SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Il video-appello per l'eutanasia

I vipponi d'Italia fanno lo spot per l'eutanasia

di Luigi Santambrogio 11-12-2014

Lo spot colpisce duro, ma le voci sono studiate, scandiscono le parole in modo calmo e convinto. Segno di una decisione masticata a lungo e dunque irrevocabile. Non indugiano allo spettacolare né fanno leva sugli effetti speciali per convincere che ammazzarsi è giusto e civile, fa parte dei diritti umani. La rèclame della "dolce morte" è firmata dai radicali che non sono nuovi a campagne di questo tipo (loro non buttano mai via niente, tranne i feti) si offre a un pubblico adulto e maturo, criticamente formato alla tolleranza e all’impassibilità cosmica: quelli che non muoverebbero un dito neppure se vedessero un disgraziato pronto a  saltare dal ponte.  Si capisce che è fattura di professionisti esperti e ben allenati sul campo. 

Il filmato, è introdotto da un ciak cinematografico, come se i protagonisti chiamati a recitare la macabra sceneggiatura stessero girando un film sul futuro: quello della loro morte prossima ventura. Settanta i testimonial per propagandare l’imprescindibile diritto all’eutanasia legale, arruolati dall’associazione Luca Coscioni per un video-appello rivolto al Parlamento perché venga riconosciuta la libertà di scegliere come morire, ma anche l'urgenza del testamento biologico. A recitare lo stesso gingle: «Voglio decidere come morire», ci sono malati, medici e infermieri e poi vipponi e star del mondo della scienza, della cultura, del giornalismo e dello spettacolo. Qualche nome di questo tristo club: Roberto Saviano, Umberto Veronesi, Marianna Aprile, Corrado Augias, Luca Barbarossa, Paolo Mieli, Marco Bellocchio, Emma Bonino, Selvaggia Lucarelli, Maurizio Costanzo, Vittorio Feltri, Giulia Innocenzi, Neri Marcorè, Rocco Papaleo, Filippo Facci e Aldo Nove. Chiedono che venga discussa in Parlamento al più presto la proposta di legge di iniziativa popolare in materia di suicidio assistito.

Una richiesta lanciata in concomitanza della Giornata mondiale per i diritti umani. Insomma, appello bipartisan, ma con pretese universali: ammazzarsi, come e quando si decide di farlo, non è soltanto un caso di coscienza personale, ma deve essere scolpito nella Carta costituzionale e nella Nuova Dichiarazione Universale della Nuova Umanità. Curiosa questa pretesa di pseudo  principi universali da mettere a fondamento del suicidio, come se non bastasse la dignità di una scelta personale. Occorre che l’atto sia pure eticamente e civilmente fondato e riconosciuto. Debolezza o arroganza? Considerati i testimonial, più probabile la seconda.

«Se l'eutanasia fosse legale, non aumenterebbero le morti. Diminuirebbero le sofferenze», dice l'attore Neri Marcorè nel video-appello, sempre con quel suo bonario sorriso alla Fazio. «Si tratta solo di riconoscere un diritto umano. Il diritto di morire», aggiunge l'oncologo Umberto Veronesi, un veterano della battaglia eutanasica. «Onorevoli parlamentari, a chi appartiene la mia vita? », si chiede, con l’aria di chi sa già la risposta, il regista Marco Bellocchio. Non poteva mancare il tuttologo Saviano, questa voilta in veste di costituzionalista a ricordarci che «la Costituzione prevede che il popolo eserciti l'iniziativa delle leggi». Certo, scambiare il popolo con quella sciccosa Confraternita della buona morte è tipico dello strabico Saviano. Tuttavia, il filmatino è un raro esempio di gentilezza e professionalità. I testimonial pubblicizzano il prodotto della “dolce morte” con sguardo sussiegoso e professionale come se stessero partecipando alla campagna per la prevenzione della carie dentale. 

Il linguaggio è semplice e pacato, anche i malati terminali che si prestano allo spot della loro morte sembrano quasi convincerti che si tratta della grande occasione della vita. «Sono arrivata alla fine», dice una donna, «adesso voglio decidere di non soffrire più». Parole seguite da una catena di «Anch’io», «Anch’io», «Anch’io». Sequenze, a guardar bene, di una tragicità infinita, però efficaci, capaci di convincere. Un altro malato chiede agli onorevoli parlamentari: «Ditemi, a chi appartiene la mia vita?». Ed ecco apparire subito il volto smagrito di Emma Bonino: lei non ha dubbi, ma solo dogmi da proporre: «A me» e così subito riparte il coretto macabro dei «a me» «a me»«a me» di altri candidati al suicidio di Stato. Pare di rivedere la scena di “Capitano mio capitano” con Robin Williams e gli studenti ribelli dell’Attimo fuggente, che uno a uno salgono in piedi sui banchi. In fondo, il messaggio è identico: la vita mia e ne faccio quel che voglio. E allora, ecco mettersi in coda, obbedienti e docili, le migliori intelligenze e le più belle griffe dell’establishment culturale e mediatico italiano: Paolo Mieli, Corrado Augias, Vittorio Feltri, Filippo Facci: tutti a giurare d’essere pronti alla dolce morte. Anzi, a pretenderla anche a nome di tutta l’umanità sofferente. 

Tuttavia, lo spot merita d’essere visto perché evoca senza pietismi le questioni fondamentali, della morte ma anche della vita.  Il messaggio è scarno e ripetitivo e deve proprio a questo la sua efficacia. Più che sulle ragioni, l’eutanasia dei famosi affida tutta la sua potenza di convincimento agli attori protagonisti: personaggi conosciuti, potenti e affermati nelle loro professioni, di destra, centro e sinistra. E poi ci sono gli sconosciuti, i malati inguaribili, dichiarati incurabili dalla medicina. Che rivendicano il diritto a uscire di scena come vogliono loro. Questi, a differenza di tutta quell’altra bella gente, non recitano la parte di una fiction, interpretano solo se stessi. Il loro è un tragico reality, per questo sono i più credibili.  Ma pure qui non c’è ombra di dramma, il regista l’ha eliminato con abilità: tutto è avvolto da una razionalità fredda, scientifica, ordinata e senza strepiti.

L’esistenza, rivendicano con orgoglio i candidati suicidi, è questione di libere scelte e pure la morte lo è.  «Mia madre è morta tra sofferenze atroci», ci informa un tizio, «e io non ho potuto far nulla per aiutarla». Come non essere d’accordo con questa richiesta del morire senza dolore , della soluzione migliore per dare scacco alla malattia anticipandola nel finale? Ma l’orribile è tutto nella risposta che si trasforma la migliore soluzione nella soluzione finale: l’assassinio come atto supremo della compassione e dell’amore al prossimo. 

É così che la reclame eutanasica si mostra per quella che è: una danza macabra, un rifiuto del senso e della libertà, del loro lato più oscuro e crudele, ma non per questo meno reale. L’altra faccia delle scelte consapevoli e creative. Ovvio: nessuno sceglie di morire di cancro o sotto le ruote di un Tir. Ma si badi: neppure siamo stati noi a decidere di nascere, né a scegliere madre e padre, tantomeno a programmare l’avvenire di figli e amici. Perché la serie delle opzioni in uso non è infinita e basta poco per interromperla: una malattia, un incidente o solamente la vecchiaia che ci condannano all’impossibilità del fare, del produrre, dell’organizzare. Dolce morte: solo questo è concesso all’uomo? Tutta qui la sua libertà? O non occorrerà invece che sulla finitezza, sul mistero di una esistenza imperfetta, si facciano finalmente i nostri conti? Magari solo per scoprire che non sappiamo contare.?E poi: si può davvero mettere ai voti e regolare per legge l’uscita dalla vita? 

La società dei sani e perfetti, dei felici e contenti è solo una tragica illusione, un inganno che ha già desertificato la storia.  Solo la malafede politica può osare riproporlo, mascherando un delitto come espressione nobilissima ed estrema della libertà. No: lo spot eutanasico e quegli attori ricchi e potenti, improbabili dead man walking sotto la regia del solito Pannella sono soltanto un irragionevole invito ad alzare bandiera bianca e a soffocare l’urlo della nostra umanità ferita. Fanno i furbi con la vita e invitano a prendere la scorciatoia. Cattivi e presuntuosi maestri: dopo averci insegnato per anni sui loro giornali come si sta al mondo, ora vorrebbero pure indicarci come si muore. Forse vinceranno loro, ma non è detto: prepariamoci a resistere. 

di Lorenzo Bertocchi 12-12-2014 lanuovabq.it

La vita, la morte e la libertà. Parole per capire chi siamo

Joseph Ratzinger ha scritto che di fronte alla morte il mondo moderno appare contradditorio. Da una parte tende a nasconderla, considerandola un tabù, dall’altra la spettacolarizza, facendone un genere di entertainment. In poche parole la riduce ad un fatto meramente materiale che deve avvenire il più in fretta possibile e senza sofferenza. Non deve far riflettere. Una disumanizzazione della morte. Il modo in cui si considera la fine della vita dice qualcosa di fondamentale rispetto a come si considera la vita stessa. «Con la scelta dell’atteggiamento verso la morte», scriveva Ratzinger nel celebre saggio Escatologia, «viene scelto insieme l’atteggiamento verso la vita; per cui la morte ci può fare da chiave per decifrare che cosa sia in fondo l’uomo. (…) La brutalizzazione della vita umana cui oggi assistiamo», concludeva, «è intimamente connessa al rifiuto del problema della morte». 

L’ultimo video-appello sul diritto all’eutanasia, promosso dall’associazione Luca Coscioni e mandato in onda al Tg1 delle 20, è un esempio abbastanza significativo di come un certo pietismo vip pensa che debba essere affrontato il problema della sofferenza e della morte. Il recente caso di Brittany Mainard, la giovane statunitense che ha scelto l’eutanasia lo scorso 1 novembre, ha scosso il mondo intero, ma pochi si sono soffermati sul problema enorme che questa pratica apre rispetto alla dignità dell’uomo. Come ha detto monsignor Carrasco de Paula, commentando la triste vicenda di Brittany, «non giudichiamo le persone», ma «la dignità è un’altra cosa che mettere fine alla propria vita». Statuto della vita umana e fine vita saranno al centro di un convegno organizzato sabato 13 dicembre ad Este (Pd), presso il Gabinetto di Lettura in Piazza Maggiore. Dalle 8 alle 13 si alterneranno Ricci Sindoni, Vittorio Possenti e Enrico Berti. Infine interverranno monsignor Renzo Pegoraro e Giuseppe Anzani. 

Le riflessioni di questo incontro sono importanti perché noi oggi viviamo un’epoca post-umana per cui ciò che è tecnicamente possibile finisce per essere comunque fattibile. E ciò che è fattibile deve essere normato. E ciò che è legale è anche eticamente accettabile. Un circolo vizioso che rinchiude l’umano in uno spazio molto angusto. La società intera, ovviamente, viene trascinata dentro questo vicolo cieco mentre smarrisce l’elemento principe del bene comune, il rispetto della persona in quanto tale. 

Guardiamoci intorno: stiamo vivendo un attacco alla famiglia di estrema gravità, al punto che anche il dato biologico del maschile e del femminile vorrebbe essere ridotto a prodotto culturale. I bambini più che un dono ricevuto sono ormai considerati come un oggetto da fabbricare e acquistare, gli anziani e i malati sono considerati un peso. É la cultura dello scarto. I dati demografici parlano di un futuro in cui saremo sempre più soli e vecchi. E un risveglio economico, anche e soprattutto in virtù di questi elementi, appare difficile. 

Quindi riflettere sull’uomo, sulla sua dignità profonda, non è un esercizio per accademici, ma è qualcosa di cui si sente la necessità come dell’ossigeno che respiriamo. Di questo sicuramente ne sono consapevoli gli organizzatori dell’appuntamento padovano, perché non c’è alcuna libertà senza verità. Per riaprire uno spazio più ampio all’umano possiamo riflettere proprio sulla morte, nel modo in cui suggeriva Ratzinger. Oggi, scriveva, la morte «deve diventare un fatto tanto materiale, tanto consueto, tanto comune, da non suscitare più alcun problema metafisico». Cioè la fine della vita viene sempre più ridotta a problema tecnico e lo spiraglio di infinito che porta con sé viene oscurato. É un divieto a fare le domande fondamentali, sulla morte, sulla sofferenza e sul senso dell’esistenza. 

L’importanza di una riflessione sulla dignità dell’uomo diventa quindi fondamentale. «L’essenza dell’uomo, la sua dignità, l’essere persona», ci dice Realdon, tra gli organizzatori del convegno di sabato, «sta nel suo rapporto con l’infinito. Questa è la strada per ridare senso alle parole chiave dell’esistenza dell’uomo: vita, morte, natura, libertà,…». É così che si potrà riscoprire quella «normatività del reale» che è stata smarrita e che ci ha condotto a conquiste quali divorzio, aborto, fecondazione extracorporea, teoria del gender e ora ci vede lanciati verso il diritto al suicidio assistito.

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