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Coppia di cristiani arsa viva da folla musulmani per blasfemia

di Redazione Online corriere.it 4 novembre 2014 | 18:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

I corpi gettati nella fornace per mattoni in cui i due lavoravano. Accusati di avere profanato il Corano.
I due avevano circa 30 anni e avevano tre figli

Pakistan, la donna era incinta

In Pakistan ci sono diverse leggi che condannano la blasfemia. Chi offende Maometto viene ucciso. Chi offende il Corano può avere diverse pene fino all'uccisione. I versetti del Corano si trovano riportati in giornali, riviste e persino nella pubblicità. Sono sempre scritti in arabo , lingua che i cristiani pakistani normalmente non conoscono. Bruciare un giornale, un cartone, o un volantino pubblicitario per accendere il fuoco di casa , secondo la legge del Pakistan significa blasfemia verso il Corano. Orrore in Pakistan: due giovani cristiani sono stati bruciati vivi. Sono stati spinti con la forza in una fornace da un gruppo di musulmani accorsi da diversi villaggi per punirli perché accusati di blasfemia. A linciare i due cristiani è stata una «folla inferocita di 400 persone», ha riferito un ufficiale della polizia pakistana, Muhammad Binyamin. È accaduto nella zona di Lahore, stessa città dove l’Alta Corte ha confermato qualche giorno fa la condanna a morte di un’altra cristiana accusata di blasfemia, Asia Bibi, madre di cinque figli in carcere dal 2009. E ancora dal Pakistan la voce di Sawan Masih, cristiano condannato a morte, anche lui per blasfemia, che dall’aprile del 2014 è nel carcere di Faisalabad, e che proprio oggi si è detto fiducioso sulla sua liberazione. A rilanciare in Italia la notizia dei due cristiani arsi vivi è stata Fides, l’agenzia dei missionari. Shahzad Masih e sua moglie Shama, rispettivamente di 26 e 24 anni, sono stati accusati di aver bruciato pagine del Corano. E per questo sono stati uccisi.

Prigionieri per due giorni e poi arsi vivi

Il fatto - ha raccontato l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq - è accaduto nel villaggio Chak 59, nei pressi della cittadina di Kot Radha Kishan, a sud di Lahore. «Pakistan Today» ha dato grande risalto alla notizia e ha aggiunto dei particolari sulla giovane coppia: erano sposati, avevano tre figli e Shama era incinta del quarto. I due, che lavoravano da qualche anno nella fabbrica di argilla, sono stati sequestrati e tenuti in ostaggio per due giorni, a partire dal 2 novembre, all’interno della fabbrica. Martedì mattina sono stati spinti nella fornace dove si cuociono i mattoni.

«Profanato il Corano»

L’episodio che ha scatenato la follia, cioè la supposta blasfemia, è legato alla recente morte del padre di Shahzad. Due giorni fa Shama, ripulendo l’abitazione dell’uomo, aveva preso alcuni oggetti personali, carte e fogli e, secondo la stampa pakistana, anche amuleti per pratiche di magia nera. La donna ha deciso che quella roba non serviva più e ne ha fatto un piccolo rogo. Secondo un musulmano, collega dei due giovani e che aveva assistito alla scena, in quel rogo vi sarebbero state delle pagine del Corano. L’uomo ha quindi sparso la voce nei villaggi circostanti e una folla impazzita ha preso in ostaggio i due giovani. Poi il tragico epilogo.

Decine di arresti

La polizia è intervenuta ma è riuscita solo a constatare la morte dei due giovani e ad arrestare, per un primo interrogatorio, una cinquantina di persone. «È una vera tragedia - ha commentato l’avvocato -, è un atto barbarico e disumano. Il mondo intero deve condannare questo episodio che dimostra come sia aumentata in Pakistan l’insicurezza tra i cristiani. Basta un’accusa per essere vittime di esecuzioni extragiudiziali. Vedremo se qualcuno sarà punito per questo omicidio». Il primo ministro del Punjab, Shahbaz Sharif, ha costituito un comitato ristretto di tre persone per accelerare le indagini. Paul Bhatti, ex ministro pakistano e fratello di Shabbaz, ucciso nel 2011 per la sua opera a difesa delle minoranze, nella presentazione del dossier sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre, che è stato presentato proprio oggi, sottolinea: «Nessuno dovrebbe subire violenze fisiche e psicologiche in ragione della sua fede».

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