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Moschee nelle città italiane: si o no?

Pubblicato sul Foglio giovedì 26 maggio 2011

Paolo Branca, docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano e islamologo di riferimento della curia vescovile di Milano dice al Foglio che la decisione del cardinale arcivescovo Dionigi Tettamanzi di offrire il proprio assenso alla costruzione di una grande moschea a Milano, consenso condiviso due giorni fa anche dal segretario della Conferenza episcopale italiana Mariano Crociata, “è solo un primo timido passo verso un’apertura al mondo islamico che dovrebbe essere ben maggiore”.

Al di là delle polemiche elettorali, dice, “la realtà è che oggi, come un saggio di Stefano Allievi – studioso vicino all’islamista Tariq Ramadan, ndr – intitolato ‘La guerra delle moschee dimostra, parlare delle moschee senza costruirle significa non tenere conto dei fatti: l’islam non è soltanto un minareto o un’aula di preghiera, è anche un velo, un burqa, una macelleria halal, un fedele che si inginocchia su di un pezzo di cartone per strada e che prega rivolto verso la Mecca, è uno stile di vita ormai dentro lo spazio pubblico e come tale inestirpabile.

Impossibile pensare di poter eliminare la questione con un colpo di spugna. Complessivamente in Europa in musulmani sono 16.790.000, per un totale di quasi 11 mila moschee (per la precisione 10.989). In Italia ci sono più di 700 moschee clandestine. E ancora dobbiamo dibattere se è legittimo costruirne una?”.

Milano è la città dove Branca tiene le fila della “Cattedra del dialogo”, un luogo di incontro e confronto tra esponenti di diverse religioni nato dalle ceneri della “Cattedra dei non credenti” del cardinale Carlo Maria Martini. Un luogo che secondo alcuni corona un modello di multiculturalismo remissivo, relativista e buonista.

Scrive sul Giornale Magdi Cristiano Allam che il modello Tettamanzi è “figlio di una ideologia del relativismo che coltiva il sogno di una Milano multiculturalista dove dovremmo azzerare tutto ciò che siamo” e dove “dovrebbe trionfare una nuova civiltà espressa dalla sommatoria quantitativa delle rivendicazioni di tutti coloro che man mano arrivano, piantano la loro tenda e dettano le loro condizioni”.

Dice Allam che gli imam nelle moschee fanno ciò che vogliono. Così accade in viale Jenner dove Abdelhamid Shaari presiede una moschea “centrale del terrorismo islamico tanto è vero che il suo imam Abu Imad sta scontando una condanna di 3 anni e 8 mesi”.

Risponde Branca: “Allam parla così perché probabilmente ha vissuto un’esperienza non facile nell’islam. Ma alle sue parole rispondo coi fatti. A Segrate alle porte di Milano c’è un moschea talmente piccola che nei giorni di preghiera quasi nessuno riesce a entrare. In Italia oltre a quella di Segrate ci sono soltanto altre due moschee ufficiali: quella di Catania e quella di Roma. I musulmani sono complessivamente un milione e trecentomila. Si può far finta di niente? Milano non può. Se il problema è che in alcune moschee si fa propaganda terroristica allora controlliamo che non si faccia. Ma diamo ai musulmani un luogo di preghiera. E’ una questione di civiltà oltre che di ordine pubblico. La curia non è la sede del dialogo relativista. E’ l’istituzione che nel 1990 scrisse, firmata da Martini, la lettera ‘Noi e l’islam’ che ancora oggi viene letta come esemplare quanto ai rapporti tra cattolici e musulani. Si dice che il dialogo non deve tradire la propria identità ma che insieme è impossibile dialogare se preventivamente si chiudono le porte. Qui stiamo semplicemnente parlando di un grande luogo di preghiera che, se costruito in modo ‘monumentale’, potrebbe attrarre tanti turisti”.

Sulla moschea la chiesa milanese sembra spaccata in due. Chi vuole la moschea viene descrirtto come un prete di sinistra stile don Colmegna. Chi non la vuole come un sovversivo vicino agli ambienti ciellini. “Questa divisione” dice Branca “ è quella che non permette di vedere le cose con il distacco necessario per comprenderle. Pensiamo a quando i musulmani manifestarono in piazza San Babila e poi arrivarono a pregare sul sagrato del Duomo di Milano. Per molti fu l’occasione per attaccare Tettamanzi e la “sua” chiesa che non si ribellò alla “profanazione” di un luogo caro alla cristianità occidentale. Questo attacco non permise di comprendere cosa diceva a Milano quel gesto. Diceva che i musulamani sono una relatà da non trascurare. E che con loro occorre dialogare. Infatti quegli stessi che pregarono in piazza Duomo il giorno successivo andarono da Tettamanzi e gli chiesero scusa per l’‘indelicatezzza’. Ma in pochi notarono la cosa”.

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