo momento, prendi la terra tra le tue mani, proteggi la tua Chiesa, proteggi l'umanità, proteggi la terra". E affidiamoci di nuovo alla Madre di Dio, a Maria, e preghiamo: "Tu, la grande credente, tu che hai aperto la terra al cielo, aiutaci, apri anche oggi le porte, perché sia vincitrice la verità, la volontà di Dio, che è il vero bene, la vera salvezza del mondo". Amen.

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