" Se l'ira è uno dei sette vizi
capitali, bisogna però subito osservare che lo sdegno può essere
una virtù.
Infatti si
tratta di uno schierarsi apertamente, coscientemente
e appassionatamente dalla parte del bene, della verità, della giustizia, opponendosi
al male, alla menzogna e all'ingiustizia. Il modo espressivo dell'indignazione è quello
delle controversie che sono un genere letterario adottato dai
Vangeli: basti leggere il capitolo 23 di Matteo.
Ovviamente il dibattito,
la dialettica, la polemica da sempre costituiscono il sale
della comunicazione. Se usato in dosi massicce, come accade
ai nostri giorni in televisione o in politica, rovina irrimediabilmente
la comunicazione, facendola degenerare in rissa e incomunicabilità ottusa. Nel Nuovo Testamento si adotta
un termine della società greca, parresìa, per
esaltare la libertà e il coraggio di poter testimoniare in pubblico
la propria convinzione e fede.
Ebbene, Gesù non teme di confrontarsi, anche con durezza, con la classe
dirigente politica, religiosa e sacerdotale: basti solo leggere i due cicli di
controversie con scribi e farisei posti in apertura (Mc 2,1-3,6) e a suggello
del suo ministero pubblico (Mc 11-12). Ma gli esempi si possono moltiplicare
e hanno alla base una componente fondamentale, cioè la comunicazione della
verità contro ogni doppiezza: “Sia il vostro linguaggio: sì,
sì; no, no; il superfluo procede dal maligno” (Mt 5,36-37).
Si tratta di un aspetto messo sovente in sordina nella retorica
dell'oratoria ecclesiastica, incline a lasciarsi intridere
da robuste porzioni di melassa spiritualmente dolciastra. Sulla scia dello
stile dei profeti le parole di Cristo conoscono spesso lo sdegno che si
accende soprattutto di fronte all'ipocrisia religiosa che, sotto il manto
di una pietà artificiosa e formale, nasconde egoismi
inconfessati e interessi inconfessabili. Pensiamo alla frusta agitata contro
i mercanti che trasformano il tempio di Sion in “una spelonca di ladri” (Mt
21,13), come già protestavano i profeti (Ger 7,11). Tutto il giudaismo
ufficiale è metaforicamente frustato nelle varie polemiche che Gesù apre
contro le varie fazioni dei sadducei, dei farisei, degli erodiani, contro le
classi sacerdotali e intellettuali (gli scribi): basterebbe rimandare ai sette “Guai!” del
capitolo 23 di Matteo o all'attacco contro i “mercenari” o
falsi pastori di Israele presente nel capitolo 10 di Giovanni.
Il culto separato dalla vita, la liturgia senza la giustizia,
il digiuno retoricamente conclamato, l'elemosina e la preghiera
ostentate sono denunziati senza reticenze, e la parabola del pubblicano
e del fariseo (Lc 18,9-14) ne è una vigorosa
testimonianza. Il fariseo, avvolto nel manto glorioso delle sue opere e della
sua giustizia, è convinto della sua giustizia e dei doveri di Dio nei
suoi confronti. Il pubblicano, peccatore pentito, con il riconoscimento umile
della sua miseria morale diventa il vero uomo religioso. L'idolatria della ricchezza,
l'egoismo, la violenza e l'odio escludono dal regno di Dio. “Se stai per
deporre sull'altare la tua offerta e là ti ricordi che tuo fratello ha
qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all'altare e va' prima a
riconciliarti con tuo fratello; dopo verrai a offrire il tuo dono” (Mt
5,23-24).
Sono molte le parole di Gesù simili a quella spada che egli diceva di
aver portato nella storia: “Non crediate che io sia venuto a portare la
pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Sono venuto
a separare l'uomo da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora da sua suocera
[…] Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e vorrei davvero che fosse
già acceso!”. (Mt 10,34-35; Lc 12,49).
Molte sono le parole dure, radicali e assolute, rese ancor
più veementi
dal calco semitico, come nel caso della celebre frase: “Se uno viene a
me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle
e anche la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26).
In realtà Gesù, come è ovvio, non suggerisce l'odio che
ha sempre bandito dal suo sdegno, ma riflette il linguaggio semitico che ignora
il comparativo e procede per assoluti, che trasforma un “amare meno” in “odiare”.
Rimane, comunque, la potenza indimenticabile di quel monito.
Il discorso potrebbe allargarsi e costringerci a citare quasi
metà delle
parole di Gesù, segnate dal colore e dal calore, dalla passione
e dall'intensità,
dall'esigenza forte e assoluta, da un radicalismo che detesta
il compromesso (in questo senso dev'essere intesa la sua
visione del matrimonio come totale e indissolubile donazione d'amore,
senza riserve e limiti: Mc 10,1-12; Mt 5,31-32; 19,1-9)."
[Tratto da Gianfranco Ravasi, “Seguirlo nel cammino” (Edizioni
San Paolo)]