SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Jihad in Europa : Balcani.

http://www.balcanicaucaso.org/ita/aree/Albania/Il-nuovo-Islam-balcanico 16 gennaio 2002 

Intervista di Luisa Chiodi a Nathalie Clayer, curatrice con Xavier Bougarel del libro: Le nouvel Islam balkanique, (2001), Maisonneuve e Larose.

Nathalie Clayer è ricercatrice del CNRS Laboratorio di studi turchi ed ottomani di Parigi.

-Quale è stato il rapporto tra Islam e politica nei Balcani nel corso degli ultimi dieci anni?

Le conclusioni che tracciamo nel libro circa le relazioni tra l'Islam e la politica nei Balcani sono che sul piano politico locale vi è chiaramente un passaggio al politico delle popolazioni musulmane balcaniche. Il che vuol dire che diventano degli attori a pieno titolo del contesto politico locale, in ciascun paese ed in ciascuna regione. Questo significa che se prima c'era partecipazione, questa era di tipo personale o su un modello clientelare tradizionale, ora invece abbiamo la formazione di partiti politici ed una partecipazione al gioco politico di queste popolazioni musulmane. D'altra parte è una partecipazione che si realizza in modo molto diverso secondo i contesti locali e nazionali e si assiste anche ad una grossa frammentazione sul piano etnico e politico. L'altro fenomeno importante sul piano locale è la ricomposizione del rapporto tra identità nazionale ed identità religiosa. In questo ambito assistiamo a trasformazioni importanti che si sono prodotte negli ultimi dieci anni, e se in alcuni casi abbiamo un'islamizzazione dell'identità nazionale, per lo più abbiamo al contrario una 'nazionalizzazione' dell'identità musulmana. Ovvero, piuttosto che tendenze pan-islamiche abbiamo invece un ancoraggio locale e nazionale dell'identità musulmana e quindi abbiamo la formazione di un Islam bosniaco, uno albanese del Kossovo, uno dell'Albania, uno turco, etc.

-Quale è stato il peso del mondo musulmano esterno ai Balcani sulla sfera pubblica locale?

Certamente vi è un'apertura di queste popolazioni, come per altro accade alle popolazioni cristiane, verso il mondo esterno ma per i musulmani questa apertura è più importante sul piano religioso che sul piano politico, perché anche le popolazioni musulmane sono estremamente orientate verso l'occidente, emigrano in occidente e prendono molti valori dell'occidente. E' soprattutto sul piano strettamente religioso che il peso del mondo musulmano esterno è molto importante. Anche se sul piano politico può aver giocato un ruolo, come nel caso dell'Albania l'adesione alla Conferenza Islamica all'epoca di Sali Berisha, le logiche sono più spesso stato-nazionali che logiche pan-islamiste, ovvero quelle che corrispondo all'idea della Ùmma (1) unita che funziona come blocco. Inoltre, ciascuno dei paesi islamici, sia a livello di gruppo ma anche nel caso delle reti islamiche transnazionali, ha una logica propria ed intesse relazioni particolari con i musulmani dei Balcani. Come conseguenza, si assiste ad una competizione dei vari attori extra-balcanici sul campo, con delle logiche che rispondono più ai paesi di origine che alle esigenze della situazione locale. Questo aspetto è esaminato approfonditamente nell'articolo di Jerome Bellion-Jourdan che descrive come nei Balcani si ritrovi il conflitto tra l'Iran e l'Arabia Saudita per la supremazia nel mondo musulmano, il conflitto tra il potere egiziano e l'opposizione dei Fratelli Musulmani e la competizione tra diverse ONG islamiche basate in occidente. Perché va notato, molti attori islamici vengono spesso non da Est ma dall'Ovest, ovvero dalla diaspora nell'Europa occidentale o negli Stati Uniti.

-Vi sono somiglianze nell'azione tra le ONG islamiche e quelle occidentali?


Certamente vi sono somiglianze nei problemi che pone l'azione delle ONG, siano esse islamiche o meno. Inoltre, le ONG islamiche tendono ad imitare nel modo di procedere le ONG occidentali, le quali agiscono spesso per logiche proprie e che non sono necessariamente legate al campo balcanico stesso. La differenza è che le ONG occidentali sono nell'insieme più secolarizzate, ma all'origine l'umanitario occidentale era anch'esso legato ai movimenti religiosi. Oggi la loro parte secolarizzata è maggiore rispetto a quella delle ONG islamiche che tendono a mischiare umanitario e azione religiosa, ma vi sono anche ONG islamiche che cercano di porsi sul piano più secolare, così come vi sono casi di cooperazione tra ONG islamiche e quelle occidentali o delle prime con le organizzazioni internazionali per la realizzazione di progetti comuni.

-Si può parlare di un'influenza esterna nella concezione dell'Islam balcanico?

Sì certamente, quello che si deve mettere in luce nell'evoluzione della scena religiosa degli ultimi dieci anni è la sua profonda trasformazione, influenzata in gran parte da gruppi e movimenti che arrivano nei Balcani da paesi stranieri ma anche, non va dimenticato, attraverso i cittadini dei Balcani che studiano all'estero nei paesi musulmani o della diaspora in contatto con gruppi islamici. La scena è molto cambiata, ovvero non si ha un ritorno all'Islam di prima del comunismo ma una nuova scena religiosa con, ad esempio, lo sviluppo di un Islam wahabita e salafista, che tocca per ora una frangia ristretta ma molto giovane ed attiva. Allo stesso tempo ci sono influenze di diversi altri gruppi, come le confraternite che vengono dalla Turchia o da gruppi sciiti che vengono dall'Iran o dalla diaspora. La scena religiosa in ogni caso sta cambiando significativamente.

-Tra le caratteristiche dell'Islam balcanico descritte nel libro si fa riferimento alla individualizzazione del modo di vivere la fede. A cosa è dovuta e in che rapporto sta con le influenze esterne?

L'individualizzazione della fede è più che altro risultata dal fatto che queste popolazioni hanno vissuto 4 o 5 decenni di regimi comunisti, di modernizzazione, di occidentalizzazione quindi direi che l'individualizzazione all'origine viene più che altro da queste trasformazioni locali. Accade poi che il fedele, o colui che lo diviene, oggi si trovi di fronte ad una scelta ampia di come esprimere e praticare la propria fede attraverso l'adesione a diversi gruppi religiosi, musulmani o meno. Ad esempio, in Albania si verifica un fenomeno non trascurabile di conversioni, o diciamo adesioni, di giovani di origine musulmana a chiese protestanti, cattoliche o ortodosse. Quindi l'influenza o la presenza di diversi gruppi religiosi stranieri, musulmani o non, permette o rende concreta questa individualizzazione della religione che si esprime nelle scelte differenti che sono fatte spesso da individui che provengono dalle comunità musulmane dei Balcani.

-Quanto è forte l'adesione a gruppi islamici radicali nei Balcani?

L'adesione a correnti radicali è ancora una cosa molto marginale, si produce soprattutto tra i giovani che attraverso di essa tendono ad esprimere la loro diversità generazionale, la loro volontà di sganciarsi da gerarchie religiose spesso molto nazionaliste o legate al potere politico. Quindi si tratta di una contestazione generazionale e delle gerarchie ufficiali, ma credo sia ancora un fenomeno marginale.

-Questa radicalizzazione dei giovani può essere interpretata come una volontà di 'moralizzazione' della vita pubblica attraverso la religione?

Sì certamente, questo è un tema che torna frequentemente oggi negli ambienti religiosi musulmani: si cerca una soluzione ai problemi della società albanese attraverso il rispetto della religione. Con il cambio di guardia politico, dopo la crisi del 1997 in Albania, c'è stato anche il rifiuto dello stesso presidente Sali Berisha, considerato un cattivo musulmano che ha utilizzato l'Islam e non ha promosso l'Islam vero. Ho trovato su un forum internet delle prese di posizione radicali circa il posto dell'Islam nella vita delle persone del tipo: 'io sono musulmano ed il mio sangue è l'islam', il che significa anche rifiuto dell'identità nazionale per definirsi in primo luogo come musulmano.

-Si tratta di un atteggiamento minoritario?

Sì assolutamente. Si tratta di una esigua minoranza.

-Si trovano fenomeni simili negli altri paesi dei Balcani?

Conosco meno il caso della Bosnia-Erzegovina ma sembra che ci siano dei fenomeni abbastanza simili. Anche qui gli ambienti radicali devono essere cercati tra i giovani. In particolare c'è un gruppo chiamato 'L'Organizzazione della Gioventù Islamica' che si è svincolata sia dalle autorità religiose che dalle autorità politiche, come quella rappresentata da Alija Izetbegovic. Questo gruppo, ad esempio, è orientato ad una vera re-islamizzazione della società bosniaca.

-Le istituzioni cattoliche come quelle ortodosse dei vari paesi si sono mostrate molto attive nella sfera pubblica sul tema dell'introduzione della religione nelle scuole. Abbiamo tra le comunità musulmane dei Balcani atteggiamenti simili o no?

Tutti gli attori religiosi che siano musulmani, cattolici o ortodossi, tutte le 'chiese' o gerarchie religiose sono a favore dell'introduzione della religione nelle scuole. Lo vediamo anche in Kossovo dove i rappresentati della comunità musulmana come di quella ortodossa stanno domandando alle autorità internazionali, all'UNMIK, di introdurre l'insegnamento religioso nelle scuole. Direi che è il 'lavoro' delle autorità religiose adoperarsi perché la religione prenda più posto nello spazio pubblico.

-D'altra parte queste autorità operano in un contesto in cui la maggioranza delle popolazione non è molto favorevole a questa idea o sbaglio?

Sì è vero. Soprattutto finora non ha funzionato perché le autorità politiche non hanno voluto andare in questa direzione. Alcuni anni fa, ad esempio, era stata presentato una mozione in questo senso da un piccolo gruppo di deputati albanesi di Macedonia, la cui comunità musulmana albanese è molto attaccata alla religione, molto più che in Kossovo o in Albania, eppure la maggioranza dei deputati albanesi ha votato contro. La questione è che le élite politiche, e questo è un punto su cui insistiamo nel libro, sono nate praticamente in tutti i casi dagli ambienti politici dell'epoca comunista e, sebbene abbiano la tendenza a strumentalizzare la fede, sono generalmente poco religiose.

-Fino a che punto nei Balcani le organizzazioni islamiche forniscono ai cittadini servizi che non sono più offerti dallo stato (scuole, ospedali, etc.)?

È vero che nei Balcani istituzioni e ONG religiose, musulmane o no, accanto all'azione propriamente spirituale operano spesso con interventi umanitari, educativi, etc. Nell'ambito dell'umanitario in Albania, ad esempio, ciascuna comunità religiosa ed i vari attori che intervengono in campo religioso hanno aperto degli ospedali, delle scuole, dei dispensari e quindi hanno un impatto importante sulla società.

-Anche con una popolazione per la gran parte secolarizzata? Si tratta di un atteggiamento strumentale?

Effettivamente questa è la domanda che ci possiamo porre: questa azione sociale ed a volte economica degli attori religiosi può avere impatto anche sul piano puramente religioso? Io risponderei in certi casi sì mentre in altri no. A volte la popolazione attua una forma di doppio gioco, e sembra affiliarsi a gruppi religiosi per ricevere dell'aiuto ma senza 'convertirsi' realmente. Ovvero c'è della strumentalizzazione da parte della popolazione che in primo luogo cerca di sopravvivere. Ovviamente non è per il fatto di recarsi in un ospedale finanziato dai sauditi o dalla comunità ortodossa che si aderisce alla dottrina religiosa di questa istituzione, anche se queste fanno pressione perché ciò avvenga. In ogni caso si tratta di fenomeni complessi i cui risultati saranno visibili in futuro. D'altra parte, per fare un altro esempio, i protestanti che sono arrivati in massa in Albania all'inizio erano accolti innanzitutto come degli stranieri che per lungo tempo non si erano visti nel paese. Incontrare questi missionari significava parlare in inglese, prendere i primi contatti con il mondo esterno, un mondo sognato ed idealizzato. Alcuni giovani albanesi sono diventati le guide e gli interpreti di questi missionari, magari convertendosi, ma non necessariamente per una vera fede quanto piuttosto per ragioni strumentali. Altri invece si sono convertiti considerando il cristianesimo protestante come una forma di fede più moderna ed adatta al mondo occidentale e quindi considerata migliore. Di nuovo, si tratta di un fenomeno molto complesso e misurare il grado di strumentalizzazione è molto difficile. Io, tuttavia, ho l'impressione che il movimento di conversione al protestantesimo stia per sgonfiarsi, ma è difficile stabilirlo perché non vi sono statistiche a riguardo. D'altro canto abbiamo avuto un movimento di conversione all'ortodossia per gli albanesi emigrati in Grecia allo scopo di integrarsi nel paese e persino per trovare lavoro. Anche qui ho l'impressione che si sia trattato di un fenomeno significativo all'inizio ma che ora sia meno palpabile. Tuttavia oggi, tra i giovani albanesi che si sono trasferiti in Grecia con i genitori e vanno a scuola nelle scuole greche, ci saranno delle adesioni all'ortodossia per ragioni ancora diverse. Ma, come dicevo, si tratta di fenomeni che sono per ora difficilmente misurabili.

-In Albania è facile sentir dire che la tradizionale armonica coesistenza delle tre religioni principali oggi sarebbe messa a repentaglio dagli attori esterni che esercitano un'influenza negativa. Fino a che punto è la realtà?

Questo è un discorso che esiste da molto tempo, dal tempo della formazione del nazionalismo albanese, e ripreso dal comunismo quando diceva che il clero è quello che divide gli albanesi altrimenti uniti perché si sentono albanesi prima che musulmani, ortodossi o cattolici. Bisogna fare attenzione a questi discorsi che sono innanzitutto rivolti agli stranieri, e che mascherano le forti diversità tra le diverse comunità religiose in Albania. Per fare un esempio, i matrimoni misti, con l'eccezione delle zone urbane, sono rimasti limitati. Quindi credo che questo discorso nascoda le sfaccettature della realtà locale perché, se non vi sono problemi di coesistenza tra comunità, queste sono tuttavia differenziate.

Dopo l'11 settembre, i mass media fanno frequente riferimento al pericolo islamico nei Balcani. Cosa ne pensa?

Dopo l'11 settembre abbiamo assistito a queste polemiche discorsive di attori non mussulmani dei Balcani, soprattutto in ambienti serbi e macedoni, che hanno usato lo spettro del pericolo islamico e della presenza della rete di Osama Bin Laden. Questo è un po' l'eco del vecchio discorso sulla minaccia della dorsale verde o dell'arco islamico, ovvero su una sorta di continuità territoriale dei musulmani balcanici che sarebbe stata destinata a circondare le popolazioni ortodosse dei Balcani. Con l'attualità questo tema si è trasformato in quello della minaccia dei gruppi terroristi islamici nei Balcani ma, a mio avviso, è più un discorso che una realtà. E' vero che in Albania, negli anni '90, islamisti non balcanici, ma di origine araba, si erano installati nel paese. Questi però sono stati arrestati ed estradati a volte dalla polizia segreta albanese, a volte dalla stessa CIA nel 1998. Ciò significa che ci sono state certamente persone in contatto con membri della rete di Osama Bin Laden.
Tuttavia queste reti sono molto nebulose, inoltre non è per il fatto di avere stretto la mano di qualcuno o di averlo incontrato che si fa parte di queste reti. Quindi i discorsi di oggi sono ampiamente esagerati. D'altro canto gli argomenti che si oppongono a quelli della minaccia islamica nei Balcani sono a loro volta esagerati nel senso inverso. Nel caso del Kossovo, ad esempio, si dice che i mussulmani sono tutti bektashi (2) o dervisci (3) e quindi non possono essere attirati dai discorsi radicali. Queste affermazioni sono false perché anche in Kossovo ci sono piccoli gruppi di giovani musulmani che sono relativamente radicali, pur se non hanno niente a che vedere con Osama Bin Laden. Quindi, quelle a cui assistiamo oggi sono polemiche discorsive, che in un senso o nell'altro non corrispondono alla realtà.

-Fino a che punto questi discorsi hanno impatto negativo sui musulmani dei Balcani?

Anche prima dell'11 settembre l'immagine dell'Islam nella scena pubblica era abbastanza negativa. Quindi, anche se transitoriamente questi avvenimenti possono avere peggiorato le cose, credo che già poco a poco si stia tornando allo stato precedente, ovvero quello in cui Islam ha comunque un'immagine piuttosto negativa. In Albania accade, per esempio, che persone di origine musulmana più o meno atee o secolarizzate, come Kadarè, da una decina d'anni rigettino pubblicamente l'Islam.

-Fino a che punto si rischia di avere una spaccatura nei Balcani tra coloro che rigettano l'Islam alla Kadaré e coloro che si radicalizzano?

Tra queste posizioni opposte ed estreme abbiamo un ventaglio ampio di situazioni che si presentano. Dipende dalla situazione politica e sociale in ciascun paese o regione perché, come evidenziamo nel libro, abbiamo costantemente una strumentalizzazione della religione da parte della politica o viceversa. Quindi non credo che si possa rispondere in generale perché vi sono un gran numero di fattori diversi a seconda dei contesti che entrano in gioco. In Bosnia, ad esempio, l'Islam è l'elemento determinante per la definizione dei musulmani bosniaci rispetto ai serbi ed ai croati, ma la situazione è diversa per i musulmani albanesi di Kossovo o Macedonia che si confrontano con i serbi ed i macedoni. Qui l'Islam è solo uno degli elementi che definiscono la diversità degli albanesi rispetto agli altri. Senza parlare dell'Albania, dove abbiamo una popolazione a stragrande maggioranza albanese e dove le cose sono profondamente diverse.

-In questo complesso scenario, trova che l'11 settembre abbia delineato una tendenza comune?

No, non penso. Innanzitutto in un caso come l'Albania non credo che l'11 settembre sia stato un punto di svolta particolarmente rilevante. Qui il momento di svolta è stato il 1997 con il passaggio del potere dal Partito Democratico al Partito Socialista. Non è stato per caso se già nel 1998 c'è stata l'eliminazione di quelle cellule 'dormienti' islamiche che si trovavano sul suolo albanese. L'Islam è stato più controllato dal potere socialista il quale, tra l'altro, ha privilegiato la componente Bektashi. Quindi, per l'Albania il 1997 è stato più importante dell'11 settembre 2001.

-Ritiene che in questi paesi la caccia al terrorista possa peggiorare il rispetto dei diritti umani da parte della polizia?

Non credo che la polizia al tempo di Berisha si comportasse in modo più democratico, ma è chiaro che in Albania resta il problema delle pratiche del potere e dell'uso di organi come la polizia. Per tornare invece alla domanda precedente, una delle conseguenze del ritorno dei socialisti al potere in Albania è che questi hanno mostrato di voler disfare i rapporti tra la comunità islamica ed il potere politico che c'era ai tempi di Berisha. Questo significa un ripiegamento su questioni puramente religiose degli attori musulmani religiosi e una certa radicalizzazione tra i giovani. Ma anche questo fenomeno credo sia slegato dagli avvenimenti dell'11 settembre.

-I Balcani sono sempre sui giornali, quanto meno in Italia, per la questione dei traffici illeciti. Oggi abbiamo l'impressione di avere stabilito l'equazione traffici illeciti = reti islamiche = Balcani. C'è realmente un rapporto tra queste tre dimensioni?

Ci sono delle relazioni ma non di eguaglianza come questo discorso sui media vorrebbe fare credere. Non possiamo dire Balcani = traffici illeciti = reti islamiche, anche se è chiaro che nei Balcani vi sono traffici illeciti che si spiegano anche con ragioni geopolitiche. Tuttavia, i traffici ci sono anche in Turchia, nei paesi occidentali, in Asia etc. quindi i traffici non sono una peculiarità dei Balcani. E' vero che vi sono connessioni tra le reti islamiche ed i traffici come è vero che abbiamo varie reti di traffici che non hanno nulla a che vedere con le reti islamiche. Lo dimostra il caso del Montenegro, dove la rete di traffici di sigarette non ha legame alcuno con le reti islamiche.

-Cosa possiamo dire invece dei traffici di armi che si sono verificati durante il conflitto in Bosnia? Che differenza c'è con il Kossovo?

Nel caso della Bosnia, sappiamo che l'Iran ha fornito armi in grandi quantità all'esercito bosniaco attraverso una rete islamica, la Third World Relief Agency, basata a Vienna. Ma bisogna aggiungere che questo traffico d'armi è stato 'autorizzato' dagli Stati Uniti per aggirare l'embargo ONU. Quindi anche in questo caso abbiamo un attore che non ha nulla a che vedere con l'Islam. Nel caso del Kossovo, si deve notare che la crisi si è avuta dopo la fine della guerra in Bosnia e dopo il cambiamento di politica USA verso il mondo musulmano ed in particolare verso le reti islamiche. Con gli accordi di Dayton, infatti, si era deciso che i mujaheddin (4) lasciassero la Bosnia ed è in quel periodo che inizia la caccia americana alla rete di Bin Laden. Nel 1998 in Albania, ad esempio, una di queste cellule viene eliminata. Ricordo questi aspetti perché è in questo contesto che la crisi del Kossovo esplode e poi inizia la guerra. Gli attori locali, che lo volessero o meno, non hanno potuto fare appello alle reti islamiche perché gli Stati Uniti erano contrari. Piccoli gruppi e piccole reti si sono certamente stabilite, come è accaduto che gli albanesi del Kossovo acquistassero armi dai serbi. Del resto, i traffici d'armi non si frenano davanti alle inimicizie. Tuttavia bisogna collocare la crisi del Kossovo cronologicamente e vedere come gli americani, che hanno un ruolo determinante negli sviluppi del conflitto, a quel punto non erano più disponibili ad utilizzare questo genere di reti.

-Ad un certo punto, nel libro, parlate di declino dell'islamismo...

C'è un gran dibattito a questo riguardo. Diciamo che c'è stato un declino dell'islamismo per quello che era negli anni '80 dopo la rivoluzione in Iran, e oggi c'è un accordo generale sul fatto che si debba parlare di una cambiamento di registro, di modalità, di ricomposizione. Quello che abbiamo visto nei Balcani, è stato l'appello alla Ùmma al momento della guerra in Bosnia-Erzegovina e all'inizio in Albania. Ma successivamente, con la guerra in Kossovo le cose sono andate in modo diverso. Innanzitutto bisogna distinguere la questione dell'islamismo da quella della Ùmma. L'Ùmma come blocco politico non esiste, questo è certo, e lo abbiamo visto anche in Bosnia dove, ad esempio, gli Iraniani hanno agito in modo diverso dall'Arabia Saudita. Per quanto riguarda il declino dell'islamismo, dipende da che significato diamo a questo termine. Se si tratta della volontà di instaurare repubbliche islamiche, allora vediamo che questa idea ha fatto il suo cammino fino a scomparire, ma oggi abbiamo forme diverse di islamismo che non hanno come obbiettivo principale quello di fabbricare degli stati islamici ma piuttosto delle società islamiche.

-Alla luce di queste considerazioni si aspetta che le politiche occidentali verso i Balcani si orienteranno al rafforzamento delle istituzioni statali?

Di fatto, direttamente o indirettamente attraverso le loro politiche o per l'immagine che propongono di sé, gli attori occidentali hanno certamente un grande ruolo negli sviluppi sulla scena balcanica. Quindi non so se passa per la creazione di stati più forti, non so, perché quello che abbiamo oggi sono piuttosto dei protettorati in Bosnia, Kossovo ma anche praticamente in Albania e Macedonia. L'occidente è là come attore diretto e come immagine: tutti i dibatti identitari, anche tra le stesse popolazioni musulmane sulla relazione tra identità religiosa e nazionale, sono anche dibattiti sulla relazione tra identità religiosa ed identità europea, e tutta la questione dell'integrazione all'Europa. Quindi l'occidente è onnipresente nei Balcani anche per le popolazioni musulmane.

Note:
(1) Ùmma è il termine con cui il Corano definisce la comunità dei credenti musulmani. 
(2) Il bektashismo è un tarikat (confraternità mistica musulmana) ottomano, la cui dottrina è basata sul sincretismo religioso. 
(3) Si chiamano dervisci i membri di confraternite mistiche musulmane.
(4) Si chiama mujaheddin il combattente musulmano impegnato nella guerra santa contro i nemici della comunità islamica. In Bosnia nel corso della guerra numerosi combattenti stranieri si affiancarono all'Armja bosniaca considerando questo conflitto come una guerra santa.

Islam e Balcani: al di là dei luoghi comuni. 

Un'interessante recensione di Luisa Chiodi al libro 
Le Nouvelle Islam balkanique. Les musulmans, acteurs du post-communisme 1990-2000
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Ci si era dimenticati in Europa occidentale della presenza dei musulmani nei Balcani sino a quando la guerra in Bosnia li ha tragicamente riportati alla nostra attenzione. Benché l'opinione pubblica nei paesi dell'UE si sia schierata a difesa di popolazioni musulmane nel corso delle guerre nella regione, la loro riscoperta è passata attraverso l'uso di facili categorie e molta superficialità. Oggi l'attualità ci porta di nuovo a riflettere sull'eredità musulmana dell'impero ottomano nella regione ma questa volta la capacità di comprendere è ulteriormente ridotta dalla propaganda della guerra internazionale al terrorismo islamico. La gran parte dei mass media italiani ha trovato nel pericolo islamico una nuova occasione per presentare i Balcani come l'eterna fonte di guai alle nostre porte.

Il libro, curato da Xavier Bougarel e Nathalie Clayer, balcanologi del CNRS di Parigi, colma un vuoto grave e significativo di conoscenze. Il testo, purtroppo ancora non tradotto in italiano, analizza in 500 pagine dense di informazioni la complessa realtà dell'Islam nei Balcani negli anni Novanta ovvero in un periodo di profonda e drammatica trasformazione. Le nouvel Islam balkanique approfondisce in particolare il rapporto tra Islam e politica portando all'attenzione del pubblico tre aspetti cardine di questo tema: l'emergere delle popolazioni balcaniche musulmane come attori politici autonomi; la natura multiforme dell'Islam balcanico e infine il suo ritorno nel seno dell'Islam mondiale. Valendosi della collaborazione di altri sette studiosi, i curatori dedicano la prima parte del libro all'analisi di casi-studio nazionali mentre nella seconda parte esaminano il ruolo dell'Islam mondiale nei Balcani. 

È utile ricordare che i musulmani, praticanti e non, del sud-est europeo sono circa 8 milioni distribuiti nei diversi paesi della regione. I dati riportati dal libro, come segnalano gli autori, sono del tutto approssimativi mancando statistiche recenti e considerando gli effetti devastanti degli avvenimenti politici del decennio appena trascorso. In ogni caso i musulmani nella penisola sono una minoranza in un'area a maggioranza ortodossa anche se in alcuni casi costituiscono delle minoranze geograficamente compatte come in Bulgaria o delle maggioranze come in Albania. In secondo luogo le popolazioni musulmane del sud-est europeo appartengono a quattro principali gruppi etno-linguistici ovvero si dividono tra albanofoni, slavofoni, turcofoni e zigani. Infine, anche sul piano strettamente religioso l'Islam dei Balcani non è affatto omogeneo poiché accanto ad una maggioranza sunnita di rito hanefita (1), si trovano importanti gruppi di aleviti e bektasci, confraternite mistiche che hanno in comune alcuni riti particolari e la devozione per Alì, genero di Maometto.

Partendo da questi dati, Bougarel e Clayer presentano la prima importante osservazione negando l'esistenza della cosiddetta 'dorsale verde' dell'Islam, che senza soluzione di continuità congiungerebbe l'Europa al Medio-Oriente passando attraverso i Balcani. Si tratta difatti di una forzatura ideologica visto che l'Islam balcanico costituisce un mosaico di diverse componenti etniche, linguistiche e religiose disperso geograficamente sul territorio. Purtroppo, a parlare in questi termini oggi non sono più solo i nazionalisti della regione ma anche autorevoli fonti di informazione italiane come il Corriere della Sera che l'8 novembre scorso riferendosi ad un rapporto del Viminale paventava la costituzione di tale minacciosa dorsale 'nelle immediate adiacenze delle nazioni europee' . 

La novità degli anni Novanta è invece quella che viene definita come 'passaggio al politico' delle popolazioni musulmane dei Balcani. Questo turbolento decennio infatti vede il loro coinvolgimento attivo nella sfera pubblica attraverso partiti politici, organi di stampa, associazioni culturali, forum di intellettuali etc. Le vicende dell'Islam politico nei Balcani, tuttavia, si sviluppano secondo traiettorie diverse nei vari paesi e contesti regionali ed internazionali. Per questa ragione gli autori esaminano separatamente i vari paesi descrivendo nel dettaglio l'intreccio tra vicende politiche e questioni religiose. Il capitolo di Bougarel si occupa del caso bosniaco dove l'Islam resta schiacciato tra l'identità culturale e l'ideologia politica. Rajwantee Lakshman-Lepain analizza il ruolo dell'Islam nella liberalizzazione religiosa e politica dell'Albania. I casi di Macedonia e Kossovo sono presentati congiuntamente nello studio di Nathalie Clayer. Gli ultimi due studi infine approfondiscono il ruolo delle minoranze musulmane di Bulgaria, nel capitolo di Nadège Ragaru, e di Grecia con il contributo di Joelle Dalègre.

Il libro lascia in secondo piano l'analisi sociologica dell'Islam nei Balcani per concentrarsi invece sulle relazioni tra gli attori religiosi e gli attori politici. Dall'esame dei vari casi gli autori estrapolano tre modelli con cui schematizzano i rapporti di forza tra i due gruppi: in alcuni contesti l'Islam è solo una risorsa simbolica usata per legittimare pratiche clientelari da parte di politici; in altri casi si assiste ad una nazionalizzazione della religione ad opera di gruppi nazionalisti; infine quando l'Islam viene considerato come trascendente l'appartenenza nazionale diventa un strumento di re-islamizzazione delle popolazioni. Non solo i tre modelli di relazione tra attori politici e religiosi si possono presentare nello stesso paese ma capita che lo stesso attore politico possa combinarli in momenti diversi.

E' questo il caso dell'SDA di Izetbegovic in Bosnia che, partito da premesse panislamiste, nel corso degli anni aggrega correnti di nazionalisti musulmani e da ultimo crea reti clientelari intorno alle quali organizza il proprio potere sulla comunità musulmana del paese. Questa politicizzazione dell'Islam favorita dalla guerra, sottolinea Bougarel, è imposta con metodi autoritari dalla leadership politica di Izetbegovic ma finisce per ritorcerglisi contro. La nazionalizzazione dell'Islam è invece il fenomeno più comune tra le comunità albanesi di Kossovo e Macedonia, dove l'Islam in linea generale resta in posizione secondaria rispetto all'identità nazionale. In ogni caso, notano gli autori, la politicizzazione delle popolazioni musulmane della regione non supera le divisioni etniche, e la guerra di Bosnia come quella di Kossovo non generano significative mobilitazioni regionali a base religiosa. Nemmeno sul piano delle alleanze politiche, quindi, la 'trasversale verde' non viene mai alla luce.

D'altro canto la politicizzazione dell'identità musulmana è cosa differente dalla re-islamizzazione la quale, osservano gli autori, si spiega come reazione alla secolarizzazione dei decenni precedenti così come va messa in relazione con le drammatiche vicende politiche del decennio. Senza dubbio assistiamo ad una espansione delle attività delle istituzioni religiose in ciascun paese, ma i cinquant'anni di secolarizzazione autoritaria dei regimi comunisti non sono reversibili. Le istituzioni religiose non hanno più il monopolio sull'interpretazione dell'Islam e sono soggette a contestazioni da parte delle diverse correnti religiose interne o straniere, da intellettuali o da singoli credenti. Il ritorno al passato non si realizza anche in seguito ai nuovi rapporti stabiliti in questi anni con i protagonisti dell'Islam mondiale.

Come mette in luce Nathalie Clayer nell' intervista realizzata per l'Osservatorio sui Balcani, tali legami sono molto diversificati e restano comunque in secondo piano rispetto a quelli con l'Occidente sul piano sia economico che politico e culturale. A livello religioso, invece, gli attori extra-regionali hanno un ruolo rilevante attraverso il lavoro capillare attuato da organizzazioni umanitarie, predicatori, centri culturali, borse di studio, etc. Tuttavia, non si può dire che i considerevoli investimenti finanziari comportino un ampio successo delle strategie di re-islamizzazione nella regione. La creazione di nicchie di islamisti attivi tra la popolazione musulmana si deve soprattutto ai rapporti con l'elite politica in alcuni momenti particolari. Come spiega Bougarel nel capitolo dedicato alla Bosnia, anche qui dove la guerra ha rafforzato l'identità religiosa dei musulmani non si è assistito ad una reale re-islamizzazione della società o dello stato. Nemmeno il panislamismo di Izetbegovic e la guerra sono riusciti ad influenzare stabilmente i costumi e le pratiche individuali o a generare un'ondata di fondamentalismo.

Nelle campagne la religiosità tradizionale rappresenta un ostacolo alle concezioni militanti ed ideologiche dell'Islam. Solo a livello urbano, ai margini, tra le file degli intellettuali o dei giovani scolarizzati, l'Islam si sostituisce all'ideologia comunista. In ogni caso, la re-islamizzazione nei Balcani, spiegano gli autori, è parziale oltre che conflittuale e l'affiliazione nazionale ha sempre la meglio su quella religiosa.


La seconda parte de Le nouvel Islam balkanique si concentra quindi sullo studio delle politiche dei vari attori dell'Islam mondiale nei Balcani. Il capitolo di Silvie Gangloff esplora il ruolo della Turchia nella regione a livello economico, diplomatico e militare; Ferhat Kentel esamina le interazioni, simboliche e non, tra la società turca e le popolazioni musulmane dei Balcani; l'analisi di Alireza Bagherzadeh invece smonta le interpretazioni culturaliste a proposito del coinvolgimento dell'Iran nella guerra di Bosnia; infine il capitolo di Jérôme Bellion-Jourdan è dedicato alla comprensione della realtà delle reti islamiche transnazionali. In ognuno di questi casi emerge con chiarezza il fatto che anche l'Islam mondiale non costituisce un monolite, ma al contrario è una composita realtà in cui giocano un ruolo stati, individui e svariate organizzazioni non governative con culture politiche e religiose diverse tra loro. Questi approfondimenti dipanano la matassa dei rapporti tra i numerosi attori che compongono il mondo musulmano internazionale, ed esaminano la complessità degli interessi in gioco. 

Gli autori, dando conto della mobilitazione del mondo musulmano mondiale per i Balcani a partire dal 1992, legano queste vicende alle trasformazioni della scena internazionale dopo la guerra fredda. È interessante notare come tre anni prima del conflitto in Bosnia le popolazioni musulmane di Kossovo e Bulgaria fossero state travolte dalla crisi dei rispettivi regimi. Si trattava dei primi segnali di cosa sarebbe avvenuto nelle trasformazioni politiche post-comuniste nell'Europa sud-orientale. Tuttavia allora non vi fu reazione del mondo musulmano né alla cancellazione dell'autonomia kossovara da parte di Milosevic nel marzo dell'1989, né all'esodo di centinaia di migliaia di turchi dalla politica assimilatrice della Bulgaria di Zhivkov nel maggio dello stesso anno. 

È solo con l'esplosione della guerra in Bosnia che gli appelli alla Umma, la comunità di credenti, si moltiplicano nel mondo musulmano profondamente diviso dalla guerra del Golfo. Tra il 1992 ed il 1995 la Bosnia diventa una fonte di mobilitazione per l'Islam mondiale, in sostituzione delle cause tradizionali quali l'Afghanistan dove la guerra di liberazione si trasforma in guerra civile e la Palestina alle prese con il processo di pace. La costruzione del conflitto in Bosnia come "causa islamica", alimentata dall'SDA di Izetbegovic, diventa un catalizzatore per la politica estera di alcuni stati mediorientali, attrae nel paese numerose organizzazioni caritative che distribuiscono aiuti umanitari e vede coinvolti oltre 4.000 combattenti stranieri per i quali la guerra di Bosnia costituisce una guerra santa per difendere la comunità musulmana dai suoi nemici. 

A dispetto del richiamo all'unità della Umma, spiega Jérôme Bellion-Jourdan, il mondo musulmano resta una costellazione di attori antagonisti. Vi è competizione, ad esempio, tra Iran e Arabia Saudita nella strategia di egemonizzare l'Islam locale. In altre occasioni, la mobilitazione in favore della Bosnia serve all'espressione delle rivalità politiche interne a paesi terzi. E' questo il caso dell'Egitto dove il movimento di opposizione al governo del Cairo, ovvero i Fratelli Musulmani, usa la mobilitazione internazionale per legittimare se stesso e delegittimare le autorità che non compiono il 'dovere islamico di solidarietà' di aiutare i fratelli di Bosnia. D'altro canto tra le ONG islamiche sul terreno vi sono contrasti per accrescere l'influenza presso la popolazione in Bosnia. ma a volte anche per il riconoscimento presso gli stessi governi occidentali come nel caso di Muslim Aid e Islamic Relief in Gran Bretagna.

La stessa nebulosa di combattenti volontari che affiancano l'esercito bosniaco, tra cui molti reduci dall'Afghanistan, è composta da attori diversi che cercano di accrescere il proprio capitale sociale sul piano locale e internazionale. 
Tra i musulmani di Bosnia questi legami internazionali ricevono un'accoglienza contraddittoria. Se la fornitura di aiuti umanitari così come di armi risulta essenziale alla sopravvivenza, non mancano incomprensioni reciproche, aperto conflitto e risentimento. Si lamenta in particolare la trasposizione nel paese di rivalità politiche altrui e l'imposizione di interpretazioni dell'Islam estranee alla tradizione locale. Le pratiche religiose esteriori come il velo, la barba e l'assidua frequentazione delle moschee, osserva Bellion-Jourdan, sono in linea generale abbandonate alla fine del conflitto. 


Una volta raggiunti gli accordi di Dayton, gli Stati Uniti impongono la trasformazione dell'immagine pubblica dei combattenti islamici da 'eroi valorosi' in quella di 'terroristi', ponendo il gruppo dirigente intorno ad Izetbegovic in seria difficoltà. Sarajevo sceglie quindi una via intermedia offrendo un riconoscimento discreto e simbolico ai mujaheddin mentre organizza la loro partenza dal paese. La maggior parte dei combattenti così come delle ONG islamiche lascia la Bosnia, ma restano nel paese alcuni nuclei di stranieri che ottengono la cittadinanza grazie ai rapporti clientelari stabiliti con l'SDA. L'intreccio di interessi tra questi esponenti radicali ed il potere politico locale consente la creazione in alcuni villaggi della Bosnia centrale di isole di radicalismo islamico dove attività criminali e fenomeni di banditismo restano inizialmente impuniti.

A partire dal 1997, Sarajevo inizia una campagna di repressione di questi fenomeni, con arresti ed espulsioni. Secondo Bellion-Jourdan, l'SDA inizialmente riesce a monopolizzare le risorse esterne per rafforzare il proprio potere ma poi deve fronteggiare effetti inaspettati. La re-islamizzazione della Bosnia promossa dai vari ed eterogenei gruppi esterni produce l'effetto inverso a quello del progetto panislamico originario, e le identificazioni all'Islam si diversificano anziché convergere. Infine, l'articolazione degli interessi cambia e gli attori stranieri alimentano la contestazione al potere politico di Izetbegovic accusato di avere svenduto la Bosnia agli americani. 

Se negli anni dal 1992 al 1997, Izetbegovic in Bosnia, così come Berisha in Albania, si appoggiano all'Islam mondiale per rafforzare la propria posizione nei rapporti di potere locali, successivamente lo scenario internazionale cambia. Quando scoppia la crisi in Kossovo gli Stati Uniti non sono più disposti a tollerare le ingerenze del mondo islamico nella regione come avevano fatto in Bosnia, dove l'embargo alla fornitura di armi veniva sistematicamente violato per portare aiuto ai musulmani. All'intervento militare diretto della NATO in Kossovo Washington associa la pressione sui dirigenti politici albanesi perché non accettino collaborazioni in questo senso. D'altro canto, gli stessi dirigenti dei paesi musulmani non manifestano entusiasmo per la causa del Kossovo. L'Iran è oramai impegnato in un processo di normalizzazione delle relazioni con l'Occidente, mentre in Turchia la politica 'neo-ottomana' del presidente Ozal è soppiantata da correnti nazionaliste e avanza il progetto di integrazione europea. La solidarietà della Umma al Kossovo si manifesta comunque sotto forma di aiuto umanitario e sul piano religioso attraverso le ONG islamiche, ma per i giochi politici locali di Pristina l'Islam resta un fattore secondario. 

Nel fornire tale complessa analisi delle relazioni tra attori religiosi e politici nella regione, il libro scritto e pubblicato prima dell'11 settembre 2001 non trascura il ruolo dei combattenti 'afgani' e la stessa rete di Osama Bin Laden. Tuttavia, come spiega Nathalie Clayer nell'intervista realizzata per l'Osservatorio, i discorsi di oggi sulla minaccia islamica nei Balcani sono ampiamente esagerati. In ogni caso questi attori rappresentano solo un aspetto della presenza dell'Islam mondiale nei Balcani. La debolezza di molti degli stati della regione ha chiaramente consentito ad esponenti di gruppi terroristici internazionali di far perdere le proprie tracce in Bosnia e in Albania negli anni scorsi. D'altro canto la CIA non ha trovato ostacoli nei Balcani quando si è trattato di catturare ed estradare presunti terroristi negli ultimi anni.
Infine, l'analisi offerta dal libro sul ruolo dell'Islam mondiale stimola l'interesse per uno studio comparato sull'intervento umanitario dell'Occidente e del mondo Islamico. Molti sono i paralleli tracciabili, a partire dal fatto che entrambi hanno fornito una lettura ideologica dei conflitti nella regione: per l'Occidente si è trattato di odi ancestrali, per il mondo musulmano di una guerra di religione. In secondo luogo, in entrambi i casi la mobilitazione della società civile internazionale è passata attraverso il forte incoraggiamento dei mass media. Infine, entrambi hanno cercato di imporre alle popolazioni locali la propria visione del mondo ed il proprio modello di società, così come hanno spesso teso a svalutare la cultura e la tradizione locale. 

Opera collettiva di profondi conoscitori della materia, Le nouvelle Islam balkanique, per la ricchezza delle informazioni proposte non è riassumibile in poche pagine ma merita un'attenta lettura per la quale sarebbe auspicabile una traduzione in italiano. Gli scaffali delle librerie che oggi si sono arricchiti di numerosi volumi dedicati all'Islam ancora una volta trascurano i Balcani, che si preferisce liquidare con luoghi comuni. Eppure dovrebbe essere diffusa la consapevolezza che esiste un Islam europeo. o per meglio dire che ne esistono diversi ed i Balcani ci offrono l'occasione per iniziare a conoscere questa civiltà. Quale forma prenderà l'Islam europeo dei Balcani nei prossimi anni, concludono i curatori, dipenderà dalla capacità dei musulmani della regione di trovare una collocazione nella nuova Europa, sperando che questa lo consenta.

(1) L'hanefismo è una delle quattro scuole giuridiche dell'Islam sannita. Fondata da Abu Hanifa nel VIII secolo divenne la scuola ufficiale dell'impero ottomano. Fino agli anni '90 era la sola scuola presente nei Balcani.

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