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Domenica 28 maggio, al " Regina Caeli ", papa Francesco ha rotto il silenzio sul carattere religioso della guerra scatenata dallo Stato islamico e da altri settori affini del mondo musulmano.source: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/ 31 mag 2017

Ha infatti rimarcato che le 30 vittime, "tra cui anche bambini", dell'eccidio di due giorni prima in Egitto erano "fedeli che si recavano a un santuario a pregare, e sono stati uccisi dopo che si erano rifiutati di rinnegare la loro fede cristiana". Sono quindi "martiri" nel vero senso della parola, uccisi per la loro fede.

Francesco non ha detto nulla di specifico sugli autori dell'aggressione. Li ha semplicemente definiti "terroristi". Ma se hanno agito come da lui descritto, logica vuole che li abbia giudicati mossi proprio da motivi religiosi, cioè da quella "idea di conquista inerente all’anima dell’islam" che lo stesso Francesco, in altra occasione, ha indicato come movente di simili atti, incredibilmente però equiparando tale musulmana idea di conquista con "la fine del Vangelo di Matteo dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni".

Per una curiosa coincidenza, proprio questo testo di Matteo – "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole…" – era il brano evangelico letto domenica scorsa, festa dell'Ascensione, in tutte le chiese cattoliche e commentato dal papa al "Regina Caeli".

Per fortuna, questa volta, senza riproporre la scriteriata equiparazione, già severamente criticata, all'epoca, da due autorevoli studiosi come l'islamologo gesuita Samir Khalil Samir e il filosofo e arabista Rémi Brague

Equiparazione, però, inopinatamente rilanciata il 25 maggio dal cardinale Gualtiero Bassetti, nominato due giorni prima da papa Francesco presidente della conferenza episcopale italiana. Con in più la negazione insistita di ogni vero movente religioso nel terrorismo musulmano:

"Non sono le religioni che provocano la violenza o il terrorismo; sono schegge impazzite di religioni. Ne abbiamo avute anche nel mondo cattolico. Molti dei brigatisti rossi venivano, per esempio, dalle nostre università cattoliche. Si parla di terroristi islamici, ma non sono islamici, anche se quando uccidono o mentre si fanno esplodere pronunciano il nome di Allah. Non sono islamici; sono delle povere creature pazze di furore, impazzite di odio".

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Nei giorni scorsi, in ogni caso, quella egiziana non è stata l'unica strage degli innocenti compiuta sotto le insegne dell'islamismo radicale.

Vi è stato il massacro di Manchester, di cui tutti hanno saputo. Ma vi sono state anche due altre aggressioni armate nell'Asia sudorientale, trascurate dai media ma altamente indicative.

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Il 24 maggio, in Indonesia, un attacco terroristico rivendicato dallo Stato islamico ha colpito una affollata stazione di autobus nell'Est della capitale Giacarta, provocando 5 vittime, compresi i due attentatori suicidi, e il ferimento di altre 12 persone.

È la seconda volta in un anno che lo Stato islamico colpisce l'Indonesia. E questo prova sia la sua capacità di agire su scala planetaria, sia la crescente permeabilità della più popolosa nazione musulmana del globo all'espansione dell'islamismo radicale.

Il sintomo più evidente di questa espansione e della sua forte connotazione religiosa è la recente condanna per blasfemia, sotto massicce pressioni di organizzazioni musulmane, dell'ex governatore di Giacarta e candidato alla presidenza Basuki Tjahaja Purnama detto "Ahok", preso di mira proprio perché cristiano: Asia Bibi in Pakistan, Ahok in Indonesia. L'islam intollerante fa contagio

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Ma ancor più inquietante è ciò che è accaduto il 23 maggio nelle Filippine, nella città di Marawi, in un'isola del Sud abitata prevalentemente da musulmani.

Circa cinquecento uomini armati hanno assaltato e dato alle fiamme la cattedrale cattolica, hanno catturato e poi ucciso a freddo 9 fedeli, hanno sequestrato il vicario diocesano Teresito Soganub e 15 altri fedeli tra cui alcune suore, hanno espugnato il comando di polizia e decapitato il comandante, hanno messo a ferro e fuoco l'intera città, con decine di morti, e ne hanno preso il controllo, innalzando le nere bandiere dello Stato islamico (vedi foto).

Marawi è situata nella regione autonoma di Mindanao, dove si concentrano i 5 milioni di musulmani delle Filippine, da tempo teatro di guerriglie secessioniste ma di recente sempre più infestata da milizie jihadiste e affiliate allo Stato islamico.

Un sedicente "califfato" era già stato proclamato nel 2016 nella città di Butig, nella provincia di Lanao del Sud, poi riconquistata dalle truppe governative.

E anche ora a Marawi l'esercito filippino sta combattendo per rioccupare la città, con numerose ulteriori vittime. In tutta la regione di Mindanao il governo ha proclamato la legge marziale.

La Chiesa delle Filippine è in forte apprensione. Il cardinale Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato, città anch’essa sull’isola di Mindanao, ha chiesto aiuto ai leader musulmani del luogo per la liberazione degli ostaggi. E il vescovo di Marawi, Edwin de la Peña, ha invocato da papa Francesco vicinanza e preghiera.



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