SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Religioni audaci sulla via della pace

I cristiani : L'obiettivo perfetto
Mario Marazziti http://www.avvenire.it- Genn. 2011

Il nuovo decennio si è aperto con la strage di cristiani copti ad Alessandria d'Egitto. Ma in Iraq è emorragia e storia di attentati da anni. In Nigeria, a ondate, restano sul terreno intere comunità cristiane, negli scontri con gli estremisti musulmani. Il decennio scorso, quello che ha riabilitato la guerra come strumento per sostenere la democrazia e risposta al terrorismo omicida, si chiude con risultati deprimenti. I cristiani orientali rischiano di scomparire, dopo essere stati nella regione dai tempi di Gesù. Certo, non sono solo i cristiani le vittime. Tutte le grandi religioni mondiali sono alle prese con i loro estremisti interni, musulmani, hindu.

Fiorisce però un radicalismo fondamentalista che colpisce il nemico occidentale o cristiano o il proprio correligionario per conquistare la supremazia interna.

In Iraq le moschee sono un obiettivo privilegiato, anche se un «effetto collaterale» della guerra angloamericana all'Iraq, per la democrazia, è proprio la fine di una presenza cristiana di venti secoli e di una convivenza con l'Islam durata 1400 anni. E' paradossale. Il fondamentalismo alimenta minoranze suicide e in molti casi giovani terroristi, cresciuti nella cultura del nemico, in una grammatica della violenza e della semplificazione, che usa un linguaggio religioso proprio mentre distrugge anche il proprio mondo religioso. In questo panorama, i cristiani sono un obiettivo perfetto. Bersagli per avere risonanza, finti simboli dell'Occidente, vittime predestinate anche perché rappresentano personalità-ponte, con i poveri nel Sud del mondo, per il dialogo e la convivenza dal Medio Oriente al Pakistan.

E' per questo che Benedetto XVI parla per la prima volta di «cristianofobia». Senza i cristiani il mondo in molte aree rischia di deflagrare, o deve rassegnarsi ai compound etnico-religiosi, dalla Bosnia all'Iraq. Viene meno un argine allo scontro. La risposta del papa non è, però, il vittimismo, o il compattamento contro l'altro. Invita tutte le grandi religioni mondiali di nuovo ad Assisi, nel venticinquesimo anniversario dello storico incontro convocato da Giovanni Paolo II. In mezzo c'è un quarto di secolo di rapporti tenuti vivi anche in tempi difficili dalla Comunità di Sant'Egidio, a livello planetario. Non è la via del relativismo. Ma del dialogo come antidoto e necessità. Una proposta per «guarire» dalla violenza e interrompere una cultura dell'odio.

Assisi '86. Più delle armi può la preghiera
di A. Ricciardi -messaggero di S.Antonio genn.2011

Nel Novecento il messaggio di san Francesco è tornato nel cuore di tanti. André Vauchez, autore di una bella biografia del santo, si chiede: «Francesco profeta per il suo tempo... o per il nostro?». Il santo, così vicino al Vangelo, parla ancora alle donne e agli uomini contemporanei, nonostante i quasi otto secoli dalla sua morte. Così Assisi, la sua patria, è una meta per milioni di persone, attratte dal suo messaggio. Anche i papi sono tornati ad Assisi.

Giovanni XXIII, malato, vi andò pellegrino alla vigilia del Vaticano II. Giovanni Paolo II ha sentito con intensità il richiamo di Assisi.

Da giovane studente si era recato nella città di Francesco (qui nel 1251 era stato canonizzato san Stanislao, vescovo di Cracovia e modello caro al Papa per la sua resistenza al potere). A meno di venti giorni dall'elezione, prima di prendere possesso della cattedrale del Laterano, il cardinal Wojtyla va ad Assisi per ispirarsi a Francesco. Per lui il messaggio di Assisi è semplice e decisivo: il Vangelo in tutta la sua forza. Non deve sorprendere, allora, che Giovanni Paolo II nel 1986, quando decide di convocare i leader cristiani e delle grandi religioni per pregare per la pace, abbia pensato ad Assisi. La cittadina umbra non ha il peso istituzionale e storico di Roma.

Il Papa polacco sarebbe tornato ad Assisi parecchie volte. Nel 1993, per pregare per la pace nei Balcani con ebrei e musulmani. In seguito all'il settembre 2001, quando il mondo scivola verso lo scontro di civiltà e di religione, convoca ad Assisi gli esponenti delle comunità cristiane e delle grandi religioni. Il messaggio è chiaro: le religioni non giustificano il terrorismo e la guerra, ma pregano per la pace.

27 OTTOBRE - l'origine

I leader religiosi, riuniti insieme a Santa Maria degli Angeli, davanti alla Porziuncola, e poi di fronte alla Basilica di San Francesco, rappresentano forse la più popolare immagine religiosa del Novecento. Giovanni Paolo II sta umilmente in mezzo ai capi religiosi, come chi li ha invitati. Anzi, per spostarsi nella cittadina umbra, fuori da ogni protocollo papale, usa il pullman con tutti i leader. In un clima di semplicità, si rivela qualcosa di profondo, che è nel cuore del ministero del Papa: il servizio profetico alla pace. Tutti i Papi del Novecento sono stati testimoni di pace in un mondo travolto dalle passioni nazionalistiche e ideologiche, di fronte alle stragi delle guerre mondiali e delle tante guerre che avevano insanguinato il mondo. Mai, come nel XX secolo, il ministero del Papa è apparso anche come un servizio indefesso e profetico alla pace e all'unità dei popoli. L'incontro del 1986 si colloca in questa linea, tanto che la sua organizzazione viene affidata principalmente al cardinal Roger Etchegaray, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Non solo un evento interreligioso ed ecumenico, ma un avvenimento di pace fondato sul dialogo spirituale e sulla preghiera.

Pace, dialogo tra cristiani e non cristiani, invocazione di preghiera si intrecciano tra loro e costituiscono la trama dell'avvenimento. È stato un evento creativo rispetto alla Nostra Aetate, la dichiarazione del Vaticano II sul dialogo tra le religioni. Tale dialogo non spingeva a prefigurare un evento come Assisi. Il 27 ottobre 1986 deve tutto all'intuizione e all'iniziativa di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI ha così commentato: «L'inìziativa promossa vent'anni or sono da Giovanni Paolo II assume il carattere di una puntuale profezia. Il suo invito ai leader delle religioni mondiali per una corale testimonianza di pace servì a chiarire senza possibilità di equivoco che la religione non può che essere foriera di pace».

Infatti papa Wojtyla aveva intuito, ben prima dell'opinione pubblica, la rinascita fondamentalista, che spingeva a motivare religiosamente l'inimicizia tra religioni e a santificare la guerra. Era, d'altra parte, diffidente nei confronti del pacifismo dell'Est comunista che nascondeva un profondo bellicismo. Bisognava prevenire l'utilizzo delle religioni ai fini dello scontro o dell'odio tra i popoli. Inoltre, nel 1986, si era ancora in clima di guerra fredda e il crollo dell'Urss sembrava lontano.

Alla fine del Vaticano II, il vescovo brasiliano monsignor Helder Camara aveva prospettato una manifestazione in piazza San Pietro con esponenti delle religioni. Giovanni Paolo II riceve qualche sollecitazione come quella di Carl Fríedrich von Weizsàcker, fratello del presidente tedesco che chiede un «Concilio della pace» tra i cristiani. L'idea si allarga alle religioni  come ha testimoniato il cardinal Johannes Willebrands (figura chiave dell'ecumenismo) tutti coloro che, impegnati sul piano religioso, credono nella preghiera e riconoscono la pace come dono trascendente». L'evento di Assisi, nel 1986, rivela il primato morale assunto dal pontificato con Wojtyla, capace di convocare i leader religiosi e di parlare autorevolmente di pace. L'arcivescovo anglicano Robert Runcie ha affermato: «Solo il servizio petrino poteva convocare una simile assemblea».

NIENTE PACE senza preghiera

Il 27 ottobre è una giornata di digiuno e di preghiera. È un'immagine semplice e affascinante: i leader delle differenti religioni riuniti insieme pregano non più «gli uni contro gli altri», come sottolinea il Papa. Sono gli uni accanto agli altri, non confusi, per evitare il sincretismo. Giovanni Paolo II rivendica il carattere religioso dell'impegno per la pace. Crede al valore della preghiera per la pace, al «legame intrinseco  come afferma  che unisce un autentico atteggiamento religioso e il grande bene della pace». L'avvenimento di Assisi è, per il Papa, la riaffermazione del «valore unico che la preghiera ha per la pace; e anzi  ricorda alla Curia nel dicembre 1986  non si può avere la pace senza la preghiera, e la preghiera di tutti, ciascuno nella sua identità e nella ricerca della verità». Assisi 1986 manifesta plasticamente qualcosa del messaggio wojtyliano: le religioni (tra di esse soprattutto i cristiani) non debbono perdere la loro identità, ma vivere insieme in pace, esprimendo la loro dimensione spirituale, che fonda la vera pace. Questo messaggio diventa una proposta al Inondo contemporaneo, dove gente di religione diversa ormai vive insieme negli stessi spazi. Inedite convivenze tra genti diverse richiedono nuove immagini e proposte di pace. Altrimenti si rischia il conflitto. Per Giovanni Paolo IL «lo spirito di Assisi  scrive nel 2002  costituisce un dono provvidenziale per il nostro tempo. Nella diversità delle espressioni religiose, lealmente riconosciute come tali, stare gli uni accanto agli altri manifesta anche visibilmente l'aspirazione all'unità della famiglia umana». Quel che Giovanni Paolo II ha realizzato ad Assisi è stato ben chiarito da Benedetto XVI commemorando i vent'anni dell'evento: «Quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni. Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi. La convergenza dei diversi non deve dare l'impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla».

Nel 1986 ci sono state polemiche pretestuose sul sincretismo, perché in realtà le preghiere si svolgono in luoghi diversi. I tradizionalisti di monsignor Lefebvre denunciano la perversione della «vera religione». Don Divo Barsotti, figura spirituale italiana, scrive al Papa sul rischio di sincretismo. Giuseppe Dossetti è piuttosto preoccupato sugli aspetti sincretici. Il teologo valdese Ricca parla di «spettacolarità della preghiera». Gianni Baget Bozzo osserva come ad Assisi «l'unità e la divisione si sono manifestate contestualmente». Si chiede: «Un grande spettacolo o un evento storico?». In realtà Giovanni Paolo II vuole che le religioni preghino separatamente, ma che la separazione non significhi inimicizia, tanto da convergere insieme in un messaggio di pace. E convinto che l'incontro debba avvenire innanzi al inondo e ai inedia per manifestare che, dalle differenti religioni, viene un messaggio di pace, in grado di smentire i fanatici e quelli che strumentalizzano la religione. Il Papa crede che la preghiera sia una grande risorsa di pace, una forza debole più decisiva delle armi. Scrive a un incontro nello spirito di Assisi promosso dalla Comunità di Sant'Egidio: «Le nostre preghiere, le nostre volontà di pace sembrano piccola cosa di fronte al dispiegarsi delle logiche di potenza, eppure costituiscono una preziosa riserva di energie spirituali e umane che salvaguarda il mondo dall'inquinamento della violenza e offre un'ispirazione e un incoraggiamento ai costruttori di pace. Il mondo ha bisogno infatti di costruttori di pace».

UN MOVIMENTO dello spirito

Il mondo ha bisogno di costruttori di pace. Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986 fa un grande invito, a cui forse si è prestata poca attenzione: «La pace è un cantiere aperto a tutti e non solamente agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso i mille piccoli atti della vita quotidiana». 11 suo desiderio è che, dall'evento di Assisi del 1986 parta un movimento spirituale che saldi un atteggiamento autenticamente religioso alla preghiera e alla ricerca della pace. Giovanni Paolo il parla di «spirito di Assisi». Questo spirito non è per lui una confusa mescolanza tra le religioni, ma qualcosa di chiaro e audace. Benedetto XVI ha spiegato bene il significato dello «spirito di Assisi», parlando ai leader religiosi riuniti a Napoli da Sant'Egidio nel 2007: «Nel rispetto delle differenze delle varie religioni, tutti siamo chiamati a lavorare per la pace e a un impegno fattivo per promuovere la riconciliazione tra i popoli. È questo l'autentico "spirito di Assisi", che si oppone a ogni forma di violenza e all'abuso della religione quale pretesto per la violenza. Di fronte a un mondo lacerato da conflitti, dove talora si giustifica la violenza in nome di Dio, è importante ribadire che mai le religioni possono diventare veicoli di odio; mai, invocando il nome di Dio, si può arrivare a giustificare il male e la violenza. Al contrario, le religioni possono e devono offrire preziose risorse per costruire un'umanità pacifica, perché parlano di pace al cuore dell'uomo».

Lo spirito di Assisi non è tanto legato al luogo, quanto  nella visione dì Giovanni Paolo II  genera un movimento spirituale per la pace che raccoglie, senza confondere, i diversi mondi religiosi. In questa prospettiva Giovanni Paolo II ha incoraggiato il lavoro della Comunità di Sant'Egidio che, anno dopo anno, ha continuato gli incontri con personalità di tutte le religioni, convinta che lo spirito di Assisi debba espandersi e non essere una manifestazione isolata. «Quasi prolungando lo spirito di Assisi, si è continuato a organizzare queste riunioni di preghiera e di comune riflessione  ha scritto il Papa nel 2002  e ringrazio la Comunità di Sant'Egidio per il coraggio e l'audacia con cui ha ripreso lo spirito di Assisi che di anno in anno ha fatto sentire la sua forza in varie città del mondo».

Venticinque anni di incontri, da Varsavia nel 1989 (quando il Muro tremava) a Bucarest nel 1998 (preparando la prima visita del Papa a un Paese ortodosso, la Romania) sino al prossimo a Monaco di Baviera, l'11 settembre 2011, hanno mostrato la genialità e la fecondità storica dell'intuizione di Giovanni Paolo II. Questa intuizione è stata attrattiva per tanti credenti, spingendoli a uscire da un orizzonte angusto, talvolta nazionalista, invitandoli a dissociare la religione dalla guerra, rendendoli vicini e amici tra loro. Negli anni dello scontro di religione, lo spirito di Assisi ha prefigurato una civiltà diversa, non quella dell'inimicizia, ma nemmeno di una confusa e appiattente globalizzazione. È la civiltà del vivere insieme tra diversi. La storia di venticinque anni ha mostrato anche il valore della missione della Chiesa cattolica per la pace e l'unità delle genti, radicata nell'imitazione di quel Gesù che «è la nostra pace»

Si rinnova lo Spirito di Assisi
Avvenire.it Marco Impagliazzo Genn. 2011

Il Papa ha annunciato, nell'Angelus del primo gennaio, che a ottobre si recher à da pellegrino ad Assisi per «rinnovare solennemente l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace».

E' un pellegrinaggio che cade esattamente a 25 anni dalla giornata di preghiera per la pace con le grandi religioni mondiali voluta da Giovanni Paolo II. Quella decisione del 1986 fu un'intuizione profetica in un mondo ancora diviso dalla Guerra fredda: veniva da una storia più lunga che aveva avuto nel Concilio Vaticano II il suo punto culminante. Tutta la Chiesa che si fa dialogo, come diceva Paolo VI, un dialogo così sentito e necessario oggi, in un mondo minacciato dalla violenza e dal terrorismo, ma che in tutti questi anni ha avuto un profondo significato nel costruire percorsi di pace e di riconciliazione.

Nel 1964, infatti, il Concilio approvò la dichiarazione Nostra Aetate che indicava alla Chiesa e al mondo l'importanza fondamentale delle relazioni di amicizia e collaborazione tra i cristiani e le altre grandi religioni mondiali, in particolare l'ebraismo e l'islam. Giovanni Paolo II, il 27 ottobre del 1986, le convocò tutte ad Assisi per una grande e comune invocazione per la pace. Quella giornata mondiale di preghiera si colloca storicamente sul crinale di cambiamenti epocali, la cui portata e i cui effetti stiamo valutando ancora oggi. Assisi non ha aperto la strada a alcun tipo di sincretismo, che peraltro è privo di risultati. Le vicende del mondo contemporaneo hanno subìto da allora una significativa accelerazione, con esiti imprevedibili, come è stata la fine dell'impero sovietico, lo sfaldamento dei blocchi esistenti nel cosiddetto Terzo Mondo, l'avanzata del processo di globalizzazione. Lo stesso quadro internazionale, dopo l'11 settembre 2001, mostra come il rapporto tra le religioni sia un elemento di vitale importanza geopolitica. Il 27 ottobre 1986 rimane, ancor più di ieri, icona del futuro in un mondo in cui si parla di guerre di religione o di civiltà. 

Resta un'indicazione anche quando lo sconcerto e lo spaesamento divengono più forti con la globalizzazione e i conflitti. Ed ecco che la figura di Francesco d'Assisi risalta in tutta la sua forza. Un incontro mondiale per la pace doveva cominciare sul colle di Assisi, presso la tomba del santo. Si riunirono allora, attorno a Giovanni Paolo II, 124 fra rappresentanti delle confessioni cristiane e delle grandi religioni mondiali, in questa città, «luogo che la figura serafica di Francesco ha trasformato in Centro di fraternità universale». Uno storico ha notato come questa iniziativa straordinaria sia stata vista come «una svolta dell'atteggiamento del cattolicesimo contemporaneo verso le religioni», ma allo stesso tempo abbia rappresentato anche una svolta per la visione che le religioni non cristiane hanno del cristianesimo.

Lo "spirito di Assisi", ancora nel quadro della Guerra fredda, intuiva il rapporto profondo tra religione e pace: non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri, come disse il Papa. Oggi quello "spirito" da Assisi si è diffuso in molte parti del mondo grazie anche alle iniziative della Comunità di Sant'Egidio, che con i suoi incontri ogni anno ha rievocato quell'evento. L'immagine del 27 ottobre del 1986 resta una delle grandi icone di speranza del Novecento religioso che abbiamo ereditato anche nel nuovo secolo. È ormai l'emblema del dialogo tra le religioni. È una delle chiavi di volta per la costruzione di una nuova civiltà nell'odierno mondo conflittuale: una civiltà del convivere che si fonda sull'arte del dialogo. La stessa immagine rivivrà, con forme nuove e in un nuovo contesto geopolitica, nel prossimo ottobre, ma continuerà a segnare il cammino delle religioni che vogliono essere strumento di pace e non la caricatura dello scontro e del conflitto, come troppo spesso sono state dipinte. Anzi, Assisi chiederà alle religioni di essere più audaci sulla via della pace.

Da Assisi torna a soffiare.
di A. Ricciardi

La pace è questione di bruciante attualità. Le recenti esplosioni di violenza rivelano la rabbia che cova in tante crisi. Gli attacchi contro i cristiani mostrano un odio insensato. La pace è responsabilità degli Stati e della comunità internazionale. Ma non basta. Lo intuì lucidamente Giovanni Paolo II nel 1986, quando Stati Uniti e Urss monopolizzavano le sorti della pace.

In piena Guerra fredda, convocò ad Assisi i leader delle grandi religioni per pregare per la pace. Respinse violenze e guerre in nome di Dio (che avrebbero insanguinato i decenni successivi); invitò a far emergere «il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace». Fu un evento, definito profetico da Benedetto XVI, che ha annunciato la volontà di tornare ad Assisi nell'ottobre 2011, dopo 25 anni da quell'incontro, per rinnovare «l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace».

È un segno umile e chiaro sui turbolenti orizzonti (grandi e piccoli) del nostro mondo. Giovanni Paolo II voleva che la giornata di Assisi fosse una proposta di pace: «Abbiamo riempito i nostri sguardi», disse, «con visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio dí pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia». Fece un invito: «La pace... è un cantiere aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi». Il suo sogno era che da Assisi partisse un movimento spirituale per coinvolgere i mondi religiosi sulla pace, la preghiera e il dialogo: me lo ha detto parecchie volte, stimolando la Comunità di Sant'Egidio perché continuasse quegli incontri.

Ricordo le sue parole: «Grazie a voi, lo spirito di Assisi non è finito!». Queste parole sono sempre un impegno. Oggi, dopo un decennio segnato dal terrorismo e dalla cultura della guerra, la visione di Giovanni Paolo II resta attuale e profetica. C'è un'ineliminabile dimensione spirituale della pace: «Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio», ha ricordato Benedetto XVI.

Il gesto di papa Wojtyla fu equivocato da chi pensò che intendesse relativizzare le differenze tra le religioni o che volesse ridurre la Chiesa a un'agenzia al servizio dell'Onu delle religioni. Niente di più lontano da un Papa, innamorato di Cristo e del Vangelo, che aveva esortato a non avere paura. Ma egli era consapevole che «non si può avere la pace senza la preghiera». Per lui la guerra era una dimensione "infernale" della storia e disumanizzava gli uomini. La sua proposta ritorna ancora oggi: l'unità tra gli uomini e i popoli «proviene dal fatto che ogni uomo e ogni donna sono capaci di pregare». La pace è responsabilità di tutti, a partire dalla preghiera e in ogni azione della vita.

Riccardi spiega perché Ratzinger risponde al macello egiziano con lo "spirito" di Assisi
Paolo Rodari- Famiglia cristiana 16-1-2011

Mentre ventuno cristiani venivano macellati ad Alessandria d'Egitto durante la messa solenne di Capodanno, Benedetto XVI annunciava la convocazione per il prossimo ottobre di un raduno interreligioso ad Assisi, venticinque anni dopo lo storico incontro convocato da Wojtyla nella città di san Francesco.

C'è una vulgata che sostiene che Ratzinger non abbia mai visto di buon occhio il raduno del 1986, e le "repliche" proposte ogni anno dalla Comunità di Sant'Egidio, per il rischio di "sincretismo" che può essere presente in questo tipo di incontri. A sostegno di questa tesi c'è un precedente: al raduno che si svolse sempre ad Assisi nel 2006 - l'anno della lectio di Ratisbona nella quale il Papa condannò l'uso della violenza nel nome di Dio proprio dell'islam Ratzinger preferì non partecipare, nonostante un invito del vescovo della diocesi Domenico Sorrentino, E oggi? Benedetto XVI si è convertito ad Assisi e al suo spirito? Dice il fondatore della Comunità di Sant'Egidio al Foglio che "è improprio parlare di conversione".

Certo, "il Papa ha sempre espresso perplessità per le derive presenti in un dialogo interreligioso relativista, dove le identità si dissolvono, dove Cristo, in ultima analisi, non è presentato come unico salvatore. E, insieme, egli ha sostenuto il dialogo tra culture, dove ragione e ragionevolezza hanno un loro ruolo. Ma proprio nel 2006 scrisse al vescovo Sorrentino dicendo ciò che veramente pensava del raduno di Assisi, Disse che l'iniziativa era 'audace' e 'profetica'. Io ebbi uno scambio di battute con lui nel 2002 di ritorno dal raduno di Assisi voluto ancora da Giovanni Paolo II . Gli chiesi se era contento. Mi rispose di sì perché lutto si è svolto molto bene'. Penso si riferisse soprattutto a come avevamo impostato i momenti di preghiera, e cioè salvaguardando quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni senza cedere a quei relativismo che nega il senso della verità e la possibilità di attingervi".

Certo, contro Assisi e gli incontri degli anni successivi non mancarono critiche ma queste, dice ancora Riccardi, "vennero principalmente da persone della curia vicine a noi". Cioè? "C'era in curia chi sosteneva - non Ratzinger - che Assisi doveva restare un unicum non 'replicabile'. Noi invece andammo avanti forti dell'invito e dell'appoggio di Wojtyla che ogni anno si faceva a noi vicino con una lettera autografa in cui ci diceva di proseguire nell'autentico spirito di Assisi, ovvero nel dire pubblicamente che una civiltà del vivere assieme è sempre possibile".

Ma "vivere assieme" è difficile. Negli anni successivi a Ratisbona il Papa non ha più criticato l'islam. C'è chi parla di una sorta di Ostpolitik inaugurata verso i paesi musulmani: non si critica per salvare le minoranze.
Dice Riccardi: "Già negli anni Trenta il Vaticano s'interrogò su come rapportarsi coi musulmani. Da subito la Santa Sede cercò la politica dei buoni rapporti, del dialogo. Oggi si è aggiunta un'annotazione in più: l'insistenza sulla necessità di garantire la libertà religiosa. Ma la politica è rimasta quella di sempre: dialogo e buoni rapporti. Un esempio fu l'Iraq di Saddam Hussein, Pur nella deplorazione per un regime dittatoriale, il Vaticano cercava il dialogo. Infatti anche Wojtyla sapeva bene che con Saddam i cristiani stavano decentemente, nonostante tutto".

Tre giorni fa il Papa ha però parlato di cristianofobia. "Mi sembra da sottolineare il fatto che questa parola sia entrata nel lessico papale", dice Riccardi. "Oggi sono i cristiani le vittime del fondamentalismo religioso, non solo in medio oriente ma anche in Asia e in Africa. Perché? Perché colpire i cristiani fa notizia. E poi i cristiani, con la loro presenza mite e credente, rappresentano una contestazione radicale della logica dell'odio. Papa Benedetto XVI chiede all'occidente di uscire dall'indifferenza e la strada che indica resta quella del dialogo".

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