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Sinodo amazzonico, dirimente per oggi e domani


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Evitando di fare proprie con chiarezza le conclusioni del Sinodo sull’Amazzonia su cruciali temi ecclesiali – uomini sposati nel presbiterato e ministeri femminili – l’esortazione apostolica Querida Amazonia ha innescato divergenti interpretazioni tra i vescovi e nel mondo teologico. Alcune ardite ipotesi di soluzione.

source confronti.net Marzo 2020 di Luigi Sandri Redazione Confronti.


Commenti, variegati e divergenti, a Querida Amazonia [QA] – l’esortazione apostolica postsinodale datata 2 febbraio – hanno messo in evidenza profonde divergenze nel mondo cattolico che, a livello episcopale e teologico, si è cimentato nell’interpretazione del testo papale, via via considerato profetico, reticente, aperto o chiuso nelle sue prospettive ecclesiali.

UN ENIGMATICO SILENZIO PAPALE

Nel mondo “progressista” cattolico, unanime è stata la lode per le parole forti, audaci di QA in difesa dell’ecosistema amazzonico insidiato dai potentati economici, e a protezione dei diritti dei popoli “primi” di quell’immensa regione (7,8 milioni di kmq).

Così, del resto, aveva proclamato, nelle sue conclusioni – 120 paragrafi votati uno ad uno – il Sinodo dedicato all’Amazzonia, che in ottobre aveva visto convenire a Roma 185 “padri” con diritto di voto, e decine di altri e altre assistenti, tra cui una trentina di donne, senza quel diritto.

Francesco ha rilanciato il grido di una Chiesa che vuole spendersi perché l’Amazzonia viva in pienezza; e per una Chiesa, là, dal volto (rostro) amazzonico.

Ma se, sotto l’aspetto geo-sociale, identico è stato lo slancio del papa e del Sinodo, sotto quello ecclesiale QA documenta invece tra i due anche cesure e differenze, per non dire divergenze.

Perché?

Il Sinodo, dopo ampio dibattito (e l’ascolto, nei circuli minores, i raggruppamenti linguistici di “padri” e “assistenti”, anche di donne e uomini autoctoni amazzonici), sul versante ecclesiale aveva proposto, al paragrafo 111, un’idea “nuova”:
l’ordinazione sacerdotale di diaconi già sposati – di fatto, viri probati – per servire comunità sparse nella foresta e dove assai raramente giungono in visita preti celibi. Proposta approvata (128 “sì” e 41 “no”) da oltre i due terzi dei “padri”, pur registrando un’opposizione corposa.

Su donne-diacono, invece, al paragrafo 103, con 137 “sì” e 30 “no”, aveva proposto un’ipotesi remissiva e debole, in pratica rinviando il tema al futuro.

Ma che è accaduto, con QA?


Essa ignora il paragrafo 111, come, in dettaglio, tutti gli altri; d’altronde, Bergoglio apriva così il suo testo: «Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel documento conclusivo. Non intendo né sostituirlo né ripeterlo… Ho preferito non citare tale documento, perché invito a leggerlo integralmente. Dio voglia che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro, che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici dell’Amazzonia si impegnino nella sua applicazione».

Fiumi di inchiostro hanno commentato il silenzio papale, e le sue parole, da molti considerate del tutto ambigue e contraddittorie.

QA ammette i viri probati?
No, si sono affrettati a constatare, rassicurati, i “conservatori”: infatti, dove sta scritto il “sì”? Slalom, invece, di monsignor Víctor Manuel Fernández: classe 1962, dal 2009 al 2018 rettore della Università cattolica argentina, teologo di fiducia di Bergoglio che, due anni fa, lo nominò arcivescovo di La Plata.

Sul clero uxorato, ha detto il prelato, «non si è saputo cogliere una preoccupazione che Francesco ha espresso più volte: pensare a soluzioni troppo clericali di fronte ai problemi della società e della Chiesa in Amazzonia. Egli ha insistito piuttosto sulla necessità di affrontare le carenze e le difficoltà, dando origine, con maggiore audacia, a una Chiesa “marcatamente laicale”… Si tratta di dare maggiore autorità ai laici e comunque di accompagnarli, affinché possano prendere le redini della Chiesa in Amazzonia… Comunque Francesco non ha escluso la possibilità di ordinare alcuni uomini sposati… Per la prima volta un’esortazione apostolica non costituisce un’interpretazione del documento finale del Sinodo o una limitazione del suo contenuto. È solo una struttura complementare di quel documento».

Domanda: ma se il papa era d’accordo con il “sì”, perché non citare, facendolo suo, il paragrafo 111 votato dal Sinodo? Ignorandolo, ha rafforzato i “no”, ufficiali o ufficiosi, del pontefice emerito Benedetto XVI, e dei cardinali Sarah, Burke, Ruini, Müller & C.

Per fortuna, sul tema ha parlato chiaro un altro vescovo: Erwin Kräutler, austriaco di origine, classe 1939, dal 1981 al 2015 alla guida della prelatura territoriale di Xingu (368mila kmq!), nello Stato del Pará, deciso sostenitore dei viri probati per far crescere comunità disperse nella selva.

Egli ha esaltato l’impegno sociale di QA, ma si è detto imbarazzato per il suo versante ecclesiale: «Il papa riafferma che una comunità cristiana non può che crearsi e crescere attorno ad un altare. Egli afferma la necessità di celebrare l’Eucaristia»; ma poi tace sui viri probati, là ove non ci sono preti celibi, e sulle donne-diacono: «Già, qui il sogno si arresta. Questa parte di QA è molto strana, e cambia veramente di stile».

In Germania si sta celebrando un Sinodo – durerà due anni – che affronterà anche ministeri femminili, viri probati e celibato ecclesiastico. Se su tali temi i tedeschi faranno ipotesi “innovative”, che farà Roma, di fronte alla potenza di fuoco (teologica) della Chiesa tedesca, un gigante, in tal senso, rispetto alla povera Chiesa amazzonica?

Intanto, da Berlino giungono voci che presto Francesco concederà a qualche diocesi amazzonica di ammettere, in via eccezionale, viri probati. Ma perché, allora, il pontefice non ha accolto immediatamente i desiderata del Sinodo?

TEOLOGIA ARRETRATA SU SACERDOZIO E DONNE

La domanda, secca, è: chi ha scritto la parte ecclesiale di QA? Il teologo Giovanni Cereti – da noi stimatissimo – ha sostenuto che, in fondo, il papa non chiude nulla; solo “differisce” e, anzi, pone le premesse per arrivare anche a viri probati e donnadiacono.

Si licet parva componere magnis, divergo da tale esegesi benevola. Trovo più adeguati i commenti del benedettino francese Ghislain Lafont e del teologo della liberazione brasiliano Leonardo Boff: per essi da QA emerge una teologia del sacerdozio arretrata; essa isola il sacerdote celebrante dalla sua comunità (senza la quale non esiste!), lo sacralizza; e ignora gli apporti della costituzione conciliare Lumen gentium.

Boff, poi, fustiga la tenacia della Curia romana nel voler imporre agli autoctoni amazzonici l’idea, per essi “inconcepibile”, del celibato sacerdotale. Tali critiche di fondo vengono da persone che finora avevano visto in Bergoglio il vero riformatore della Chiesa e traduttore, anche in campo ecclesiale, del Vaticano II. Adesso si ritrovano spiazzate.

Poteva non prevedere, Francesco, che sarebbe stato impossibile fermare l’ipotesi dei viri probati, se messa nero su bianco anche nell’Instrumentum laboris, il testo-base della discussione sinodale?

Più guardinghi, i suoi predecessori (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI) in situazioni analoghe avevano impedito che il tema, formalmente, apparisse. Averlo voluto, averlo fatto approvare, e poi di fatto cancellarlo, è stato un dietrofront calcolato oppure un evidente errore di governo?

Ma perché, infine, Bergoglio si è arreso ai contrari ai viri probati? Per ora, non sappiamo (almeno: noi non sappiamo) tutta la verità; mancano alcuni segmenti.

Diciamo, grosso modo, che un numero assai significativo di porporati – tra essi anche chi, come Camillo Ruini, non ha mai firmato proclami critici contro Francesco – ha fatto sapere “in alto” che avrebbe pubblicamente dissentito da un avallo, in QA, a quell’ipotesi.

Non era proprio uno scisma, ma certo un colpo mortale al pontificato in atto. Turbato dal possibile alzamiento, il papa ha preso una decisione cruciale: cancellare la parte “incriminata” della bozza e sostituirla in fretta con un’altra, affidata a qualcuno che, sul tema “ministeri”, amasse il Concilio Tridentino più del Vaticano II e più dei vescovi amazzonici.

L’arretramento di QA si constata ancor più nei paragrafi riguardanti le donne: sono di una povertà impressionante, lontana le mille miglia dai possibili apporti di tante donne teologhe del Nord e del Sud del mondo.
I ragionamenti, poi, con cui l’esortazione fonda il rifiuto a esse di ruoli ecclesiali e ministeriali per – spiega – non “clericalizzarle”, adombrano tesi surreali, oggi indifendibili.

FELIX CULPA: E SE NELLA FORESTA AMAZZONICA…

Per “capire” i silenzi di Francesco, si è citata una sua sentenza: «L’importante non è fare tutto e subito, ma avviare processi che, infine, matureranno». Giustissima ipotesi che, però, rischia di rimanere sterile.

Come ora accade, infatti, anche tra dieci o quindici anni i seguaci/discepoli dei vari Ratzinger, Müller, Ruini e Sarah diranno “no”, con gli stessi argomenti di oggi, ai viri probati o alle donne in tutti i ministeri.

Infatti, i nodi soggiacenti a tali temi implicano un background biblico, teologico e storico che nessun Sinodo può sciogliere. Eppure il 3 marzo Francesco ha annunciato che nell’ottobre del 2022 ci sarà a Roma un’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi su “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”».

Ancora parole, ancora differimenti ad altri Sinodi episcopali nella vana speranza di approdi sui quali tutti concordino? Nella Chiesa cattolica romana pesa, da mezzo secolo (il Concilio terminò nel 1965), una strozzatura: in essa manca un Sinodo del popolo di Dio!

Potranno allora tra due anni i vescovi, maschi, votare essi soli sul ruolo della donna nella Chiesa?

Le contraddizioni che si sono ammassate, e le conseguenze dei silenzi (pur incolpevoli!) del Vaticano II su Chiesa-donna bypassano la buona volontà del singolo pontefice, riproponendo l’urgenza più fascinosa, ma anche la più ardua e urgente: un Concilio di nuovo conio, con “padri” e “madri”.

E nel frattempo?

Quanto deciso dal Sinodo di ottobre non è nato all’improvviso: già a partire dal 2018 la Repam (Rete ecclesiale panamazzonica, guidata dall’ex arcivescovo di São Paulo, cardinale Claudio Hummes) aveva organizzato circa 260 eventi in quell’immensa regione, tra cui 70 assemblee territoriali, 25 forum tematici e più di 170 altre attività; a tali iniziative hanno partecipato oltre 87.000 persone.

Un “processo” sfociato poi nel Sinodo, e però di valore zero per Ratzinger, Sarah e company. O forse i temi tabù rifioriranno nella futura Iglesia con rostro amazónico la cui visione balena in QA?

Alto il lamento di Kräutler: come spiegare agli indigeni i “silenzi” del papa sui “nuovi” ministeri, e come rispondere al loro bisogno di Eucaristia?

Un modo – pensiamo – ci sarebbe: la domenica le comunità indigene senza prete si riuniscono, e donne e uomini insieme celebrano la Cena del Signore così come descritta da Paolo (I Corinti, 11): fanno memoria di Gesù, spezzano il pane, bevono il vino passandosi la coppa. Cantano e danzano come a loro piace. La domenica seguente, e l’altra ancora… ripetono lo stesso rito. Più “processo” di così!

E da laggiù la lieta novella rimbalzerà in Germania, e poi in Australia (dove si tra preparando un Concilio locale simile al Sinodo tedesco). Felix culpa, dunque, i silenzi imbarazzati di QA?

In realtà, la questione ecclesiale amazzonica – “marginale”, secondo alcuni commentatori! – ci pare condensare in sé un’enorme serie di problemi che, risolti o irrisolti, incomberanno sul prossino conclave. Sarà il vento del Rio delle Amazzoni a caratterizzare la nuova stagione della Chiesa romana?

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