SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Jihad in Europa : la repubblica della Cabardino-Balcaria.

di Enrico Piovesana http://www.peacereporter.it

Il talebano delle montagne russe.
La storia di Ruslan Odizhev, ex talebano

Ruslan è nato e cresciuto a Nalchik, capitale del Kabardino-Balkaria, una piccola repubblica islamica russa che si trova sulle pendici settentrionali del Caucaso. Un incontaminato paradiso montano di boschi, valli, ruscelli e picchi imbiancati da ghiacciai e nevi perenni, tra cui il famoso monte Elbro, vetta più alta della catena caucasica, nota agli alpinisti di tutto il mondo. L’infanzia di Ruslan, nonostante lo splendido habitat naturale, è stata però tutt’altro che paradisiaca. Suo padre, Anatoly Seleznev, era un alcolizzato. Era sempre ubriaco e picchiava sua madre, Nina. Ruslan ne soffriva tremendamente, e per questo sviluppò un odio maniacale verso gli alcolici. Un odio così forte da fargli prendere una decisione drastica: abbracciare con fervore la religione islamica, che ha nel rifiuto dell’alcol uno dei suoi precetti. 

Dopo il divorzio dei suoi genitori e la dipartita del padre, Ruslan decise di andare a studiare all’università islamica di Riad, in Arabia Saudita. Per essere ammesso modificò anche il suo cognome, dal troppo russo Seleznev, al più musulmano Odizhev. Erano i primi anni Novanta. A quel tempo nella regione georgiana dell’Abkhazia, confinante con il Kabardino-Balkaria e abitata da una popolazione dello stesso ceppo dei kabardini, infuriava una guerra secessionista d’ispirazione islamica. Ruslan interruppe gli studi e partì come volontario. In patria si fece la fama di un grande musulmano. Una volta tornato a Nalchik fu chiamato a tenere lezioni di teologia islamica all’università cittadina e discorsi nella locale moschea. Ma iniziò anche ad avere problemi con le autorità locali, sempre più guardinghe verso il crescente fervore religioso, e sociale, delle giovani generazioni ostili al corrotto regime di Valery Kokov, controllato dalla minoranza russa. La Cecenia era vicina. 

Dopo i tragici attentati ai condomini di Mosca del 1999, attribuiti ai separatisti ceceni, la caccia russa “al wahabita” investì tutte le repubbliche islamiche caucaische. In Kabardino-Balkaria la situazione divenne pesante. La polizia russa di Kokov iniziò a fare irruzione nelle moschee, a chiuderle e ad arrestare quelli con la barba troppo lunga, che venivano incarcerati, interrogati, picchiati e torturati dagli agenti dei servizi segreti russi (Fsb). Il ministro degli Interni Khachim Shogenov iniziò personalmente a girare per le strade di Nalchik con le forbici, tagliando le barbe dei musulmani, e stilò una ‘lista nera’ di centinaia di sospetti wahabiti. Il nome di Ruslan era tra i primi della lista, assieme a quello di Musa Mukozhev, carismatico imam di un villaggio sospettato di fomentare l’odio anti-russo. Il 3 maggio del 2000 gli uomini dell’Fsb fecero irruzione in casa di Ruslan. Lo caricarono su un’auto e lo portarono nella foresta dove fu selvaggiamente picchiato. In prigione fu interrogato e torturato per giorni, con l’accusa di aver partecipato agli attentati di Mosca e di essere un sovversivo wahabita filo-ceceno. 

Tornato a casa dopo due settimane, sua madre Nina, disperata, lo convinse a fuggire dal paese. “Scappa figlio mio, vai dove vuoi, ma mettiti in salvo perché qui prima o poi ti uccideranno. E non dirmi dove vai perché non sono sicura di saper tenere un segreto sotto tortura”, ricorda oggi di aver detto la signora Odizhev intervistata dal Moscow Times. Ruslan si rifugiò in Iran e poi in Afghanistan. Qui i talebani lo accolsero inizialmente con freddezza, ma presto impararono a fidarsi di lui. Nel novembre 2001 Ruslan combatteva contro i soldati americani a Mazar-i-Sharif quando fu catturato e imprigionato nella fortezza di Qala-i-Jhanghi, dove sopravvisse per miracolo al massacro dei prigionieri in rivolta commesso dalle milizie dell’Alleanza del Nord e dai bombardieri americani. 

Ruslan fu trasferito a Guantanamo, Cuba. Di quella detenzione oggi, intervistato dal giornale pachistano Daily Times, ricorda i tormenti. “Ci picchiavano, ci impedivano di leggere il Corano e di dormire, ci costringevano a sentire l’inno americano sparato a tutto volume dagli altoparlanti, a tutte le ore del giorno e della notte, in particolare nelle ore della preghiera”. Nulla di tutto questo si trova raccontato in una cartolina che la signora Nina ricevette nel febbraio 2002. Mittente: 160 Camp X-Ray, Washington D.C., 20353 - USA. “Non preoccuparti, ci trattano bene, ci danno da mangiare tre volte al giorno e ci visitano due volte al giorno. Doccia e passeggiata due volte a settimana. Il resto del tempo stiamo seduti e ci raccontiamo i sogni notturni. E’ bello perché si conoscono persone di tutto il mondo. Sto anche studiando un po’ di inglese”. 

Il 22 giugno scorso Ruslan viene improvvisamente liberato da Guantanamo assieme a vari altri prigionieri di guerra nei confronti dei quali non sussistevano gravi accuse. Con lui vengono rimpatriati altri sette ‘talebani russi’, di cui uno, Rasul Kudayev, proviene come lui dal Kabardino-Balkaria. Nina non ci può credere. E’ felicissima di rivederlo, ma al contempo teme che ora subirà nuovamente la persecuzione delle autorità russe. Ora che la piccola repubblica montana è attraversata da preoccupanti fermenti di guerriglia islamica. La scorsa settimana c’è stato uno scontro a fuoco tra polizia russa e non meglio specificati ‘ribelli islamici’. 

E nei giorni scorsi è arrivata la rivendicazione di un gruppo guerrigliero musulmano che annunciava la nascita del movimento armato Yarmuk e l’inizio della jihadcontro “gli invasori russi e il loro regime fantoccio in Kabardino-Balkaria”. 
“Noi – si legge sul comunicato – combattiamo contro i tiranni e i parassiti che mettono gli interessi dei loro clan mafiosi sopra quelli del loro popolo. Combattiamo contro quelli che si ingrassano a spese della povera e intimidita popolazione del Kabardino-Balkaria. Combattiamo contro gli invasori e gli aggressori che in passato si sono impossessati di una terra musulmana e che oggi rapiscono e torturano i musulmani del Kabardino-Balkaria, chiudendo le nostre moschee e ci impediscono di professare la religione della Verità e della Giustizia. Combattiamo contro quelli che con il loro dominio ingiusto e criminale fomentano l’odio interetnico tra kabardini e balkari. Combattiamo contro quelli che hanno fatto prosperare nella nostra repubblica la povertà, la disoccupazione, il crimine, la depravazione, la prostituzione, la tossicodipendenza e l’alcolismo”. 

Chissà se l’alcolfobico Ruslan c’entra qualcosa con questo nuovo gruppo. Quel che è certo è che l’ombra del conflitto ceceno si sta allungando su tutte le repubbliche del Caucaso settentrionale: dopo il Daghestan e l’Inguscezia, ora anche il Kabardino-Balkaria. 

Enrico Piovesana 01/09/2004

 

Guerriglia islamica nella repubblica della Cabardino-Balcaria

Yarmuk è il nome di un fiume, affluente del Giordano, che divide la Siria dalla Giordania. Per i musulmani questo nome evoca una battaglia che tredici secoli fa fu decisiva per l'espansione dell’Islam in Medioriente. Il 30 agosto dell’anno 636 d.C., infatti, le armate arabe, approfittando di una tempesta di sabbia, passarono il fiume Yarmuk travolgendo l'esercito bizantino dell'imperatore Teodoro, conquistando la Siria e aprendosi la strada per la conquista della Palestina, che sarebbe avvenuta quattro anni più tardi.

Assalto agli uffici anti-droga.

 Con questo simbolico nome, Yarmuk, si è presentato un nuovo gruppo armato integralista islamico che nella notte tra lunedì e martedì ha attaccato gli uffici della polizia anti-droga di Nalchik, capitale della piccola e pittoresca repubblica russo-caucasica di Cabardino-Balcaria, poco a ovest della Cecenia. I guerriglieri hanno ucciso quattro agenti e dall’armeria hanno sottratto un'ottantina di fucili mitragliatori, centottanta pistole e molte casse di munizioni, prima di dare alle fiamme l'edificio.

"Non è un segreto che il commercio della droga nella nostra repubblica sia gestito, non combattuto, dall’amministrazione locale con la copertura dei servizi segreti russi. Quest’attività criminale sta favorendo la tossicodipendenza tra la nostra gente. E soprattutto tra i nostri giovani. Per la sharìa i trafficanti di droga vanno puniti con la pena di morte".

Così si legge nel comunicato di rivendicazione di questo gruppo armato che in agosto aveva annunciato l'inizio della jihad contro il "tirannico e corrotto regime fantoccio" della Cabardino-Balcaria accusandolo di essere nient’altro che un'organizzazione che "opprime, intimidisce e sfrutta la popolazione per i propri interessi criminali", facendo crescere "povertà, disoccupazione, alcolismo, tossicodipendenza, criminalità, prostituzione e depravazione" nella repubblica, e portando avanti una brutale politica di repressione della religione islamica, con la persecuzione poliziesca dei fedeli islamici e con la chiusura delle moschee.

Un quadro, purtroppo, non distante dalla drammatica realtà socio-economica della Cabardino-Balcaria, dove i giovani disoccupati che non si danno alla droga e all'alcol diventano facile preda della crescente propaganda del radicalismo islamico di matrice wahabita. Un radicalismo estraneo alla tradizione sufi e moderata dell’Islam caucasico, ma sempre più diffuso tra le nuove generazioni afflitte dalla povertà. Un fenomeno al quale le autorità locali, su ordine di Mosca, reagiscono solo con una repressione durissima che non ha altro effetto se non quello di alimentare il fuoco dell'estremismo.

Repressione e pogrom nel 2003. 

Tutto è cominciato nell'estate del 2003, quando nella repubblica si diffuse la voce che il famigerato signore della guerra ceceno, Shamil Basayev, si era nascosto a Baksan, un piccolo villaggio nella foresta. Quando, il 24 agosto 2003, la polizia andò a controllare, venne attaccata da un gruppo di guerriglieri, uno dei quali si fece saltare in aria con una carica esplosiva.

Nelle settimane successive il governo locale avviò una campagna di arresti di massa nelle moschee della piccola repubblica, che poi vennero chiuse."Il 14 settembre la polizia fece irruzione nella nostra moschea, dopo la preghiera", racconta Valery Gutov, 38 anni, assistente di un imam di Nalchik. "Ci hanno ammanettati tutti e portati alla stazione di polizia. Lì ci hanno fatto mettere in fila, faccia al muro e poi hanno cominciato a picchiarci con i bastoni e i calci dei fucili. Poi ci hanno costretto a firmare dei fogli in cui ci accusavano di aver opposto resistenza all’arresto e, con questa imputazione, ci hanno condannato a dieci giorni di prigione. Una volta usciti, quei pochi di noi che avevano un lavoro sono stati licenziati".

"Mi fanno ancora male i reni da quanto sono stato picchiato in quei giorni", racconta Oleg Kardanov, 19 anni, disoccupato. "In prigione ho conosciuto un ragazzo di Baksan (il villaggio dello scontro, ndr). Si chiamava Islam: non solo era stato picchiato, ma i poliziotti gli avevano rasato i capelli a forma di croce"."Anche mio figlio era stato arrestato in quei giorni", racconta Aminat Kardanova. "Aveva solo vent’anni. Lo hanno picchiato brutalmente. Era solo uno studente, e andava in moschea di rado. Purtroppo, perché ora non ci va più: sta tutto il giorno in strada, e ha anche cominciato a drogarsi".

Negli stessi giorni, bande di ragazzi protetti dalla polizia organizzarono un vero e proprio pogrom contro gli studenti universitari di origine cecena, scappati in questi anni dalla guerra. Tra il 15 e il 17 settembre 2003, centinaia di universitari ceceni vennero assaliti nei dormitori del'ateneo di Nalchik, per le strade, all’uscita dai cinema e dal teatro. "Hanno fatto irruzione nel nostro dormitorio armati di bastoni, spranghe e coltelli, picchiando tutti senza pietà", racconta Alibek Dikiev, studente di medicina ceceno che porta ancora i segni delle percosse sul volto. "Io sono svenuto e mi sono risvegliato in prigione. Lì ci hanno fatto firmare dei fogli. Il giorno dopo ci hanno consegnato le copie dei documenti firmati: c’era scritto che avevamo creato disordini usando linguaggio osceno in un luogo pubblico, reagendo con la violenza alle proteste di alcune persone, e che per questo dovevamo pagare una multa di 500 rubli".

Da allora, nonostante la chiusura delle moschee e l'incarcerazione di molti leader islamici locali, l'estremismo anti-governativo non ha fatto che aumentare. Lo Yarmuk ha evidentemente fatto proseliti. E ora ha fatto anche scorta di armi, ed è pronto per varcare un nuovo Yarmuk, lanciandosi alla conquista di un'altra provincia da inglobare nell' Emirato islamico del Caucaso settentrionale sognato da Shamil Basayev. Ma rischiando solo di trasformare la Cabardino-Balcaria in una nuova Cecenia.

Enrico Piovesana 18/12/2004

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