SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Mare Nostrum, una pacchia per i terroristi del Califfato

di Gianandrea Gaiani 19-12-2014 lanuovabq.it

La notizia non è certo nuova ma, come spesso accade in Italia, non c’è nulla di più dirompente delle ovvietà. Sulla presenza di terroristi islamici tra le maree umane sbarcate clandestinamente in Italia si è discusso e speculato a lungo fin dalla guerra di Libia del 2011 che vide oltre 40 mila africani sbarcare in Italia a bordo delle carrette del mare gestite dai trafficanti di esseri umani.

 

Se ne tornò a parlare assiduamente quando, nel novembre 2013, prese il via l’Operazione Mare Nostrum che in un anno ha permesso a  200 mila clandestini africani e mediorientali di raggiungere l’Italia e in parte di disperdersi poi in Europa. Del rischio di infiltrazioni di esponenti dei movimenti qaedisti e dello Stato Islamico sfruttando i flussi migratori illeciti si sono occupati i rapporti dei servizi di sicurezza ma anche le dichiarazioni di molti esponenti della Lega Nord e di Forza Italia che hanno criticato duramente i rischi connessi con  la politica delle porte spalancate dei governi Letta e Renzi.

A dare maggior peso alla questione ha contribuito l’inchiesta aperta nei giorni scorsi dalla Procura di Palermo che indaga su possibili infiltrazioni di uomini dello Stato Islamico tra gli stranieri arrivati negli ultimi mesi in Sicilia. Da quanto trapelato la segnalazione sarebbe partita dai servizi d’intelligence, troppo spesso inascoltati dal governo nonostante i nostri 007 mantengano un’ottima rete informativa in Libia.

Il direttore dell'Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) Alberto Manenti, che mercoledì ha riferito al Copasir sui rischi per la sicurezza nazionale, non avrebbe fornito conferme pur sostenendo che la guardia è alta contro la minaccia rappresentata dai lupi solitari, singoli individui seguaci del jihad ma non necessariamente affiliati a organizzazioni terroristiche, che potrebbero compiere attentati in Italia. Quasi a voler smorzare i toni, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha invitato a "non sollevare allarmi fuori luogo" anche se "nessuno può escludere nulla". Per il ministro è scarsamente probabile l'uso "di canotti di migranti" per sbarchi di terroristi, anche se "nessuno è in grado di dare valutazioni definitive".

La battuta sui “canotti” del ministro degli Esteri pare però decisamente fuori luogo anche perché Il rischio che sui barconi arrivino dei terroristi non è stato escluso in passato dallo stesso ministro dell'Interno, Angelino Alfano mentre il ministro della Difesa del governo Letta, Mario Mauro, dichiarò di avere elementi che confermavano gli stretti legami tra trafficanti di esseri umani e terroristi. Del resto se è vero che i jihadisti possono contare su sistemi diversi per infiltrare cellule terroristiche è altrettanto vero che utilizzando i flussi di immigrati clandestini si corrono meno rischi, si può evitare di farsi identificare e persino di dichiarare le proprie generalità, vere o false che siano.

In  novembre era stato l’ammiraglio Filippo Maria Foffi, comandante della Squadra Navale, a spiegare in una conferenza a Bruxelles che “non possiamo da un lato salvare della gente che sta annegando e dall’altro costringerli con la violenza a essere identificati. Noi salviamo vite in mare e poi chiediamo agli immigrati di farsi identificare, facciamo loro delle foto, ma se non vogliono farsi identificare non li costringiamo” si legge nel resoconto pubblicato dall’agenzia Redattore Sociale. “D’altro canto il diritto comunitario è paradossale in tal senso: c’è un siriano che, per esempio, ha un fratello, una sorella o un genitore in Svezia, lì ha una casa, un posto letto, una famiglia, un lavoro, un sostegno economico. Ma per la Convenzione di Dublino lui dovrebbe essere identificato in Italia e non potrebbe lasciare l’Italia per un altro Paese. E’ normale che non voglia farsi identificare no? Noi ci atteniamo all’obbligo di salvare vite sancito dal diritto internazionale, poi per l’identificazione ovviamente incoraggiamo i migranti a farlo, ma non li costringiamo di certo con la forza”.

Una vera pacchia per terroristi e criminali aiutati dalla Marina Militare a mettere piede in Italia e che attraverso i canali delle organizzazioni malavitose possono raggiungere ogni angolo d’Europa. Secondo l'inchiesta palermitana, coordinata dal Pm Calogero Ferrara, i presunti terroristi arrivati in Italia sarebbero libici e siriani. Alcuni dei sospetti avrebbero già lasciato il territorio italiano, mentre altri si troverebbero ancora qui. I controlli su chi sbarca sarebbero stati intensificati negli ultimi tempi ma è evidente che non è facile provvedere all'identificazione certa dei tanti clandestini.    

Le indagini, condotte con il supporto dell’intelligence, avrebbero individuato un centinaio di persone sospette sbarcate dai barconi arrivati dalla Libia monitorandone con particolare attenzione almeno quattro di cui sono stati individuati i luoghi di ritrovo abituale anche grazie all'ausilio di intercettazioni telefoniche. Sarebbero siriani, libici ed un egiziano con trascorsi in fazioni terroristiche presumibilmente legate allo Stato Islamico presente in Iraq, Siria, Libia e Sinai egiziano.

Da quanto si è appreso non ha trovato conferme la disponibilità di armi da fuoco dei sospetti che non viene però neppure esclusa. Nel corso delle operazioni successive agli sbarchi i poliziotti hanno sequestrato telefonini cellulari in cui alcuni immigrati sarebbero stati fotografati con l’abbigliamento nero tipico dell’IS mentre imbracciano un kalashnikov. La presenza di questi terroristi può indicare diversi livelli di minaccia.

Il rischio maggiore è che intendano effettuare attentati o attacchi spettacolari in Italia o in Europa, in particolare in quelle Nazioni che hanno aderito ala Coalizione e che combattono in armi l’IS in Iraq o forniscono armi ai curdi. Si tratta di Italia, Gran Bretagna, Francia, Olanda, Germania, Belgio, Spagna, Danimarca e Norvegia.  Rispetto ai cosiddetti “foreign fighters”, islamici con passaporto europeo recatisi a combattere sotto le bandiere dello Stato Islamico e poi rientrati a casa, i terroristi sbarcati mischiandosi ai clandestini dalla Libia hanno il vantaggio di essere sconosciuti alle autorità di polizia che invece tengono sotto stretto controllo i reduci dai fronti siriano e iracheno.

Non si può escludere anche che il compito degli infiltrati sia costituire reti di fiancheggiatori del Califfato o di al-Qaeda da utilizzare per azioni dimostrative o per creare una rete di protezione in grado di nascondere e rifornire cellule terroristiche. Di certo l’inchiesta siciliana dovrebbe indurre il governo Renzi a fermare i flussi di clandestini o quanto meno a effettuare stretti controlli capillari su chi entra in Italia confinando in carcere o riportando in Libia chi rifiuta di farsi identificare o non è in grado di dimostrare in modo credibile la propria identità.

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