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Intervista al presidente della CEI. Unioni civili , migranti e parrocchie.

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Unioni civili, Bagnasco: «Scorretto dare gli stessi diritti delle famiglie» . Sull’emergenza migranti: «I poveri del mondo non vogliono più vivere in condizioni disumane» di Paolo Conti Milano, 23 agosto 2015 - 08:11  corriere.it  © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, affronta le polemiche sui rapporti Cei-politica e sull’immigrazione e chiude sulle unioni civili.

Eminenza, in questi giorni si è parlato molto di immigrati: lei ha accusato l’Onu di non avere un ruolo attivo...

«Ho fatto riferimento all’Onu, il massimo organismo di incontro politico-economico, non per depistare l’attenzione verso responsabili lontani e indistinti, ma perché il fenomeno con cui siamo chiamati a confrontarci è mondiale: è come se il Sud del pianeta, costretto da circostanze ormai insopportabili, vedesse l’Occidente come l’unica sponda rimasta. È vero che anche da noi esistono problemi e squilibri, ma i poveri del mondo non sono più disposti a vivere in condizioni disumane.

E la tragedia di gente che muore dentro a una stiva, in una valigia, cacciata in mare è talmente grave e complessa che non può essere risolta né da un singolo Paese e neppure dall’Europa che, comunque, deve fare molto di più. La sede è a livello mondiale, perché si tratta di accogliere e anche di dare possibilità di futuro, tenendo conto dei contesti. Nel contempo, è urgente da una parte aiutare i Paesi di provenienza e, dall’altra, perseguire con rigore scafisti e altri oscuri decisori che speculano sulla pelle dei disperati».

Pensa che il governo italiano faccia poco per risolvere il problema?

«Vedo un notevole impegno delle prefetture, che cercano di comporre le giuste esigenze di chi accoglie e di chi è accolto. E qui si inserisce l’impegno della Chiesa: per esemplificare, soltanto a Genova c’è una rete di quaranta centri di ascolto parrocchiali aperti indistintamente a tutti e attualmente sono ospitati 400 immigrati. Come presidente della Cei posso testimoniare che si tratta di un’esperienza comune pressoché in tutte le diocesi, grazie a quel cuore misericordioso delle nostre comunità, tanto sollecitato da papa Francesco».

La Cei è al centro di numerose e infuocate polemiche. Qual è oggi il vero rapporto tra la Conferenza episcopale e il mondo politico italiano?

«Le polemiche non fanno mai bene a nessuno: esasperano gli animi e deformano la realtà. Mettere in evidenza alcuni aspetti problematici o critici non significa negare la complessità che è propria della vita, sia personale che sociale. La sincera tensione al bene della gente e del Paese è parte della missione anche della Chiesa e porta al rispetto reciproco e alla collaborazione responsabile almeno su tre fronti: i valori morali e spirituali, alcune proposte pratiche e l’impegno comune, come succede con il volontariato delle parrocchie e di altre realtà ecclesiali.

Questa leale collaborazione, radicata nel sentire della gente, nella storia e nell’ordinamento del nostro Paese, rappresenta una ricchezza che deve essere custodita e promossa. In tale prospettiva, le coordinate rimangono il pieno rispetto della libertà religiosa e di quella laicità che, nell’esperienza italiana, non ignora ma salvaguardia e valorizza il fenomeno religioso in tutte le sue dimensioni.

Molti assicurano che lei abbia «richiamato» monsignor Galantino chiedendogli di non partecipare al convegno su De Gasperi per evitare altre polemiche. È così?

«Monsignor Galantino mi ha telefonato da Trento per condividere la sua meditata intenzione di inviare il testo della relazione, evitando di partecipare di persona al convegno. Gli ho espresso il mio pieno accordo e il mio apprezzamento per tale scelta».

Si parla di un «malessere» di numerosi vescovi verso le posizioni di monsignor Galantino, sulla frase sulla politica paragonata a un «piccolo harem di cooptati e di furbi». Lamentele che sarebbero arrivate a lei.

«È sempre improprio estrapolare una frase dal contesto in cui è pronunciata: in questo caso 16 pagine di relazione, che rendono il senso e il peso delle parole. Sono convinto che l’intenzione del segretario generale non sia stata di offendere qualcuno, ma di stimolare il mondo politico a progredire nell’analisi puntuale dei problemi della gente e a decidere provvedimenti efficaci ed equi».

Esiste una divisione tra vecchia e nuova guardia della Cei, quella consolidata prima di papa Bergoglio e quella successiva?


«Sono schemi che rispondono a categorie più sociologiche che ecclesiali. La Chiesa in tutte le sue espressioni, quindi anche le Conferenze episcopali, è dentro a una storia che si arricchisce del magistero e della fede del popolo di Dio. È in cammino, la Chiesa, dentro a un alveo che valorizza ogni nuovo buon apporto e trova nel Papa la guida sicura e la sintesi nella comunione.

Ai vescovi italiani non appartengono certe contrapposizioni che si leggono: lo dice la nostra storia di fedeltà piena e di collaborazione cordiale ai papi, alle loro indicazioni sia dottrinali che pastorali. Aggiungo che la gratitudine e l’apprezzamento al Santo padre Francesco per la sua costante e affettuosa vicinanza sono molto più forti di quanto qualcuno possa ritenere».

Qual è il suo giudizio sul governo Renzi e sulla politica di riforme? E sul rapporto con le opposizioni ?

«Non tocca a me un giudizio puntuale di questo tipo, poiché - più che valori morali e spirituali - implica competenze tecniche specifiche. La complessità della situazione e i problemi della gente, con cui noi pastori viviamo tutti i giorni, sono sotto gli occhi di tutti.

Costruire il bene comune è il dovere e lo scopo dell’azione politica: coloro che sono deputati a questo compito devono con ogni sacrificio personale trovare insieme le vie che ritengono oggi migliori, perché prevalga il bene della gente. In questa prospettiva non è importante che una parte vinca sull’altra, ma che i bisogni concreti delle persone trovino risposta: penso al lavoro, alla famiglia, ai giovani, al welfare».

E come giudica le posizioni del governo Renzi sulle unioni civili?

«La Chiesa non è contro nessuno. Crede nella famiglia quale base della società, presidio dell’umano e garanzia per vivere insieme; la famiglia come è riconosciuta dalla nostra Costituzione e come corrisponde all’esperienza universale dei singoli e dei popoli: papà, mamma, bambini, con diritti e doveri che conseguono il patto matrimoniale.

Applicare gli stessi diritti della famiglia ad altri tipi di relazione è voler trattare allo stesso modo realtà diverse: è un criterio scorretto anche logicamente e, quindi, un’omologazione impropria. I diritti individuali dei singoli conviventi, del resto, sono già riconosciuti in larga misura a livello normativo e giurisprudenziale».

Pensa che la Chiesa sia ancora ascoltata dalla popolazione italiana?

«Le 25.000 parrocchie e le 225 diocesi in Italia sono un segno non solo della presenza, ma anche della vicinanza concreta della Chiesa alla gente: le persone questo lo sanno e lo sentono. Dobbiamo ringraziare i nostri sacerdoti per la generosità nel farsi in quattro anche avendo, a volte, la responsabilità di più comunità. Essi non solo presiedono le loro parrocchie: non di rado, presidiano il territorio, arricchito dalla presenza di religiosi e suore con le loro opere e i loro servizi.

Detto questo, ricordo che le comunità cristiane non vivono fuori dal mondo, ma respirano come tutti l’aria del tempo, di quella “dittatura del pensiero unico” denunciata con chiarezza da papa Francesco.

Formare le coscienze alla verità e alla bellezza del Vangelo rimane la missione a cui siamo chiamati, forti delle parole di Gesù: “Non temete, io sono con voi sempre”».

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