SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
I mille volti del vero islam

di Sandro Magister -http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1341613- ROMA, 4 gennaio 2010

Anna e i suoi fratelli. In un libro che illumina come pochi, una giovane italo-marocchina racconta di sé e dei suoi tanti parenti musulmani. Amori, rovine, passioni, fanatismi. E l'Europa come sogno incompiuto. Un islam multiforme e sconosciuto. Tutto da scoprire .

Il nuovo anno si apre con l'ansia di nuovi attacchi terroristici di musulmani all'Occidente. Anche ad opera di nemici cresciuti in casa, in quell'Europa nella quale si sono stabiliti, ma senza integrarsi.
Nell'opinione diffusa, islam e islamismo rischiano sempre più di diventare sinonimi. Il "volto" pubblico dell'immigrato musulmano finisce schiacciato su un profilo radicale e violento.
Ma che la realtà del mondo musulmano sia molto diversa, ci vien detto e mostrato in modo convincente da questo stesso mondo, se appena lo si guarda e ascolta senza pregiudizi.
Una delle voci musulmane più significative è, tra le tante, quella di Khaled Fouad Allam, italo-algerino, professore alle università di Trieste e di Urbino.
In un editoriale dello scorso 9 settembre sul quotidiano dei vescovi italiani, "Avvenire", Allam ha scritto che l'islamismo violento non è affatto in espansione, oggi, tra i musulmani, nemmeno in un paese come l'Algeria dove pure negli scorsi decenni ha fatto migliaia di vittime:

"Certo, esiste la frangia magrebina di Al Qaeda, capace sempre di colpire. Ma oggi, rispetto al passato, questo e altri movimenti sono divenuti movimenti di élite, formati da intellettuali precarizzati o da giovani attratti dalla narrazione ideologica, e non hanno più la base sociale di cui godevano quindici anni fa. Oggi  i ragazzi algerini sognano l'Occidente e l'Europa non solo perché cercano una vita agiata, come i loro genitori negli anni Sessanta e Settanta, ma in quanto libertà. E mentre in vari Stati musulmani i governi spingono a una reislamizzazione in senso ortodosso, in questi stessi Stati avanzano i processi di secolarizzazione, che investono la fede religiosa. La Turchia è esemplare in questo senso".

Khaled Fouad Allam è un'analista e interprete di notevole acutezza di ciò che avviene nella cultura e nella pratica musulmana. Un anno fa fu sul punto di diventare una firma regolare de "L'Osservatore Romano" proprio per scrivere di questi temi. Ma a un primo articolo, pubblicato il 30 novembre 2008, non ne seguirono più altri.

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Un'altra voce musulmana assolutamente da ascoltare è quella di Anna Mahjar-Barducci (nella foto), residente in Italia, giornalista e scrittrice, nata da madre marocchina e da padre italiano, sposata a un ebreo israeliano di nome David.

Agli occhi dell'islam ortodosso, il matrimonio suo e quello di sua madre con un uomo di altra religione sono inaccettabili, un'apostasia. Ma in Marocco l'opinione prevalente non è affatto così rigida. Nel 2006, il film più visto in quel paese fu "Marock", una storia d'amore tra una giovane musulmana che vuole liberarsi dai dogmi religiosi e un attraente ragazzo ebreo.

Da poche settimane è in libreria in Italia un racconto autobiografico, scritto da Anna Mahjar-Barducci, dal titolo "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa".
Il libro è un vivido affresco del quartiere della città del Marocco in cui abitano i numerosi famigliari della scrittrice, di cui si raccontano le storie.
Alcuni di questi suoi parenti vanno e vengono tra il Marocco e l'Europa. Ma ciò che più sorprende del racconto è che nessuno di loro assomiglia a un altro. Sono tutti musulmani, ma diversissimi. Il breve capitolo riprodotto più sotto mostra nel modo più efficace la realtà di questo multiforme "islam individuale".

Tutti sognano l'Europa. Ma nessuno di loro riesce a integrarsi nel paese in cui emigra. Neppure l'autrice, che pure è cittadina italiana. In un altro capitolo del libro, ella racconta che in Italia, ad aggravare questa separatezza, sono proprio altri suoi correligionari immigrati:

"Quando vedo un magrebino per la strada, mi tocca cambiare tragitto. Comincia a salutarmi in arabo e mi fissa come se fossi di sua proprietà. Una volta che ero in una pizzeria con un compagno di scuola, un marocchino mi chiamò 'sharmuta', prostituta, e mi disse che non potevo uscire con un italiano. Dovette intervenire il padrone del locale, per mandarlo via. In Marocco non succederebbe mai una cosa del genere".

In altri suoi scritti, Anna Mahjar-Barducci ha spiegato che le difficoltà ad integrarsi nei paesi europei provocano in molti musulmani emigrati una "perdita d'identità". E questo li può far cadere nella rete degli islamisti radicali, che offrono loro proprio una identità forte e sicura, che li fa sentire non più soli, ma parte di grande comunità. "Così si possono vedere a Milano ragazzi di origine magrebina che neppure parlano più l’arabo, ma con barbe lunghe e con abiti che in Marocco nessuno di loro indosserebbe".

Il capitolo qui riprodotto di "Italo-marocchina" mostra anche questo. Tra i personaggi descritti, il solo che si è fatto islamista radicale lo è diventato per contraccolpo di una disordinata vita da emigrato in Francia. Ma ecco altri dettagli per seguire con più facilità il racconto.

Le sorelle Zaynab e Lamia sono due giovani cugine dell'autrice del libro. Leila è la loro madre. Loro padre, Karim, dopo una vita dissoluta si è convertito al fondamentalismo. Rachid, altro zio dell'autrice, è un ex militare del generale Oufkir, autore nel 1972 di un fallito rovesciamento della monarchia in Marocco e prima ancora, nel 1965, dell'eliminazione del leader socialista Ben Barka. Groupe Six è il quartiere della città marocchina di Kenitra ove l'autrice del libro è tornata a incontrare i suoi parenti. La jillabah è una tunica larga indossata in vari paesi arabi, che in Marocco ha il cappuccio. L'ashura è la principale festa dei musulmani sciiti. I marabut sono guide religiose che vanno di casa in casa. La umma è l'insieme di tutti i musulmani del mondo.

Ed ecco il capitolo del libro.

Islam individualedi Anna Mahjar-Barducci
(Da "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa", pp. 91-94)

La mattina, Zaynab mi svegliò con un urlo. Era andata presto a comperare i biglietti per il concerto di Cheb Khaled a Casablanca. Sicuramente una delle notizie migliori della giornata. Non vedevo l'ora di vederlo dal vivo.

Lamia andò fuori casa a parlare al cellulare. Zaynab mi disse che stava chiamando Fahd: si trovava a Casablanca per qualche giorno e avrebbe potuto rivederlo al concerto. Quando tornò in camera, non ci raccontò nulla. Poi la vidi indossare la jillabah sopra la maglietta di Zinedine Zidane e mettersi il velo. Andò nella stanza accanto e iniziò a pregare. Ero confusa. Suo padre poteva averla contagiata. Nessuno nella mia famiglia aveva mai pregato, a parte Karim, che non era certo un esempio da seguire. Rachid, quando la vide, fece una faccia perplessa: "Lamia!", urlò lo zio dal divano. "Stai pregando verso l'America! La Mecca è dall'altra parte". Scoppiammo tutti in una risata.

La mia famiglia era composta principalmente da donne. Tutte noi ci consideravamo musulmane; ma ognuna aveva il suo modo di interpretare la religione. Ognuna, infatti, aveva il suo islam personale. Per mia madre, essere musulmana significava semplicemente credere in Dio. Per mia zia Samia, significava avere un'identità. Per Zaynab e Maryiam voleva dire non dimenticare le proprie origini. Osservare i precetti religiosi per noi era secondario. Eppure, vedere Lamia pregare mi aveva impressionato. Rispettavo la sua scelta personale, ma, dopo la visita del marabut, avevo paura che si chiudesse al mondo, come aveva fatto suo padre. Rachid, invece, era un panarabista, e la religione non gli interessava. Diceva di essere musulmano per nascita e ateo per scelta.

Pochi anni prima, avevo incontrato a Venezia Abdennour Bidar, un professore francese di filosofia, di fede islamica. Mesi dopo, mia cugina Zaynab mi spedì dalla Francia un libro di Bidar, intitolato "Self Islam": ovvero l'islam dell'individuo, come io stessa lo definivo. Cominciai immediatamente a leggerlo, sicura che vi avrei trovato la descrizione della mia famiglia. [...]

Leila e le mie cugine rispettavano il Ramadan. Mia zia Samia, invece, durante quel periodo continuava a mangiare; ma nessuno della mia famiglia avrebbe osato dirle che per questo non era musulmana. Dopo tutto, la maggior parte dei nostri vicini, a Groupe Six, formalmente digiunavano durante il Ramadan, ma poi mangiavano di nascosto tappati in casa. Prima di uscire, però, con molta ipocrisia si grattavano leggermente la lingua con le unghie per farla diventare bianca, come se avessero digiunato. C'era invece chi il Ramadan lo rispettava per tutto il mese; e poi durante gli altri giorni dell'anno beveva vino e superalcolici.

Nella mia famiglia, inoltre, la umma non sapevano nemmeno che cosa fosse. Zaynab, presa a volte da pulsioni panarabiste, diceva "noi arabi"; ma l'unico "noi" che era sempre esistito a casa mia era la nostra famiglia. In Marocco eravamo tutti sunniti; e a Groupe Six non sapevano nemmeno cosa fossero gli sciiti. Quando ero piccola, però, il giorno dell'ashura, a Kenitra sembrava di essere a Teheran. Uomini vestiti di bianco si battevano la testa con coltelli fino a quando non usciva loro il sangue, come facevano i seguaci di Ali. Pensai che forse eravamo anche noi sciiti senza saperlo. Non ne avevo le prove, ma mi piaceva quella combinazione di tradizioni. Mia madre, però, quando vedeva un uomo con la barba da fondamentalista, lo chiamava Ayatollah. Quella, era per lei il massimo dell'offesa.

Mio zio Rachid, alzandosi dal divano per uscire a fumare, guardò nuovamente Lamia pregare con l'indice puntato verso l'alto. Poi si avvicinò verso di me in cucina, per parlarmi.

"Tu mi accusi sempre di aver sostenuto Oufkir. Sei anche convinta che, se Ben Barka fosse stato vivo, la storia del Marocco sarebbe stata migliore", mi disse sottovoce. "Il vero pericolo per il paese ce l'abbiamo in casa. Quelli come quell'asino di tuo zio Karim prima rovinano la vita alla famiglia, poi si fanno un bernoccolo in fronte pregando, e per redimersi pensano di poterci togliere le nostre libertà. Non lo vedi?".

Quella fu la conversazione più lunga che ebbi mai con mio zio Rachid. Lo guardai uscire dalla porta, sedersi sullo scalino e accendersi nervosamente una sigaretta con un fiammifero, guardandosi intorno pensieroso.



Il libro: Anna Mahjar-Barducci, "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa", prefazione di Vittorio Dan Segre, Diabasis, Reggio Emilia, 2009.

Anna Mahjar-Barducci ha fondato e presiede in Italia l'Associazione Arabi Democratici Liberali, il cui sito è anche in inglese: www.arabidemocraticiliberali.com
L’Associazione opera assieme a un istituto di ricerca di Erbil, nel Kurdistan iracheno, nato per promuovere il dialogo religioso e inter-etnico: www.tolerancy.org
Gli scritti prodotti dall'Associazione Arabi Democratici Liberali escono su media arabi come la tv Al-Arabiya, il quotidiano saudita con base a Londra "Al-Awsat", il settimanale marocchino "Tel Quel", il libanese "Daily Star" e il settimanale iracheno "Al-Ahali"-

Lo scorso 21 ottobre, sul settimanale "Tempi", Anna Mahjar-Barducci è intervenuta a proposito delle discussioni in corso in Italia sull'integrazione degli immigrati e sulla concessione in tempi più brevi della cittadinanza: "Sono italo-marocchina..." L'articolo termina così:

"Quando leggo sulle pagine dei quotidiani italiani il dibattito sulla concessione della cittadinanza agli immigrati dopo soli cinque anni di residenza, rimango un po’ attonita. Infatti, dalle dichiarazioni di questi giorni sembra che dimezzare il tempo di attesa sia di per sé un elemento che faciliti automaticamente l’integrazione dell’immigrato. Ma forse altro non è che un escamotage per non trattare in maniera appropriata vere politiche di integrazione, che ancora mancano. C’è invece la necessità, per esempio, di promuovere corsi di italiano e di alfabetizzazione gratuiti, di creare modelli e attività sociali per i figli di immigrati, di istituire centri di aiuto e di empowerment per le donne immigrate, di controllare le moschee, di formare imam che abbraccino scuole di pensiero moderno, eccetera. Senza l’adozione di politiche reali che permettano all’immigrato di fare propria l’identità italiana, tutto rimarrà uguale, non importa che la cittadinanza venga data prima o dopo. Continueremo soltanto a vantarci inutilmente di vivere in un’Italia 'multiculturale', quando il multiculturalismo senza integrazione ha sempre creato soltanto ghettizzazione. E avremo altri padri come quello di Sanaa, che uccideranno le loro figlie, ma questa volta con la cittadinanza italiana".

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