I
cruenti fatti di cronaca
recente mostrano lo
stretto legame tra
religione e violenza
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: corriere.it
19 febbraio
2024, 06:50
- modifica
il 19 febbraio
2024 | 06:50
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"
A tal proposito
molti pensano,
come canta
Lennon in
"Imagine",
che eliminare
le religioni ci
renderebbe più
fratelli. Proprio
la Bibbia affronta
il tema sin dall’inizio
senza mezzi termini:
la violenza tra
fratelli scatta
proprio per un
motivo religioso.
Infatti al
capitolo
4 di Genesi
è narrata
la vicenda di Caino
e Abele, i primi
due fratelli, figli
di Adamo ed Eva.
I due fanno
un’offerta
a Dio, ma
quella di Caino
non è gradita.
Questi, invece
di interrogarsi
sul perché,
decide di eliminare
il fratello.
Potremmo dare
la colpa a Dio,
che però non
aveva chiesto
alcun sacrificio,
è stata una
loro iniziativa,
perché la
religione
è una iniziativa
umana, un
modo in cui l’uomo
risponde al suo
non bastarsi.
Ma nel racconto
ciò che interessa
a Dio è altro:
il cuore dell’uomo.
Infatti mette
in guardia
Caino proprio sulle
condizioni del
suo cuore, che
non sopporta ci
sia un altro ad
avere ciò che lui
vuole in esclusiva.
Non
è la religione
a generare violenza,
ma la mania di
possesso, anche
su Dio. La
parola religione
(da re-ligare)
rimanda al
creare legami,
mentre Caino li
spezza: «Sono
forse il custode
di mio fratello?»
risponde
a Dio che gli chiede
dove sia
Abele. Ma perché
proprio la
religione nella
storia fa spesso
emergere questa
violenza?
La violenza
di Caino
(che rappresenta
anche gruppi
o popoli) non
nasce dalla religione
ma dalle difese
che il nostro
io impaurito
dalla morte
alza per
proteggersi e
rassicurarsi: avere
il controllo di Dio o
di ciò che riteniamo
essere dio (risorse,
potere, ricchezza,
salute...).
L’io
non vuole con-dividere,
vuole essere
«figlio unico»,
cioè «assoluto»,
letteralmente
«sciolto da tutto»,
del tutto autosufficiente:
non ci possono
essere fratelli.
Il
problema è tutto
in una «d»,
basta toglierla
a Dio e l’io,
privo di trascendenza,
diventa violento,
perché il
suo desiderio
di infinito viene
proiettato
su ciò che è finito,
e l’altro diventa
una minaccia
allo «spazio vitale»,
la «d» è
sostituita da una
«m», perché dire
«mio» significa
rafforzare l’«io».
L’ego
non vuole con-dividere,
gli pare
di morire.
Che c’entra
questo con la religione?
La religiosità,
come mostra la
storia dell’umanità,
è un bisogno
naturale
dell’uomo che scopre
di non bastare
a se stesso. La
psicologia della
religione,
che è parte
di quella del profondo,
spiega che
l’atteggiamento
religioso è
una disposizione
esistenziale
che, sfuggendo
al puro dominio
razionale, attribuiamo
infatti a luoghi
metaforici: inconscio,
cuore... A questo
livello profondo
siamo mossi
dall’istinto
di conservazione,
come dalla
fame, dalla sete,
dalla paura
del dolore.
E
usiamo la
religione come narrazione per sopravvivere,
o meglio l’ego,
impaurito della
morte, se ne
serve così:
in un aereo
in balia di forti
perturbazioni
pregano anche gli
atei. L’uomo,
nel tentativo di
gestire forze di
cui non ha
il controllo, inventa
espedienti rassicuranti,
attribuisce
al divino
ciò che lo minaccia
e cerca di
tenerlo a bada
attraverso rappresentazioni
con le quali
instaura poi
relazioni di
tipo commerciale:
idoli, sacrifici,
preghiere,
prove...
in cambio
di protezione.
Di fronte
all’ignoto che
è ignoranza della
causa o dello scopo
di qualcosa,
l’uomo
ha bisogno di rassicurarsi,
e la religione
attenua la paura
dettata dall’ignoranza (paura oggi
combattuta
con una fiducia
nella scienza e
nella tecnica che
ha infatti assunto
caratteri
religiosi: devozione,
fedeli, nemici,
profeti, promesse...).
Per
farsi amico di
ciò che lo minaccia
e gestirne
la paura,
l’uomo crea strutture
materiali
e psichiche fatte
di narrazioni,
regole, luoghi,
riti e si assoggetta
ad esse.
Chi
minaccia queste
«proiezioni»
e «protezioni»
diventa: eretico,
infedele, impuro...
L’ego pone confini
ed esclusività
proprio a chi
gli sta più vicino
(«fratello» nel
racconto
di Caino
e Abele indica
i legami
più stretti).
Il
sadismo è la
risposta estrema
al senso di minaccia
portato al nostro
ego, e diventa
masochismo quando
è rivolto a se
stessi: devo distruggere
ciò a cui tengo
per tenermi buono
il divino.
«Perché
proprio a me
che ti ho sempre
servito» è la
frase che tradisce
l’ego che crede
sia amore la
sua interessata
sottomissione.
La
religiosità autentica,
che non è
prodotta
dell’ego, non
sottomette ma crea
legami che uniscono.
All’origine
di ogni distruzione,
sacrificio,
violenza, c’è
un ego impaurito
che corrompe
la natura religiosa
dell’uomo. Anche
i totalitarismi
rivelano
questo meccanismo, l’ideologia
è una forma
religiosa con
apparati rituali,
sacrificali e di
censura.
La soluzione
[
alla violenza n.d.r.] non
è allora
eliminare
la sete naturale
di Dio, ma
scoprire
che ciò che unisce
Caino e Abele è
proprio quella
sete: l’altro
non è il
nemico dell’ego
che vuole
l’esclusiva,
ma un fratello
con la stessa
domanda di
infinito
e quindi
da custodire.
L’amore nasce
da qui: dal
riconoscersi
figli della stessa
sete.
La religiosità
autentica
non corazza
l’ego, ma
lo smonta
per far emergere
il Sè, cioè
l’uomo compiuto,
che è l’io
in relazione,
aperto alla
vita. L’io isolato,
amando, esce dalla
sua prigione
auto-inflitta
e genera
vita: ci
vuole una «egografia»
per far nascere
l’io che
sa amare,
che rinuncia
all’esclusiva
sul mondo
perché, solo
amando, relativizza
la paura
della morte
che lo porta
a volere
tutto per
sé.
Mi ha
sempre colpito
che in origine
i cristiani,
per l’eucarestia,
non si riunivano
in un luogo sacro
ma nelle
case, senza differenza
di classe
o cultura.
Un gesto
quotidiano
e necessario,
un pasto,
rimescolava
rapporti
di forza
e li trasformava
in legami:
non sorprende
che i Romani,
pronti pragmaticamente
a tollerare
tutte le religioni,
perseguitarono
(la loro violenza
viene smascherata)
proprio quella
che minava un
intero sistema
di potere e
non era disposta
ad adorare l’imperatore.
La vita veramente
religiosa si
mostra come
un modo nuovo
di vivere le
relazioni: non
è un’esperienza
«esclusiva»
come si dice
oggi per rendere
appetibile qualcosa
di costoso, ma
è gratis, per
tutti, così
come sono. Ed
è l’Amore.
Dio non è onnipotente,
onnisciente...
ma, dice l’evangelista
Giovanni, è
Amore, cioè
relazione e vita
data gratis,
che comincia
dal riconoscere
all’altro il
valore assoluto
che pretendiamo
sia solo nostro,
proprio perché
in relazione
a Dio siamo tutti
paradossalmente
«fratelli unigeniti»,
ognuno necessario
(unico) e relativo
(cioè in relazione,
collegato).
Dio
non è dove c’è
il potere religioso
e purtroppo spesso
la religione
si riduce ad
apparato di potere,
ma dove c’è un
modo nuovo di
vivere le relazioni
con gli altri
e con il mondo:
non sono dettate
dal controllo
e dalla paura
ma dalla libertà
e dalla ricerca
comune di senso.
La religiosità
autentica fa
nascere l’io
compiuto, aggiunge
una d- a -io,
perché Dio è
la possibilità
di creare relazioni
vere. Dio c’è
solo dove uno
diventa custode
dell’altro e
il sangue di
Abele smette
di scorrere. "