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Jihad in Europa : il Daghestan.

di Enrico Piovesana http://www.peacereporter.it

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La guerra in Cecenia ha ormai contagiato il vicino Daghestan.

Il Daghestan (il cui nome significa "Paese delle Montagne") è stato annesso all'Unione Sovietica nel 1921. Nel 1991 è diventata una Repubblica autonoma, e l'anno successivo è entrata a far parte della Federazione Russa. Nel 1999, migliaia di guerriglieri islamici provenienti dalla vicina Cecenia hanno invaso le regioni occidentali del Paese nel tentativo di "liberare" il Daghestan dalla dominazione russa e di farne uno Stato islamico federato a quello ceceno. Un'ipotesi che non suscita alcuna simpatia tra la popolazione daghestana.  Mosca, che proprio in quel periodo stava progettando di costruire in Daghestan un oleodotto che aggurasse l'instabile territorio ceceno, inviò 20 mila soldati e riuscì, con non poche difficoltà, a respingere i mujaheddin in Cecenia. I bombardamenti dell'aviazione russa causarono molte vitime tra i civili daghestani e almeno 10 mila profughi. 
Questi fatti, assieme alla sanguinosa ondata di attentati ceceni che nello stesso periodo colpirono la Russia causando oltre 300 morti, portarono Mosca a iniziare la seconda guerra cecena (la prima si era combattuta tra il 1994 e il 1996).
Il Daghestan non è mai stato un posto tranquillo e sicuro. Le faide tra i clan mafioso-politico-tribali che si spartiscono il controllo del territorio fanno parte della tradizione di questo Paese. Ma da alcuni mesi i rapimenti e gli assassini hanno lasciato il posto a combattimenti, attentati, rastrellamenti, insomma a un clima di vera e propria guerra. La stessa guerra che da dieci anni si combatte nella confinante Cecenia e che pian piano sta contagiando tutte le repubbliche islamiche del Caucaso russo.

La diffusione in Daghestan dell’Islam radicale e dell’ideologia jihadista anti-russa è iniziata anni fa ad opera di predicatori ceceni e arabi, trovando terreno fertile in una società prostrata dalla miseria e abbandonata dalle istituzioni. Ma è stata la violenta reazione poliziesca e militare delle autorità locali e federali a provocare, per controreazione, proprio quello che volevano scongiurare, ovvero la formazione in Daghestan di una guerriglia armata islamica strettamente collegata a quella cecena.

Gli emiri della jihad daghestana. 

Due sono gli emiri (i comandanti) della jihad daghestana.  Rasul Makasharipov, detto Muslim, ex interprete del defunto guerrigliero arabo Khattab e referente locale di Basayev. Lui ha fondato e il movimento armato Jennet(paradiso, in arabo), che da gennaio ha cambiato nome in Shariat, sigla con cui è stata rivendicata l’uccisione (in agguati e attentati) di decine di poliziotti e politici daghestani.


L’altro è Rabbani Halilov, emiro del movimento Mujaheddin del Daghestan, il braccio daghestano della struttura militare della guerriglia indipendentista cecena.Lo scorso 15 marzo entrambi hanno ufficialmente dichiarato la loro fedeltà al nuovo leader indipendentista ceceno succeduto a Mashkhadov, Abdul-Halim Sadulayev, da essi riconosciuto come “emiro del Caucaso e di tutti i musulmani di Russia”.Ufficiale di collegamento tra i due gruppi daghestani e il Consiglio militare della resistenza cecena (Majlisul Shura) è il comandante del ‘Fronte Orientale’ della guerriglia cecena, Ahmad Avdorhanov, detto l’emiro di Gudermes, considerato il più importante leader ribelle ceceno dopo il defunto Mashkhadov e il famigerato Basayev.

Le spedizioni daghestane di Kadyrov. 

All’inizio di marzo, nel distretto di Nojay-Yurt (nel sud-est della Cecenia, a ridosso del confine con il Daghestan) centinaia di guerriglieri ceceni comandati dall’emiro di Gudermes sono stati accerchiati da millecinquecento miliziani kadyroviti, i collaborazionisti ceceni filorussi. Dopo giorni di battaglie, Avdorhanov e i suoi uomini sono riusciti a fuggire dall’accerchiamento dei kadyroviti scappando in Daghestan attraverso le montagne e rifugiandosi oltreconfine nel distretto di Khasavyurt.

Nei giorni successivi Ramzan Kadyrov, comandante dei collaborazionisti ceceni oltre che vice primo ministro del governo ceceno filorusso, ha iniziato a indicare nel Daghestan occidentale la nuova retrovia dei ribelli ceceni, nel distretto di Khasavyurt il loro nuovo rifugio sicuro, quello che una volta erano le Gole del Pankisi in Georgia. Kadyrov (che nel Khasavyurt vende di contrabbando il petrolio ceceno e che per questo non vuole intralci al suo business) è subito passato dalle parole ai fatti iniziando a organizzare spedizioni delle sue milizie in territorio daghestano, a caccia di ‘boeviki’. La più clamorosa lo scorso 20 aprile nel villaggio di Toturbikala, nel distretto di Khasavyurt, dove diceva si nascondesse un emiro ribelle: centinaia di kadyroviti hanno circondato e saccheggiato il villaggio scatenando la violenta reazione degli abitanti che, armati di fucili e forconi, hanno costretto gli assalitori alla ritirata. I giorni successivi in tutti i villaggi del Khasavyurt la gente ha inscenato proteste antigovernative minacciando di scatenare anche in Daghestan una rivolta armata indipendentista contro il locale governo filo-russo di Makhachkala accusato di tradire il popolo daghestano.

La autorità daghestane hanno subito accettato la sfida: il 26 aprile hanno stretto un accordo ufficiale con il governo ceceno filorusso al fine di coordinare le azioni antiguerriglia nel Daghestan.Ora il fronte è unito sia dalla parte della guerriglia islamica che da quella governativa filorussa.Una nuova guerra può cominciare.  

di Enrico Piovesana 30/05/2005

Quando la jihad diventa trendy.
In Daghestan la guerriglia islamica fa proseliti tra i giovani universitari delle famiglie bene

A ingrossare le fila della sempre più forte guerriglia islamica daghestana non sono più solo ragazzi poveri, ignoranti e disoccupati. Il ministero dell’Interno della repubblica russa del Daghestan ha infatti denunciato nei giorni scorsi una realtà che nessuno sospettava: si stanno moltiplicando i casi di studenti universitari di buona famiglia, spesso figli di funzionari governativi, che abbandonano gli studi per unirsi ai ribelli sulle montagne.

Gioventù bruciata. 

Nel solo mese di novembre è emerso che almeno nove studenti dell’Università di Makhachkala di cui era stata denunciata la scomparsa si sono uniti alla Jamaat Shariat, il fronte daghestano della guerriglia islamica che dalla Cecenia è dilagata nelle confinanti repubbliche del Caucaso del nord. La jihad starebbe diventando quasi una moda tra gli universitari daghestani, attratti dal romanticismo della vita da ribelli nei boschi e sedotti dall’ideologia rivoluzionaria integralista, conosciuta tramite i ‘reclutatori’ che bazzicano gli atenei Makhachkala. Ragazzi insospettabili di venti, venticinque anni che, insoddisfatti dalle loro vite, decidono di abbracciare l’ideologia wahabita e di imbracciare il kalashnikov.

Violenze e vendette. 

Ciononostante, la gran parte dei ‘barbuti’ daghestani rimane composta da ragazzi dei miseri villaggi dell’entroterra e delle montagne che scelgono la jihad o per disperazione o per vendetta. La grave arretratezza, la povertà e la disoccupazione che affliggono il Daghestan – governato da una classe politica corrotta e malavitosa – spingono molti ragazzi a scegliere la lotta armata. Molti altri si arruolano invece pervendicare le violenze contro amici e parenti commesse dalla polizia e dai soldati nelle sempre piùfrequenti “operazioni antiterrorismo” del governo: vere e proprie spedizioni punitive contro i villaggi sospettati di ospitare ribelli.

La guerriglia alza il tiro. 

Esecuzioni extragiudiziali, arresti illegali e torture in carcere sono diventate sempre più frequenti in Daghestan: basta avere la barba lunga per finire tra i “sospetti terroristi”. Una cieca repressione che non fa che fornire nuovi proseliti alla causa jihadisti.Dal canto loro i mujaheddin di Jamaat Shariat, guidati dal loro nuovo emiroAbdul Majhid, stanno alzando il tiro dei loro attacchi e dei loro omicidi mirati. Dopo aver preso di mira principalmente agenti della polizia federale, visti come il simbolo del dominio degli “infedeli” russi (soloquest’anno ne sono stati ammazzati 31), i ribelli ora puntano il mirino contro politici e alti funzionari, come dimostra il recente assassinio di un parlamentare e di un giudice della Corte Suprema.  

Enrico Piovesana 19/12/2007

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