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Il Vaticano e la difesa della proprietà intellettuale

Radio Vaticana-Cultura e Società - notizia del 22/09/2010 14.17.39

Mons. Tomasi: la difesa della proprietà intellettuale è un bene che non deve dimenticare i bisogni dei Paesi emergenti . Difendere la proprietà intellettuale rientra nel novero della tutela dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite e consente il progresso di una civiltà. Ma perché ciò produca un reale benessere, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, occorre che le tali norme di tutela siano modulate su regimi di equità.

Lo ha affermato ieri l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra. Il presule è intervenuto all’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della Proprietà intellettuale.

L’autore di un’opera letteraria, scientifica, artistica ha diritto a veder difesa da apposite leggi la sua creazione, così come a trarne una ricompensa morale e/o economica. Tale creazione diventa un contributo allo sviluppo culturale del suo Paese, di un continente, talvolta dell’intera umanità. Ma come si declina questo diritto quando a essere interessati sono i Paesi in via di sviluppo? In questo caso, la difesa della proprietà intellettuale va calibrata sulle situazioni contingenti di quei Paesi per evitare che il previsto vantaggio non si trasformi in un boomerang a causa di leggi troppo severe o mal concepite. Su questo argomento ha ruotato l’intervento di mons. Silvano Maria Tomasi alla 48.ma serie di incontri promossi dall’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale.

Gli economisti, ha rilevato, “riconoscono diversi meccanismi attraverso i quali diritti di proprietà intellettuale (DPI), possono stimolare lo sviluppo economico”. Ma i riscontri di tale progresso, ha proseguito, sono finora “frammentati e un po’ contraddittori”. Un “sistema forte di protezione – ha osservato mons. Tomasi – potrebbe aumentare ma anche limitare la crescita economica”, a seconda degli ambiti in cui questa tutela viene applicata. “Infatti – è stata la valutazione dell’osservatore vaticano – le economie in via di sviluppo potrebbero subire delle perdite nette di benessere nel breve periodo, perché molti dei costi della protezione potrebbero emergere prima della dinamica dei benefici”. Ecco perché, ha soggiunto, spesso è “difficile organizzare una convergenza di interessi a favore della riforma della proprietà intellettuale nei Paesi in via di sviluppo”.

L'adozione, in questi contesti, di forti diritti di proprietà intellettuale è spesso difesa da chi sostiene – ha ricordato il presule – che questa riforma attrarrà nuovi significativi flussi di tecnologia, un fiorire di innovazioni locali e dell’industria culturale, e una più rapida riduzione del divario tecnologico tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati. Tuttavia, va riconosciuto che è altamente improbabile che il miglioramento del diritto alla proprietà intellettuale produca di per sé tali benefici”. E questo perché, ha affermato mons. Tomasi, “l'aumento dei benefici derivanti da diritti di proprietà intellettuale nei Paesi dipende dalla loro capacità di assorbire e sviluppare tecnologie e nuovi prodotti”.

Sono dunque tre, per il rappresentante vaticano, le questioni “fondamentali” da tenere presenti. Primo, favorire la formazione scolastica secondaria e universitaria perché è dimostrato, ha detto, che “la capacità di adattarsi alle nuove tecnologie per usi industriali a livello locale viene migliorata se essa si unisce a livelli elevati di istruzione e a un adeguato capitale umano qualificato”. Secondo, non va dimenticato che “l'assorbimento di tecnologie straniere per l’aumento della produttività dipende dalle performance di ricerca e sviluppo delle imprese locali”. E ciò vuol dire che va promossa “un’efficace politica tecnologica” – tramite conferenze e partenariati – che miri all’ammodernamento tecnico nelle imprese nazionali e, in un orizzonte più ampio, al progresso dei mercati finanziari perché i Paesi emergenti siano in grado di gestire “i significativi rischi connessi con lo sviluppo della tecnologia”. Terzo, considerare che in molti Paesi “un problema rilevante è l'incapacità degli enti di ricerca di portare le loro invenzioni sul mercato, in modo utile”. Di conseguenza, ha concluso mons. Tomasi, un più severo diritto alla proprietà intellettuale non solo sarebbe di aiuto in questo contesto, ma lo sarebbe anche per i contratti di sviluppo tra istituti e imprese, favorendo “una maggiore flessibilità per i ricercatori a formare nuove occasioni di business”.

Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

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