SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Le chiese di Gaza oasi dello spirito

di Giorgio Bernardelli 24-07-2014 lanuovabq.it

Quando una donna musulmana ha dato alla luce nella sua chiesa il suo bambino, dicono che il vescovo ortodosso Alexios abbia esclamato: «Non c'è solo morte a Gaza, c'è anche vita».

 

C'è qualcosa di straordinario nelle notizie che in queste ore a Gaza - in mezzo alla sequenza di morte che tutti vediamo bene - arrivano dalla microscopica comunità cristiana della Striscia. «Esauriti i posti nelle strutture dell'Unrwa - l'agenzia dell'Onu per i profughi palestinesi, che a Gaza gestisce la maggior parte delle scuole - la gente si sta rifugiando nella chiese», riferiscono le agenzie. Ma si dimenticano di dire una cosa: che i cristiani a Gaza sono meno di duemila, su una popolazione di quasi 1,8 milioni di abitanti. E che sono piccolissime comunità che dal 2006 a oggi hanno vissuto una sofferenza doppia: quella dell'isolamento strettissimo imposto da Israele (patito anche da loro, come da tutti gli altri) ma anche quella del vento islamista di Hamas, che in realtà non ha mancato di mettere nel mirino le loro attività (per esempio quella delle tre scuole cattoliche, aperte a tutti, dove «scandalosamente» maschi e femmine possono studiare insieme).

Nel momento della follia - con la guerra che entra nelle case attraverso i messaggi che preannunciano l'imminente bombardamento - un pugno di chiese oggi sono diventate il posto dove provare a sopravvivere a Gaza. Il luogo simbolo per eccellenza è - appunto - la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, la più grande e con il maggior numero di fedeli nella Striscia. Secondo alcune testimonianze sarebbero più di mille le persone che si sono rifugiate qui; e nelle fotografie che girano sui social network si vedono chiaramente delle donne con il burqa nel cortile vicino al cancello su cui campeggia bene in evidenza la croce. Si trova nel quartiere di Zeitoun, il nucleo più antico di Gaza, la chiesa di San Porfirio. E i cristiani locali fanno risalire addirittura all'anno 407 la sua costruzione; cioè al tempo in cui il grande vescovo di cui porta il nome guidava ancora questa diocesi della Terra Santa. Erano gli anni in cui Gaza era conosciuta per i monaci che vivevano nel suo deserto, seguendo l'esempio di Ilarione, discepolo di Antonio, che dall'Egitto aveva portato qui la spiritualità del suo maestro.

Di fronte alle immagini di oggi è davvero difficile pensare a Gaza come a un'oasi dello spirito. Eppure sotto i mille strati di macerie della Striscia ci sarebbero ancora pure i segni visibili di questa storia cristiana. Ma oggi è la carità - ovviamente - il segno più grande che il vescovo Alexios insieme alla sua comunità stanno testimoniando accogliendo tutti. La risposta più forte a chi - non poi così lontano da qui - in questi giorni a Mosul in nome di un'ideologia fanatica che si proclama musulmana sta spogliando e cacciando via i cristiani, distruggendo chiese antiche quasi quanto questa.

Oltre alla chiesa ortodossa di San Porfirio anche la parrocchia latina della Sacra Famiglia a Gaza ha aperto le porte a chi cerca un rifugio. E di nuovo il nome diventa importante: secondo la tradizione Giuseppe e Maria, insieme al bambino Gesù, avrebbero sostato proprio qui durante la fuga in Egitto. Con una storia del genere alle spalle la piccolissima comunità guidata dal missionario argentino padre Jorge Hernardez, dell'Istituto del Verbo Incarnato, non potevano certo tirarsi indietro. Per prime sono arrivate le Missionarie della Carità, le Suore di Madre Teresa, con i disabili e gli anziani che assistono nella loro casa: anche questo santuario della prossimità a Gaza oggi è esposto ai bombardamenti. Poi - dopo la giornata terribile di domenica - anche alla parrocchia della Sacra Famiglia sono arrivate tante famiglie che letteralmente non sapevano dove andare. Nuove vittime del perpetuarsi di una strage degli innocenti che da queste parti sembra senza fine. Sono davvero al sicuro lì dentro? L'altra sera alcune bombe sono cadute molto vicino alla canonica della parrocchia; così si sono dovuti spostare tutti in fretta dentro la chiesa.

«È veramente un bagno di sangue - ha scritto padre Jorge nell'ultima sua lettera, pubblicata su Facebook martedì sera -. Qui si può certamente applicare la frase homo homini lupus! Vediamo fino a dove può arrivare la malvagità dell'essere umano! Che Dio ci assista». La fede è l'unico sostegno ma anche ciò che realmente unisce in questa situazione difficilissima. Per questo il parroco latino rivolge uno speciale ringraziamento a tutti quelli che stanno pregando per la pace a Gaza: «Tante Messe, tante comunioni, tante adorazioni eucaristiche, tanti sacrifici e mille altri forme di preghiera per questa intenzione - commenta - non potranno essere disattese dal Principe della pace, il Nostro Signore Gesù Cristo. Che Egli ricompensi ciascuno secondo la sua infinita misericordia».


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