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Bagnasco: «Dall'etica della vita i valori della società» |
di Gianni Cardinale avvenire.it 18 novembre 2011 © riproduzione riservata È dal «ceppo vivo e solido» dell’«etica della vita» che «germogliano tutti gli altri necessari valori che vengono riassunti come etica sociale». E «la vita umana, dal suo concepimento alla sua fine naturale, è certamente il primo» di questi valori. Lo ribadisce il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei nella Lectio magistralis offerta ieri pomeriggio al Convegno dell’Associazione Scienza e vita sul tema "Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia". Per il porporato non si tratta «di voler imporre la fede e i valori che ne scaturiscono direttamente, ma solo di difendere i valori costitutivi dell’umano e che per tutti sono intelligibili come verità dell’esistenza». Valori che «appartengono al DNA della persona» e quindi «non possono essere conculcati, né parcellizzati o negoziati attraverso mediazioni che, pur con buona intenzione, li negano». Il cardinale sottolinea come «la coscienza universale ha acquisito - e sancito almeno nelle carte - una elevata sensibilità verso i più poveri e deboli della famiglia umana». «Ma – subito aggiunge – ci dobbiamo chiedere: chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto? Vittime invisibili ma reali! E chi più indifeso di chi non ha voce perché non l’ha ancora o, forse, non l’ha più?». Per il presidente della Cei «la presa in carica dei più poveri e indifesi esprime il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento». «E – aggiunge – modella, educa, la forma di pensare e di agire - il costume - di un popolo e di una Nazione, il suo modo di rapportarsi al suo interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dell’attenzione e della gratuità personale». In questo contesto, il porporato ricorda il recente discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore tedesco. «La Chiesa, al di là dell’ambito della sua fede, – diceva lo scorso 7 novembre il Papa – considera suo dovere difendere, nella totalità della nostra società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell’uomo in quanto tale. Quindi, per citare un punto particolarmente importante, non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia "già persona", oppure "ancora persona", e ancor meno ci spetta manipolare l’uomo e voler, per così dire, farlo». «Una società è veramente umana – ribadiva il pontefice – soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale». E che «fa parte del suo servire il mondo l’essere con umiltà e amore coscienza critica e sistematica della storia». Questo «non è arroganza, ingerenza o intransigenza, ma fedeltà a Dio e agli uomini». Il porporato ritiene «giusto riconoscere la rilevanza pubblica delle fedi religiose», «però – subito spiega – se il semplice riconoscimento è già un valore auspicabile e dovuto, dall’altro è fortemente insufficiente in ordine alla costruzione del bene comune e allo stesso concetto di vera laicità. Potremmo dire che è come una cornice di apprezzabile valore ma che deve essere riempita di contenuti». Insomma «fuori dall’immagine, la laicità positiva non può ridursi a rispetto e a procedure corrette, ma deve misurarsi con l’uomo, per ciò che è in se stesso universalmente, cioè con la sua natura». Ed è a questo «livello primario» che si colloca «il doveroso apporto dei cristiani come cittadini, consapevoli che le principali virtù di chiunque si dedichi al servizio della città è la competenza e il merito: questo è l’insieme di onestà, spirito di sacrificio e stile sobrio». I cattolici poi, ribadisce il presidente della Cei, «offrono il loro contributo senza per questo dover mettere tra parentesi la propria coscienza formata dalla Dottrina Sociale della Chiesa, dal Magistero autentico e da una solida vita spirituale nella comunità ecclesiale, ricordando che la coscienza è l’eco della voce di Dio - come affermava il beato Newman - e deve essere sempre attenta perché le opinioni, le ideologie, gli interessi o le abitudini, non oscurino quella suprema voce che indica la via della verità e del bene». E in questo contesto «il ministero di Pietro, che è servizio di verità e di carità, è posto da Cristo Gesù perché la coscienza non si smarrisca tra gli innumerevoli rumori del mondo». Nella parte finale della Lectio il cardinale Bagnasco ci tiene a tornare su «un punto cruciale», che è questo: «se la libertà individuale abbia o non abbia qualcosa di più alto a cui riferirsi e a cui obbedire». Perché «l’autodeterminazione non crea il bene e il male, ma ciò che è scelto». «Ora – spiega il porporato – la libertà è tenuta a fare i conti con la natura umana, con il suo bene oggettivo poiché per questo Dio ce l’ha donata, perché costruissimo noi stessi e non per andare contro noi stessi». «Ma anche fuori da un’ottica religiosa, – aggiunge – penso si possa giungere alla medesima conclusione». Il che ha due implicazioni. La prima è che «come anche recita la nostra Costituzione, il bene della salute e quindi della vita, ma dovremmo dire ogni uomo, è un bene non solo per sé ma anche per gli altri; e questi altri non sono solamente i familiari e gli amici - che purtroppo a volte possono non esserci - ma sono la società nel suo insieme». La seconda è che «dobbiamo recuperare il senso del dolore che è sistematicamente emarginato, nascosto nella sua naturalità, oppure è esorcizzato somministrandone dosi massicce e continuative nel tentativo di anestetizzare la sensibilità della gente e renderla quindi impermeabile». |
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