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I Profughi, che business: paghiamo anche il legale

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Tempi lunghi, ingorgo di uffici e tribunali, sprechi, un business crescente di diverse categorie. Ma è tutto top secret. di Andrea Zambrano 30-04-2016 lanuovabq.it


Il complesso e dispendioso sistema Sprar, che garantisce lo status di protezione internazionale ai profughi arrivati da quei paesi dell’Africa o dell’Asia in guerra, è un gigantesco iceberg del quale vediamo solo la punta superficiale, ma non intravediamo né la profondità né la fine.

Quanto costa allo Stato italiano? Dunque al contribuente? E quanti sono gli sprechi e il grado di trasparenza che il Ministero esercita sia sul sistema Sprar che sull’attività precedente, cioè quella di pertinenza dalle Prefetture che attraverso le commissioni territoriali devono concedere i dinieghi o lo status di rifugiato internazionale?

Purtroppo di dati e cifre le cronache sono molto povere e se ci sono non sono dettagliate al punto da capire tutta la filiera nel dettaglio di quello che è un vero e proprio business per molti. Tanto che un magistrato, confidandosi con la Bussola, ma che preferisce tutelarsi dietro l’anonimato, asserisce che in questo il Ministero degli Interni è totalmente reticente.

Una reticenza che non è spiegata da particolari motivi, anche perché qui si tratta di gestione ordinaria amministrativa e non di fondi coperti da segreto di Stato come quelli che vengono elargiti ai servizi segreti o ai pentiti di mafia. Anzi, c’è di più, come confida alla Bussola uno dei 40 presidenti di commissione territoriale presenti sul territorio italiano: “Ci è stata data la consegna del silenzio, soprattutto con i giornalisti. Eppure certe cose si dovrebbero sapere”. Che tipo di cose? Qui la partita si fa più difficile.

La Bussola ha infatti scoperto che lo Stato paga l’avvocato a tutti quei richiedenti asilo che, una volta ottenuto il diniego da parte della prefettura, non rientrando dunque nelle casistiche di chi ha diritto allo status di rifugiato, decidono in perfetto ossequio alla legge, di presentare ricorso al tribunale civile. In sostanza, quello che si configura come un diritto inalienabile per il richiedente asilo che si vede rifiutare la carta di soggiorno per motivi umanitari, è anche un vero e proprio affare per gli avvocati.

Questi, grazie al gratuito patrocinio, possono, non certo arricchirsi, ma comunque arrotondare per bene i loro introiti dato che le tariffe vanno dai 300 agli 800 euro a caso. Moltiplicate per circa 150mila, tale sulla base delle percentuali altissime di dinieghi è il numero di migranti che ricorre al giudice, e fate il conto di quanto possa costare allo Stato.

Un vero e proprio allarme quello del gratuito patrocinio, che è stato anche osservato recentemente nel corso dell’apertura dell’anno giudiziario.

Costa troppo e i costi sono lievitati perché da quando c’è l’emergenza migranti è aumentato a dismisura il numero di persone che hanno fatto richiesta per ottenerlo. A sperare di guadagnare qualche cosa sono anche i tanti privati cittadini che si stanno rivolgendo alle prefetture per chiedere informazioni su come attrezzare i propri appartamenti sfitti da dare in gestione a quegli enti o cooperative sociali accreditate per l’ospitalità dei richiedenti asilo.

Considerati i 35 euro al giorno cadauno, moltiplicato per 30, un immigrato può arrivare a costare circa 1000 euro al mese, aggiungete dai due ai tre ospiti per appartamento, stornate la quota da dare alla cooperativa per il vitto, le pratiche burocratiche di verifica e le spese mediche e tutto il netto è in tasca al cittadino che si sta rendendo conto di come quella di ospitare i profughi in case di proprietà possa essere sicuramente più sicuro, ma anche più redditizio del banale contratto di affitto, che è anche tassato maggiormente e ti lega per molto più tempo all’inquilino.

I costi lievitano se si pensa che per le operazioni in acque internazionali la Marina viene pagata di più, anche perché di più è il tempo passato in mare. Ma lo spreco maggiore si ottiene considerando che nel lungo tempo morto che va dall’arrivo della lettera di diniego della prefettura alla sentenza di Cassazione che quasi sempre si esprime negativamente, può trascorrere anche un anno e mezzo.

In questo lasso di tempo il richiedente asilo prolunga la sua permanenza a spese dello Stato nelle strutture in cui è assegnato che possono così continuare a confidare nell’entrata. Tanto più che la legge richiede una certa celerità nelle decisioni dei tribunali, 3 mesi per il primo grado e 6 masi per il secondo. Tempistiche che non vengono quasi mai rispettate, dato che il sistema giudiziario è rimasto lo stesso nell’organico. Ma che hanno una ricaduta sui tempi di attesi medi per una causa civile che già erano biblici e ora sono biblici all’ennesima potenza.

Dato che le cause dei richiedenti asilo devono avere la precedenza, queste intoppano ancora di più il sistema. Il risultato è che se un cittadino presenta un’istanza in tribunale civile, questa fino al 2019 non sarà minimamente discussa. A rappresentare un problema sono anche gli ingorghi nelle commissioni prefettizie. Nel 2010, quando l’emergenza non era così marcata, l’Italia accoglieva circa 4.500 profughi richiedenti asilo e aveva a disposizione 20 commissioni.

Oggi i profughi sono 160mila, ma le commissioni sono appena 40: lo squilibrio è evidente. Tra gli addetti ai lavori ci si sta chiedendo se non sia più conveniente potenziare le strutture di verifica dei prefetti, in modo che possano accelerare le risposte sui diritti. Questo farebbe risparmiare notevolmente lo Stato per la parte dell’ospitalità. E consentirebbe ai migranti di conoscere prima il loro destino. Anche se, e questo è ormai un segreto di Pulcinella che si passa tra i prefetti e i giudici, anche una volta arrivati alla sentenza negativa in Cassazione, i migranti, che in quel momento saranno clandestini a tutti gli effetti, resteranno in Italia, e restano in Italia, a ingrossare le fila del mercato nero o peggio ancora della malavita.

Insomma: il meccanismo fa comodo a qualcuno, ma lo Stato avrebbe il dovere di controllare meglio la trasparenza con la quale vengono effettuate certe operazioni. Ad esempio: i controlli sulle modalità con le quali le prefetture firmano i contratti con alberghi o bed & breakfast sono praticamente inesistenti. E le prefetture di solito nell’emergenza non stanno neanche tanto a contrattare sui prezzi e i costi. Tanto paga Pantalone. «Poi ci si stupisce se ogni tanto un magistrato per vederci chiaro apre un fascicolo», confida la nostra toga.




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