SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
I tradizionalisti Brunero Gherardini e Roberto de Mattei rimproverano all'attuale papa
di non aver corretto gli "errori" del Concilio Vaticano II .

di Sandro Magister http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1347525

I delusi hanno parlato. Il Vaticano risponde.
Inos Biffi e Agostino Marchetto replicano su "L'Osservatore Romano"
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ROMA, 18 aprile 2011 – Due dei "grandi delusi da papa Benedetto" di cui ha riferito www.chiesa in un recente servizio hanno avuto un trattamento di riguardo da "L'Osservatore Romano", con due autorevoli recensioni consecutive dei loro ultimi libri. I "grandi delusi" sono quei pensatori tradizionalisti che avevano inizialmente riposto speranze nel pontificato di Joseph Ratzinger e nella sua azione restauratrice, ma hanno poi viste tradite le loro attese. E ora mettono in pubblico il loro scontento.

La delusione nasce in loro soprattutto dal modo con cui l'attuale papa interpreta e applica il Concilio Vaticano II.
Perché è lì, in questo Concilio, la radice dei mali presenti della Chiesa, a giudizio di questi pensatori. E quanto hanno scritto e argomentato nei loro ultimi libri, in particolare, il professor Roberto de Mattei e il canonico Brunero Gherardini, l'uno dal punto di vista storico e l'altro dal punto di vista teologico : I grandi delusi da papa Benedetto

Il teologo Gherardini, tra i suoi motivi di delusione, lamenta anche il silenzio con cui le autorità della Chiesa hanno reagito a un suo precedente libro: "Concilio Vaticano II. Un discorso da fare". Tant'è vero che il suo ultimo libro, uscito quest'anno, esprime fin nel titolo il suo disappunto: "Concilio Vaticano II. Il discorso mancato".
Questa volta, però, le cose sono andate diversamente. Il nuovo libro di Gherardini non è stato ignorato, ma ha avuto un'intera pagina di recensione su "L'Osservatore Romano" del 15 aprile. Ad opera di un recensore di prim'ordine, Inos Biffi, milanese, docente emerito alle facoltà teologiche di Milano e di Lugano, massimo conoscitore mondiale della teologia medioevale e prima firma teologica del giornale della Santa Sede : Riletture conciliari

Inos Biffi riserva alle tesi di Gherardini critiche severe. Ma ne riconosce anche i meriti. Ed egli stesso non manca di criticare taluni aspetti dell'evento conciliare. Lo fa avvalendosi di un'autorità del livello del cardinale Giacomo Biffi, col quale ha in comune il cognome – senza alcun legame di parentela – ma soprattutto le idee.
Le critiche dei due Biffi, Giacomo e Inos, all'evento conciliare riguardano la sua natura "pastorale", la rinuncia alla condanna degli errori, gli equivoci del cosiddetto "aggiornamento".
Ma a loro giudizio i documenti prodotti dal Vaticano II sono comunque "incolpevoli" delle deviazioni successive. E in questo il loro giudizio nettamente diverge da quello di Gherardini e di altri tradizionalisti.

Il professor Roberto de Mattei, autore di una storia del Concilio Vaticano II che ne mostra il carattere di rottura con la tradizione, ha avuto anche lui una recensione su "L'Osservatore Romano" del 14 aprile, ad opera di un'altra firma di primo piano: l'arcivescovo Agostino Marchetto, già segretario del pontificio consiglio dei migranti nonché critico agguerrito, da anni, della storia del Vaticano II più letta al mondo, quella prodotta dalla "scuola di Bologna" fondata da Giuseppe Dossetti e da Giuseppe Alberigo, che interpreta anch'essa l'evento conciliare come una rottura con la tradizione e un "nuovo inizio", ma con spirito opposto a quello dei tradizionalisti.
La recensione di Marchetto del libro di de Mattei : Ma una storia non ideologica si può scrivere

Il giornale della Santa Sede che ha pubblicato le due recensioni: L'Osservatore Romano
Ed ecco qui di seguito un estratto di quella del libro di Gherardini, da "L'Osservatore Romano" del 15 aprile:

RILETTURE CONCILIARI di Inos Biffi 

È senza dubbio possibile, e anche auspicabile, una lettura critica del Concilio Vaticano II, che miri a un’esauriente analisi delle fonti, nella loro diversa tipologia, a una compiuta ricostruzione storica della sua preparazione e del suo svolgimento e, infine, all’interpretazione dei suoi contenuti dottrinali valutati secondo i criteri metodologici noti alla teologia. Impegno, quest’ultimo, non facile a motivo del genere letterario dei testi conciliari, molto effusi e simili a trattati teologici, a differenza del dettato sintetico che contrassegnava gli atti dei concili passati.

Si tratta, in realtà, di un lavoro già intrapreso anche con ampia prospettiva, ma non senza ragione recensito negativamente per le ideologie di segno opposto che lo hanno guidato e che hanno portato a una medesima conclusione: quella di un Vaticano II "rivoluzionario", che avrebbe rappresentato una spaccatura con la Tradizione o per un aggiornamento di rottura promosso da un Giovanni XXIII conciliare fin dal grembo materno, o per un riflusso di "modernismo" dovuto all’inavvedutezza dei papi succeduti a Pio X.

L’implausibilità di una tale conclusione dovrebbe apparire già dall’approvazione e promulgazione dei documenti conciliari da parte del successore di Pietro e del collegio episcopale raccolto in concilio e in comunione con lui. L’ipotesi che essi abbiano proposto un corpo dottrinale discorde rispetto alla Tradizione si risolverebbe inevitabilmente nell’affermazione che nella Chiesa si è infranto il Magistero e si è smarrita la sicurezza della fede.

D’altronde, sia l’uno sia l’altro esito sopra ricordati sono inevitabili, quando, più o meno consapevolmente, alla base della rilettura operi non l’intenzione di rilevare e considerare i dati, ma il proposito di comprovare una tesi. 

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Rimosse, invece, le pregiudiziali destinate a comprometterne un’intelligenza oggettiva, è certamente legittimo e anche opportuno riesaminare il Concilio e rilevarne, a diversi livelli, i limiti o quelli che sembrano tali.

Penso alle sintetiche ma penetranti riflessioni del cardinale Giacomo Biffi nelle "Memorie e digressioni di un italiano cardinale" (Siena, Cantagalli, 2010). Egli ritiene, per esempio, l’espressione di Giovanni XXIII "rinnovamento interno della Chiesa" più pertinente del vocabolo "aggiornamento", esso pure di papa Giovanni. Fu questo vocabolo, però, ad avere "un’immeritata fortuna", che includeva l'idea – di là dall’intenzione del papa – che la Chiesa "si proponesse di ricercare la sua migliore conformità non al disegno eterno del Padre e alla sua salvezza, ma 'alla giornata' , cioè alla storia temporale e mondana".

Lo stesso cardinale non manca di manifestare le sue riserve sul proposito vagheggiato da Giovanni XXIII di astenersi dalle condanne, per ricorrere alla "medicina della misericordia", evitando così di "formulare insegnamenti definitivi e vincolanti per tutti" secondo l’intenzione dichiarata di mirare a un "Concilio pastorale", suscitando la compiacenza di tutti "dentro e fuori l’aula vaticana". [...]

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Riguardo alla "Gaudium et spes" Giacomo Biffi ricorda tre giudizi autorevoli. 

Il primo è quello di Hubert Jedin, per il quale "questa costituzione fu salutata con entusiasmo, ma la sua storia posteriore ha già dimostrato che allora il suo significato e la sua importanza erano stati largamente sopravvalutati e che non si era capito quanto profondamente quel 'mondo' che si voleva guadagnare a Cristo fosse penetrato nella Chiesa".

Il secondo giudizio è quello di un teologo protestante molto apprezzato da Giacomo Biffi, Karl Barth, secondo il quale il concetto di "mondo" della "Gaudium et spes" non era quello del Nuovo Testamento: un giudizio che Giacomo Biffi ritiene "forse troppo severo se riferito al documento stesso", ma "ineccepibile, se lo si estende a buona parte della mentalità del postconcilio".

Il terzo giudizio evocato è quello del cardinale Giovanni Colombo, "acuto e libero come sempre", che affermava: "Quel testo ha tutte le parole giuste; sono gli accenti a essere sbagliati", e "purtroppo – sono ancora parole di Biffi – il postconcilio è stato influenzato e ammaliato più dagli accenti che dalle parole".

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In particolare, le "Memorie e digressioni di un italiano cardinale" si soffermano sulla costituzione liturgica "Sacrosanctum concilium".

Alla sua apparizione, ricorda il cardinale Biffi, "mi sono molto rallegrato. Tutto il più intelligente ed equilibrato movimento liturgico – che negli anni precedenti avevo seguito con passione – trovava qui la sua massima accoglienza e il suo coronamento. Da qui è partita, provvidenziale e inarrestabile, la riforma che tanto avevamo auspicato". Indubbiamente, anche "la più sconcertante insipienza ecclesiastica ha preso da qui arbitrariamente le mosse per le sue vistose aberrazioni. Ma di ciò questa costituzione è incolpevole". 

Continuando, Giacomo Biffi mette in luce le provvide riforme intese a rendere effettivamente possibile una "pia e attiva partecipazione dei fedeli" alla celebrazione, per cui "un totale e perfetto ritorno alle forme che prima del Concilio erano normali per le celebrazioni meno solenni sarebbe in esplicito contrasto con l’insegnamento e con la volontà del Vaticano II".

Il cardinale non manca poi di osservare che, se "il Concilio non aveva né voluto né previsto la totale scomparsa del latino dalle nostre celebrazioni", già nei "Praenotanda" del nuovo messale riformato "la Santa Sede era addivenuta a una concessione generale". [...] A parere del cardinale, "una licenza soltanto parziale, con il risultato di avere una 'liturgia bilingue', non poteva sostenersi a lungo; ed è quindi giustificato che si sia oltrepassato il dettato conciliare".

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Mi sembra dissenta affatto da questa valutazione della costituzione "Sacrosanctum concilium" il teologo Brunero Gherardini, che le riserva una serie di accuse a mio avviso non fondate e non condivisibili nel suo libro "Concilio Vaticano II. Il discorso mancato" (Torino, Lindau, 2011). A essere inaccettabile è anzitutto la non distinzione tra il dettato del Concilio e i successivi interventi applicativi autorevolmente promossi e guidati, da un lato, e, dall’altro lato, gli sconsiderati arbitrii del postconcilio, di cui, tuttavia – come osservava il cardinale Giacomo Biffi – la "costituzione è incolpevole". 

Del tutto condivisibile è quanto detto da Gherardini sulle "assurdità antiliturgiche compiute in nome del Vaticano II" e sulla "rozza situazione d’anarchia liturgica ch’è sotto gli occhi di tutti". Non credo però che se ne possa attribuire la responsabilità diretta o indiretta al Concilio stesso. 

Veramente anche Gherardini riconosce la validità e la precisione dei principi di riforma enunciati dalla "Sacrosanctum concilium", che "nel loro insieme ed ognuno per se stesso, sono di cristallina chiarezza, di tempestiva puntualità e di prudente equilibrio". Ma alla fine questo non gli vieta di imputare alla medesima costituzione di essere la causa delle rovinose derive succedute, e in particolare dell’antropocentrismo e orizzontalismo liturgico, di cui conteneva i germi e l’inclinazione.

Del resto, secondo Gherardini, l’antropocentrismo, il naturalismo, l’orizzontalismo erano state "le note dominanti", dell’"incauto movimento liturgico", per esempio quello rappresentato da Beauduin, Parsch e Casel, obiettivamente responsabili, di là dalla loro rettitudine d’intenzione, "d’aver almeno in parte invertito la marcia del movimento liturgico, incentrandolo sull’uomo".

Un’affermazione del genere non mi pare proprio sostenibile nei confronti né di Casel, per il quale, in sintonia con la concezione dei Padri della Chiesa, la liturgia ripresenta nella forma del sacramento l’opera della salvezza, né di Beauduin, impegnato a rendere attivamente orante la comunità cristiana, né di Parsch, meritevole di aver iniziato il più possibile il popolo all’intelligenza della liturgia. A meno di ritenere che l’opera pastorale consistente a favorire la partecipazione sempre più attiva dei fedeli all’azione liturgica sia segno di antropocentrismo e orizzontalismo. [...]

Gherardini è persuaso che il Vaticano II, parlando a proposito della liturgia di "una parte immutabile perché d’istituzione divina, e di parti soggette al cambiamento", abbia fatto "di qualunque innovazione un gioco da ragazzi". Ma né i papi né gli organismi competenti della Sede Apostolica mi pare si siano comportati da ragazzi, ammettendo, in applicazione del Concilio, "qualsiasi" innovazione, anche se più deplorevoli dei ragazzi furono – e sono – gli autori delle "vistose aberrazioni", come le chiamava il cardinale Biffi.

Può essere pertinente notare che Pio XII nella "Mediator Dei" (1947) asserisce: "La sacra liturgia consta di elementi umani e di elementi divini: questi, essendo stati istituiti dal Divin Redentore, non possono, evidentemente, esser mutati dagli uomini; quelli, invece, possono subire varie modifiche, approvate dalla sacra gerarchia assistita dallo Spirito Santo, secondo le esigenze dei tempi, delle cose e delle anime".

È proprio sicuro Gherardini che, dopo la promulgazione della "Sacrosanctum concilium", nel tempo delle varie riforme, lo Spirito Santo abbia sonnecchiato o sia andato in ferie, lasciando la stessa sacra Gerarchia, rappresentata da Paolo VI o da Giovanni Paolo II, affatto sprovveduta della sua assistenza e in preda alla loro "cupidigia di cose nuove"? [...]

Non vedo proprio come ai cupidi di cose nuove il sostegno sia venuto dal "dettato conciliare", dal suo linguaggio e dalle "porte ch’esso andava dischiudendo". Addirittura si giunge ad affermare che "sì, la porta è proprio aperta" e "se qualcuno è passato attraverso di essa per introdurre una liturgia eversiva della sua stessa natura e delle sue finalità primarie, in ultima analisi responsabile è proprio il testo conciliare", Responsabili sono i Padri con "quell’aperturismo nel quale il Concilio stesso li aveva affogati". [...]

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Un’attenzione speciale è riservata da Gherardini alla questione del latino liturgico. È affatto incontestabile e attuale il suo valore. Né vanno taciuti i risultati scadenti e persino gli errori – qualcuno di carattere teologico – di certe versioni in italiano, giustamente rilevate da Gherardini. Ecco perché, come scrive il cardinale Biffi, si deve richiamare con vigore "la disposizione a celebrare nelle domeniche e nelle feste, almeno nelle chiese cattedrali, una solenne eucaristia latina, ovviamente secondo il messale di Paolo VI". 

Mi chiedo però se non siamo oltremodo sopra il rigo ritenere, come fa Gherardini, che "con la sostituzione del volgare al posto del latino" si "intese privilegiare l’uomo, non già elevandolo mediante il sacro rito ai livelli del divino, ma abbassando il rito al livello dell’uomo, della sua condizione storicamente delimitata", quasi che nella liturgia sia la lingua e non la grazia a elevare "ai livelli del divino" o quasi che questi si trovino abbassati, se i fedeli comprendono immediatamente i testi nel loro idioma abituale. [...] Dovrebbe essere chiaro che il "mistero" cristiano è ben altra cosa dell’"arcano" profano. [...]

I grandi imputati di questa introduzione della lingua volgare sono i papi. All'aprirsi pregiudiziale del Vaticano II – sostiene Gherardini – "verso tutto quello che fosse o apparisse esigenza dell’uomo, provvidero gli uomini del postconcilio, papi compresi". I quali si trovano così equiparati agli sconsiderati che, indebitamente richiamandosi al Concilio, ne hanno invece tradito e sovvertito i sani principi e le giudiziose direttive. 

Quanto ai singoli papi, essi furono Paolo VI, complice di aver adottato il volgare per "simpatia per l’uomo", e Giovanni Paolo II, che per un quarto di secolo ebbe per l’uomo "una vera devozione": l’uno e l’altro rimasti, in ogni modo, come "le stelle a guardare". Siamo sempre nella linea della tesi preconcetta e inaccettabile che orienta e condiziona tutta l’attorcigliata e infelice ricostruzione di Gherardini.

Qui mi sembra, però, si sia oltrepassata persino la misura del buon gusto. E allora sarebbe perfettamente inutile anche il semplice rilievo che la liturgia non esiste perché Dio renda culto a se stesso, ma perché l’uomo lo possa lodare e glorificare attraverso i sacri riti celebrati "attivamente e in piena consapevolezza", e così ricevere la grazia della salvezza.

E, di fatto, non hanno mirato ad altro le riforme conciliari le quali, se hanno avuto dei limiti che si possono o si devono correggere, soprattutto hanno arrecato immensi benefici. Quello del Vaticano II può essere un opportuno discorso da fare: ma un conto è fare un discorso, un conto è denigrare.



I due servizi di www.chiesa sull'autobiografia del cardinale Giacomo Biffi, con brani scelti dei suoi giudizi sul Concilio Vaticano II e il postconcilio: Le memorie scomode del cardinale Biffi (16.11.2010) Prima dell'ultimo conclave: "Che cosa ho detto al futuro papa" (26.10.2007)

 

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