SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
A Mosul non ci sono più cristiani

di Valentina Colombo 20-07-2014 lanuovabq.it

«Per la prima volta nella storia dell’Iraq, a Mosul non vi sono più cristiani.
Le famiglie cristiane si sono dirette a Erbil e Dahuk in Kurdistan».

mosulQueste le disperate parole pronunciate nella serata di sabato 19 luglio da monsignor Louis Sakko, patriarca dei caldei iracheni. Non sono solo scomparsi i cristiani, ma rischiano di scomparire anche le loro chiese. L’ISIS ha già dato fuoco alla Chiesa dell’arcivescovado. Sabato mattina è scaduto l’ultimatum per i circa 200 cristiani ancora residenti a Mosul. Il 18 luglio nelle principali moschee della città, durante la preghiera comunitaria del venerdì, sono stati distribuiti volantini in cui si comunicavano le condizioni poste ai cristiani qualora avessero deciso di non abbandonare la città. Le condizioni sono quelle espresse in un comunicato ufficiale dell’ISIS alle autorità cristiane in cui si intima quanto segue:

Sia lode ad Allah Colui che ha onorato l’islam con la vittoria, che ha umiliato l’associazionismo con la Sua conquista, che ha fatto mutare i giorni con la Sua giustizia, la preghiera, la pace sulle persone su cui Allah ha diffuso l’islam con la Sua spada,  e poi: Allah – Egli è l’Altissimo – ha detto: “E quando alcuni di loro dissero: ‘Perché ammonite un popolo che Allah distruggerà o punirà con duro castigo?’ Risposero: ‘Per avere una scusa di fronte al vostro Signore e finché Lo temano!’” (Sura al-A’raf, 163) Dopo avere comunicato ai capi dei cristiani e ai loro seguaci di presentarsi all’appuntamento in cui sarebbe stato reso noto che si trovavano sotto la protezione dello Stato islamico, distretto amministrativo di Ninive, poiché non hanno accettato e hanno evitato di presenziare all’appuntamento stabilito provocando uno strappo definitivo, è stato deciso di presentare loro le seguenti scelte: l’islam, il patto di protezione (‘ahd al-dhimma), qualora rifiutassero quanto succitato non rimarrà loro che la spada. Il Principe dei Credenti il califfo Ibrahim – che Allah lo esalti – ha concesso loro di abbandonare i confini dello Stato islamico entro le 10 del mattino di sabato,  21 del mese di ramadan, dopo questa scadenza resterà tra noi e loro  solo la spada. “La potenza appartiene ad Allah, al Suo Messaggero e ai credenti, ma gli ipocriti non lo sanno.”

E’ l’ennesima provocazione, l’ennesimo atto di terrore affinché il sedicente Stato islamico sia abitato solo dai seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi. Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante occupa ormai un territorio che si estende da Mosul ad Aleppo, a nord, sino ad Anbar, a sud. In Siria occupa circa il 35% del paese e in Iraq si sta radicando nel nord del paese. L’Isis invoca il “ritorno del Califfato” e, come si evince anche dal documento qui riportato, ha una visione rigidamente manichea del mondo poiché crede non tanto nella umanità quanto in una fantomatica “ummanità”. 

D’altronde a pagina 10 del primo numero di Dabiq, la rivista dell’Isis, si legge: «il mondo oggi è diviso in due territori e due schieramenti, e non ne esiste un terzo: il territorio dell’islam e della fede, e il campo del kufr (la miscredenza) e dell’ipocrisia – il campo dei musulmani  e dei mujahidin in ogni dove, e il territorio degli ebrei, dei crociati, dei loro alleati e con loro il resto delle nazioni e delle religioni del kufr, tutti guidati dall’America e dalla Russia, e mobilizzati dagli ebrei». 

In base a questa concezione, tutto ciò che non è islam, così come è inteso dall’Isis, è da combattere e da estirpare. La scelta di definire kufr tutto ciò che non è Isis, non è casuale e  autorizza il ricorso alla forza al fine di riportare la vittoria finale sulla miscredenza e sull’ipocrisia. Così come nei comunicati di Al Qaeda, i kuffar non sono più, come nel testo coranico, i meccani politeisti che non si volevano convertire all’islam, bensì ebrei, cristiani e musulmani ritenuti apostati (murtaddin). 

Tuttavia la sura CIX, la sura dei miscredenti, recita come segue: «In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso. Di’: O miscredenti! Io non adoro quel che voi adorate e voi non siete adoratori di quel che io adoro. Io non sono adoratore di quel che voi avete adorato e voi non siete adoratori di quel che io adoro: a voi la vostra religione, a me la mia». Se tale sura, meccana, è spesso citata a indicare la tolleranza di Maometto nei confronti di chi non voleva convertirsi alla nuova religione, a indicare una cesura con i meccani, ma nel rispetto. 

Purtroppo sarebbe sufficiente leggere il commento alla sura che si trova nell’edizione italiana del Corano a cura di Hamza Roberto Piccardo, con la revisione e il controllo dottrinale dell’Unione e delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, per comprendere che l’interpretazione che ne viene fatta dall’islam organizzato italiano, che ovviamente non è l’Isis ma che spesso si pone come referente nel dialogo interreligioso, è ben diversa: «I notabili meccani, nel tentativo di limitare i danni che paventavano all’economia e alla potenza Quraysh in conseguenza alla predicazione di Muhammad (pace e benedizioni su di lui) proposero un ridicolo compromesso all’Inviato di Allah: un anno tutti quanti avrebbero adorato il Dio Unico (gloria a Lui l’Altissimo) e un anno gli dei. Il Profeta rifiutò nettamente la proposta e questa sura fu rivelata per ribadire l’assoluta impossibilità d mercanteggiare sui precetti dell’Altissimo (gloria a Lui), l’improponibilità di ogni sincretismo religioso, della conciliazione dottrinale tra le religioni e la conseguente specificità del rito che impedisce ogni concelebrazione religiosa». 

E’ un dato di fatto che nel testo coranico i versetti tra i più feroci sono riservati ai miscredenti: «E quando il tuo Signore ispirò agli angeli: ‘Invero sono con voi; rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi! E ciò avvenne perché si erano separati da Allah e dal Suo messaggero’. Allah è severo nel castigo con chi si separa da Lui e dal Suo messaggero…!» (sura del bottino, 12-13).

E’ evidente che se siffatti versetti vengono, proprio come fanno i terroristi dell’Isis e come fanno i Fratelli musulmani, decontestualizzati e considerati a valenza particolare e universale e se essere cristiani, come afferma il comunicato dell’Isis, diventa sinonimo di “miscredenza” e di “associazionismo”, allora tutto è lecito. L’ultimatum dell’Isis, che rappresenta una porzione minima del mondo islamico e dei musulmani e che si rivolge a quel che rimane dei cristiani nel “distretto amministrativo” di Ninive, è l’esito non edulcorato, oserei dire “onesto”, di una interpretazione decontestualizzata e rigida del testo coranico.  

Quel che va rammentato è che un approccio simile al Corano si ritrova non solo in Arabia Saudita, con il wahhabismo, non solo in Iran, con la versione sciita del totalitarismo islamico, ma anche, e soprattutto, nell’ideologia subdola e accorta dei Fratelli musulmani e in modo particolare nel commentario coranico del loro ideologo Sayyid Qutb che è stato uno dei più accerrimi sostenitori del jihad contro i miscredenti e che scriveva: «tra i concetti radicali del partito rivoluzionario chiamato ‘musulmano’ il più importante è coinvolgere [nel jihad] ogni forza rivoluzionaria che si presenti sulla via dell’islam: combattili, e compi ogni sforzo per sostituirli»


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«A Mosul minacciati da nemici senza volto»
di Luca Geronico 18 luglio 2014 avvenire.it

E' appena rientrato da Erbil, dove ha visitato le comunità locali. Trema un po’ la voce di Jshlemon Warduni, abituato dagli anni dell’embargo e dalla guerra contro Saddam Hussein a lanciare vigorosi appelli. «Ora è difficile: temiamo ritorsioni per chi adesso è ancora là», spiega con un filo di voce.

È stato lui, vescovo caldeo ausiliare di Baghdad, a denunciare per primo mercoledì la «N» di Nasara (cristiani) disegnata dai miliziani dello stato islamico dell’Iraq (Isis) sulle abitazioni dei cristiani.

Allora monsignor Jshlemon Warduni, conferma queste «N» scritte sui muri?

È così. Hanno cominciato due o tre giorni fa. Lo scrivono, come mi hanno detto, su tutte le case cristiane. Anche quelle ancora abitate. A chi chiedeva delle spiegazioni è stato risposto che si tratta semplicemente di una pratica amministrativa, per mettere quelle proprietà sotto la protezione della nazione musulmana.

In realtà, da quando il 9 giugno è iniziata l’avanzata islamista, è un chiaro invito ad andarsene per i pochi cristiani rimasti a Mosul ?

Ad alcuni è stato detto: o ve ne andate, o diventate come noi, o pagate la «jizya», la tassa di sottomissione. Ad alcuni cristiani è stato detto così. Io non ho parlato con nessuno dell’Isis, non ho visto nessuno di loro ma ci parlano i cristiani e gli altri abitanti di Mosul rimasti là. Capite quanto è pericoloso dire queste cose...

Le case poi vengono espropriate, sono date ai fiancheggiatori dei fondamentalisti o vanno direttamente al patrimonio dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante?

Non so. Sinora hanno scritto queste lettere sui muri delle abitazioni dei cristiani. Poi hanno detto che con lo spray scriveranno: questa è proprietà della nazione musulmana.

Conferma anche che sul vescovado ora sventola la bandiera dell’Isis?

Sì, c’è. Me lo hanno riferito: o da una finestra o sulla porta della casa del vescovo.

E i pochissimi cristiani rimasti dopo la battaglia del 9 giugno, cosa fanno di fronte a questa nuova violenza psicologica?
Non sanno cosa fare, nemmeno noi sappiamo che fare. Non è facile, credetemi. Non sappiamo con chi parlare, non sappiamo chi ci darà la risposta. Ci sono tanti gruppi e non c’è il governo. I guerriglieri hanno conquistato la città con la forza. Non è facile, non si può parlare normalmente con loro.

Ci sono altri segni di islamizzazione a Mosul e dintorni. I fondamentalisti hanno imposto la sharia nella città e nella cintura dei villaggi cristiani?

Questi gesti che si rifanno agli insegnamenti della sharia, sono certamente un grande segno che le cose vanno in questa direzione. Ma non lo posso affermare con certezza: come dicevo sono tanti gruppi diversi e alcuni sono molto fanatici, altri lo sono un po’ meno. Ci sono alcuni che parlano con tanta dolcezza: «Voi siete nostri amici, dovete sapere che noi vi amiamo», ci dicono. Però i fatti sono ben altra cosa: ad esempio hanno tolto l’acqua ai villaggi cristiani che sono sotto la protezione curda.

Questo vale anche per Qaraqosh, vicino a Mosul, bombardata a fine giugno?
Da quella parte dell’Iraq non ho notizie precise. Penso che questa sia una situazione generale per tutti i cristiani.

Le famiglie cristiane, scappate in Kurdistan, sono ancora in alloggi di fortuna a Erbil?
Quelli fuggite nei giorni del bombardamento a Qaraqosh per il 70-80% sono tornati. Gli altri non so che fine abbiamo fatto, ma penso siano ora ad Ankawa, Telkaif e dintorni.

Siete riusciti ad organizzare una prima assistenza?

La Chiesa ha fatto tutto ciò che poteva: abbiamo aperto le scuole, le chiese, i posti di carità per ospitare gli sfollati. La Caritas non ha potuto dare posti letto ma ha distribuito viveri, materassi, sapone...Domani tornerò ad Ankawa e Erbil per discutere con le organizzazioni umanitarie cosa poter fare di più: la mancanza della luce e dell’acqua sono un danno gravissimo. Mettiamo tutte le nostre forze per scavare dei pozzi e avere così l’acqua dolce. Un lavoro in collaborazione con i sacerdoti locali, i diversi operatori locali e sostenuti dal patriarca Louis Sako che sta facendo tutto il possibile per avere aiuti e poi distribuirli alla gente.

Intanto a Baghdad non c’è ancora un governo. Il Kurdistan sembra essere l’unica forza di protezione per i cristiani?
Lo è per tutte le persone che sono vicine ai curdi: hanno una forte organizzazione. Intanto noi aspettiamo un nuovo governo, aspettiamo le cose che aspettano tutti i cittadini iracheni...

E con i fondamentalisti cercate il dialogo?

Per il momento è molto difficile. Si può parlare qua e là, avere o dare qualche notizia, ma sedersi a un tavolo è un sogno. Siamo tutti in ansia e cerchiamo di attaccarci alla speranza. Ogni giorno fronteggiamo qualcosa di impensabile il giorno prima, ma questo è il momento presente. Non sappiamo se sarà mai possibile sedersi a un tavolo e se avremo una risposta e se saranno soddisfatti di questo perché questi estremisti hanno le loro convinzioni. Ma il Signore ci aiuta: noi urliamo sempre: «Dio nostro, Dio nostro non ci abbandonare».

 

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