SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Francia , velo islamico e Corte Europea.
La sentenza.

Lettere da Strasburgo
di Rosario Sapienza Ordinario di Diritto internazionale e Diritto dell'Unione europea nell'Università di Catania
www.popoli.info

Di burqa, niqab e d’altro.
La Corte europea sul caso S.A.S. contro Francia

Con la decisione del 1° luglio scorso, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata nel controverso caso S.A.S. contro Francia (ricorso n. 43835/11) che vedeva una donna, di origine pachistana e di religione islamica sunnita, dolersi dell’esistenza in Francia di una legge (la n. 2010-1192 dell’11 ottobre 2010) che vieta di portare in luoghi pubblici indumenti che celano il viso e dunque alle donne di portare il burqa o il niqab (indumenti che impediscono l’immediata identificabilità di chi li indossa).

La donna, musulmana di rigida osservanza, affermava che l’esistenza di una simile legislazione costituiva un serio attentato alla sua pace interiore di credente e, nella specie, violava i diritti che gli articoli 3 (divieto della tortura), 8 (tutela della vita privata), 9 (tutela della libertà religiosa e di opinione), 10 (libertà d’espressione), 11 (libertà di riunione) e 14 (diritto alla non discriminazione) della Convenzione le riconoscono.

La Corte si è concentrata sulle doglianze relative agli articoli 8 e 9 e ha concluso per la non violazione della Convenzione ritenendo che la Francia, nell’adottare la legge in questione, abbia perseguito uno scopo legittimo ai sensi della Convenzione e lo abbia fatto con mezzi compatibili con la necessità di rispettare i diritti dei singoli in una società democratica, tenuto anche conto del fatto che in materia gli Stati parti della Convenzione godono di un ampio «margine d’apprezzamento». 

La sentenza è stata assai criticata da parte di chi la ritiene semplicemente un tentativo della Corte di legittimare anche a livello europeo il comportamento di uno Stato poco sensibile ai temi della libertà religiosa. Io credo invece che la questione sia più complessa e che la Corte abbia questa volta dato prova di prudente equilibrio nell’affrontare la delicata questione. Argomento qui di seguito la mia opinione.  

Occorre in primo luogo riconoscere che, nel discutere il profilo della «necessità in una società democratica» dei divieti imposti dalla legge anti-velo, correttamente la Corte ha respinto l’argomento del governo secondo il quale scopo della legislazione in questione sarebbe la protezione della pubblica sicurezza. La Corte ha sostenuto, infatti, che per ragioni di pubblica sicurezza sarebbe sufficiente chiedere a chi porta il velo o il burqa di lasciarsi identificare ove appaia necessario.

Più problematico risulta invero accettare il fatto che la Corte abbia ritenuto giustificato il divieto del velo perché celare il viso nuocerebbe alla qualità del «vivere insieme» in una società coesa e ordinata, valore che la Francia ha detto di voler tutelare attraverso la legislazione contestata. In relazione a questo profilo la Corte ha fatto riferimento alla circostanza che di fronte a scelte di tale rilievo sociale occorre riconoscere a chi decide (il governo) un ampio margine d’apprezzamento, non potendo la Corte sostituire in casi così delicati le proprie valutazioni a quelle nazionali, specie quando non esiste una consolidata communis opinio nei vari Paesi europei. Proprio su questo profilo i giudici dissidenti Nussberger e Jäderblom hanno invece fatto osservare che sussiste più di un elemento che permette di concludere in senso difforme all’opinione espressa dalla maggioranza della Corte. E io la penso come loro.

Al tempo stesso, mi pare da segnalare l’importante circostanza della valorizzazione da parte della Corte del punto di vista espresso dalla ricorrente in relazione alla libertà della propria scelta di indossare questi indumenti e al valore gendered della propria scelta di libertà, mostrando una nuova sensibilità rispetto al punto di vista generalmente accolto in Occidente secondo il quale la donna musulmana sarebbe sempre oppressa e il preteso «obbligo» del velo rappresenterebbe di ciò la prova.

Così come è da approvare, credo, la preoccupazione che la Corte ha ritenuto di esprimere in più passaggi per una interpretazione islamofobica della legge in discussione.

Certo, resta innegabile il fatto che la Corte in fin dei conti giustifica la politica francese di perseguimento ad oltranza  di una laicità identificata con l’assenza (rectius il divieto) negli spazi pubblici di simboli di appartenenza religiosa. Di ciò mi dolgo anch’io, ma credo che bisognerebbe ricordare quel che la storia d’Europa ci insegna, e cioè che la nascita dello Stato e del sistema degli Stati avviene in contrapposizione con lo schema e il modello della Respublica sub Deo e che ciò ancora costituisce problema. Trasferendo, ahimè!, nel vissuto delle singole persone concrete i nodi irrisolti della storia.  

           SOMMARIO RASSEGNA STAMPA