SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Un esperto risponde sul dialogo tra cristiani e buddisti.

fonte : Nuova Umanità XXIX (2007/2) 170, pp. 271-276

PER IL DIALOGO CRISTIANO-BUDDISTA.
INTERVISTA CON DONALD W. MITCHELL

Donald W. Mitchell è professore nel Dipartimento di Filosofia della Purdue
University negli Stati Uniti e membro del Movimento dei Focolari. È specializzato
in filosofia buddista e autore di numerose pubblicazioni sul dialogo interreligioso.
Per gentile concessione riportiamo questa intervista rilasciata alla rivista
«Unità e Carismi».

È stato detto che forse il dialogo interreligioso più impegnativo è proprio quello con i buddisti. Sappiamo che recentemente a Osaka lei ha avuto l’opportunità di partecipare ad un Simposio cristianobuddista. Ci può dire qual è stata la sua esperienza?

Ogni dialogo comporta delle sfide. Nel dialogo con il buddismo, certamente, la sfida maggiore scaturisce dal fatto che il buddismo non ha la nozione di un Dio creatore. L’universo e il mondo sono il semplice risultato del sorgere di elementi o fattori dovuti a forze casuali e condizioni prodotte dal karma. Il buddismo contempla divinità benevole nel cosmo, ma nessuna di loro è concepita esterna all’universo come sua creatrice. Allo stesso tempo, però, quando i buddisti presentano il loro pensiero sulla realtà ultima, sia essa il Nirvana o la Vacuità, la descrizione di tale realtà ha paralleli con la comprensione cristiana della natura divina.

A mo’ di esempio posso dire che negli ultimi vent’anni il dialogo su Dio e sulla Vacuità è stato veramente fruttuoso. Durante il dialogo tenutosi recentemente ad Osaka in Giappone abbiamo dovuto affrontare sfide particolari avendo noi cristiani presentato l’amore attraverso una “lente trinitaria”. Abbiamo discusso la nozione di Dio come Amore. La conversazione di Chiara Lubich sulla sua esperienza di Dio è stata molto forte e ha aperto gli occhi dei buddisti all’esperienza mistica di Dio. Durante il medesimo incontro un’anziana guida buddista associata con la scuola Tendai ha presentato la sua esperienza di pratica ascetica e visione mistica che è stata ugualmente modo molto forte e ha aperto gli occhi di noi cristiani alla profondità della pratica e dell’esperienza buddista. Al termine dell’incontro tutti, buddisti e cristiani, ci siamo sentiti portati a un nuovo livello di relazione.

Dopo l’ascolto della conversazione di Chiara uno dei più prestigiosi esponenti buddisti presenti all’incontro mi ha rivolto due domande: «Chi è la Trinità?» e «Chi è Gesù Abbandonato?». Queste due domande attestano come avesse colto il cuore del discorso di Chiara. Mancando il tempo per rispondere a entrambe le domande ho scelto di parlargli di Gesù Abbandonato. Ho fatto riferimento a una metafora buddista che afferma che la persona umana è come la statua dorata di Buddha ricoperta da cenci sporchi. In termini cristiani è come affermare che la dignità interiore della persona umana è ricoperta dai peccati. Gli ho quindi spiegato che durante la passione Gesù si è rivestito dei cenci (peccati) dell’umanità. Gesù era così ricoperto nella sua umanità da questi cenci sporchi da non potere più “sentire” la presenza di Dio. Ma facendo questo, Gesù versò dalla sua divinità lo Spirito Santo che ci libera dagli stracci che Lui aveva preso su di sé e ci porta alla scoperta della nostra vera dignità di figli e figlie di Dio.

In tanti dilaga l’idea che il buddismo sia una religione “senza Dio”, anzi, c’è chi qualifica i buddisti come “atei”. Secondo lei, questa visione è adeguata, oppure è un semplice pregiudizio?

Per esempio, dal punto di vista dei romani anche i primi cristiani erano accusati di ateismo. I buddisti non vogliono essere chiamati “atei”. Preferiscono essere considerati “non-teisti” (senza un Dio specifico). In altre parole essi non hanno il concetto di un Dio creatore così come lo abbiamo nel cristianesimo. Ciò non significa però che hanno rigettato il concetto di Dio creatore : semplicemente non è parte della loro esperienza, del loro insegnamento (Dharma) o della loro pratica.
Bisogna ricordare che i buddisti credono in esseri superiori di natura spirituale. Molti buddisti, infatti, credono nell’esistenza di innumerevoli Buddha e bodhisattva celestiali che influenzano gli esseri umani con le loro benedizioni. Queste benedizioni e relazioni con questi esseri celestiali sono ritenute preziose allo sviluppo della vita spirituale.

Va anche detto però che la vera liberazione non può essere “data” da un Buddha o un bodhisattva celestiale… ma può essere raggiunta solo dal singolo individuo che segue il suo cammino personale. Ci si potrebbe domandare se i buddisti siano veramente “senza Dio” essendo il termine Dio assente dal vocabolario religioso buddista. Se guardiamo alla vita di molti buddisti non possiamo non essere colpiti dalla loro santità, profonda illuminazione, compassione universale e amorosa sollecitudine. Si ha l’impressione che lo Spirito Santo sia al lavoro nelle loro vite in modo profondo.
I cristiani possono sperare di rendere esplicito ciò che è implicito al riguardo. Conosco personalmente famose e autorevoli guide buddiste che sono giunte a credere in Dio attraverso i loro contatti con cristiani. E non considerano questa loro fede in Dio come contraddittoria con la loro religione in quanto essa non è “atea”.

Tra i buddisti il concetto di “nulla” ha un valore importante, così come tra i mistici cristiani. È possibile stabilire una vicinanza tra le due prospettive? Quali sono le differenze?

È un tema trattato in molti libri. In breve vorrei dire che ci sono molte similitudini con la pratica ascetica, la kenosis, il perdere, lo svuotamento di se stessi, l’umiltà, la povertà di spirito. Sia nel cristianesimo che nel buddismo l’individuo lavora con la mente ed il cuore che sono gli stessi per tutti gli uomini.
A livello teologico vi sono altri aspetti che presentano alcune differenze.
Per von Balthasar, vi è una Ur-Kenosis trinitaria interiore nell’autosvuotamento e nell’auto-donarsi reciproco delle tre persone della Trinità. È questa la base sia di una kenosi donata – un divino auto-svuotamento come nelle Notti Oscure – sia della possibilità di una kenosi donata “comune” come l’auto-svuotamento necessario per una unità collettiva ad immagine della Trinità.

Questi aspetti non li troviamo nel buddismo. Nella filosofia buddista il “nulla”, o Sunyata, si riferisce anche all’interrelazione nell’universo dove tutti gli esseri sono “vuoti” di indipendenza. Tutti gli esseri sono se stessi in un interdipendente nesso di relazione che rende tutte le cose ciò che sono. La dinamica di questa interrelazione è la compassione, così che tutti gli esseri, nella loro condizione più profonda, svuotano se stessi per sola compassione verso gli altri. Questo potrebbe essere qualcosa di simile a ciò che Chiara Lubich ha sperimentato: nella natura tutte le cose si amano dinamicamente le une le altre. Per i buddisti la sfida è scoprire il livello più profondo della fondamentale interdipendenza compassionevole e vivere ciò nella vita quotidiana.

L’idea buddista di Nirvana è certamente diversa dall’idea cristiana di cielo o paradiso. Ciò nonostante, è possibile trovare qualche rapporto tra queste due idee?

Per noi sì, perché Buddha si serviva dei «Quattro Stati Divini » («Four Divine Abodes») per descrivere il Nirvana. Questi sono: la bontà, la compassione, la gioia di empatia e la serenità. Tutte e quattro sono virtù di relazione. Quindi, quando il Nirvana presuppone una libertà dagli attaccamenti, questo distacco è in funzione di queste virtù di relazione. Di conseguenza, se dopo la morte il Nirvana include queste quattro virtù di relazione, si deve dedurre che alcune forme di relazione devono aver luogo nel Nirvana. Questa possibilità rende il Nirvana un po’ più simile al paradiso cristiano.

Due motivi, invece, rendono difficile ai buddisti il confronto tra paradiso cristiano e Nirvana. Anzitutto essi non pensano al Nirvana come a un “luogo”, ciò che invece pensano quando sentono il termine paradiso. In secondo luogo, alcuni buddisti credono all’esistenza di regni divini o celesti dove la gente può andare dopo la morte. Ma questi regni celesti sono pensati ancora all’interno del cosmo e sono esattamente i luoghi dove i Buddha celestiali e i bodhisattva risiedono, rimanendo all’interno del mondo, per essere fonte d’aiuto e benedizione per gli altri. Se un individuo entra in uno di questi regni celesti dopo la morte significa che deve ancora progredire nella vita spirituale per poter raggiungere il Nirvana. È a questi regni celestiali che alcuni buddisti pensano quando sentono i cristiani parlare del paradiso.

Al di là delle ovvie differenze, è possibile un collegamento tra la compassione della tradizione buddista e l’amore di donazione cristiano?

Molti buddisti amano la frase di san Paolo che dice: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Essi avvertono le limitazioni della vita ordinaria che limita gli sforzi tesi a vivere la compassione e la benevolenza. Ma trovano anche in se stessi la sorgente della vita spirituale che trascende questi limiti e che porta la loro compassione ad essere ciò che essi chiamano la “Grande Compassione”, vale a dire una compassione universale che abbraccia tutti gli esseri senzienti equamente, amici e nemici allo stesso modo. È questo tipo di compassione che rende l’intera vita di un individuo un dono per gli altri. Noi cristiani vediamo l’amore cristiano come un dono versato nei nostri cuori dallo Spirito Santo, che è condivisione della stessa vita di Dio-Amore con l’umanità attraverso la passione e morte di Gesù Cristo. È questo lavoro dello Spirito Santo la sorgente della “Grande Compassione” dei buddisti? Questa domanda è ancora oggetto di dibattiti.

Secondo lei, cosa possiamo o dobbiamo imparare dai buddisti?

Quando incontro una persona buddista molto santa… qualcuno che è saggio, semplice, gioioso, benevolo, compassionevole, pieno di pace, libero da attaccamenti ai piaceri del mondo e alle ricchezze… mi sento umile. Dio, attraverso Cristo ha donato a noi cristiani tantissime grazie e doni d’amore e luce con i sacramenti della Chiesa, con lo Spirito Santo versato nei nostri cuori, con la stessa Parola di Dio, con la comunione dei santi. Ma spesso accade che non apprezzo o non mi avvalgo di questa bontà dell’amore di Dio per me. Dal buddismo imparo e ammiro la capacità di penetrazione del Dharma dei suoi seguaci, l’impegno a seguire la loro “via specifica” e il raggiungimento di una vita santa. Questo mi spinge pienamente e umilmente verso la grande misericordia di Dio che sgorga da Gesù Cristo Crocifisso e Abbandonato.

a cura di CARLOS G. ANDRADE

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