SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Il braccio terrorista dei Fratelli Musulmani
di Valentina Colombo 14-04-201  http://www.lanuovabq.it


Agli inizi di aprile il Dipartimento di Stato americano e il governo britannico hanno inserito gli Ansar Bayt al-Maqdis nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.

Il Regno Unito motiva come segue la propria decisione: “Gli ABM sono un gruppo islamista militante che si ispira a Al Qaeda con base nella regione settentrionale del Sinai in Egitto. Il gruppo si dice recluti sia in Egitto che all’estero e miri a creare uno Stato egiziano governato dalla sharia. È accertato che gli ABM sono i responsabili di un certo numero di attentati contro le forze di sicurezza in Egitto a partire dal 2011.

Gli attentati sembrano essere aumentati a partire dalla deposizione del governo Morsi nel luglio 2013. Il raggio di azione del gruppo si estende aldilà del Sinai, poiché il gruppo rivendica la propria responsabilità riguardo a un certo numero di attentati al Cairo e attentati oltreconfine contro Israele. ABM ha effettuato attentati utilizzando esplosivi improvvisati e posizionati in autoveicoli e missili terra aria. Esempi di attentati di cui il gruppo ha rivendicato la responsabilità comprendono: nel settembre 2013 un attentato contro il Ministro degli Interni egiziano nel quale è stato ferito gravemente un cittadino britannico; l’attentato al centro della polizia a Mansura il 24 dicembre 2013, che ha causato la morte di circa 16 persone, compresi 14 ufficiali di polizia; e un attentato a un autobus turistico nel quale hanno perso la vita tre sud coreani e il loro autista egiziano il 16 gennaio 2014».

La decisione assunta dal governo britannico nei confronti degli Ansar Bayt al-Maqdis è contemporanea alla decisione di avviare indagini sull’organizzazione dei Fratelli Musulmani e sugli eventuali legami di quest’ultima con il terrorismo. Ma esiste un legame tra gli Ansar e il movimento fondato da Hasan al-Banna? Nel gennaio 2014, a seguito dell’attentato del dicembre 2013, i Fratelli Musulmani egiziani hanno emesso un comunicato in cui negavano ogni legame con gli Ansar.

Ciononostante l’11 aprile 2014 il sito del quotidiano al-Shuruq pubblica alcune dichiarazioni di Refaat Said, il leader del partito socialista al-Tagammu, che commentano la visita di Catherine Ashton in Egitto alla vigilia delle elezioni presidenziali. Said denuncia che la Ashton «vuole aprire canali per una riconciliazione con i Fratelli Musulmani nonostante sappia perfettamente che il dottor Mohammed Morsi in persona ha importato l’organizzazione degli Ansar Bayt al-Maqdis per collocarla nel Sinai, ha messo in libertà molti dei suoi membri affinché portassero a compimento operazioni terroristiche nel Sinai per fare ritornare Morsi al potere». Said aggiunge, senza mezzi termini, che «l’organizzazione dei Fratelli musulmani è un’organizzazione terroristica, e chi invita a una riconciliazione con loro oppure a unirsi a loro oppure ad allearsi con loro è a sua volta un terrorista». Si tratta di accuse da parte di chi conosce da sempre la Fratellanza e la conosce da vicino attraverso i suoi leader.

Già nel settembre 2013, a seguito dell’attentato al Ministro degli interni, il quotidiano al-Wafd pubblica le dichiarazioni del colonnello Ahmad ‘Abd al-Halim che afferma che «l’organizzazione degli Ansar Bayt al-Maqdis rappresenta un’organizzazione che include 15 organizzazioni presenti e concentrate a Gaza, che appartiene alla sfera di al-Qaeda e Hamas». Nello stesso articolo il colonnello Faruq Hamdan – collaboratore dell’ex ministro degli interni egiziano – afferma che «l’attentato è stato compiuto con la benedizione e la concertazione dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani con gli Ansar Bayt al-Maqdis che è stata finanziata dalla Fratellanza».

Compare a questo punto un filo sottile che unirebbe gli Ansar Bayt al-Maqdis, al-Qaeda e Hamas, organizzazioni che compaiono negli elenchi ufficiali delle organizzazioni terroristiche in Occidente, e i Fratelli Musulmani, che per il momento sono stati inseriti nelle terror lists della Russia (febbraio 2003), della Siria (21 ottobre 2013), dell’Egitto (25 dicembre 2013), dell’Arabia Saudita (7 marzo 2013) e degli Emirati Arabi Uniti (9 marzo 2014).

Il legame tra Hamas e Fratelli Musulmani è cristallino e confermato dall’articolo 2 dello Statuto di Hamas che recita: “Il Movimento di Resistenza Islamico [Hamas] è una delle branche dei Fratelli Musulmani in Palestina. Il movimento dei Fratelli Musulmani è un’organizzazione mondiale, uno dei più grandi movimenti islamici dell’era moderna. È caratterizzato dalla profonda comprensione, da nozioni precise, e da una totale padronanza di tutti i concetti islamici in tutti i settori della vita: nelle visioni e nelle credenze, in politica e in economia, nell’educazione e nella società, nel diritto e nella legge, nell’apologetica e nella dottrina, nella comunicazione e nell’arte, nelle cose visibili e in quelle invisibili, e comunque in ogni altra sfera della vita”.

Apparirebbe invece più difficile dimostrare il legame tra Fratelli Musulmani e movimenti marcatamente jihadisti quali al-Qaeda, la Gamaat al-islamiyya – anch’essa tra le organizzazioni terroristiche riconosciute a livello internazionale - e gli Ansar Bayt al-Maqdis. Ebbene, nel 2005 Sylvain Besson pubblicava, presso le edizioni Du Seuil a Parigi, il volume La conquête de l’Occident. Le Projet secret des islamistes che in appendice presentava per la prima volta in lingua occidentale un documento ritrovato dalle autorità svizzere nel novembre 2001 nell’abitazione di Youssef Nada, uno dei principali esponenti della Fratellanza in Occidente, dall’eloquente titolo “Verso una strategia mondiale della politica islamica (punti di partenza, elementi, condizioni indispensabili e missioni)”. Il “Progetto” è stato ripreso nel 2012 dal giornalista americano Glen Beck che ha realizzato un documentario in cui ne esponeva i contenuti. È a dir poco strano che nessuno abbia dato la dovuta importanza ai contenuti del documento.

Qui vengono illustrati i dodici punti di partenza della strategia della Fratellanza. Qui si legge: “Punto 5: adoperarsi al fine di stabilire lo Stato islamico, parallelamente a compiere sforzi progressivi miranti a controllare i centri di potere locali attraverso il lavoro istituzionale. Punto 6: operare con lealtà accanto a gruppi e istituzioni islamiche nei diversi campi accordandosi su un terreno di intesa al fine di ‘cooperare sui punti di convergenza e mettere in disparte i punti di divergenza’. Punto 7: accettare il principio di una cooperazione provvisoria tra i movimenti islamici e i movimenti nazionali in linea generale e su punti di intesa quali la lotta contro la colonizzazione, la predicazione e lo Stato ebraico senza però giungere ad alleanze. […]” Non si esclude quindi la collaborazione con i movimenti islamici esterni.

Al punto 8 viene ribadita l’importanza dell’approccio “moderato”, graduale: “attuare l’arte del possibile, in una prospettiva provvisoria, senza abusare dei principi di base, nella consapevolezza che i precetti di Allah sono tutti applicabili. Bisogna ordinare il bene e proibire il male, dando sempre un consiglio documentato. Tuttavia non dobbiamo cercare il confronto con i nostri nemici, sia a livello locale che a livello mondiale, poiché sarebbe sproporzionato e potrebbe condurre ad attacchi contro la predicazione o contro i suoi discepoli”.

Finalmente al punto 9 si arriva a parlare di jihad: “costruire permanentemente la forza della predicazione islamica e sostenere i movimenti impegnati nel jihad nel mondo islamico, in gradazioni diverse e nel limite del possibile”. Nell’approfondimento successivo del punto 9 si illustra ancora meglio il concetto: “[…] entrare in contatto con ogni nuovo movimento impegnato nel jihad ovunque si trovi nel pianeta, e con le minoranze islamiche, e creare delle passerelle, a seconda delle necessità, per sostenerli e stabilire una collaborazione. Mantenere il jihad in allerta nella umma. […]”.

Il Progetto prevede quindi un legame, meglio una collaborazione, con i movimenti jihadisti. D’altronde nel 1936 Hasan al-Banna al termine di un appello che rivolse “ai re e ai principi, ai membri delle organizzazioni legislative e delle società islamiche, a chi possiede giudizio e senso dell’onore nel mondo musulmano” presentò le cosiddette “cinquanta richieste” per ritornare a un’autentica società islamica. Qui al punto 3 si leggeva: “Rinforzare l’esercito, moltiplicare le sezioni dei giovani e infiammarli al jihad islamico” (si veda a cura di Andrea Pacini, I Fratelli musulmani e il dibattito sull’islam politico, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1996, p. 21).

Nel 1978 il riformista e politico sudanese Muhammad Mahmud Taha, condannato a morte per apostasia nel 1985, nella prima parte di una sua riflessione intitolata Quelli sono i Fratelli Musulmani, scriveva: “In quest’epoca in cui l’umanità si predisponeva a diffondere l’islam a livello scientifico basandosi sulla persuasione, sulla conciliazione e la pace, quando l’opinione mondiale propendeva alla rinuncia alla violenza e a non ricorrere alla guerra per risolvere i problemi, ecco è arrivata l’organizzazione dei Fratelli Musulmani a chiamare i musulmani al jihad! Ecco lo shaykh Hasan al-Banna, il fondatore della predicazione, dedicare una lettera al jihad, dal titolo “Lettera del jihad” nella quale adduceva molti versi coranici che fomentavano il jihad […] e concludeva la lettera con il seguente invito:

“Fratelli, la umma è una fabbrica della morte […] e Allah le riservato la vita preziosa sulla terra e la beatitudine eterna nell’aldilà, che fragilità ci porta ad abbassarci ad amare la vita terrena e ad odiare la morte, preparatevi a un’azione importante e aspirate alla morte che vi regalerà la vita” (Magmu’a al-rasa’il Hasan al-Banna, pag. 6).”

Nella lettera dedicata agli insegnamenti (al-ta’alim) al paragrafo dedicato all’azione al punto 7 Hasan al-Banna scrive:

“Bisogna essere maestri nel diffondere la predicazione islamica in ogni luogo “Combatteteli sino a che non vi sia più scandalo e il culto sia reso solo ad Allah (Corano VIII, 39) […] E voglio che il jihad sia l’obbligo passato che si protrae sino al Giorno del Giudizio e che abbia come fine  il detto dell’Inviato di Allah – su di Lui il saluto e la benedizione di Allah: ‘Chi è morto non avendo mai combattuto e non avendo mai avuto intenzione di combattere è come se fosse morto nell’epoca dell’ignoranza’.”

L’importanza del jihad è altresì sottolineata dal titolo del saggio che Yusuf Qaradawi, il teologo di riferimento del movimento, ha dedicato alla storia di quest’ultimo: I Fratelli musulmani settant’anni di predicazione, educazione e jihad (Beirut 2001).

Non dovrebbe quindi stupire che il versetto 39 della sura VIII appena citato sia il motto degli Ansar Bayt al-Maqdis, confermando quando affermato nel Progetto della Fratellanza ovvero che i Fratelli musulmani e gli altri movimenti islamisti sono aspetti diversi, ma complementari, di una stessa realtà che predica il jihad : i Fratelli Musulmani lo predicano nel pragmatismo e nella gradualità, mentre gli Ansar, Hamas e al-Qaeda lo predicano e lo praticano senza mezzi termini e senza dilazioni.

Ma qualora la Fratellanza si trovi in condizione di resistenza, allora tutto diventa lecito, proprio come in Egitto. È per questa ragione che le recenti dichiarazioni di Ibrahim al-Munir, colui che è definito il responsabile della Fratellanza in Europa, al Sunday Times hanno il suono di una velata minaccia:

“Se [l’inserimento dei Fratelli musulmani nell’elenco delle organizzazioni terroristiche] si avverasse, molti membri delle comunità islamiche penserebbero che i valori pacifici della Fratellanza … non hanno funzionato e ora sono definiti organizzazione terroristica, che aprirebbe la porta a ogni opzione. Questo creerebbe più problemi di quanti non ci si immagini, non solo in Gran Bretagna, ma per tutte le organizzazioni islamiche nel mondo che predicano ideologie pacifiche”.

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