SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Le origini? Un intricato cespuglio dove l' uomo (forse) è un' eccezione

di Pievani Telmo Pagina 31 (20 aprile 2010) - Corriere della Sera

Un mosaico genealogico di specie, non una fila di «anelli mancanti»

Addio «anelli mancanti», metafora tanto attraente quanto sbagliata dell' evoluzione umana. Due ritrovamenti recenti descritti sulle riviste Nature e Science mostrano come ciò che oggi ci sembra normale, essere l' unica specie umana sulla Terra, potrebbe essere in realtà un' eccezione recente nell' albero di famiglia dell' umanità. In Africa tra 2 e 2,5 milioni di anni fa troviamo una pletora di specie cugine che convivono, suddivise in ben tre generi: le prime tre specie di Homo (habilis, rudolfensis ed ergaster), le ultime australopitecine (= scimmie) nordorientali (come Australopithecus garhi) e tre cugini dall' aspetto più gorillesco, i parantropi.

Ora sulla scena irrompe un nuovo attore, disseppellito nel 2008 nella grotta sudafricana di Malapa e identificato da Lee Berger della University of the Witwatersrand come un discendente di Australopithecus africanus. E' una scoperta notevole, sia per la completezza dei primi due scheletri rinvenuti (un giovane e una femmina adulta, entrambi morti precipitando nella grotta) sia per la datazione: circa 1,95 milioni di anni fa, l' australopitecina più recente mai trovata. La combinazione unica di tratti primitivi (capacità cranica di 420 centimetri cubici soltanto, dimensioni corporee ridotte, lunghe braccia) e di innovazioni da Homo (bacino da bipede completo, denti minuti, zigomi meno pronunciati) ha indotto gli scopritori ad attribuirle lo status di specie: Australopithecus sediba (sorgente) fa il suo debutto nell' intricato cespuglio darwiniano dell' evoluzione umana.

I caratteri condivisi con gli Homo coevi potrebbero essere convergenti - comparsi cioè indipendentemente a seguito di analoghi adattamenti ambientali e di dieta - oppure essere l' indizio eclatante per candidare il sediba come antenato comune di tutto il nostro genere. Vorrebbe dire in tal caso che i primi Homo si sono ramificati dai rappresentanti più antichi dei sediba, i quali poi persistono per centinaia di migliaia di anni in contemporanea. Altrimenti, si tratta di un ramo collaterale di australopitecine meridionali sopravvissute a lungo per conto loro. In entrambe le ipotesi, l' evoluzione è fatta di rami e ramoscelli, di antenati comuni e di cugini, di mix di caratteri ogni volta unici: un mosaico genealogico di specie e non una fila unica di «anelli mancanti».

Ma nemmeno in tempi recentissimi il vessillo dell' umanità è stato imbracciato da una specie solitaria. Soltanto quaranta millenni fa in Africa e in Eurasia convivevano addirittura cinque specie del genere Homo. Oltre a noi sapiens, ai cugini Neanderthal, al piccolo Homo floresiensis indonesiano e agli ultimi erectus di Giava, ora il Dna mitocondriale completo estratto da un dito mignolo (scoperto nel 2008 nella grotta di Denisova sui Monti Altai) ha dato ai ricercatori del Max Planck Institute di Lipsia un responso sorprendente. Quella falange ha il materiale genetico di una specie cugina mai descritta finora, fuoriuscita dall' Africa mezzo milione di anni prima dell' antenato comune fra noi e i Neanderthal, ma sopravvissuta in Siberia meridionale fino ad epoche inimmaginate: fra 48 e 30 mila anni fa, quando lì abitavano ancora i Neanderthal e già i sapiens.

Tre specie distinte di Homo condividevano dunque lo stesso fazzoletto di terra, nel medesimo, recentissimo periodo glaciale, in mezzo a mammut e rinoceronti lanosi. Non sono varietà di uno stesso ceppo, ma i discendenti di tre gruppi genetici del tutto separati. Nel tardo Pleistocene i Monti Altai erano affollati. E' la prima volta che una nuova specie viene identificata soltanto attraverso il Dna mitocondriale e serviranno altre conferme prima di darle un nome. Le comparazioni confermano il principio evoluzionistico secondo cui la quantità di differenze genetiche che si accumulano fra due specie è un buon indicatore delle loro relazioni genealogiche.

Le risposte su ciò che ci rende «umani a modo nostro» e forse anche sul perché alla fine siamo rimasti soli, arriveranno quando scoveremo nel genoma i cambiamenti adattativi e le derive che sono intervenuti, solo in sapiens, dopo la separazione dalle forme cugine. Per il nostro desiderio di occupare la sommità di una pila di «anelli mancanti» è una delusione, ma in fondo significa che non siamo mai stati soli, tranne che nell' ultimo battito di ciglia dell' evoluzione. Prima della Storia ci sono state molte pre-istorie, le cui trame erano composte da una molteplicità di forme umane conviventi, ciascuna con un universo cognitivo ed emotivo proprio, con peculiarità figlie di percorsi adattativi in territori diversi. Non anelli di una catena lineare che non è mai esistita, allora, ma molti modi di essere «diversamente umani».

La compassione e l' empatia per il più piccolo degli animali è una delle più nobili virtù che un uomo possa ricevere in dono (Charles Darwin)

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